La responsabilità dell’autore: Claudio Piersanti

[Dopo gli interventi di Helena Janeczek e Andrea Inglese, abbiamo pensato di mettere a punto un questionario composto di 10 domande, e di mandarlo a un certo numero di autori, critici e addetti al mestiere. Dopo Erri De Luca, Luigi Bernardi, Michela Murgia, Giulio Mozzi, Emanule Trevi e Ferruccio Parazzoli, ecco le risposte di Claudio Piersanti]

Come giudichi in generale, come speditivo apprezzamento di massima, lo stato della nostra letteratura contemporanea (narrativa e/o poesia)? Concordi con quei critici che denunciano la totale mancanza di vitalità del romanzo e della poesia nell’Italia contemporanea?

Questi giudizi sommari sono forme della stessa isteria ideologica che anima da decenni dibattiti inutili. Questi critici-guru, questi santoni pataccari che da generazioni intonano litanie funebri sul romanzo… Sarebbe divertente studiare da vicino i loro percorsi e i loro pentimenti. Ora il Grande Guru Americano si pente di entusiasmi che noi autori periferici e muti non abbiamo mai condiviso (mentre i nostri critici scrivevano paginoni osannanti ai Veri Scrittori e si sgomitavano in affollatissimi party con i bicchieri di plastica). I critici-guru hanno un grande svantaggio sugli autori: sbagliano sempre. Sono progettati intellettualmente per non vedere nulla al di fuori di se stessi, essendo infatti l’opposto speculare di un autore. Il versante italiano del critico-guru è naturalmente più pecoreccio, e oscilla tra il collezionista di ragazzini e il tipo materno-protettivo. Mentre il primo può paragonare un giovanissimo esordiente assai grazioso a Céline (per poi dirgli in pubblico, dopo qualche anno: ma perché scrivi?, rafforzando la sua fama di implacabile) il secondo considera grandi autori solo quelli non solo scoperti e sostenuti editorialmente da lui, ma più precisamente quelli a cui ha dato per anni da mangiare. C’è anche la variante del Grande Intellettuale (detto senza ironia) che limita la letteratura a quella prodotta dal suo compagno di banco delle medie (peraltro anche lui grande scrittore davvero). In generale il giudizio isterico “non ci sono più romanzi” è espresso da personalità schizoidi che non hanno di sé altra percezione che la loro panza piena di lingue: in un convegno si commuovono per Gadda e lo incensano tra le lacrime, nel convegno successivo giurano che la letteratura è finita e si dimenticano anche del povero Gadda. In realtà per ritagliare il presente da un libro (orrendamente, dico io) “nuovo” ci vuole del talento vero, che soltanto gli autori hanno. Contini, Bo, Mengaldo, Maria Corti, per fare finalmente alcuni nomi. Autori-pensatori, letterati, filologi, filosofi. Ce ne sono ancora, ce ne sono stati tanti. Li abbiamo dimenticati, insieme ai narratori con i quali avevano intrecciato le loro vite mentali. Dal punto di vista della scrittura (che è l’unico che conta) non c’è alcuna differenza di grado tra Contini e Bilenchi, che considerava Carlo Bo perfetto e quindi di gran lunga superiore anche a lui.

Ti sembra che la tendenza verso un’industrializzazione crescente dell’editoria freni in qualche modo l’apparizione di opere di qualità?

Credo sia già avvenuto. Ci saranno sempre più opere prime e per gli autori che vendono poco sarà sempre più difficile andare avanti. Oggi è più facile esordire, rispetto ai miei anni settanta, ma è quasi impossibile continuare a lavorare. È opinione comune che oggi molti capolavori assoluti del novecento non sarebbero neppure pubblicati. Ma io trovo stupido e fatalista questo atteggiamento: su scala internazionale c’è ancora un pubblico in grado di leggere opere di qualità. Il mondo non è soltanto un ipermercato.

Ti sembra che le pagine culturali dei quotidiani e dei settimanali rispecchino in modo soddisfacente lo stato della nostra letteratura (prosa e poesia), e quali critiche faresti?

Si possono ancora definire pagine culturali trenta recensioni da mezza cartella ammucchiate in una pagina? L’unica proposta culturale che mi sento di fare ai giornali è questa: perché non assumete qualche ragazzo che vi corregga gli errori? Le edizioni on-line sono cimiteri grammaticali.

Ti sembra che la maggior parte delle case editrici italiane facciano un buon lavoro in rapporto alla ricerca di nuovi autori di buon livello e alla promozione a lungo termine di autori e testi di qualità (prosa e/o poesia)?

Nelle case editrici ci sono ancora parecchie persone che di libri capiscono molto, direi che spesso sono migliori delle loro collane. Onestamente io non saprei fare meglio, conoscendo le aziende e i consigli d’amministrazione. (Peraltro il problema non si pone: oggi nessuno assumerebbe uno scrittore per fargli dirigere una collana o per affidargli la direzione editoriale di una casa editrice.) Tra i nostri veri provincialismi c’è anche quello delle mitologie editoriali internazionali. Purtroppo i grandi editori di queste mitologie non esistono più, siamo alle ultime sopravvivenze. Insieme al declino degli autori c’è quello degli editori puri. Ma come dicevo non credo affatto che questo sarà un assetto definitivo e immutabile. Tutto cambia. Lo dico con un sorriso: dal letame nascono i fiori.

Credi che il web abbia mutato le modalità di diffusione e di fruizione della nostra letteratura (narrativa e/o poesia) contemporanea? E se sì, in che modo?

Le vie della letteratura sono infinite. Io ho imparato a leggere e sono diventato uomo leggendo e distruggendo libri tascabili. A casa mia i libri venivano considerati una spesa futile e quasi perversa. Compravo Kafka e poi lo nascondevo come materiale pornografico. Il web è una grande occasione e insieme un grande pericolo. Un autore guadagna circa il dieci per cento del prezzo di copertina; un traduttore molto meno (il che è male, essendo letteralmente essenziale). Entrambi devono guadagnare, per vivere. E gli editors? Non servono a nulla? E le collane? Siamo tecnologicamente molto avanti, ma culturalmente non abbiamo neanche cominciato a ragionare. Il web è una rivoluzione paragonabile a quella della stampa. Ha già cambiato il mondo, ma il mondo non lo sa. Lo usiamo come un gruppo musicale inesperto usa un super-sintetizzatore, come un organetto di Barberia.

Pensi che la letteratura, o alcune sue componenti, andrebbero sostenute in qualche modo, e in caso affermativo, in quali forme?

La letteratura deve inventarsi un suo pubblico, anche dove non c’è. Un letterato non ha diritto a un trattamento speciale, deve essere una persona comune, o comunque sembrarlo. Non chiedo soldi allo Stato. Anzi, se non suonasse provocatorio, gli proporrei tranquillamente un risparmio: chiudete gli Istituti di cultura italiana all’estero. In generale trovo nefasto l’intervento dello Stato (o dovrei dire: dei Partiti?) nell’industria culturale. Parlo dei finanziamenti ai giornali, ma anche nel cinema ha prodotto effetti devastanti. Uno Stato che possiede anche televisioni commerciali non può essere una cosa seria.

Nella oggettiva e evidente crisi della nostra democrazia (pervasivo controllo politico sui media e sostanziale impunità giuridica di chi detiene il potere, crescenti xenofobia e razzismo …), che ha una risonanza sempre maggiore all’estero, ti sembra che gli scrittori italiani abbiano modo di dire la loro, o abbiano comunque un qualche peso?

Credo che non abbiano alcun peso, se non trasformandosi in operatori politici, cioè in altro. Un tempo mi tremavano i polsi quando scrivevo giudizi e pensieri “forti”, ci rimuginavo sopra per giorni e ne sentivo anche troppo la responsabilità. Poi mi sono accorto che quasi non se ne accorgevano neppure i lettori “professionali”. Gli scrittori diventano più visibili nei paesi totalitari, dove pochi hanno il coraggio di dire la verità. Un corpo a corpo diretto con il ventre molle della nostra realtà non ha senso. In Italia si può dire la verità, ma nessuno la ascolta.

Nella suddetta evidente crisi della nostra democrazia, ti sembra che gli scrittori abbiano delle responsabilità, vale a dire che avrebbero potuto o potrebbero esporsi maggiormente e in quali forme?

Non lo credo. Molti singoli bravi scrittori hanno espresso chiaramente le loro opinioni ma uno scrittore senza lettori resta un don Quijote.

Reputi che ci sia una separazione tra mondo della cultura e mondo politico e, in caso affermativo, pensi che abbia dei precisi effetti?

Sciascia ha già detto quel che c’era da dire sulla partecipazione politica diretta di uno scrittore: niente.

Ti sembra opportuno che uno scrittore con convincimenti democratici collabori alle pagine culturali di quotidiani quali «Libero» e «il Giornale», caratterizzati da stili giornalistici non consoni a un paese democratico (marcata faziosità dell’informazione, servilismo nei confronti di chi detiene il potere, prese di posizione xenofobe, razziste e omofobe…), e che appoggiano apertamente politiche che portano a un oggettivo deterioramento della democrazia?

Estendendo il ragionamento agli editori (anche) di libri si tornerebbe a ragionare su cose già dette da altri molto bene. Credo che alla fine ogni firma rappresenti se stessa. Ognuno è responsabile di quello che scrive. Non frequento razzisti e se posso evito anche di ascoltarli quando parlano tra loro. Su due grandi fronti la storia che ci aspetta spazzerà il presente: il fronte razziale (il Sud salirà a Nord) e quello del rapporto cittadini-Stato (sarà fiscale, il motore del collasso? O sarà innestato dal nostro mafioso debito pubblico?).

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102 Commenti

  1. “In Italia si può dire la verità, ma nessuno la ascolta.”
    non è vero che nessuno ascolti la “verità” (parola che vorrebbe sempre le virgolette) è che i molti credono che sia verità ciò che è evidente menzogna.
    detto questo, poi ci sono scrittori capaci di arrivare lo stesso, capaci di forare lo strato isolante che circonda le nostre menti, riuscendo a dirci qualcosa, ma a patto di prodursi in modalità prevalentemente emozionale piuttosto che razionale: la forma saggio pare sia morta, o quasi.

    (michele mari, non so più dove, ricorda quando nella collana urania si faceva pubblicità a saggi di livello assoluto, come quelli di adorno, levi strauss, eccetera: dunque è ovvio che il pubblico è cambiato e non capisco bene cosa può voler dire “inventarselo”)

    uno dei problemi di una cultura egemonizzata dalla fiction mi sembra risieda nel veicolo su cui far viaggiare la “verità”, se si vuole che raggiunga i molti: quello della scrittura non pare tra i più efficaci, anche perché quelli che leggono sono pochi e quelli che leggono a scopo non del tutto intrattenitivo sono pochissimi.

    insomma, la scrittura (strutturata) come strumento di comunicazione/rivelazione, sembrerebbe, se non tagliata fuori, molto marginalizzata rispetto alla scrittura quantica del web e rispetto alla forza dei mezzi di comunicazione di massa tuttora dominanti: se il problema è l’incidenza e l’ascolto, è ovvio che è lì che bisogna stare.

    e infatti è lì che sta il banana con le sue truppe.

  2. Trovo tutte queste interviste di una banalità sconcertante e di una noja ammorbante. Non so se si poteva fare diversamente, ma le domande non mi sembrano ben fatte, non sono ben pensate per questa formula-ciclostile, di per sé alienante, e nessun autore ha realmente modo di veicolare una sua idea, o almeno di venir fuori – potrebbe interessare, a qualcuno, dipende dallo scrittore – proprio come individualità.
    L’ultima domanda, nel suo ripetersi ossessivo, è come una gogna in cui fiaccamente si cerca d’infilare il collo di Nori. I presupposti sono sempre gli stessi, del tutto sbagliati – in democrazia qualunque idea politica è lecita, è democraticamente contraddittorio pretendere che non ci sia, anche, un giornalismo schierato [sono privati, hanno un pubblico che li legge, scrivano quel cazzo che vogliono: o contesti quello che scrivono, a pioggia o punto per punto, in nome di determinati tuoi valori o te ne stai ZITTO — puerile e insultante per chi viene qui e legge, per *tutti* senza esclusione, ritrovarsi di fronte a questo ennesimo, infantile “non è giusto”, “ma non possono”, “ma non era nelle regole”].

  3. @ anfiosso

    io trovo invece queste risposte tutte, per un verso o per l’altro, estremamente interessanti, o mal che vada molto rivelatrici (per quello che è detto, per come è detto, per quello che non è detto);
    e soprattutto mi sembrano interessanti quando vengono, come in questo caso, da un grande scrittore che da trent’anni mette lì dei libri che sono al top della nostra narrativa;
    che le domande a te non piacciano, e naturalmente sei liberissimo di pensarlo, mi pare che lo sia capito (e spero che tu non torni a ribadirlo!); se però gli scrittori accettano di rispondere, credo che la loro valutazione sia diversa;
    non sarà che ti scappa qualcosa? (di fronte a un Piersanti io il problema me lo porrei);

  4. @sartori
    beh, a mozzi queste domande non piacciono, ma ha risposto lo stesso.
    @anfiosso
    il fatto che esista (ancora) uno spazio democratico dove ciascuno può fare le sue scelte non significa che quelle scelte, in quanto libere, non siano discutibili.
    tuttavia concordo su questo: che nori e tutti gli altri facciano il cazzo che gli pare e che qui la si faccia finita di discuterne.

  5. Ma chi chiedo, e mi riferisco esclusivamente alla prima risposta, non sarebbe ora di farli, i nomi di questi santoni pataccari, di queste personalità schizoidi? Così si capirebbe se con il nome di critico si intende il giornalista culturale o il critico “accademico” o il libero saggista, restando alle categorie, e se questo giudizio così globalmente negativo è davvero giustificato.

    L’errore di valutazione, la cecità, non sono di oggi soltanto, lo sappiamo tutti benissimo, sul contemporaneo è normale e ha le sue molteplici ragioni.
    Il discorso del critico, anche quando valuta erroneamente, serve a produrre e ad accumulare analisi e discorsi che assieme a quelli di altri contribuiscono lentamente alla valutazione di un autore. E non solo il discorso dei critici, anche quello degli scrittori, che anche quando non scrivono saggi veicolano stima e disistima e possono far molto per definire un autore.

    Comincio a pensare che la vera emergenza dei nostri giorni sia questa amarezza pervasiva , Piersanti, che inizia scrivendo:

    «Questi giudizi sommari sono forme della stessa isteria ideologica che anima da decenni dibattiti inutili.»

    continua praticando anche lui le stesse modalità.

    Poi su molte altre cose sono d’accordo.

  6. @ pecoraro

    non credo che quelli che hanno accettato di rispondere abbiano amato particolamente le nostre domande, sarebbe troppo chiedere (e comunque la nostra finalità non era quella), ma le hanno pur sempre considerate – suppongo, altrimenti si sarebbero defilati – degne di essere prese in considerazione, e una opportunità per dire quello pensavano;

    Giulio M. non ha amato le nostre domande, e lo ha mostrato nelle risposte stesse (e fuori); anche la sua posizione mi pare, è interessante, ed è un gran bene che sia venuta fuori;

    @ Anfiosso e Pecoraro

    la democrazia di cui parlate non è innanzituto il poter confrontare opinioni diverse? non è anche avere la pazienza di ascoltare?
    davvero non vedete le grandi differenze tra gli intervistati?; vi sembra che gli scrittori abbiano avuto modo di esprimersi altrove su questi temi?
    e non pensate che le parole e le argomentazioni degli scrittori (e ripeto, soprattutto quelli di grande valore), che spesso si esprimono in modo diverso dai critici (le loro risposte sembrano più “semplici”, “più banali”) vadano ascoltate attentamente?; non vi sembra un po’ ridicolo che una persona che si nasconde sotto un nick sentenzi che quello che dice Piersanti non è interessante?

  7. Volevo sollevare la questione nomi&cognomi a proposito della prima domanda, ma sapevo che alcor l’avrebbe fatto comunque, perciò mi sono trattenuto.

    Non tocco Piersanti, che non conosco, affatto. MUOJO dalla brama d’impossessarmi del suo body of work, e scriverne diffusamente; mi limitavo a dire che le domande mi sembrano tirate insieme alla cacchio di cane, e che pertanto le risposte, troppo guidate, sembrano tutte uguali, salvo che l’autore non si sottragga all’incombenza di rispondere facendo il giullare, ch’è stata la scelta di Mozzi.

    La democrazia consiste nella libertà di ciascuno di esprimere quello che pensa, e di accogliere e respingere tutto quello che si ritiene valido e no del pensiero espresso da altri. La discussione ci *deve* essere, ed è proprio questo che sostenevo. Ma la discussione consiste per l’appunto nel sottoporre ad analisi mirata il pensiero altrui, nel rilevarne la validità ove ci sia, nel demolirlo ove non paja valido. Continuare a dire che Tizio & Giangurgolo “non sono democratici” nei termini usati dall’intervistatore è continuare a cadere in contraddizione. Cajo & Pollecenella possono continuare pacificamente a dire quello che vogliono; nessuno ha il diritto di dire “non devono dire”. Si può, democraticamente, nutrire il più veemente desiderio che tacciano per sempre? Sì: si prendono in mano Libero, Bello & Stronzo, e li si sottopone ad analisi serrata, se ne fanno saltare in aria le schizofrenie, i pensieri viziati, le falsità, se ne rilevano la volgarità, la scorrettezza grammaticale & sintattica, e li s’induce a chiudere, e mandarsi da soli al macero.
    Nel modo in cui è stata affrontata la questione finora, piangolando che Libero *non dovrebbe esistere*, non è possibile arrivare da nessuna parte.

    Invece Sartori merita una risposta più esauriente:

    non vi sembra un po’ ridicolo che una persona che si nasconde sotto un nick sentenzi che quello che dice Piersanti non è interessante?

    Sartori, è il concetto che deve passare, non il nick.
    O vuoi passare sotto casa a farmi il culo perché ho (avrei, veramente) detto che l’intervista a Piersanti non mi piace?

  8. Il destinatario dell’intervista (libro) può essere di tre tipi: il lettore comune, che fa vita del tutto lontana dalle lettere; il lettore attivo, magari anche scrittore, che ha una nozione personale e un suo pre-giudizio; il lettore critico, molto pochi questi, che fa della critica un lavoro e funge da dissezionatore. Paradossalmente, lettore comune e lettore critico sono destinatari più raccomandabili del lettore attivo, dato il loro occhio “vergine” e “frontale”; paradossalmente perché poi, all’atto concreto, la comunità letteraria è in effetti composta dei lettori attivi. L’esperienza davvero interessante, di questi tempi, sarebbe mettere l’oggetto intervista (libro) in mano al lettore comune: l’occhio ineducato, il corto circuito imprevedibile, il disvelarsi di richiami inattesi o anche inattendibili. Questa e’ l’esperienza della diversita’ (della poesia).

  9. @alcor
    Veramente Cortellessa qualche nome su vibrisse l’ha fatto, e mi sembra abbia colto nel segno. Alfonso Berardinelli, che ho avuto la fortuna di conoscere personalmente e che stimo, è forse il principale responsabile dello scetticismo quasi nichilista di certa critica “alta” della sua generazione e di quella successiva, ovvero dei nati negli anni ’50. Il problema è che Berardinelli è molto bravo, è molto colto, scrive e parla magnificamente ma ha un limite: la sua intelligenza è quasi soltanto di tipo distruttivo, s’esalta nella stroncatura, nel graffio o nell’unghiata, è un’intelligenza capziosa volta al negativo, poco generosa, poco ariosa, un’intelligenza che tende a sottrarre e a smontare e a diradare e a spargere sale. Tutto ciò è naturalmente parte integrante del diritto/dovere d’un critico, ma Berardinelli ne ha fatto, mi sembra, un autentico mestiere – il mestiere che lui medesimo ha lamentato già negli anni ’80 di non possedere più.
    Sono poi d’accordo con Piersanti quando afferma che spesso i critici migliori sono gli scrittori: una tesi che George Steiner ha portato avanti con insistenza, e con argomenti e dati piuttosto convincenti.
    Ciò detto, secondo me non è vero e non sarà mai vero che il romanzo è morto, che la poesia è morta eccetera; cambiano le regole della fruizione, della distribuzione, della lettura e anche della scrittura. E per accorgersene “in diretta” occorre, come afferma Piersanti, del genio.

  10. @sartori
    niente da eccepire circa l’iniziativa, eccetera (se leggi il mio commento indirizzato a anfiosso, ti accorgerai che vi dico in breve la stessa cosa).
    è sull’ultima domanda che sono d’accordo con anfiosso, perché alla lunga suona come una specie di maledizione e non mi sembra il caso.
    e poi questa cosa sull’uso del nickname, scusa, ma te la potevi risparmiare.

  11. @Macioci

    ma Cortellessa non è Piersanti, io qui lo chiedo a Piersanti, che magari non pensava a Berardinelli, non mettiamogli i nomi in bocca

    e poi anche Berardinelli ha i suoi autori, le scelte che ha fatto per Scheiwiller lo testimoniano, mi pare, perché altrimenti li avrebbe proposti?

    quanto agli scrittori, sono parziali anche loro, condividono anche loro posizioni, sensibilità, affinità, visioni del mondo e della letteratura, a volte ci prendono, a volte prendono granchi

    è vero invece secondo me quello che dice qui sopra Sartori, le risposte degli scrittori sembrano a volte più “semplici” e “banali”, sembrano peccare di ingenuità, ma è un’ingenuità sulla quale varrebbe la pena spendere due parole, potrebbe essere letta come protettiva di un linguaggio, o anche di un accesso meno razionale alla valutazione di un autore, o anche protettiva di quell’accesso non solo al valore ma al mondo, a parte il fatto che non tutti gli scrittori manifestano i loro giudizi nella semplicità, si aprirebbe un’altra pratica, benché interessante

  12. Dice Piersanti: “Le vie della letteratura sono infinite”. Verissimo. Pensate che, rispondendo a un precedente critico, avevo segnalato il link per “La bufala del New Italian Epic”. La sera stessa mi giunge da Ilmiolibro.it il riscontro della vendita di una copia di tale titolo al critico stesso. Sento che da ‘sta cosa nascerà altra cosa. Per esempio che Einaudi Stile Libero mi offra la pubblicazione del mio titolo nella stessa collana in cui è uscito il saggio wuminghiano: vuoi mai che il ***controsaggio*** venda più del saggio e consenta alla stravagante casa editrice il recupero del denaro inutilmente speso per quest’ultimo?

  13. Scrive Claudio Piersanti: “Oggi nessuno assumerebbe uno scrittore per fargli dirigere una collana o per affidargli la direzione editoriale di una casa editrice”.

    Andrebbe ricordato che in Mondadori troviamo, a livelli dirigenziali, il narratore Antonio Franchini e il poeta Antonio Riccardi; in Einaudi il narratore Ernesto Franco. Sempre in Mondadori lavora la scrittrice Helena Janeczek, come ha raccontato qui in Nazione indiana. Lo scrittore Sandrone Dazieri ha fatto in Mondadori una bella carriera: direttore dei gialli, poi direttore dei prodotti da edicola, poi direttore dei libri per ragazzi (e dal 2006, avendo scelto di fare “lo scrittore a tempo pieno”, è rimasto come consulente). Pure consulente in Mondadori, e non di poco peso (dopo esserne stato dirigente), è il già qui intervistato Ferruccio Parazzoli, egli pure scrittore. In redazione di Einaudi Stile Libero c’è la scrittrice Rosella Postorino, uno dei consulenti è lo scrittore soprascritto, e anche uno dei due direttori della collana, Paolo Repetti, è uno scrittore. In Baldini & Castoldi lavora lo scrittore Matteo B. Bianchi, la narrativa di minimum fax è diretta dallo scrittore Nicola Lagioia (mentre della saggistica si occupa lo scrittore Christian Raimo). Luigi Bernardi, anch’egli qui intervistato, ha alle spalle (e di fronte a sé) una lunga carriera di lavoro editoriale.

    Certo: costoro non sono mica tutti direttori editoriali o direttori di collana. Ma, in somma, ci sono. Come la mettiamo?

  14. Circa i famosi critici che, secondo Nazione indiana, “denunciano la totale mancanza di vitalità del romanzo e della poesia nell’Italia contemporanea”, qualche nome è stato fatto: bizzarramente, non in Nazione indiana ma in vibrisse; da persone appartenenti a Nazione indiana e da persone non appartenenti a Nazione indiana (come a es. Andrea Cortellessa); e comunque, se ho capito bene, a titolo personale e non come esito di una ricognizione del “mondo della critica” fatta da Nazione indiana.

    Una piccola lista “ufficiale” sarebbe assai gradita. Tanto per capire se Nazione indiana è in grado di assumersi la responsabilità delle proprie affermazioni (la domanda, così com’è formulata, implica infatti che secondo Nazione indiana effettivamente esistano – almeno in numero di due, visto l’uso dei plurale – dei critici che “denunciano la totale mancanza di vitalità del romanzo e della poesia nell’Italia contemporanea”).

  15. Mi permetto di intervenire
    riguardo nomi e cognomi.
    ma come mai, e sicuramente non solo in questo blog, molti non si firmano con vero nome ed altrettanto vero cognome?
    secondo voi è giusta questa dimensione del “nick”?
    che cosa nasconde il “nick”?

    cordialmente

  16. mi permetto di riportare (spero che l’autore non me ne voglia) la bella replica di Cortellessa alla domanda insistente di Giulio M., riformulata anche qui sopra (il problema è che il link inserito da Giulio invia solo a Vibrisse, e per fora di cose non direttamente a questo commento):

    Caro Giulio. Punto primo. Tu chiedi quali siano quei critici i quali «denunciano la totale mancanza di vitalità del romanzo e della poesia nell’Italia contemporanea». Io non ho scritto le domande di Nazione indiana, ma di questa capisco perfettamente il senso. Vale l’avvertenza di Massimo Adinolfi nel thread successivo a questo: se uso il lessema «tavolo» so cosa intendo e chi mi ascolta mi capisce; se devo dare una definizione della stessa parola, comprensiva dei suoi usi letterali e metaforici in tutta la storia culturale umana, dovrei essere uno storico (e un filosofo) dell’arredamento e avere uno sterminato bagaglio di letture interdisciplinari, nonché centinaia di pagine a disposizione, per poter rispondere in modo esauriente. Lo stesso vale per la parola «critico».
    Non troverai mai, negli scritti di un critico contemporaneo, la frase incriminata. Ma che sia questo il presupposto di molti dei critici (=, qui, «persone che vengano considerate in grado di esprimere un giudizio in materia letteraria, e abbiano a disposizione sedi pubbliche sufficientemente visibili e riconosciute per esprimerlo») di oggi, mi pare difficile metterlo in dubbio. Faccio l’esempio di un saggista che stimo moltissimo, ma i cui giudizi critici quasi mai condivido: Alfonso Berardinelli. Il quale già nei primi anni Ottanta si definiva «critico senza mestiere» dal momento che riteneva che la «qualità» della sua lettura (nutrita da decenni di educazione alla letteratura, esperienza che qui e più in generale nel web vedo spesso irrisa, ma della quale giustamente qui Alcor ha rivendicato l’importanza) non trovasse un corrispettivo nella «qualità» della poesia, e soprattutto della narrativa, che l’editoria italiana metteva sul mercato. Poi non ha mai scritto una frase come quella (anche perché Berardinelli scrive molto bene), ma un pensiero simile è senza dubbio alla base di ogni suo atteggiamento culturale. Naturalmente non può scrivere quella frase anche perché di volta in volta appaiono eccezioni, narratori che considera validi o entusiasmanti (di recente mi pare si possa dire che abbia trovato tali Antonio Debenedetti, Franco Cordelli e Walter Siti: fra loro il più giovane, classe 1947). Ma appunto: eccezioni. Che confermano la regola. E la stessa regola viene tacitamente osservata dalla maggior parte dei critici della generazione successiva, diciamo quelli oggi sulla cinquantina, sui quali l’influsso di Berardinelli è non meno che enorme.
    Ora, un influsso notevole Berardinelli se è per questo lo esercita anche su di me, ma il primo motivo di disaccordo critico fra noi è questo, diciamo metodologico e sincategorematico (scrivo di proposito questa parola, così sarà più facile definire questo mio commento «masturbazione intellettualistica»). Perché da quando ho iniziato questa attività, a metà degli anni Novanta, ho letto decine di autori italiani validi, e a tratti entusiasmanti, in poesia; e molti di meno, ma almeno una decina, in narrativa (i quattro nomi fatti poco sopra da Alcor, per esempio). E penso che ci siano molti critici più giovani che la pensino come me, al riguardo. Magari indicheranno nomi diversi, e a tempo debito ci si azzufferà su questo; ma ciò non smentisce, e anzi forse convalida, il mio punto di vista circa una notevole ricchezza. Poi il discorso cambia se dobbiamo fare un confronto col passato (non con gli anni Sessanta, bastano 13-14 anni fa), ma questi confronti della stretta contemporaneità con altri tempi, lo sappiamo, sono strutturalmente ingannevoli.

  17. e, sempre per non ripeterci troppo, riporto anche la mia replica (che Giulio M. cita qui sopra), dove parlavo a nome personale e nello stesso di NI (non vedo la distinzione, visto che l’inchiesta è una iniziativa di NI alla quale faccio parte):

    per quanto riguarda i critici che sono molto severi – ed è un eufemismo – sullo stato della nostra narrativa attuale, naturalmente uno dei nomi a cui pensavamo era, lo suggerisce qui sopra Cortellessa, Berardinelli.

    E a questo proposito Cortellessa dice: “Non troverai mai, negli scritti di un critico contemporaneo, la frase incriminata.” Però negli interventi sui quotidiani e nelle conferenze sì. Ricordo per esempio di avere letto proprio qui in Vibrisse lo spassosissimo ma anche accorato resoconto di Antonella Cilento di una conferenza di Berardinelli, il quale sosteneva la tesi suddetta. La povera Antonella, e lo riferiva appunto in modo molto divertente, si domandava allibita: “ma allora io chi sono, cosa faccio, cosè la mia vita?”. Ricordo bene questo post, anche se non mi è riuscito di ripescarlo (è precedente alla memoria contenuta nel Vibrisse attuale), ma certo lo potresti ripescare tu (sarebbe carino, visto appunto che cercavi delle prove). Lo ricordo per il semplice motivo che ho sentito Berardinelli sostenere le stesse tesi all’Istituto di Cultura di Parigi, con i funzionari dell’Istituto stesso e le signore ingioiellate del pubblico che applaudivano, e mi sono portato dietro l’incazzatura (e sai che sono una persona mansueta) per mesi.

    Ma naturalmente si potrebbe citare altri nomi, per es. Luperini, e molti altri che nel “disastro generale” salvano due o tre autori (spesso loro amici). Pescando per es. nelle pagine culturali per esempio del Corriere della Sera, si troverebbero, con un po’ di pazienza, le prove scritte che chiedi (io me le ricordo).

    Ma anche critici che sono meno severi (= che salvano un numero superiore di autori) hanno un giudizio nel complesso negativo sulla narrativa attuale, o comunque molto sufficiente. Per esempio La Porta (il quale era presente alla conferenza di cui sopra all’Istituto di Cultura di Parigi, e era d’accordo, almeno a voce, con la tesi di Berardinelli). Già il titolo del suo libro, è un giudizio negativo: “La nuova narrativa italiana: travestimenti e stili di fine secolo” sulla narrativa italiana. Come annunciato dal titolo, pochi autori superano le forche caudine delle sue (severissime) aprioristiche aspettative e delle sue aprioristiche tesi.
    Ma si potrebbero citare, e li citeremo, stai tranquillissimo, molti altri nomi, prove alla mano.

    E se devo essere sincero, con tutto il rispetto che ho per lui, anche il numero di autori dell’ultimo quindicennio che Cortellessa promuove/assolve (una decina), mi sembra esageratamente basso.
    Ma intendiamoci, non sto dicendo che non si debba essere severi. Chi mi conosce sa con quanta severità giudico i romanzi. Però mi sembra insostenibile affermare che solo 10 autori italiani degli ultimi quindici anni sono validi, alias si salvano. Semplicemente insostenibile (e io purtroppo non ho il tempo di leggere tutti i romanzi italiani che vorrei, perchè il mestiere è un altro, e quindi chissà quanti me ne scappano!).
    Non so, sarò triviale, ma mi viene in mente un commentatore di calcio (per fare un esempio calcistico che non piacerà a Cortellessa) che confessasse che tra tutti i giocatori di cui si occupa nelle sue cronache (è quello è il suo mestiere), solo una decina sanno giocare a calcio, gli altri non valgono niente.

  18. e per completezza – poi basta – anche la replica alla replica di Cortellessa:

    Faccio ammenda. Ho in spregio l’approssimazione e la sciattezza, e la mia frase che lei riporta è sicuramente sciatta e approssimativa. Non sono in grado di contare, a memoria e su due piedi, gli autori di narrativa italiani in attività che considero “validi” (all’”entusiasmo”, però, mi hanno portato narratori più o meno nell’ordine numerico suesposto; vero è che sempre più, col tempo, mi accorgo di leggere più spesso e più volentieri poesia e “altra scrittura” che non narrativa vera e propria).

  19. Un punto di vista trash.
    Per un certo periodo ho frequentato il forum di libri e letteratura di un importante giornale italiano. Il moderatore era un vero e proprio scrittore ma per i frequentatori abituali (soprattutto la decina di presenzialisti multipli quotidiani) il vuoto e la nullità degli scrittori italiani viventi erano un dogma che nessuno discuteva. Stiamo parlando di gente che non solo non leggeva ma se ne vantava e giudicava i libri nuovi da ciò che ne sentiva dire da Fazio o trovava online. Occasionalmente uno scrittore vivente, quasi sempre americano, veniva esaltato in maniera stravagante per qualche riga ma solo come scusa per prendersela con gli abbietti scrittori italiani.
    Ricordo uno dei frequentatori che in ogni post, più volte al giorno, anche parlando d’altro, attaccava Scurati di cui si vantava di non aver mai letto una riga: era rimasto sconvolto da una brutta figura che Scurati aveva fatto fare a un suo idolo, Bruno Vespa… Il fatto che nessuno scrittore si avventurasse mai nel forum per farsi insultare era considerato ennesima prova della loro pusillaminità. Va da se’ che i frequentatori abituali si congratulavano molto del loro coraggio e intelligenza e gusto.
    Appunto, un po’ trash. Un genere di critica che sta a Berardinelli come il TG4 sta all’Economist. Ma, a mia impressione, questo è l’andazzo normale della critica online, dove i do ut des fra ‘autori’ sono ancor più regola che fra i critici riconosciuti.
    Basterebbe vedere il disprezzo con cui da alcuni sono considerati gli scrittori che si avventurano qui dentro, che pure al confronto di quel triste forum è un autentico centro di ‘wellness’…

  20. “Un genere di critica che sta a Berardinelli come il TG4 sta all’Economist.”

    scusa Sascha, posso sapere perché diavolo chiami “critica“ le opinioni espresse in un forum da qualche lettore che si autoattribuisce competenza?

  21. Oh, dimenticavo che ci vuole la laurea. Posso vedere la sua?

    (seriamente, da quand’è che sento chiacchiere sugli enormi benefici che la critica letteraria ‘dal basso’ online porterà alla letteratura come a tutto il resto, benefici che, al momento, non si vedono nemmeno da lontano?)

  22. Mammamia quanta animosità che creano questi post, la soluzione per non icazzarsi troppo è decidere di uscire dal sistema, se questo non ci piace.
    Se io fossi uno scrittore con un minimo di talento pubblicherei stralci di mie opere sul mio sito internet, magari in doppia versione, inglese e italiano, se poi so anche il francese meglio.
    Poi attiverei una procedura tale per cui l’eventuale lettore interessato, se vulesse leggere il seguito dell’opera, potrebbe, pagando “pochi euro”, scaricare l’intera opera direttamente dal sito.
    Poi, spingerei il potere politico a sottrarre all’editoria i finanziamenti bubblici e con i soldi risparmiati migliorerei, in parte, le condizioni della scuola italiana.
    Poi, gran parte del mio tempo lo impiegherei per monitorare e spronare il buon operato dei vari ministri all’istruzione e tutte le sue sotto segreterie, perchè i miei futuri utenti siano soggetti preparati , educati e affamati d’arte e letteratura.
    Ovviamente spingerei la Gelmini alle dimissioni, ha già dimostrato di non essere all’altezza.
    Poi, mi preoccuperei di salvaguardare la salute dei miei futuri utenti, pretendendo una sanità migliore e servizi assistenziali adeguati, in modo che restino dei felici e longevi lettori.
    Poi, farei in modo , per le stesse motivazioni precedenti, che venisse ridotto l’inquinamento e che le risorse naturali fossero salvaguardate, l’acqua in particolare, e che le fonti di energia alternativa fossero potenziate, questo perchè le risorse naturali inquinanti ed in esaurimento potrebbero finire improvvisamente..

    e se spegnamo la corente, il mio sito internet con le mie pubblicazioni, come potrebbe continuare ad esistere !?!?! O__o

  23. Domenica scorsa sono andato con mia moglie e due amici alla presentazione di un libro di una scrittrice di una certa fama. C’eravamo noi, un coppia di vecchietti e un altro.

  24. io non faccio la critica, perciò posso starmene tranquillamente senza laurea:-)

    ma anch’io seriamente: non ho mai sentito chiacchiere sugli enormi benefici che quella che lei [com’è che adesso tutti passano al lei? cmq mi adeguo] chiama «critica letteraria ‘dal basso’» porterà alla letteratura.

    non escludo che qualche lettore che scrive in un forum possa pensarlo, ma anche chi passa il pomeriggio al bar può pensare che guiderebbe la Fiat meglio di Marchionne, salvo che resta al bar e nessuno lo chiama a guidarla, non ha alcuna autorevolezza

    lo so che piacerebbe a molti che l’autorevolezza fosse lì a disposizione di chiunque voglia allungare la mano e prendersela, ma nonostante la rete, non funziona così, o almeno non ancora.

  25. scusa Sascha, posso sapere perché diavolo chiami “critica“ le opinioni espresse in un forum da qualche lettore che si autoattribuisce competenza?

    O magari non se l’attribuisce.
    Che competenze ci vorrebbero?

  26. @anfiosso: la Democrazia non è esattamente poter fare e dire quel cazzo che pare ad ognuno. Ad ogni azione corrisponde una reazione e, soprattutto, un ben specifico livello di responsabilità ad essa collegato. Una responsabilità il cui grado è direttamente proporzionale alla posizione e alla funzione che si occupa nel mondo. Se sei uno stupido come me e dici le cazzate in un commento su NI, tutto è molto limitato. Se sei Minzolini e dirigi il TG1 e dici che Mills è stato assolto, capirai che è ben diversa la portata della faccenda. Se sei Feltri o Belpietro e spari cazzate che hai letto di sfuggita su una velina che ti sei nascosto la sera prima nel cassetto, capisci che – a prescindere la santa Democrazia del cavolo – la responsabilità di questo gesto è ben più ampia di una stronzata sparata a caso dal mio meccanico al bar. Se a questo aggiungi che Minzolini lo pagano con i miei soldi e Belpietro e Feltri pure, mi girano ancora di più i cosiddetti. Perché, forse non lo sai, loro non sono “privati” e mandarli al macero con le sovvenzioni statali è un po’ difficile.

    Detto questo, lo stesso discorso si può applicare alla Letteratura. Che siano essi critici, Letterati, Scrittori, Editori o esperti del “mestiere”, ciò che manca alla Letteratura non è, amio avviso, la vita ma un nuovo luogo e un nuovo modo di farla vivere. Oggi, la maggioranza dei lettori acquista i best seller. Un best seller non necessariamente è un libro scritto bene o un capolavoro. Quando voglio acquistare un libro senza buttarmi sul classico del 900 (o anteriore) mi trovo in serie difficoltà. Non so dove dirigere lo sguardo, che si perde in un magma che, pur nella sua diversità, risulta omologato dal caso. La qual cosa non è da rigettare: bellissimo entrare in libreria, sfogliare qui e lì e rimanere agganciati ad un libro che poi si acquista. Però, sinceramente, dei punti di riferimento non mi dispiacerebbero affatto. Ed è questo ciò di cui la Letteratura ed io sentiamo la mancanza: dei punti di riferimento. Che siano da seguire o da rifiutare e opporre non ha importanza: l’importante è avere un punto da cui partire per non girare sempre attorno al nulla. Io, che pure mi ritengo un “lettore forte” con una buona esperienza alle spalle e molte letture fatte e ripetute, nonostante mi dedichi amatorialmente a fare il “critico” dei libri che leggo, non mi sognerei mai di basarmi su quanto io stesso scrivo, perché mancante di quel punto di partenza, di quel riferimento che ancora cerco (e, a volte, trovo). E soprattutto perché non sarei in grado di utilizzare una parola come “sincategorematico” che, in questo caso, non mi pare proprio una “masturbazione intellettualistica” perché non credo sia stata usata per sfoggiare la conoscenza di chi scrive inutile a chi legge.

    Il discorso di sartori mi incuriosisce: mi sorprende sentire che abbia trovato spunti più interessanti nella poesia che nella narrativa. Personalmente, preferendola in assoluto come mezzo espressivo, mi fa piacere, però anche mi chiedo quanto basso sia il mio livello “percettivo” da un lato e le conoscenze che ho della mia contemporaneità dall’altro, visto che dei pochi autori di poesia contemporanea letti che ho trovato interessanti e non forzosamente sperimentali e artificiosamente moderni, i più non sono stati pubblicati oppure sono pubblicati da case editrici piccolissime.

    Sul “livello percettivo” e sulla conoscenza della letteratura moderna avrebbe un buon effetto un punto di riferimento a cui rivolgersi per “imparare” a leggere e soprattutto a cogliere.

    Luigi B.

  27. quelle che si dimostra di avere nel e col tempo, con contributi critici articolati e convincenti, e mi spiace dirlo, so che non è gradito, riconosciuti dalla comunità che condivide una certa tradizione e cultura

    sai Anfiosso, tu, per esempio, hai una buona parte di queste competenze, alcuni tuoi pezzi sono fulminanti nello stile e mostrano tutto lo zoccolo di letture e riflessioni sul quale posano, e sono riconosciuti, quando li scrivi e qualcuno riesce a leggerli, da una comunità che condivide una certa tradizione e cultura (come del resto sai), che poi tu non sia un critico di mestiere è un’altra faccenda, ma certamente non sei un cretino qualsiasi che spara giudizi

    ma mio zio Tonino che sta al bar e dice mi piace, che schifo, che palle, che noia, o anche che bello, che stupendo, che commovente e attacca, come dice Sascha uno scrittore di cui non ha letto una riga, devo star qua a riconoscergli competenze?

    e in genere, c’è bisogno di star qua a dirle, certe cose?

  28. Alcor: il discorso sui lettori attivi, lettori comuni e lettori critici, nonche’ sulle competenze meriterebbe un post a se’: arriverebbero quelli che non condividono tradizione & cultura, almeno non nel senso affermato qui su NI negli ultimi mesi. Quando nel 2001 Carifi mi segnalo’ su Poesia di Crocetti, disse chiaro che secondo lui una matrice di pensiero analitica/anglosassone non porta da nessuna parte in poesia, ma si cautelo’ di fronte a possibili “dimostrazioni future” aggiungendo un detto delle sue parti: “tutto si puole, tranne che l’uomo incinto”. Quello che i non competenti stanno dicendo anche in questo colonnino e’ che, a sentire i competenti, l’uomo e’ proprio incinto.

  29. @Giusco

    ma secondo te quelli di cui parla Sascha possono contare su una matrice di pensiero analitica/anglosassone? una matrice analitica/anglosassone (che capirei meglio in filosofia, ma non importa) ha a sua volta una tradizione e cultura alle spalle, ma mio zio non ce l’ha, ha le sue opinioni personali, è competente in quest’unica cosa, esprimere le proprie private opinioni, è questa la critica dal basso, farsi un forum e parlare parlare parlare, auguri.

  30. Di là dal fatto che è pacifico che non sono un critico, né mi sembra di aver mai desiderato essere tale, ti devo ringraziare (ma mi sento anche un poco in colpa) per le competenze che mi riconosci.

    Mi sento, improvvisamente, molto infelice. Forse perché non le avrei mai e poi mai chiamate competenze. Perché non so troppo bene che cosa voglia dire tradizione, e qualunque cosa sia non mi piace. Perché so di non aver mai desiderato di condividere ‘basi’ culturali con chicchessia, non per poter realizzare quello che mi piacerebbe – che non mi è mai riuscito e mai mi riuscirà, ma questo è un altro discorso.
    Tolta la tradizione, la condivisione, le competenze, spero proprio che rimanga qualcosa – non solo per me, ché questo lo so, ma anche per qualcun altro.

    (E poi qui si cercano soluzioni che, appunto, vadano bene per tutti, mentre io credo che ognuno debba trovarsi la sua. Forse sono io che non ho capìto di essere totalmente fuori posto – ma si vede che sono troppo abituato ad essere comunque malcollocato, dovunque mi trovi, spostato qui, spostato lì, fa poi lo stesso).

    Devo poi trovar modo di rispondere a Luigi B., ma più tardi, o la dimane.

  31. Si parlava di critici che ritengono nulla e vuota la letteratura italiana odierna: era una delle dieci domande incriminate. Qualcuno fa il nome di Alfonso Berardinelli, accolto con un certo rispetto. Si fanno altri nomi.
    A quel punto mi viene in mente che un certo genere di discorsi è più facile da trovarsi nel magma della chiacchiera online tanto che in certi posti (anche piuttosto visibili) è un assioma o un luogo comune, una cosa tanto ovvia da non essere nemmeno discussa.
    Ripeto: sono anni che sento dire che la critica dal ‘basso’, dei lettori empowered dalla rete e dai social network rivoluzionerà la critica letteraria italiana (e tutto il resto) liberandola da mafie, amicizie, cordate pregiudizi, etc. Chiaro poi che ‘spara al critico’ è uno degli sport preferiti della rete, contraria a tutti gli intermediari (eccetto quelli potenti) e portata ad esaltare il rapporto diretto fra il ‘genio’ e i sensibili lettori in grado di capirlo, con i critici nella parte dei cattivi.
    Il discorso sui titoli di competenza, a questo punto, non conta molto. La critica dal basso è una realtà. Purtropo una realtà triste e acida.
    Ma criticare uno stato d’animo della rete, con i suoi milioni di anonimi e frustrati content provider, è difficile se non ‘antidemocratico’. Criticare lo snobismo di Alfonso Berardinelli è più facile e gratificante.

  32. sì sì, Anfiosso, puoi fare quel che vuoi, chiuderti o aprirti nel tuo blog, rifiutarti di condividere basi e tradizione, ma hai una testa letteraria di prim’ordine e non l’hai certo formata sul nulla, cosa tu ne voglia fare, qualsiasi cosa sia, è cosa sulla quale non posso dir nulla.

    che poi io usi parole banali e inadeguate nelle quali non ti riconosci (anche perché è una questione tediosa ribadire sempre le stesse cose e non mi applico come dovrei) è un altro discorso.

  33. Alcor, secondo me non sono le competenze il discriminante, ma l’occhio, lo sguardo innocente. I toni di Sascha come quelli di altri nick arrivati in passato e poi trapassati manca dello sguardo innocente, ma i lettori comuni che invoca sono quelli che ancora l’hanno. Le discussioni qui su NI sono sempre meno letterarie e sempre piu’ ideologiche. Ora, tutti hanno un’ideologia, ma ci sono modi dolci e modi ruvidi di metterla sul piatto e farla pesare; non sempre quelli che tu chiami competenti hanno modi dolci e io, ti diro’, ho iniziato a preferire l’ignoranza innocente alla cultura che usa la clava, specie in settori come questo letterario, di opinione.

  34. “Reputi che ci sia una separazione tra mondo della cultura e mondo politico e, in caso affermativo, pensi che abbia dei precisi effetti?
    Sciascia ha già detto quel che c’era da dire sulla partecipazione politica diretta di uno scrittore: niente.”

    Se “partecipazione politica diretta” di uno scrittore significa candidarsi al Parlamento, la domanda non chiedeva questo. E se non significa questo, non si capisce la risposta.

  35. da un certo momento in poi mi sono convinto che tutti abbiano diritto all’espressione del giudizio estetico.
    il quale dunque non anderbbe necessariamente considerato come appannaggio esclusivo dei competenti e dei condividenti, vale a dire dei (diciamo così) professionisti nella composizione di una gerarchia di valori appunto condivisibile.
    chiunque ha il diritto di dire, possibilmente argomentando, questo sì, questo no.
    ma mi sembra di poter dire che, in misura diversa di quanto accade al critico professionista, l’emissione del giudizio estetico di solito dice più cose su chi lo formula che sull’oggetto della formulazione.
    quindi la critica “dal basso” servirebbe più che altro a conoscere un po’ meglio la mente dei lettori, a capire cosa si cerca di solito in un testo e quali sono i testi che vengono ritenuti soddisfacenti e perché.
    insomma, addentrandomi nell’ovvietà più smaccata, direi che attorno al testo c’è un triangolo formato dall’autore, dall critico e dal lettore.
    sottrarre uno dei lati (per esempio il lettore) rende labile la struttura, gratuito il testo, eccetera.

  36. @tash

    e infatti tutti lo hanno sempre esercitato, l’unico lato del triangolo che mi sembra in via di sparizione, almeno come considerazione riconoscimento pubblico e diffuso, è quello del critico, del quale però io non ritengo che si possa fare a meno, se si dà valore al circolo ermeneutico.

    il lato del lettore temo serva soprattutto all’editore e alla compilazione delle classifiche “tal quali”

  37. Be’, intanto Vasco Rossi è diventato editore di ‘Satisfiction’. Dopo aver guadagnato un mucchio di soldi, si è finalmente deciso a perderne un po’:-/

  38. da un certo momento in poi mi sono convinto che tutti abbiano diritto all’espressione del giudizio estetico.

    maria
    solo da un certo momento in poi? andiamo bene di nulla!!!
    E che dire dell’espressione , critica dal “basso”, che servirebbe soltanto a decifrare il lettore comune da parte del lettore alto o peggio soltanto a capire le dinamiche del mercato editoriale.

  39. Hei son qui !!
    non lì,
    qui in basso!!
    mi allungate qualche poesia,
    qualche componimento,
    qualche tosto d’autore?
    mi sentite?!
    dai che devo creare spessore
    sotto i piedi

  40. che dire, maria? che è vero

    a parte la legittima soddisfazione che l’esprimere e il condividere le proprie opinioni sui libri offre al lettore “comune” (lo virgoletto), non mi pare che Anobii, per esempio offra un sostanzioso contributo al sapere, gli stessi anobiani (ci sono passata un paio di volte e ho letto qualche dibattito), sono consapevoli e anche con una certa fierezza, che le case editrici li tengono sotto osservazione

    e ci credo che lo facciano, esattamente come si tiene sotto controllo lo share dei programmi televisivi, si può capir molto sulle tendenze dei consumatori di merce editoriale

    vedo spesso sia qui (v. Baldrus qui sopra) che altrove, una rivendicazione del valore della visceralità.
    personalmente non ho niente in contrario, la visceralità è una delle forme della sensibilità, è anche un veicolo di energia, ma la sola visceralità, la visceralità come valore in sé, e anzi, proprio il valore più facile da percepire e con il quale immedesimarsi personalmente in un’opera, la famosa emozione, non è tutto quello che si potrebbe chiedere alla letteratura, a vantaggio degli stessi lettori

    la si impoverisce di molto se la richiesta principale che le si fa, e a volte l’unica, è quella di scaldare il motore emotivo del lettore, dimenticando il suo valore conoscitivo, che non è fatto di informazioni, ma proprio di accumulo di esperienza estetica

    la visceralità può essere anche un ingorgo, o uno sfogo di pulsioni, e mi chiedo, sia leggendo la seconda risposta di Santi, qui sopra, sulla facilità con cui si può pubblicare un opera prima, sia un intervento di Cortellessa da Mozzi che più tardi magari vado a cercare, sulla rapida scomparsa di autori promettenti, se questa fiducia nella visceralità e in generale dell’emozione come valori principali della fruizione letteraria, se la soddisfazione immediata che procurano sia allo scrittore che al lettore che all’editore, non impediscano poi all’autore di maturare, rallentare, riflettere e arrivare a un’opera più complessa e solida di quella anche molto promettente con la quale ha esordito.

    potrebbe anche dipendere da altre ragioni, ne sono perfettamente consapevole, il tempo che viviamo, per esempio, l’estrema volatilità del valore delle merci virtuali (il libro al 50% lo è), il desiderio di sempre nuove voci ed emozioni, ecc. ma non sottovaluterei il fatto che il nostro è un tempo a basso tasso di profondità emotiva e perciò sempre in cerca di emozioni sostitutive

  41. @maria
    quando parlo di “un certo momento” mi riferisco ad un lontano momento della mia vita in cui facevo il mestiere dell’architetto e in cui mi resi conto della legittimità di qualsiasi giudizio estetico, anche il più grezzo e brutale.
    la formulazione “dal basso” l’ho messa tra virgolette per ovvie ragioni.
    l’opinione del lettore è fontamentale (almeno è così per me) non per orientare l’industria editoriale, ma perché chi scrive lo fa essenzialmente per essere letto dalla gente, prima che dai critici.
    sono convinto che l’unica cosa che importi veramente ad ogni scrivente sia l’essere letto dal maggior numero possibile di lettori senza per forza dover venire a patti con ciò che si vuole scrivere e sul come si vuole scriverlo.

  42. Sono convinto che l’unica cosa che importi veramente ad ogni scrivente sia l’essere letto dal maggior numero possibile di lettori senza per forza dover venire a patti con ciò che si vuole scrivere e sul come si vuole scriverlo.

    Che sciocchezza ideologica. Pero’ suona bene!

  43. “Il web è una grande occasione e insieme un grande pericolo. Un autore guadagna circa il dieci per cento del prezzo di copertina; un traduttore molto meno (il che è male, essendo letteralmente essenziale). Entrambi devono guadagnare, per vivere. E gli editors? Non servono a nulla? E le collane? Siamo tecnologicamente molto avanti, ma culturalmente non abbiamo neanche cominciato a ragionare. Il web è una rivoluzione paragonabile a quella della stampa. Ha già cambiato il mondo, ma il mondo non lo sa. Lo usiamo come un gruppo musicale inesperto usa un super-sintetizzatore, come un organetto di Barberia.”

    Totalmente d’accordo con questo passaggio. gli autori, oggi dovrebbero cominciare a pensare a se stessi senza editore. un autore che vende 5.000 copie prende il 10 per cento su ogni copia. se riuscisse a venderne la metà su internet incassando il 70-80 per cento della sua opera sarebbe più felice secondo me. ma ancora molti, troppi, non se ne rendono conto.

  44. @giuliomozzi

    caro giulio, volevo dire due parole sul tuo primo commento; non tanto per la cosa in sè, ma perchè mi sembra un tipico caso che può essere preso come esempio di quella che per me è l’importanza di ascoltare attentamente – prima di pensare di avere ragione – cosa dicono gli altri, e nella fattispecie gli interessati, gli scrittori; e quindi indirettamente dell’importanza di questa nostra iniziativa, che tu critichi, per il tono e il contenuto delle domande, ma che è finalizzata, e secondo me in parte ci sta riuscendo, a far parlare proprio queste figure centrali (per noi), gli scrittori;

    tu critichi questa affermazione di Piersanti: “Oggi nessuno assumerebbe uno scrittore per fargli dirigere una collana o per affidargli la direzione editoriale di una casa editrice”; lo fai citando molti esempi che ricavi dalla tua esperienza: da anni bazzichi il mondo dell’editoria, ne conosci bene i funzionamenti e le persone; e quindi senz’altro la tua affermazione è fondata, senz’altro in un certo senso hai ragione (io stesso, che questo mondo lo conosco appena-appena, più che altro per sentito dire, anche se come sai qualche libro lo ho pubblicato, potrei citare altri esempi che corroborano la tua tesi!);

    però ecco: adesso abbiamo di fronte un grandissimo scrittore italiano, a mio vedere più grande di noi (e sai quanto ti stimi in quanto scrittore!), che sostiene, perchè gli abbiamo dato l’occasione di parlare, cosa che di solito non ha (anche se certo ci sono in giro altre sue interviste, ma che io sappia non su questi aspetti) il contrario; lo fa, presumo, in base alla sua esperienza e al suo lungo percorso, molto diversi – per quello che ne so – dai tuoi (= non ha mai lavorato per case editrici, con la sua casa editrice comunica solo via fax (almeno così faceva un tempo), ha avuto rapporti molto più stretti con il cinema …);
    credi davvero che questa sua affermazione (che certo può essere confutata, come tu hai fatto) non corrisponda a qualcosa di vero, credi davvero che non dica questo in base a una precisa esperienza (per esempio: gli scrittori che frequenta lui non collaborano con case editrici, e sono a mille miglia anche solo di prenderlo in considerazione …), credi davvero che le sue parole non vadano meditate e analizzate, per capire cosa vogliono dire?;

    la tua risposta è indignata, perchè tu sei convinto, in base alla tua esperienza “di vita”, e ai dati che hai in mano, di avere ragione; io invece non sono affatto convinto che tu abbia ragione, o meglio credo che un bel po’ di ragione la abbia, anche se a te può parere assurdo, Piersanti, che appuno si basa su una esperienza molto diversa dalla tua;

    l’unica maniera seria di dirimere la questione, per come la vedo io, sarebbe condurre uno studio “sociologico” sugli scrittori italiani, magari stratificandoli in qualche modo (premi, successo …) e vedere, naturalmente con l’ausilio della statistica, quanti lavorano anche nelle case editrici, e con che compiti, e poi magari confrontare i risultati statistici con quelli di altri paesi: in questo modo avremmo qualche risposta più o meno oggettiva;

    ma in mancanza di questo si parla di idee basate su esperienze diverse, su opinioni differenti, su modi di vedere anche opposti; esattamente le esperienze e le opinioni e i modi di vedere che questo questionario, con tutti i suoi limiti (che assumiamo) vuole inventariare e raccogliere;

    il problema, ripeto, è che Piersanti è Piersanti, e quindi secondo me dobbiamo tener conto delle sue opinioni, che appunto non sono banali e casuali opinioni, dobbiamo ascoltarle molto molto attentamente; tu sembri pensare che la ragione stia da una parte sola; io, che pure rivendico lo spirito di parte delle nostre domande, non lo penso affatto;

    tutto ciò per dire, come dicevo all’inizio, che da questo nostro certo imperfetto questionario molte cose importanti, molto più importanti della qualità intrinseca delle domande, stanno venendo fuori;

  45. E’ un mito credere che il livello della cultura all’estero sia migliore di quello italiano, soprattutto oggi. Fuori c’è solo più enfasi, sulla qual cosa siamo poco portati. Grazie

  46. @francesco pecoraro

    sono d’accordo.

    forse avevo frainteso, anch’io considero legittimo ogni giudizio e penso che i lettori comuni, come i lettori attivi , siano in grado di formulare, spesso, un giudizio estetico non banale.

    Sono anche d’accordo sul fatto che lo scrittore voglia essere letto molto e non necessariamente da persone particolarmente avvertite:-)

    Il lettore è la persona più preziosa, più di qualsiasi critico, basti ricordare come Borges si rivolge a chi lo leggerà.

  47. @giacomo sartori

    è impossibile non concordare con Mozzi, su quel punto lì.
    sono molti scrittori che lavorano per case editrici [e parecchi sono, oltre che editor, direttori di collana o responsabili editoriali]. due per tutti: Desiati a Fandango, e Armati a Castelvecchi.

    “condurre uno studio “sociologico” sugli scrittori italiani, magari stratificandoli in qualche modo (premi, successo …) e vedere, naturalmente con l’ausilio della statistica, quanti lavorano anche nelle case editrici, e con che compiti, e poi magari confrontare i risultati statistici con quelli di altri paesi: in questo modo avremmo qualche risposta più o meno oggettiva”: si potrebbe anche fare. ma perché?
    o meglio, mi correggo: è infattibile. perché, alla fine, torniamo alla questio portante: chi è “scrittore”? tutti quelli pubblicati? tutti quelli pubblicati in narrativa?

    e-

  48. ” Oggi è più facile esordire, rispetto ai miei anni settanta, ma è quasi impossibile continuare a lavorare. ”

    E’ vero, nei 70 era quasi impossibile pubblicare, c’erano in vita i grandi autori e i grandi selezionatori . Ma è altrettanto vero che a fine 80 si trovarono talmente a secco che si buttarono su “Io speriamo che me la cavo”. Con tutto il rispetto per il bravo maestro D’Orta.

  49. @enpi

    probabilmente, se andiamo a vedere, moltissimi degli scrittori che lavorano nelle case editrici, ed è il caso dei nomi che sono stati fatti qui, sono più giovani rispetto alla generazione di Piersanti; probabilmente molti dei “nuovi narratori” della generazione di Piersanti hanno scelto, per precise ragioni legate alla loro formazione e al loro itinerario (legato al rifiuto della politica e dell’impegno), dei ruoli più defilati;
    probabilmente per quella generazione non sarebbe stato facile entrare (e contare) nelle case editrici, dove erano ancora presenti i “grandi vecchi” che poi sono venuti a mancare nel corso degli anni ’80;

    queste tanto per fare un esempio, potrebbero essere delle spiegazioniche potrebbero far capire la percezione di Piersanti; ma ce ne potrebbero essere altre, che qualcuno più addentro di me potrebbe elencare;

    e quindi, ascoltando lo scrittore che parla, scopriamo che la realtà è più complessa e più sfaccettata di quello che credevamo, e ci disfiamo di un po’ delle nostre incrollabili certezze (il che fa sempre bene);

    io sono convinto che se si ascoltano gli scrittori – e tanto più quando hanno una notevole autorevolezza (sempre il nostro Piersanti) – qualcosa in più si capisce; purtroppo non ci sono verità assolute, ci sono realtà anche molto diverse, e ci sono percezioni di realtà anche opposte;

  50. addenda:

    e probabilmente Piersanti, proprio per il carattere del suo lavoro letterario, non si riconosce – e per questo nemmeno ha rapporti – con questi scrittori più giovani che lavorano nelle case editrici

  51. Non conosco Claudio Piersanti. La prossima volta dovreste mettere due note e qualche link per gli sprovveduti come me. Resta il fatto che quello che dice e’ interessante ed in parte condivisibile. Senza dare pero’ nuovi spunti di riflessione al dibattito. Quindi la sua resta una testimonianza. Importante.

    Certo, morti i grandi vecchi negli anni ’80, nelle case editrici sono arrivati i giovani scrittori. E tante belle signorine tendenzialmente anoressiche. Ma non vorrei essere riduttivo. C’e’ tanta bella gente in giro.

    Buona continuazione.

  52. @AMA
    “Che sciocchezza ideologica. Pero’ suona bene!”
    può darsi che sia una sciocchezza, non so.
    ma perché “ideologica”?
    e se sì, da quale ideologia discenderebbe?

  53. @giacomo

    assolutamente: è il caso di leggere e ascoltare Piersanti.
    non è così grave che dica una cosa lievemente inesatta, proprio perché è uno scrittore e non un giornalista o uno storico o altro. e la scrittura è il dominio dell’inesattezza voluta.
    la cosa in sé, però, resta inesatta.

    ciao,
    e-

  54. @ Pecoraro

    Diciamo che tu ti riconosci perfettamente nella pervasiva ideologia del Signor Ikea. Quello che scende quasi sempre, non per forza pero’, a patti col consumatore finale. Perfino riuscendo ad educarlo nel gusto. Giustamente. Bello, no?

  55. @enpi

    non voglio insistere, perchè aborro essere insistente, ma davvero non la penso come te (e quindi parlo solo per spiegarmi meglio);

    certo si può definire la valutazione di Piersanti inesatta; ma in base a quali parametri, in base quale “verità”?; e qui secondo me c’è il rischio di considerare “una visione oggettiva delle cose” (quella nella quale tu e Giulio sembrate credere ciecamente, e che per me deriverebbe solo da uno studio sociologico approfondito), quella che a me pare piuttosto una conoscenza/autocoscienza per molti aspetti autoreferenziale del mondo editoriale; un mondo che crede di conoscersi e di conoscere tutto sugli autori e sui testi, e che appunto spesso i testi li produce esso stesso; un mondo che, a quanto ne so, ha però trattato molto duramente Piersanti (che pur ha vinto importanti premi …), perchè non è mai stato un autore di gran successo;

    il problema, in altre parole, è che in questa intervista ci troviamo di fronte a un autore a cui, per il suo percorso e il suo posizionamento, questa visione per molti aspetti autoreferenziale risulta completamente estranea; e il drammatico dato di fatto, detto brutalmente, è che nessuno degli scrittori/editori è nemmeno lontanamente – dal punto di vista letterario – al livello di Piersanti (a differenza di quanto succedeva un tempo, quando grandi scrittori lavoravano nelle case editrici);

    e allora chi ha ragione?; il grande autore con la sua inessattezza, con la sua approssimazione, con la sua scarsa consoscenza del mondo editoriale, e con i suoi testi che svettano dalla “produzione media” del mondo editoriale, oppure una “falsa oggettività” che pensa di detenere tutte le verità?; io, scusa tanto, non ho dubbi, sono con Piersanti; e forse le sue parole, parafrasate, sarebbero proprio queste: “nessuno di quelli che considero grandi scrittori sarebbe oggi chiamati a dirigere …”;

  56. @ giacomo sartori

    mi piace davvero molto quello che dici quando rispondi a Mozzi e lo trovo molto importante se non fondamentale. Mozzi fa dei nomi e quelle persone hanno pubblicato dei libri. Ma io mi chiedo: il fatto che abbiano pubblicato dei libri è una ragione sufficiente perché Piersanti li consideri scrittori?

    (Un’altra cosa che mi piace molto è intervenire frettolosamente in modo da avere scarsa considerazione e poi in ritardo con cose più sensate così quello che scrivo non lo legge nessuno)

  57. @ sartori

    Non saprei, sin dalla fine degli anni ’80 forse, ci sono piu’ curatrici editoriali anoressiche che giovani scrittori nelle case editrici. Il loro obiettivo finale resta comunque titillare piacevolmente il lettore con cose semplici, senza grosse pretese letterarie, ma non per questo banali o prive di una qualche forma di grandezza. Anzi. Bisognerebbe partire da questo per poi sviluppare tutto il resto.

    Inoltre oggi per definire grande uno scrittore ci vogliono diversi requisiti. Tutti importanti. Fondamentali.

    Si tende comunque a parlare troppo spesso di scrittori e quasi mai delle loro opere. In fondo, se ci pensiamo bene, abbiamo avuto nel secolo scorso pochi grandi romanzi. Alla fine solo le opere restano. Quelle che fanno la differenza. Due titoli non a caso. Assolutamente internazionali. Se questo è un uomo e Il nome della rosa. Non aver fatto i conti col capolavoro di Umberto Eco puo’ essere una scelta. Non aver letto Primo Levi una assoluta mancanza. Di qualunque nazionalita’ tu sia. Dal 1980, anno in cui viene pubblicato per la prima volta Il nome della rosa, ad oggi, abbiamo prodotto grandi opere? Sarebbe sbagliato parlare di una certa decadenza? Certo, non discuto che possano esserci grandi scrittori da storicizzare in futuro, ma vorrei che ogni tanto mi si indicassero grandi titoli. Altrimenti capisco solo il posizionamento di certi autori. Fra l’altro con criteri a volte discutibili.

  58. @giacomo
    “e allora chi ha ragione?; il grande autore con la sua inessattezza […]”.

    assolutamente. sì, ha ragione il grande autore.
    pensavo fosse corretto dare delle informazioni in più.

    “nessuno di quelli che considero grandi scrittori sarebbe oggi chiamati a dirigere …”.
    è questo che si intende?
    allora, dopo aver posto la domanda: chi sono gli “scrittori”?
    mi corre quasi l’obbligo di domandare: chi sono i “grandi scrittori”?

    e-

  59. @ enpi

    Bisognerebbe che NI intervistasse delle curatrici editoriali anoressiche o dei giovani scrittori, per farci capire quali siano oggi i criteri per definire certamente grande un’opera, nonostante, nella migliore delle ipotesi, sia letta da una percentuale risibile di consumatori. Io apprezzerei molto la cosa. E avrei finalmente uno strumento di codifica… Non entrerei piu’ spiazzato in un megastore e saprei di certo dove far indugiare l’occhio per acquistare una certa grandezza.

    Sia chiaro, io godo anche di Tolkien, sono perfettamente inserito nel mio tempo. Ogni tanto mi piace condividere qualche rito collettivo. Eppure sento che una certa grandezza e’ altrove. E nessuno che sappia indicarmela. Senza dubbio alcuno.

  60. Scusa AMA,
    IL NOME DELLA ROSA???????????????????????????????????????????
    Poi, a meno che tu non intenda il ‘900 soltanto a partire dal 1980, ma hai dimenticato parecchie cosette tipo IL PASTICCIACCIO, IL PARTIGIANO JHONNY, LA COGNIZIONE DEL DOLORE, HORCYNUS ORCA, FRATELLI D’ITALIA, LE CITTA’ INVISIBILI, PETROLIO e chissà quanti ne dimentico, e poi ancora una miriade di opere magari non gigantesche, ma nemmeno da buttare via. Insomma, a me pure che nei riguardi dell’italica narrativa sono ho po’ con la puzza al naso il tuo criterio appare di una severità addirittura nazista. Eco a parte, naturalmente.

  61. Mi scuso per i refusi ma avevo le convulsioni dopo aver letto che IL NOME DELLA ROSA è un capolavoro.

  62. Guarda che io citavo due titoli italiani che dal dopoguerra ad oggi si sono imposti agli occhi del mondo. Per ragioni diverse. Nessun letterato, di qualsiasi paese, potrebbe sottrarsi al capolavoro di Primo Levi.

    Come credo che un giovane, qualunque sia il suo paese e la sua lingua, possa leggere l’Ulisse di Joyce e il Moby Dick di Melville, ignorando Stefano D’Arrigo, non credi? Poi magari chissa’…

  63. @NI: potreste calare gli assi di briscola e spedire a Dario Fo, Umberto Eco e Saviano le domande?

  64. Nominare Umberto Eco a un Intellettuale Italiano Medio è come agitare uno straccio rosso davanti a un toro nei vecchi cartoni animati Warner Bros.

  65. @Sascha
    Eco non meritava cotanto elogio da parte di AMA, tutto qua. Non è che un compilatore, un uomo di grande cultura ma senza originalità di pensiero, e come scrittore vale poco. Leggerlo o ascoltarlo non aumenta la mia abilità cognitiva o il mio senso estetico, al massimo aggiunge nozioni. Ebbe ragione Berardinelli a dire che Eco sdoganò gl’italiani nei confronti delle letture colte, li fece sentire “fichi”, “intellettuali” appunto. Primo Levi viceversa è un gigante di pathos e lucidità mescolati assieme, forse ancor più ne I SOMMERSI E I SALVATI che in SE QUESTO E’ UN UOMO. Ora, se hai da spiegarmi perché Eco secondo te è un grande e perché IL NOME DELLA ROSA un capolavoro, sono lieto di conoscere le tue ragioni. Ma per favore risparmiami tori e cromatismi vari. Amen.

  66. Mi unisco a Macioci:

    Ama :
    cosa vuol dire

    Come credo che un giovane, qualunque sia il suo paese e la sua lingua, possa leggere l’Ulisse di Joyce e il Moby Dick di Melville, ignorando Stefano D’Arrigo, non credi?

    non capisco da quali presupposti vengano fuori certe asserzioni date per scontate, presumibilmente irrefutabili, come si evince dal tono perentorio, la forma apodittica…
    certo si può vivere pure da analfabeti, certo si può vivere pure con 2 o 3 tascabili, ma perché se D’Arrigo è l’autore italiano più prossimo a Melville e Joyce, PUO'(=DEVE), secondo te, tranquillamente e senza nessun danno essere ignorato, in patria, figurarsi all’estero con tutti gli ostacoli prevedibili di un’ardita traduzione? Perché D’Arrigo PUO’ (=DEVE) essere ignorato solo perché dalla massa ignorato, al contrario di Eco (che astuto semiologo, ammiccando al lettore e tenendolo al guinzaglio, solleticandolo nel suo narcisismo, facendo finta di credere che sia intelligente quanto crede di essere, affibbiandogli il ruolo di inutile cavia convinta di fare scoperte di sensi ulteriori, già tutti sapientemente per lui predisposti e dislocati in più ripiani) dalla massa, invece, ignorato NON è, perché con astuzia ha farcito un gustoso panino per i loro denti, erudito quanto vuoi, ma pur sempre un panino?
    Allora sancire l’obbligo per un giovane italiano di leggere Il nome della Rosa piuttosto che Horcynus Orca, è una ridondanza del messaggio mediatico uni-formato, significa attenersi al giudizio conforme maggioritario, e, infine, significa reiterare l’inutile e comoda eco comune che non esistono più capolavori, semplicemente perché il gusto del grosso pubblico, nel suo progressivo e deteriore impoverimento e scadimento, non è più in grado di scovarne di adatti al suo palato, pigro, passivo, rinsecchito e ogni giorno più grezzo.
    Allora che senso ha chiedersi: dove sono i capolavori? capolavori non ce n’è! e chi saprebbe più indicarli? se il problema vero è che non si riesce più a vederli, o non si vuole più leggerli, (bastano quelli già letti, una volta, un tempo) perché – non si sa bene su quali basi preconcette e fuorvianti, come quella che si può benissimo sopravvivere senza- non si fa altro che continuare a scartare anche solo l’ipotesi di leggerli quando vengono offerti….perché capolavori ce ne sono, ce ne sono sempre stati, ma richiedono, ovviamente, uno sforzo, a cominciare dalla prima fatica di dissotterrarli dalle sabbie mobili della (im)POP(olarità).

  67. @ Maria (v)

    Quella di Eco era una provocazione che ha colto nel segno. Confermo, oggi come oggi, D’Arrigo e’ un minore per addetti ai lavori. Per nessuna ragione al mondo mi permetterei di consigliare la lettura del suo librone a qualcuno. Umberto Eco invece resta uno dei migliori cento autori del secolo scorso. Nel mondo.

    Per favore, Maria, citami un capolavoro degli ultimi anni. Non temere di fare un titolo, anche se fosse sconosciuto perfino al popolo web. In fondo, se ci pensi bene, anche tu, per citare qualcuno, tieni conto di certi criteri, non trovi?

  68. Ammettendo pure tutti i limiti di Umberto Eco, mi pare che fra le persone di gusto lo si sottovaluti un po’ troppo facilmente, più di quanto meriti. E naturalmente la cosa non è aiutata dal paragonargli opere come Horcynus Orca (il fascino dell’impopolarità e del l’abbiamo letto solo noi)
    e I sommersi e i salvati (Olocausto doveroso e quindi bello a prescindere), opere che sembrano scelte apposta come opposizione retorica.
    Nella sua categoria – libri che la gente legge per suo piacere – Il Nome della Rosa se la cava molto bene. Quanto al nozionismo, beh, alcuni di noi lo amano, come amano il gioco delle idee e la storia – tutte categorie che si possono disprezzare solo mettendo su o prendendo in prestito una qualche teoria sull’essenza del romanzo, quel genere di teorie per cui Le Illusioni Perdute, Guerra e Pace e Moby Dick guadagnerebbero molto da una bella sforbiciata…
    Chiaro, l’unico pathos in cui Eco eccella è quello della conoscenza e della sua ricerca e il suo stile è spesso scorrevole nel senso peggiore del termine ma il suo successo planetario non merita disprezzo, non più di quanto ne meriti il fatto che ha parlato di Templari prima di Dan Brown.
    Per curiosità, che ne pensate di un bestseller come La Storia, di Elsa Morante? Se ne condanna la popolarità oppure…?

  69. Certo, qui si stracciano le vesti per Gomorra, lo hanno letto quando milioni di altre persone non lo avevano ancora fatto, e snobbano Il nome della rosa. Un romanzo fondamentale che ha anticipato tante cose, soprattutto se si considera la successiva produzione anglofona. Io me ne fotto di Umberto Eco, non lo guardo neanche se va da Fabio Fazio, ma col suo capolavoro fece scuola. E per me resta un piacere vedere i suoi libri esposti in qualche vetrina londinese di remenders.

  70. certe volte ho l’impressione che, pur parlando in italiano, non ci si comprenda in nessun modo tra di noi.
    credevo che, non solo io, ma un buon numero di persone abbiano più volte fatto nomi (TANTI; ALTRI) e si continua e chiedere: fate i nomi, dove sono i nomi…mi sembrava ci fossimo circondati di nomi e ancora a dire “i nomi”, vogliamo i nomi, a questo punto sono io che non ho ben capito quante cartelle bisogna riempire con queste liste oppure quelle altre, di proscrizione.
    In Italia si può continuare a parlare all’infinito senza che nessuno ascolti, più o meno, diceva una cosa del genere anche il Piersanti qui su.
    A favore, se non è stato ancora nominato: (l’altra volta dicevo Necropoli di Pahor, su cui cala ripetutamente un silenzio agghiacciante), stavolta, che ne so, per esempio potrei citare Volponi.
    Contraria alla Morante: POPolare, zuppa e panbagnato di retorica (PER ME).
    Contaria all’Eco narratore, non sotto-ma sopravvalutato.
    Certo che Eco è un grande studioso, saggista…
    nessuno sottovaluta la perizia di Eco, le sue doti, nel mio commento precedente, al contrario sottolineo la sua professione scaltrita, piaceva anche a me un po’ di anni fa, ma adesso non lo rileggerei nemmeno morta.

    Non credo che abbia molto senso continuare in queto modo: se con una disinvoltura spaventosa viene accantonata ogni opera eccellente, qui tra gli appassionati, prima che altrove, col misero pretesto che non fa audience, dando man forte a chi l’affossa ad ogni timido riaffiorare e per quale necessità e urgenza o superiore interesse, bene comune da tutelare o bisogno di dare ad altro, a che cosa, a chi la precedenza? Se i nomi che difendete non sono certo a rischio di estinzione ma ancora tengono sul mercato, perché spenderci tante parole accorate, “questi migliori ingiustamente sottovalutati” e non vi scompone minimamente il terrore che altri, (più degni) capolavori, caschino nel dimenticatoio, tra un insabbiamento e l’altro?

  71. Maria, voglio che mi citi un CAPOLAVORO italiano dal 1980 ad oggi. Il titolo dell’opera. Chiaro il concetto? E secondo quali criteri giudichi quell’opera un capolavoro. Allora questo tutolo ce l’hai o non ce l’hai?

  72. Giusto per ripetermi, visto che ne ho parlato altrove: un capolavoro italiano post-1980, ‘Suicidi dovuti’, di Aldo Busi, del 1996, fra l’altro uno dei suoi romanzi meno amati. Storia di un anima, ritratto d’epoca, pittura d’ambiente, eventi drammatici, stile personale ma perfettamente ricalcato sul personaggio e la vicenda, tensione morale – fa pure ridere – che si vuole di più…

  73. Io non ho contrapposto Levi a Eco; la “colpa” è di AMA che in qualche modo li aveva accomunati. La grandezza de I SOMMERSI E I SALVATI non sta nell’argomento trattato, ma in come tratta l’argomento (fra l’altro complicatissimo, autentica dinamite), deprivandolo appunto d’ogni retorica, asciugandolo miracolosamente all’essenziale.

  74. ma non c’è modo di sottrarsi a questo rito inquisitorio di cui mi sfugge il significato? cos’è quest’ansia del CAPOLAVORO, col visto italiano, misure-annata ’80-’90? cosa significa? a cosa serve? chi lo esige? perché? non sono nemmeno le domande del questionario sottoposto agli scrittori, che maniera è di sviarne i discorsi quando provano ad affrontare questioni più complicate? non sono un critico, non sono uno scrittore, sono un lettore preoccupato piuttosto di non fare in tempo a leggere tutto quello che desidera prima che si sparecchi la tavola e si gettino via gli avanzi….la malattia principale dell’epoca è la smemoratezza cronica di cui si soffre, per i nuovi c’è, ci sarà tempo, prima bisogna salvare i vecchi dal macero. adesso io non capisco perché devo prestarmi a questa cosa di ricercare le date, che mi sfuggono, ma qui è regime severo ’80-’90, dunque: Tristano no, Vogliamo tutto no, ah ecco, ci sono gli invisibili sì…oppure <corporale no, il sipario ducale no, il pianeta irritabile nemmeno, ah sì, ce l’ho le mosche del capitale sì…ma perché non posso nominare anche weekend postmoderno di Tondelli, oppure il poema dei lunatici di Cavazzoni e chissà quanti ancora… proseguendo con le liste, motivando con gusto personale che non ha niente da insegnare o da imporre, se non che pluralità, differenza, polifonia sono unici criteri che sposo; che non m’interessano le palme, corone, guinness, primati, definizioni rigorose di capolavori, che non significa perfetti, capolavori “sCRITERIati” …bouquet da lanciare, non ne ho, solo un fiore ma che, per pochissimi anni, peccato, non entra nelle misure e soprattutto perché è poesia, non narrativa, ma se interessa, amerei profondamente Vittorio Reta.

  75. Ora, tutti i gusti son gusti, d’accordo. Ma «D’Arrigo e’ un minore per addetti ai lavori. Per nessuna ragione al mondo mi permetterei di consigliare la lettura del suo librone a qualcuno», questa davvero non si può sentire. Mi sono venute le bolle. Ma che lavoriamo a fare, mi chiedo.

  76. @ Cortellessa

    Ma no, D’Arrigo e’ un maggiore e domani lo consiglio in giro senza che mi guardino come un alieno. In tanti anni di frequentazioni mi hanno spesso citato Joyce o Melville, probabilmente senza averli letti, ma mai D’Arrigo. Frequentiamo ovviamente persone diverse. Cosa lavori a fare? Per non far dimenticare agli appassionati D’Arrigo con la consapevolezza che oggi non sarebbe pubblicato. Aspetto con ansia la nuova lista Einaudi della giuria di qualita’. Un caro saluto, con grande rispetto.

    PS Io invece qualche anno fa mi sono chiesto perche’ avrei dovuto continuare a scrivere, pensa te! E forse forse avvevo anche un briciolo di talento.

  77. La grandezza de I SOMMERSI E I SALVATI non sta nell’argomento trattato, ma in come tratta l’argomento (fra l’altro complicatissimo, autentica dinamite), deprivandolo appunto d’ogni retorica, asciugandolo miracolosamente all’essenziale.

    maria
    i sommersi e i salvati è un libro straordinario e grande, seppoi c’è qualcuno che pensa sia considerato grande a prescindere perchè l’argomento è la shoah, peggio per lui. Significa che è mosso da preoccupazioni poco letterarie.

  78. Intendo dire che chi usa I sommersi e i salvati (che non è nemmeno un romanzo) per contrapporlo al Nome della Rosa è mosso da preoccupazioni tutto fuorchè letterarie e lo usa per il solito ricatto morale (‘Ha parlato male dell’Olocausto!’)
    Giusto per tornare al Busi, eccolo alle prese con Primo Levi (da Sentire le donne):
    “In un angolo del salone vedo uno dei finalisti fra il ramingo e il messo in castigo, l’inossidabile residuato bellico Silevidilà, cupo nell’abito della festa, triste e tuttavia già saponificato, cambio strada. Sarebbe la quinta volta in ventiquattr’ore che mi attacca il chiodo fisso di Treblinka e i forni crematori, tantevvero che l’ultima volta – era sulla porta, pioveva, guardava il mare come se lo invocasse su di se’ per sfrigolare un po’ – gli ho detto sbuffando ‘Silevidilà, o lei la pianta col suo refrain sugli amici e parenti ebrei tutti che le hanno fatto fuori o attacco col mio sui camionisti che mi sono fatto fuori io. Vediamo chi dei due riesce a straccare prima l’altro’. E’ stata l’ultima volta, forse in assoluto l’ultima e la prima, che qualcuno ha visto ridere Silevidilà, anche se sorride sempre, in appparenza – non è un sorriso, è un dolore che si è mummificato una volta patuito uno sconto di pena”

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