La responsabilità dell’autore: Emanuele Trevi


[Dopo gli interventi di Helena Janeczek, Andrea Inglese, abbiamo pensato di mettere a punto un questionario composto di 10 domande, e di mandarlo a un certo numero di autori, critici e addetti al mestiere. Dopo Erri De Luca, Luigi Bernardi, Michela Murgia, e Giulio Mozzi, seguono le risposte di Emanuele Trevi]

1) Come giudichi in generale, come speditivo apprezzamento di massima, lo stato della nostra letteratura contemporanea (narrativa e/o poesia)? Concordi con quei critici, che denunciano la totale mancanza di vitalità del romanzo e della poesia nell’Italia contemporanea?

Secondo me, quando non si vede nulla all’orizzonte, il problema sta più nel proprio apparato percettivo che nella situazione esterna. Ogni volta che ci si interroga sullo «stato della nostra letteratura contemporanea» mi viene da pensare alla più imprendibile ed ambigua delle categorie, quella del presente. Ricordate l’inizio della Certosa di Parma ? Fabrizio, l’eroe di Stendhal, è ancora un adolescente, ma vuole misurarsi con la Storia, o con la Vita Vera, e parte per Waterloo, arrivando in tempo per prendere parte alla battaglia. La sua massima ambizione è vedere Napoleone. Ma i cavalli, col procedere della giornata, hanno sollevato un tale polverone che non è più possibile vedere nulla. A un certo punto, in realtà, Fabrizio ha una fuggitiva visione: il pennacchio degli elmi di una pattuglia di dragoni al galoppo. La scorta dell’Imperatore in fuga ? Chi lo sa. Ecco, questo è il presente: un polverone nel quale, per il fatto stesso di esserci immersi, non vediamo praticamente nulla. I miei fuggitivi «dragoni», per stare alla metafora di Stendhal, sono parecchi. Con alcuni ho condiviso molta strada, per altri si è trattato di un incontro momentaneo, con altri ancora si sono verificate rotture più o meno dolorose. Mi sembra che quei critici che citate, i quali «denunciano la totale mancanza di vitalità del romanzo e della poesia nell’Italia contemporanea», ammesso che esistano e non siano una figura retorica, siano semplicemente degli sfaccendati privi del coraggio di buttarsi nella zuffa.

2) Ti sembra che la tendenza verso un’industrializzazione crescente dell’editoria freni in qualche modo l’apparizione di opere di qualità?

Ma no, gli editori e gli editors sono degli sfigati come tutti noi ! Non hanno nessuna strategia. Vanno a tentoni. L’editoria è un lavoro sommamente empirico. Si può buttare nel cestino Proust e Joyce, ma perché non li si riconosce, non perché c’è l’ «industrializzazione».

3) Ti sembra che le pagine culturali dei quotidiani e dei settimanali rispecchino in modo soddisfacente lo stato della nostra letteratura (prosa e poesia), e quali critiche faresti?

Sento la mancanza di autentiche istituzioni culturali come sono il «Times Literary Supplement» e la «New York Review of Books». Articoli molto lunghi, profondi, capaci di illuminare opere importanti, di dimostrarne la necessità. Come quando, una decina d’anni fa, Susan Sontag scrisse un pezzo intitolato A mind in mourning, in cui diceva: ho scoperto uno scrittore straordinario, un esponente del sublime fuori tempo massimo, si chiama W.G.Sebald, adesso vi spiego perché, come si intitolano i suoi libri, quale dovete leggere per primo eccetera. E’ un esempio tra mille. Detto questo, la qualità delle recensioni in Italia non è per nulla bassa. Mi piacciono i supplementi a cui collaboro, pur molto diversi tra loro: «Alias» e «Tuttolibri». Quello che detesto sono le polemiche, le controversie, le opinioni espresse in quelle orribili interviste telefoniche. Anche delle pratiche diffuse in internet mi fido poco, postare un commento è troppo semplice, troppo impulsivo. Le poche volte che l’ho fatto mi sono sentito un cretino, e tra l’altro non capisco perché si usano tutti quegli pseudonimi. Non a caso Andrea Cortellessa, che è una persona seria, si firma Andrea Cortellessa.

4) Ti sembra che la maggior parte delle case editrici italiane facciano un buon lavoro in rapporto alla ricerca di nuovi autori di buon livello e alla promozione a lungo termine di autori e testi di qualità (prosa e/o poesia)?

Ma non ne avevamo già parlato a proposito dell’ «industrializzazione» ? Comunque sì, lavorano bene, sono curiosi. L’editoria italiana è ottima, non ha niente da invidiare a quella anglosassone. Solo i francesi battono tutti, ma loro sono nati per fare e leggere libri. Il problema è che, se entro in una grande libreria, tutta questa ricchezza non si percepisce affatto. E’ qui che si fanno sentire gli effetti perversi dell’ «industrializzazione». Il circuito promozione-prenotazione-presenza in libreria-ritorno in magazzino-macero è troppo malato.

5) Credi che il web abbia mutato le modalità di diffusione e di fruizione della nostra letteratura (narrativa e/o poesia) contemporanea? E se sì, in che modo?

Beh, il web ha un tale futuro davanti a sé che sicuramente cambierà tutto. Ma in che modo ? Troppo inesperto come futurologo, a malapena capace di scaricare qualche canzonetta sull’ipod, passo la mano.

6) Pensi che la letteratura, o alcune sue componenti, andrebbero sostenute in qualche modo, e in caso affermativo, in quali forme?

Sì certo, mi piace ogni forma di sovvenzione, protezione, investimento a lungo termine. Tutto ciò che è umano va sostenuto, non si regge in piedi da solo. Solo la morte fa da sé. Barak Obama è arrivato addirittura a sovvenzionare il mercato, per tirare fuori l’America dal pozzo in cui i famosi liberal e la loro ideologia da coglioni l’avevano ficcata alla fine del 2009.

7) Nella oggettiva e evidente crisi della nostra democrazia (pervasivo controllo politico sui media e sostanziale impunità giuridica di chi detiene il potere, crescenti xenofobia e razzismo …), che ha una risonanza sempre maggiore all’estero, ti sembra che gli scrittori italiani abbiano modo di dire la loro, o abbiano comunque un qualche peso ?

Finora questo questionario era andato liscio. Con questa domanda, mi costringete a entrare in un campo minato e a sostenere una posizione probabilmente impopolare tra coloro che fanno e che leggono questo sito. Ma devo essere sincero: tra la «crisi della democrazia», anche ai miei occhi evidente, e gli scrittori italiani e il loro «peso» non vedo un rapporto così urgente e necessario. Sarà un caso, ma le esternazioni e le prese di posizione politiche di scrittori anche bravi nella maggior parte dei casi si riducono a banalità moralistiche. Non c’è niente di male a ragionare come gli altri, ma allora non si vede che valore aggiunto ci possa mettere uno scrittore. In più, nell’attuale ansia di impegno da parte di molti letterati, ci vedo una perdita secca in termini filosofici e culturali. Cercherò di spiegarmi in breve, pur consapevole del fatto che ci vorrebbero interi volumi per andare a fondo alla questione. Ma nell’attuale engagement, che non a caso si nutre di una morbosa attenzione agli scandali sessuali, predomina una totale confusione tra sfera etica e sfera politica. Cinquecento anni dopo Machiavelli, questo odioso e irresponsabile pasticcio, fonte di ogni fascismo e di ogni clericalismo mascherati da ‘progresso’, si riaffaccia nella cultura italiana in forma di appelli, raccolte di firme, pubbliche indignazioni, elenchi di domande, girotondi, blog, pubbliche e private reprimende, lettere aperte, lettere luterane, network di indignati, ginnastiche edificanti, moine quaresimali. Ma in Italia, appena finisce Machiavelli, cosa comincia, se non il machiavellismo ? E che cos’è il machiavellismo, se non questo osceno andare a braccetto della politica e del giudizio morale, di Brighella e Tartufo ? C’è addirittura un partito importante, in questo deprimente scenario, che riassume nel suo stesso nome tutta l’ipocrisia e la dabbenaggine dell’epoca: l’Italia dei Valori. Ma io non voglio vivere in un posto sorvegliato da Valori ! Non possiedo tutta questa stima nel genere umano. Amo la vecchia Italia dei Piaceri. Lo voglio affermare senza mezzi termini: a me, il Bene mi fa schifo. O meglio, l’unico Bene che riesco a tollerare, e che anzi considero il vertice della natura umana, è quello che si fa, più simile a un istinto che a un concetto. Volete il Bene ? Andate ad Haiti, andate nel Darfur, o anche sotto casa vostra. Muovete il culo. Piegate la schiena e lavate i piedi al prossimo, come Gesu Cristo. Che senso ha lamentarsi della vita sessuale di Berlusconi o della Mondadori su «Nazione Indiana», dove tutti sono d’accordo con voi ? Ma molti che mi leggono, questa lingua non la possono proprio capire. Se Erri De Luca dice di aver fatto l’autista dei convogli in Bosnia durante la guerra, loro pensano che sia stia vantando, che faccia il dannunziano. Come se un uomo come Erri De Luca avesse bisogno di vantarsi a spese delle tragedie altrui. Come se non parlasse di quello che ha fatto per suggerire un’altra dimensione, quella in cui si stacca la spina delle opinioni, e si agisce con umiltà, nel mondo reale, portando aiuto al prossimo, senza paura di sbagliare.

8) Nella suddetta evidente crisi della nostra democrazia, ti sembra che gli scrittori abbiano delle responsabilità, vale a dire che avrebbero potuto o potrebbero esporsi maggiormente e in quali forme?

Roberto Saviano si è esposto, e purtroppo ne paga le conseguenze. Ne valeva la pena, perché sapeva delle cose, e sapeva raccontarle. Insomma, ha fatto bene, ha avuto fegato. Trovo il suo libro bellissimo. Meno mi convince la sua idea di un legame necessario tra Bellezza e Verità. La sua stessa fonte, John Keats, sublime poeta e straordinario scrittore di lettere, non è molto affidabile dal punto di vista filosofico. Sull’«esporsi» bisogna valutare caso per caso, e quello di Saviano, se non unico, mi sembra molto raro. Io, per esempio, perché dovrei «espormi» ? Suggerirei un regola: è la natura del proprio lavoro che decide dell’esposizione. Prima bisogna imbattersi in materiali linguistici e narrativi come quelli di Saviano, e poi decidere se esporsi o meno. Tanta gente si espone e nessuno se accorge. Temo sempre quando gli esempi virtuosi diventano un ricatto morale per gli altri: la virtù autentica si può solo ammirare, non imitare.

9) Reputi che ci sia una separazione tra mondo della cultura e mondo politico e, in caso affermativo, pensi che abbia dei precisi effetti?

Se un uomo di cultura diventa un politico, e ci si butta anima e corpo, tutti i giorni della vita, qualcosa di buono ne può uscire. Sciascia, per esempio, ha fatto la relazione di monoranza alla commissione Moro, che è una specie di Storia della colonna infame. Gli artisti e gli intellettuali che annusano la politica, invece, come una varietà dei loro interessi, non mi convincono. Insomma: mi convincono solo le attività a tempo pieno.

10) Ti sembra opportuno che uno scrittore con convincimenti democratici collabori alle pagine culturali di quotidiani quali “Libero” e il Giornale, caratterizzati da stili giornalistici non consoni a un paese democratico (marcata faziosità dell’informazione, servilismo nei confronti di chi detiene il potere, prese di posizione xenofobe, razziste e omofobe…), e che appoggiano apertamente politiche che portano a un oggettivo deterioramento della democrazia?

Qualche tempo dopo aver sostenuto, sul «manifesto», che non c’era nulla di male che Nori scrivesse su «Libero», ho potuto constatare sulla mia pelle, per tutt’altra occasione, che razza di giornale è «Libero». Ma non ho cambiato idea. Nell’andare contro le convenienze, Nori fa quello che deve fare un artista. Da qualche parte Alberto Savinio si definisce un «esploratore dell’inesplorabile». Nori potrebbe essere un «frequentatore dell’infrequentabile». Se mi si consente una confidenza, ho deciso di prendere una posizione pubblica solo perché mi ero chiesto cosa avrei risposto io, a una richiesta di collaborare a «Libero». Ebbene, io avrei detto no. Perché collaborare con «Libero» è una specie di figuraccia intellettuale. A Roma si dice una grezza. Vai a letto con una ragazza la prima volta, e ti scappa una scorreggia. Incontri uno che si è appena separato, e gli chiedi come sta sua moglie. Questa è una grezza. Collaborare a «Libero» appartiene allo stesso insieme di cose da evitare. Io sono una persona di sinistra. Anche se non mi piace ammetterlo, rispetto delle convenienze. Ma questa è davvero una parte lodevole del mio carattere ? Può essere mai il conformismo lodevole ? Quando ho appreso che l’anarchico Nori collaborava a «Libero», allora, l’ho ammirato per un coraggio, una noncuranza delle opinioni altrui che io non ho. Se c’è una forma di suprema onestà intellettuale, io credo che essa consista nell’ignorare tutto sulla committenza, non farsene un problema. Altrimenti si arriva all’assurdo di questo dibattito: «Libero» no, «Il Foglio» sì, Saviano non deve pubblicare per Mondadori, ma allora Einaudi, ma allora su, ma allora giù. Quello che deve restare resterà, di chi ha sganciato i soldi non ci si ricorda più nel giro di pochi anni, se non mesi. In tutta la storia del mondo, dietro gli artisti ci sono sempre stati committenti di merda. Rimproverereste a Caravaggio i perversi e crudeli cardinali pedofili che lo proteggevano ? E a Sinatra di cantare per i peggiori capi mafiosi ? Sapete chi è l’editore italiano di Guerra per bande di Che Guevara, ovvero il miglior manuale di guerriglia mai scritto ? Ma certo, Mondadori !

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69 Commenti

  1. “L’editoria italiana è ottima, non ha niente da invidiare a quella anglosassone”.

    Trovo che “ottimo” [e “massimo”] sia solo Giove. L’editoria italiana non ancora, bensì ampiamente suscettibile di miglioramenti. Si pensi a “Tutto deve crollare” di Carlo Cannella, rifiutato da Einaudi e da tutti i grandi editori… accolto solo da un microeditore… che tra l’altro lo tiene ancora a bagnomaria…

  2. Oh, queste risposte mi piacciono,
    dopo la mozzesca depressione!
    Non nel senso che io condivida tutto il contenuto, le posizioni in esse delineate.
    Almeno Trevi si è preso la sua responsabilità ed ha parlato liscio, pulito, ha cercato davvero di comunicare, di farsi capire.
    Io non comprendo bene, tuttavia, alcuni passi, al punto7, della storia Machiavelli, machiavellismo e seguenti Bene e Male: non so a cosa alluda col Bene che gli farebbe schifo.
    Forse vuole intendere il cosidetto “buonismo”?
    Ma può darsi che, nell’insieme, sia una digressione a lato.
    Comunque mi complimento per l’espressività e l’energia manifesta/ta.

    MarioB.

  3. “Si può buttare nel cestino Proust e Joyce, ma perché non li si riconosce, non perché c’è l’ «industrializzazione». ”

    Effettivamente Proust e Joyce hanno sempre fatto fatica a farsi riconoscere dagli editori. La nemmeno tanto recente industrializzazione dell’editoria qui non c’entra.

  4. “Il problema è che, se entro in una grande libreria, tutta questa ricchezza non si percepisce affatto. E’ qui che si fanno sentire gli effetti perversi dell’ «industrializzazione». Il circuito promozione-prenotazione-presenza in libreria-ritorno in magazzino-macero è troppo malato.”

    Premesso che io tutta questa ricchezza in giro non la vedo, pur ammettendo che, dietro tanto conformismo, gli editori codardi pubblichino ancora, forse per uno sbaglio non piu’ rimediabile, qualcosa di buono, qualcuno di voi saprebbe dirmi perche’ dovrei preferire la Feltrinelli all’Esselunga per l’acquisto di libri?

    Proust e Joyce sappiano che io voglio essere conquistato mentre sono in fila alla cassa. Questi due signori imparino a comunicare con la gente del loro tempo.

  5. Ho amato ogni parola dell’intervista. Si svela sensibilità.
    Verità e bellezza l’ho capito in senso di assolutà fiducia
    nell’umanità che resista. C’è una verità sensibile scappando
    alla ragione fredda, una sensazione di bagliore schiarando
    le parte ombrose del mondo.
    Una parola cerca la bellezza per intuire la verità.

    L’immagine indiana nel suo splendore è anche una parola bella e vera:scritture monde.

  6. @ AMA: forse il problema di cui si sta parlando è proprio questo che tu dici: il processo di industrializzazione è ciò che sta “costringendo” l’editoria a comunicare con la gente del suo tempo. Ciò significa che deve adeguarsi a certi canoni che non si accordano alla Letteratura (come la velocità, l’acquisto impulsivo, l’immagine, etc.).

    Trevi dice una cosa importante, che si collega al Joyce non riconosciuto: “Sento la mancanza di autentiche istituzioni culturali come sono il «Times Literary Supplement» e la «New York Review of Books». Articoli molto lunghi, profondi, capaci di illuminare opere importanti, di dimostrarne la necessità”.

    Il fatto che questo manchi è la prova del totale adattamento dell’editoria (e quindi della Letteratura) alla società. Ma se avviene ciò, anziché il contrario (ovvero la Letteratura che cerca di adattare ai propri canoni la società) o almeno un equilibrio tra le parti, non possiamo certo lamentarci di una certà povertà letteraria. Cosa, infatti, ci può dare una letteratura che, nei modi come nei contenuti, non fa che ripetere senza nulla aggiungere?

    Allora compriamo pure i libri alla Esselunga, ma poi non rompiamo le palle se ci vediamo circondati da narrativa (e non letteratura) fiction (e solo fiction) di scarsa qualità, veloce nei passaggi e facile da leggere-per-intrattenere. Perché sennò qualcuno mi dica quale editore avrebbe oggi il coraggio di pubblicare L’Ulisse di Joyce.

    Luigi B.

  7. @ Luigi B.

    Senza contare che ieri, sul vagone strapieno del treno, c’era una lady che, schiacciata fra altri due pesi massimi, teneva seduta fra i palmi delle mani uno splendido eBook bianco. Prima o poi dovro’ assolutamente acquistare questo splendido oggetto, mi son detto. Lo voglio nero. Ma non per leggere l’Ulisse di Joyce nell’ora di punta sulla Central Line.

  8. @ AMA: appunto. Se vuoi leggere mentre sei in metrò (nulla da opinare a riguardo – lo faccio abitualmente) non puoi poi pretendere un certo “livello” di letteratura. L’e-book non è il male assoluto. Ciò che può essere male è ciò che ci si può mettere dentro.

    La decadenza della letteratura non dipende certo dal web o dall’e-book. È sempre collegata alla decadenza della società che legge e della società che scrive e che per scrivere si adegua alla decadenza della società che legge.

    Ci sarebbe bisogno di “insegnare” di nuovo a leggere. e questo, a parte farlo con la scuola, significa anche un ritorno di quei saggi lunghi, lunghi fino a farti stancare gli occhi e ad annoiarti ma capaci di farti ritrovare il vecchio valore del tempo, che non è affatto denaro come invece si tende a viverlo oggi.

    Non so se sono riuscito a spiegarmi meglio.

    Luigi B.

  9. Franchezza, freschezza intellettuale è ciò che emerge forte nell’intervista. La cosa che non condivido è perchè l’anarchico può confrontarsi e quello di sinistra no. Nell’espressione c’è la negazione della cultura. Quando si scrive io sono di sinistra non posso sporcarmi, si rilancia la solita presunta superiorità. Trevi crede con onestà che la Cultura s’identifica con il concetto di sinistra? Non voglio fare l’elenco, perchè sarebbe lunghissimo, di letterati di fine ottocento e novecento assolutamente lontani dalla concezione della società secondo la sinistra. Trevi ha scritto una lettera violenta, sghemba e volgare a Libero perchè a suo avviso era stata strumentalizzata una sua telefonata in rifermento alla questione Nori. Lettera irriguardosa e piena di ingiurie che lui stesso considerava non pubblicabile e certissimo che ciò non poteva avvenire considerato l’interlocutore inaffidabile e fazioso. Bene, la letteraccia, brutta sotto ogni profilo, è stata pubblicata e non marginalmente. Nori continua a scrivere su Libero con la massima libertà, cosa che non avveniva in altri ambiti.

  10. @ Luigi B.

    In fondo in Italia negli ultimi decenni la nostra produzione letteraria si e’ fatta strumento di lotta politica e sociale. Come accadde nella stagione del nostro romanticismo. Minorato. Senza contare che oggi il nostro provincialismo deteriore ha sussunto nella forma piu’ selvaggia e brutale le regole del mercato, sottraendoci spazi vitali, mai restituendoci maggiori opportunita’.

    La tendenza comunque e’ piu’ generale. Non bisogna dimenticare infatti che una grande consumatrice di letteratura contemporanea, come la nosta cara VV, francesissima, ama l’Ottocento per l’appunto. Soprattutto quello piu’ patetico e sentimentale. Suppongo. Quello che induce forse alla lacrima facile e alla commozione a buon mercato. Fosse anche solo indignazione.

    Forse non scriveva una sciocchezza chi sosteneva che la postmodernita’ risiedeva gia’ in certe forme romantiche. Adesso siamo alla post-post-post- cosa? Non sono aggiornato!

  11. intervento eccellente, veramente, complimenti a trevi.
    Detto questo però poi commenterò (non ora) per dire quello su cui non sono daccordo ;-)

    intanto a luigi B che scrive:
    Ci sarebbe bisogno di “insegnare” di nuovo a leggere. e questo, a parte farlo con la scuola, significa anche un ritorno di quei saggi lunghi, lunghi fino a farti stancare gli occhi e ad annoiarti

    Ecco al danno anche la beffa :-) dopo aver voluto insegnare a scrivere (non a scuola, che è cosa naturale, ma proprio a potenziali scrittori) che è la cosa più barbara degli ultimi anni … eliminando quindi totalmente lo scrittore e sostituendolo con il più comodo editor (morte dello scrittore moltiplicazione dell’editor) ora vorrebbero anche insegnarci a leggere (gli editor naturalmente, perchè gli scrittori li abbiamo sempre saputi leggere)?
    Fatemi ridere e … i saggi lunghi sarebbero spariti? ma prova consultare un po’ di case editrici universitarie, prova un po’ ad aggirarti per le università, manca quasi tutto, intelligenza, competenza, cultura, ma non certo il saggio lungo che si leggono solo fra loro … :-).
    Il problema VERO è la televisione ….
    geo

  12. @ dinosauro

    Su Libero e’ stata pubblicata la volgarita’ della lettera di Trevi. Non la lettera di Trevi in se’. Capisci la differenza?
    Libero edita spesso linguaggi volgari. La volgarita’ in quanto tale e’ il suo messaggio finale. La distruzione sistematica di una qualsiasi forma di confronto civile e democratico.

    Non si capisce poi perche’ gli anarchici dovrebbero trovare asilo politico nelle pagine culturali di Libero. O forse si’… Per seminare forse il germe del qualunquismo assoluto?

  13. “Il problema VERO è la televisione ….”

    No, uno dei problemi veri e’ la teledipendenza. Una cosa assai diversa.

  14. @ AMA: il nostro romanticismo, come quello di tutti, non è nato minorato. È stato, invece, minorato dall’essere stato assunto a “valore” (come accade a qualsiasi cosa che valore non è ma che a tale rango viene elevato) trasformandosi in lirismo, che è cosa ben diversa. Tale lirismo è ciò che più viene sfruttato dalle regole del mercato e non fa che perpetrarlo di generazione in generazione. Se sei d’accordo con me, allora si: ogni epoca è vissuta già in quella che l’ha preceduta, perché il lirismo è una malattia congenita dell’uomo – anche del più illuminista.

    Detto ciò, una Letteratura che si prodighi ad accontentare il nostro bisogno di identificarci piuttosto che proporci nuovi modi di confrontarci con le nostre idiosincresie è una letteratura corrotta che non serve a nessuno, a parte il mercato. Se così fosse, allora si: hai ragione quando dici che c’è poca scelta. Se invece mi sto sbagliando, credo che di scelta ce ne sia abbastanza ed anche di una certa qualità, all’esselunga come alla feltrinelli. Perciò mi chiedo: di cosa stiamo parlando?

  15. Mi sembra che – eccettuata l’ironia di Mozzi – alla lunga le interviste tendano a somigliarsi tutte; ciò non è solo colpa della qualità non eccelsa delle domande, ma anche degli argomenti tirati in ballo. La decima domanda, specie per com’è formulata, risulta realmente oziosa; magari si potrebbe riformularla ed ampliarla, venendo fuori dal pantano di Libero e del Giornale, così: Ti sembra opportuno che uno scrittore [con convincimenti democratici] collabori alle pagine culturali di quotidiani [quali Libero e il Giornale eccetera eccetera] caratterizzati da un forte orientamento politico? Le parentesi stanno ovviamente ad escludere.

  16. @ Georgia: mi sono espresso male. Non intendevo dire insegnsre a leggere riferendomi agli scrittori (che si suppone sappiano farlo perché dovrebbero possedere una “sensibilità” ed un valore del tempo differenti dai non scrittori) bensì ai lettori. Tornando all’esempio di Joyce: non credo sia un romanzo (?) accessibile a chiunque, ma potrebbe diventarlo se ci fosse qualcuno che, detto volgarmente, ne sa a pacchi e che io sono pronto ad ascoltare/leggere. (Si, so perfettamente che sull’Ulisse non mi basterebbe una vita intera per leggere quanto sia stato scritto, ma era un esempio).

    So anche che di saggi lunghi e noiosi ce ne sono, ma – come tu stessa hai forse voluto dire – restano autoreferenziali. Ecco, questi saggi non servono a nulla, se non ad approfondire quel solco già esistente tra lettore e letteratura.

    Sto solo cercando di dire, forse con le parole sbagliate, che la letteratura stessa sta diventando autoreferenziale, impegnata com’è a riprodurre ciò che già sappiamo ed autoriprodursi sempre uguale (a parte più o meno apprezzabili sfumature di stile). Mi sbaglio? Probabilmente, perché non sono un critico né mi riotengo un letterato. Però a me piace ascoltare chi ha da dirmi qualcosa e spesso fatico a trovarlo. Invece, mi sembra che molti dei nostri scrittori (tra cui gli esordienti in numero maggiore) di voglia di ascoltare non ne hanno mezza, se si toglie quella che hanno di ascoltarsi.

    Che il problema sia la televisione, non c’è dubbio. E più che la televisione direi il modo in cui viene fruita. Perché anche la TV, volendo, potrebbe essere uno strumento per questionare la realtà. Ma il restringimento del tempo dei nostri giorni ci impedisce ad assimilare, inducendoci al mero “consumo” di qualsiasi cosa. Di nuovo: mi sbaglio?

    (Mi piacerebbe sentire il parere di Cortellessa a proposito di questo).

    Ad ogni modo, personalmente quando sento parlare di mancanza di grandi personaggi della Letteratura come Calvino (tanto per fare un nome) credo si intenda dire mancanza di punti di riferimento. Perché personalmente è piuttosto questo ciò di cui sento la mancanza, in un mondo che si sta (falsamente) orizzontalizzando, senza gerarchie e in cui ognuno può dire la sua ed ogni opinione ha lo stesso valore e la stessa importanza. Prima che qualcuno si prodighi nel giudicare il mio un atteggiamento fascistoide, assicuro che non sono per la gerarchia. Però bisogna ammettere che senza punti di riferimento siamo come un bicchiere d’acqua che cade su un ripiano irregolare, il cui liquido segue i percorsi del caso espandendosi fino a rinsecchirsi tra le pieghe del terreno su cui gli è capitato di cascare. Mi sbaglio?

    Luigi B.

  17. Ama, non la volgarità ma la rabbia “codificata” e pregiudiziale. Il germe dell’appartenenza aldilà dei contenuti, dei fatti, del divenire è, forse, peggiore del qualunquismo attribuito a Libero che poi non riesco a rintracciare nelle pagine culturali. Sono sempre più convinto che si scrive di qualcosa per sentito dire e non per verifica diretta.
    Luigi B., il lirismo una malattia congenita dell’uomo? Puoi fornirmi qualche “essenzialità” in più per convincermi di questa asserzione che, da una lettura in corsa, a me pare bizzarra.

  18. e invece io non la penso come te, enrico. come francamente trovo molto pretestuoso e assai opinabile il giudizio che dai sulla qualità delle domande.

    “è una questione di qualità
    o una formalità
    non ricordo più bene una formalità”

    cantavano i CCCP e mi sembra l’unica risposta ragionevole al piglio degli uni e al lascio degli altri. Qui si sta mettendo in piedi una semplice (relativamente) inchiesta che sta coinvolgendo persone assai diverse tra (o fra?) loro al punto che non solo le risposte date differenziano ma perfino i commenti , quando non trascinino con sé le idiosincrasie degli uni e le idio (e basta) degli altri.

    A me piacerebbe, per esempio, che qualcuno (magari non di nazione indiana) tentasse di fare un primo bilancio di questa prima serie di ” interventi”. Y-a-t il un volontaire dans la salle?
    effeffe

  19. @ dinosauro: Lirismo nella sua accezione negativa o, meglio, meno positiva di elevare a valore ciò che valore non è come soluzione ad una esigenza di “espansione” di se stessi, incapaci di accettare la propria inutilità o finitdine (che è uguale). Esempi? Uhm, vediamo… la religione? I disegni della caccia dell’homo erectus? la filosofia?
    Sperando di non essere frainteso nuovamente, voglio specificare che anche il lirismo in sé, come la TV, non è il male assoluto. Molto dipende da come e su cosa viene indirizzato.

    @ FF: in che senso bilancio?

    Luigi B.

  20. @ Macioci
    non vedo proprio come puoi dire che le risposte degli intervistati si assomigliano;
    le differenze sono anzi in molti casi, con tutto ciò che ne deriva, sostanziali;
    e proprio questa pluralità ci interessava, prima di tirare le somme, cogliere; le nostre domande, che qualcuno ha criticato, avevano quest’unica finalità, e mi sembra che finora svolgano egregiamente il loro compito;

  21. ‘sta storia delle domande e delle risposte è ridicola :-), come quella dei contenitori e dei contenuti.
    Le domande sono fatte male? … forse (a me non sembra) ma nessuno vieta di dare una risposta intelligente ad una domanda stupida o incompleta :-), come nessun brutto contenitore vieta a qualcuno di scrivere qualcosa di grande intelligenza e viceversa. Infatti quasi tutti (anche quelli che criticano le domande) almeno una risposta intelligente l’hanno data.

    @ Luigi B avevo capito benissimo che volevi insegnare a leggere ai lettori (altrimenti non avrei detto siamo), il fatto è che a leggere NON si insegna, si insegna ad amare la lettura, ma solo dando libri in mano ai bambini e ai ragazzi, libri belli naturalmente, perché se gli dai dei polpettoni e delle ciofeche quelli poi rimarranno traumatizzati per sempre … e di libri meravigliosi ce ne sono tantissimi (sempre che la politica editoriale non ci voglia obbligare a comprare solo i prodotti pubblicizzati come fanno con i fustini del detersivo)
    Dare libri in mano ai ragazzi, non obbligare a leggerli. Invitarli a leggere. E MAI MAI insegnare a leggere i libri (si distruggerebbe la gioia della lettura) … ORRIDO.
    A capire il testo poi si imparerà da grandi quando si studierà, si sceglierà di fare i giornalisti, i critici i filologi, i consulenti editoriali, i professori ecc. ecc.
    Beh insomma se penso che ora ci hanno fatto pure il centro per il libro e la lettura (e ci hanno messo Ferrari) a me vien da morire dalle risate anche se per la verità non c’è proprio niente da ridere.
    Luigi B. vuoi forse essere assunto al Centro per il Libro e la Lettura?

  22. forse non scriveva una sciocchezza chi sosteneva che la postmodernita’ risiedeva gia’ in certe forme romantiche

    credo che il primo a lanciare il pericolo in Italia sia stato Leopardi, anche se è stato il più grande romantico :-)

  23. Non ha alcun senso dire che agli anarchici è concesso fare quello che agli uomini di sinistra non è concesso. O Trevi ha espresso quello che voleva dire in maniera equivoca o non sa di che parla.
    (Quanto al discorso contenitore-contenuto, perdonami georgia ma ridicola è la tua svalutazione della questione).

  24. A proposito di quanto è emerso dalle risposte finora, ho notato per esempio che nessuno accennava alla figura ( ma andrebbe messo al plurale) di operatore culturale. Figura esplosa negli anni ottanta e che racchiudeva tutta una serie di “soggetti” più o meno pericolosi,editori, mecenati, galleristi, librai, associazioni, riviste, ecc impegnati in una mediazione costante tra le istituzioni (pubbliche) artisti e il pubblico (pubblico). La sostituzione della politica culturale a beneficio dell’industria culturale, ha comportato tra l’altro fenomeni abbastanza deprecabili, nel nome di una pretesa radicalità libertaria o liberale più esibite che vissute e come per la religione abbiamo assistito allo sdoppiamento cattolico, credenti e/o non praticanti: credo (alla cultura) ma non la pratico (non leggo, non vado a teatro…). Così abbiamo visto via via morire taluni eventi propriamente culturali sostituiti da iniziative di spettacolarizzazione e intrattenimento culturale come possono essere alcuni festival italici. Annullata così ogni possibilità di doppia chiave, per quanto detestabile, efficace e che vedeva fino a qualche tempo fa, che ne so un Horkheimer (a mio parere tra i più fini teorici) a cercare i soldi dai banchieri per la nuova scuola di francoforte, e dall’altra Adorno, Habermas ed altri a sfornare opere di critica marxista o per rimanere all’Italia un Gianni Sassi che “provvedeva” al lavoro sporco (fabbricazione, spese, e quant’altro) per sostenere Nanni Balestrini e la sua più splendida creatura, Alfa Beta.
    Oggi a mio parere mancano figure del genere, ovvero mediatori culturali. E allora o si tenta il salto purodurista (autolesionista) alla maniera dei poeti che l’anno scorso boicottarono Roma poesia non perché i curatori fossero “nemici ideologici”, anzi direi veri e propri amici, ma per il semplice fatto che l’istituzione, l’amministrazione fosse di destra (prima che pubblica) o si subisce la censura di quelle istituzioni che pur credendo alla cultura la praticano con una certa insofferenza e con i paletti che sappiamo. Ecco perché mancano figure in grado di tutelare la creazione artistica e letteraria, strappando le menti migliori dalla solitudine in cui sono, una solitudine e una povertà a novanta giorni.

    effeffe

  25. @ Luigi B.

    Condivido ovviamente le tue puntualizzazioni. Nonostante l’omologazione dei centri commerciali, probabilmente l’Esselunga e la Feltrinelli offrono ancora una vasta gamma di prodotti anche di una certa qualita’. Peccato che la qualita’ autoriale io debba andare a trovarla faticosamente fra le crepe degli interventi sempre piu’ blandi di editing. Interventi sempre piu’ blandi perche’ gli scrittori piu’ bravi sono diventati fieramente i migliori editor di se stessi. Ogni tanto pero’ qualcosa sfugge anche al loro discreto lavoro di standardizzazione.

    Insomma, c’e’ chi sostiene che questo nostro mondo produca ancora tante belle cose. Io resto dell’idea invece che produca troppa mondezza. Quella mondezza che vuole che uno scrittore non abbia cedimenti o debolezze. Cadute di stile. Soprattutto eccessi. Le uniche cose per cui valga la pena vivere, squarciando il velo di questo piccolo borghesume che vuole ottundere ogni cosa. Questo pero’ e’ quello che penso io. Ma gli altri avranno sicuramente ragione. Ed io non posso sapere o leggere tutto tutto. E soprattutto non sfuggo a questo ottundimento…

  26. @ georgia

    credo che il primo a lanciare il pericolo in Italia sia stato Leopardi, anche se è stato il più grande romantico :-)

    Guarda, di grandezza assoluta. Giacomo Leopardi. Tu non sai quanto mi roda il fegato che all’estero lo conoscano cosi’ poco! Ma anche in Italia…

  27. Premetto che negli ultimi dieci anni sono stato con il corpo e con la mente immerso in altre lettereture e nei loro dibattiti. Ritornando e volendo immettermi di nuovo ho avuto varie impressioni. le elenco in modo paratattico per non dilungarmi e perchè le impressioni se si subordiano diventano ragionamenti (che non voglio ancora esprimere non conoscendo bene l’ultimo decennio).
    la prima imressione che ho avuto è che la letteratura italiana non si vuole bene. la seconda è che non riesca a parlare di se. la letteratura italiana appare poco sui giornali e meno ancora in tv. il numero di pagine che giornali come repubblica o il corrier dedicano alla letteratura non ha nulla a che vedere con lo spazio che per esempio trovano molti scrittori sugli inserti di cultura dei giornali spagnoli. dal Babelia de El Pais al ABCD dell’ABC passando per il Cultura/s de La Vanguardia. Tutti perfettamente leggibili, anche quelli di destra.
    un contrappunto alla storia di Paolo Nori potrebbe essere Jordi Carrión, che scrive su El Pais e sull’ ABC e nessuno gli è andato a cervare le pulci in testa. forse perché anche lui, come nori, di capelli ne ha pochetti.
    quello che mi manca in italia è, oltre al solito dibattito sul ruolo civile e politico dello scrittore, è una discussione pubblica sul suo mestiere, sul suo rapporto con la lingua, per esempio. Cavolo, è dovuto saltare fuori Cesare Segre per muovere un po’ le acque. benvenga poi un dibattito sull posizionamento civile e político, salutare e doveroso.
    per finire. per non annoiare.
    l’impressione peggiore. le librerie. le grandi librerie. come feltrinelli. non fanno distinzione tra un autore che ha scritto in lingua italiana ed una traduzione dall’inglese o dal tedesco. con tutto il rispetto per i traduttori, ma per me, una differenza c’è. e che questa differenza corrisponda a una division di spazio tra le due categorie sarebbe importante. aiuterebbe a creare o a rafforzare la coscienza di una letteratura in lingua italiana. non parlo poi delle librerie che dividono i libri per case editrici. se un autore ha canbiato uno o più editori la ricerca autonoma diventa un’avventura. forse mi sono abituato troppo ad altro e faccio fatica a riadattarmi, ma mi trovo più comodo comprando libri in italiano in librerie come La Central o Laie di Barcelona o LibRomania di Berna. ed è sconsolante.

    un ultimo appunto è sul repertorio. nel senso della disponibilità di opere che hanno avuto una quelche importanza nella letteratura italiana. sto parlando di storia e sto parlando di edizioni tascabili.economiche. e sto parlano di autori come Dossi, Papini, Bontempelli solo per fare degli esempi. che si dovrebbero poter trovare accando ai Calvino ed ai Moravia. penso alle edizioni Catedra, Tusquets, Alianza, DeBolsillo, Suhrkamp. Anagrama. ed alla scelta di pubblicare, di fianco ai Borges, Cortázar, Montalbán, autori come Macedonio Fernández, Roberto Arlt, che non hanno mai venduto, però sono molto amati da altri scrittori, o autori che non sono certo attuali, ma che ebbero, ed hanno, una certa importanza storica. come Asturias, o Martin Santos. ho citato questi autori non a caso. li ho trovati tutti, sugli stessi scaffali, in venti minuti, in una libreria non certo specializzata, in un centro commerciale di Madrid.
    ecco forse quello che sento mancare rispetto alla letteratura italiana è una sua disponibilità, la trovo sempre più inaccessibile come insieme. non la sento dialogare con se stessa fuori dalle accademie. forse ha smesso di raccontarsi. e ciò che non si racconta, scompare.
    o forse mi sbaglio.
    spero che qualcuno mi smenta.

  28. @AMA e Geo
    Sulla questione della tv vi consiglio di leggere, se non l’avete già fatto, il saggio di D. F. Wallace E UNIBUS PLURAM contenuto nella raccolta TENNIS, TV, TRIGONOMETRIA, TORNADO (ed. Minimun fax). L’autore, AMA, opera anche approfondite riflessioni sul post-moderno, sul post-post-moderno (qualunque cosa essi siano) e sulle rovinose conseguenze che la tv ha apportato agli scrittori che sono cresciuti dentro di essa, e specie a coloro che hanno tentato di liquidarla con l’ironia e il cinismo. Magistrale.
    @forlani
    A me le domande sembrano mal formulate: perchè sarei pretestuoso? Prendiamo la prima: ci sono due “come” nel primo rigo, la domanda è formalmente zoppicante, prende una rincorsa già affannosa; vale lo stesso discorso che ho fatto a proposito dell’appello di Saviano sul processo breve; in certi casi (forse sempre?) la forma conta, la forma è anche sostanza. La sette e la otto poi non sono domande, sono l’equivalente di uno che t’afferra il volto, te lo torce in direzione d’un punto ben preciso e poi ti chiede: vedi anche tu per caso quello che vedo io? Ho poi riformulato la decima domanda per far capire come la penso: il discorso avrebbe più senso se prendesse più ossigeno, e cioè la smettesse di gravitare sulla benedetta questione-Nori e sui due giornali incriminati e proponesse un tema del genere: lo scrittore (senza affibbiargli patenti ideologiche) può “contaminarsi” su un giornale politicamente orientato con forza?
    @georgia
    Ma io non ho detto che non si possa rispondere a domande formulate male, e infatti gl’intervistati hanno risposto e hanno detto cose spesso interessanti; dico però che se non si amplia il tema, anche se nello specifico ognuno dirà la propria, il risultato finale varierà molto poco e il dibattito resterà incagliato fra chi detesta Libero, chi lo ritiene passibile d’esistenza, chi non trova nel mondo editoriale italiano attuale grandi scrittori e chi invece sì. E allora? E’ la qualità, credo, più che la quantità delle risposte a fare la tara a un dibattito. Anzi, secondo la mia esperienza, su NI più sale il numero di commenti più scende il livello dei medesimi.

  29. @Titus: se vuoi sapere cosa contribuisce alla decadenza letteraria in italia può leggere questo

    http://www.stroboscopio.com/gialli-mondadori-caso-irrisolto/2010/03/02/

    @Enrico: anche io credo che molte domande siano retoriche (ovvero: abbiano, se non la risposta, almeno la direzione della risposta “incorporata). È pur vero, però, che non credo sia un modo di “nascondere” i motivi reali da cui tale iniziativa è partita (e che non è solo il caso Nori).

    @georgia: non sono d’accordo. Perché, credi che un quadro di Mirò o di Wharol abbandonato accanto ad un cassonetto dell’immondizia possano farti lo stesso effetto che in un museo?

    Luigi B.

  30. Dov’è Abele, tuo fratello? anche questa era mal formulata e infatti il ragazzo risponde con un’altra domanda: Sono forse il guardiano di mio fratello?
    al che il primo gli fa notare che anche la sua domanda è mal formulata…

    da: le domande che uccisero Abele
    effeffe

  31. Si. Però dimentichi di considerare la crudele ironia di colui che pose le domande che tu riporti. Era qualcuno che, suppostamente, le domande retoriche poteva porle perché già conosceva la loro risposta e la cui crudeltà (o ironia o quello che volete) fece sì che egli si limitasse a porre domande scontate dall’evidenza dei fatti di sua conoscenza piuttosto che prendere l’iniziativa per cambiare il corso delle cose.

    Non mi sto rivolgendo metaforicamente a nessuno. Però se questo è il piano delle domande, che prima mi andavano anche bene così com’erano, allora mi piacciono un po’ meno. Però posso aver male interpretato.

    Luigi B.

  32. georgia: non sono d’accordo. Perché, credi che un quadro di Mirò o di Wharol abbandonato accanto ad un cassonetto dell’immondizia possano farti lo stesso effetto che in un museo?

    Non si tratta di effetto o di vetrina, non è di quello che stavamo parlando (almeno credo che non stessimo parlando di politica editoriale anche se a momenti ne ho avuto il grosso sospetto) visto che nori non è ancora da mettere in un museo :-).
    Ad ogni modo ti rispondo lo stesso …. per chi si intende d’arte sì, per chi compra solo per investire, per privilegio o per status, no :-))))).
    Certo a di girolamo i quadri glieli vendevi meglio ben esposti :-).
    (E’ a lui che hanno trovato una intera galleria in garage vero?).

    Lo scrittore non può essere un oggettino da museo ben esposto nel contenitore giusto … sarà lui a decidere cosa, e dove, gli serva per scrivere meglio. E se la scelta non sarà politica, dura e pura, PACE. Mica tutti possono essere come vogliamo noi. Fotocopie del nostro personaggio che crediamo di recitare alla perfezione.
    Non esistono regole a priori valide per tutti… decise da altri in nome di una purezza politica che non esiste più nei giornali, neppure nei migliori, che vivono ormai solo di finanziamenti e non più di distribuzione volontaria.
    Però capisco che ognuno si addolcisca la realtà come può, volendola imporre anche gli altri.
    Libero, che nessuno di noi ama molto, è solo un facile bersaglio, il bersaglio più facile perchè brutto sporco e cattivo:-).
    La cosa che a me diverte molto è che loro lurkano, ma non intervengono mai (se non sotto nick misterioso) e noi sbirciamo in edicola nel loro giornale … naturalmente sbirceremmo volentieri in rete, ma loro kattivi e amerikani non ci mettono nulla in rete se non a pagamento … e noi … maramao, ci leggiamo gratis quattro righe qua e là, del giornalao meravigliao ;-).
    geo

  33. E’ bello quando qualcuno ‘autorevole’, tanto da avere un nome spendibile nel suo ambito, dice – meglio – quel che tu avevi cercato di dire senza che nessuno lo riprenda o lo sbertucci:

    “Secondo me, quando non si vede nulla all’orizzonte, il problema sta più nel proprio apparato percettivo che nella situazione esterna.”

    “Ecco, questo è il presente: un polverone nel quale, per il fatto stesso di esserci immersi, non vediamo praticamente nulla.”

    “Mi sembra che quei critici che citate, i quali «denunciano la totale mancanza di vitalità del romanzo e della poesia nell’Italia contemporanea», ammesso che esistano e non siano una figura retorica, siano semplicemente degli sfaccendati privi del coraggio di buttarsi nella zuffa.”

    Ecco, condivido parola per parola: dire che gli scrittori d’oggi sono tutti dei mediocri o peggio ci dice qualcosa su chi lo dice e non sugli scrittori o sul tempo…

  34. Trevi è stato davvero sincero ed onesto.
    Meriterebbe un abbraccio per la sincerità con cui ha risposto ad ogni domanda.

  35. La metafora di Fabrizio a Waterloo è quanto di più onesto e obiettivo si possa riferire sull’attuale narrativa italiana. Per dire: solo adesso cominciamo a traguardare gli anni 80 ( segnati dalla scomparsa di Calvino, da Tondelli, dal Nome della Rosa e dalla timida operazione sulla lingua della Ballestra), figuriamoci orientarsi nel guazzabuglio dei 90 e di inizio XXI, i cui autori tra cento anni o saranno ricordati come interpreti di una straordinaria fioritura o faranno la fine della folla di prosatori del 500: tutti dimenticati salvo il Machiavelli della Mandragola.

  36. a Luigi B.
    Non ne sapevo nulla (ultimamente sono spesso lontano dai quotidiani e dalla rete). Trovo questa notizia scandalosa. Altieri è uno scrittore straordinario e un uomo meraviglioso.

  37. L’autore non ha nessuna responsabilità.Perchè dovrebbe averne?
    Quale ne avevano un Rimbaud,un Joyce,un Proust,un Flaubert,un Cèline,un Beckett…e cento altri,se non quella di obbedire al loro impulso creativo di forme,possibilmente nuove ? Un artista è un irresponsabile per natura,un anarchico,non è un educatore,non è la crocerossina della società,non corre per seggi in parlamento,non è guardiano e vestal di nulla,non ha coscienza degli usi dell’opera che posson far altri e se ne impippa,è un engagè solo nel creare ciò che piace a lui e non ad altri,cosa che mi par poco corrente oggi.

    Questa storia di mettere steccati,se è più o meno corretto scriver di qui o di là,già solo a parlarne è un sintomo di provincialismo estremo,in alcuni solo casi beghe di bassa macelleria e in altri solo inutile polemica,uno dei difetti più limitanti di tanta cultura italiana da almeni cinquant’anni,che già Vittorini aveva individuato.
    A forza di cercar altri ruoli per chi scrive,si dimentica quello principale,tanto da far crescere i carneadi.
    Solo in determinate e drammatiche circostanze storiche un artista può trovarsi a recitar copioni d’altro tipo.
    E si corre sempre il rischio di recitar poemi a Lenin (riferimento casuale,meglio specificare…)invece di scrivere la Nuvola in calzoni.
    Palmer ha toccato un punto chiave :..quello che mi manca in italia è, oltre al SOLITO dibattito sul ruolo civile e politico dello scrittore, è una discussione pubblica sul suo mestiere, sul suo rapporto con la lingua…”

    Il polverone di Waterloo,a me sembra, sia sempre stato il solito polverone che la Storia ha sollevato in ogni presente.

    johnny

  38. Johnny Doe dice: “quello che mi manca in italia è, oltre al SOLITO dibattito sul ruolo civile e politico dello scrittore, è una discussione pubblica sul suo mestiere, sul suo rapporto con la lingua…”

    Gli consiglio una passeggiata negli archivi di NI fra gennaio e febbraio del 2006. Quella discussione è già stata fatta, qui, 4 anni fa.

    – Massimo Rizzante, La patria dei luoghi comuni, in Nazione indiana, 10.01.06.
    – Giacomo Sartori: Lo scrittore, il mercato, Piperno: ovvero del conformismo, vibrisse, 28.01.06.
    – Massimo Rizzante: Storia o geografia del romanzo?, Nazione indiana, 01.02.06.
    – Giacomo Sartori: La sciagura dei romanzieri italiani, Nazione indiana, 10.02.06.
    – Andrea Inglese: La lingua provvisoria, Nazione indiana, 20.02.06.
    – Gianni Biondillo: Una lingua che dice, Nazione indiana, 22.02.06.
    – Giacomo Sartori: La rimozione del problema della lingua: ovvero del conformismo, che qualcuno preferisce chiamare restaurazione, Nazione indiana, 24.02.06.
    – Giuseppe Caliceti: Restaurazione e conformismo, vibrisse, 26.02.06.
    Vedi anche:
    – Ivan Roquentin: Gianni Biondillo: a proposito di una lingua che dice, 23.02.06.
    – In Lipperatura, la discussione in calce a uno stralcio dell’articolo di Biondillo.

  39. Aggiungi anche le tre parti di:
    “Leccare la lingua altrui come quando ci si bacia”, marzo 2006

  40. Punto 7. Giusto fare una critica radicale al machiavellismo (vulgata) dei fini che giustificano i mezzi e dell’altra vulgata che se il politico ruba o intrallazza per il partito, in qualche modo è assolto (almeno dall’opinione politica corrente) perché lo fa per una nobile causa. Le cronache politiche di questi giorni tracimano di dichiarazioni di politici in relazione alla “nuova” tangentopoli che sarebbe più riprovevole dell’altra perché oggi i politici rubano per se stessi, non già per il partito. E di ciò tanta responsabilità ha il grande (un tempo) partito della sinistra, che miracolosamente è uscito quasi indenne dalle inchieste di tangentopoli, per riciclarsi dapprima come socialdemocratico, poi come democratico di sinistra e ora solo come democratico (negli acrostici del suo nome cangiante c’è già tutta la perdita di identità politica della “””sinistra””” e il suo inevitabile fallimento). E giusto è criticare aspramente “l’ipocrisia e la dabbenaggine dell’epoca” riassunta in un partito che si definisce Italia dei Valori. E’ la morte della (vera) politica. Ma ciò non già perché i valori non hanno diritto di cittadinanza nel discorso politico (altrimenti si ricadrebbe nel machiavellismo) ma perché sono un implicito, un fondamentale incistato nel dna della politica, quindi è quanto meno inutile e ridondante definirli come valori in sé separati dalla politica. Insomma, guai a mettere alla politica i mutandoni della morale e dell’etica. E sbagliato (politicamente) è credere di curare la politica con iniezioni di etica. Questo, almeno, per una politica degna del suo nome, non per la politica miserabile di oggi, che ricava un tornaconto altissimo dal divorzio tra valori etici e politica. Quindi il discorso di Trevi sarebbe per me condivisibile se non se ne uscisse qualche rigo dopo con espressioni “il Bene fa schifo”, “amo la vecchia Italia dei piaceri”, “non possiedo tutta questa stima nel genere umano”. E non è soltanto questione di considerare come dev’essere triste la vita relazionale di Trevi. Il fatto che non condivido è la sua caduta nel nichilismo, con variante edonista. Del resto, la biada filosofica con cui è stata svezzata un’intera generazione di intellettuali negli ultimi decenni è proprio quella nichilista. Magari con l’aggiunta del relativismo. E non è nemmeno il male peggiore, rispetto al voltagabbanesimo. Ma non per questo mi sento di accettarlo.

  41. ff
    niente bilancio, ma a mon avis leggere qualcosa di “diverso” qui (taglio con l’accetta e a parte qualche distinguo: per qui intendo NI e opinion makers monoliticamente ancorati alla “responsabilità dello scrittore”) è una buona cosa. In questo senso fin qui mi son piaciuti, per tono (si, anche quando secco, deciso, irritante) e vitalità e altro e anche con qualche e o parecchi distinguo, mozzi murgia e trevi (verissimo il suo discorso sul bacchettonismo filooppositivo Lo so, neh, che che siete filooppositivi (“la sinistra istituzionale” ha le sue agende, e le sue parole d’ordine) e che per la maggior parte siete insegnanti, con nome e cognome. E in effetti si sente. dico che a mio avviso si sente più che lo scrittore l’insegnante. più che lo scrittore il bacchettone. cià (e grazie)

  42. “Un artista è un irresponsabile per natura”
    questa, di johnni doe,
    ah, sì, che mi è piaciuta,
    me l’appunto!
    Tanto che mi vien da ridere, e piangere,
    per la sopravvissuta credenza,(o fanfaluca),
    del maudittismo fino ad oggi
    :-))
    MarioB.

  43. In un certo senso “quoto” CF..e un sacco di numeri”. L’artista non è un irresponsabile, bensì colui che osa. E se un artista della pittura osa con le sfumature e uno scultore osa con i materiali, uno scrittore osa con il linguaggio. E qui “quoto” Titus.

    Per la questione responsabilità/irresponsabilità, io parlerei più che altro di “sovversione” degli schemi che si credono naturali. Di nuovo, il vero artista non è irresponsabile ma esploratore di nuove possibilità.

    Quando si parla di responsabilità degli intellettuali non credo si voglia sottintendere una loro maggiore colpa rispetto all’andazzo delle cose, bensì alla loro maggiore possibilità di far sentire la propria voce e che essa rappresenti quella di molti altri che la pensano allo stesso modo (se una delle tante petizioni l’avessi fatta io invece di, ad esempio, Saviano, son sicuro che non avrebbe interessato Repubblica).

    Lo scrittore, quando si esca dalla letteratura per rimanere confinati alla civiltà, è prima di tutto un uomo.

    Luigi B.

  44. Volete il Bene ? Andate ad Haiti, andate nel Darfur, o anche sotto casa vostra. Muovete il culo. Piegate la schiena e lavate i piedi al prossimo, come Gesu Cristo. Trovo una risposta del genere, quando si chiedeva a che cosa può servire la scrittura, una pura e semplice presa per i fondelli (e ben più deprimente di quelle di Giulio Mozzi che vuol fare l’intelligentone a tutti i costi).

    E l’affermazione che la virtù si può solo ammirare, non imitare è assolutamente disgustosa.

    E ricordo che Saviano è stato il primo a dirsi stupito della reazione della camorra alla sua compilazione. E che sui motivi per cui ha avuto la scorta non è mai stata fatta chiarezza, quindi non è proprio il caso di assumerlo come modello di “virtù”, come dice carduccianamente l’intervistato, almeno non prima che si sia veramente capìto se di virtù vera si trattava, e non di pubblicità.

    Quanto all’uso della rete, sembra che Trevi non abbia abbastanza motivi né per comunicare né per esprimere né per scrivere da poter capire che strumento sia, e quale sia, o possa essere, la sua importanza. Dà solo giudizj “dall’esterno”, ‘sto Trevi, si preoccupa che la scrittura faccia perdere il senso della realtà, l’umiltà, e taratatà.

    E poi dice che a lui piacciono solo le attività “a tempo pieno”. Maddài!

    Questa serie d’interviste è sempre più una fiera della puttanata a briglia sciolta.

  45. Gina ha ragione. E anch’io sono un insegnante, ma non sono/non posso essere bacchettone… Ho apprezzato molto questa intervista di E. Trevi.

  46. Non è che manchi a me :”“quello che mi manca in italia è, oltre al SOLITO dibattito sul ruolo civile e politico dello scrittore, è una discussione pubblica sul suo mestiere, sul suo rapporto con la lingua”.
    Ho riportato solo una frase di Palmer,sulla quale peraltro concordo.
    L’elenco che fa Biondillo in merito (che ovviamente leggerò),mi sembra colga parzialmente nel segno in riferimento a quanto accennato da Palmer,che credo intendesse la cosa in un senso più ampio,generale,sia cronologicamente che quantitativamente, all’interno dell’intera comunità letteraria italiana.
    E’ innegabile che il tema sul ruolo civile e politico dello scrittore occupi e abbia occupato molto più spazio e tempo dell’altra tematica.

    x cf05103025 – il mauditismo non c’entra nulla,e quanto detto vale anche per il “benedettismo”e affini.
    Joyce,Beckett,Proust… erano maudits?

    La figura ed il ruolo dell’artista può esser visto in tanti modi,ma mai subordinando la responsabilità,di qualsivoglia genere,alla creatività,unico suo dovere.Almen io credo.

  47. la prima cosa che è da rilevare riguarda un po’ l’atteggiamento con cui gli intervistati seguono, accolgono, i commenti su NI:

    rilevo, sommariamente, due linee di fondo:
    la prima di dialogo e di messa in discussione in prima persona,
    la seconda di monadismo autarchico, o, nel peggiore dei casi (Mozzi) di vera e propria irrisione, e caustica supponenza.

    da una parte Helena Jan. si è amabilmente sottoposta a ogni sorta di vessazione e insulto ,difendendosi egregiamente, e, come lei, anche la Murgia e Bernardi hanno dialogato civilmente con i commentatori,

    dall’altra parte, calata dalle alture del monte Sinài, la parola di Erri De Luca, dopo l’ epocale intervista, ha ignorato i commenti dei sacchi umani issati sul web, richiudendosi sordamente nella sublime bottega artigiana, a confezionare edificanti raccontini veterotestamentari

    e Emanuele Trevi, che non ha molta considerazione per il web, è stato oltremodo blasé, snobbando gli intervenuti: la sua intervista, per quanto sincera, è francamente deludente: un mix di ordinarietà e velleitarismo bellettrista, fumosa e fumata, epperò piena di quel buon senso che lui vorrebbe tanto bandire, per poi scivolare sulla buccia di banana dell’anarchismo (più mitizzato che a lui noto )e dell’essere ‘comunque ‘di sinistra (una grezza, questa si, emanuè)…meglio le cene trasteverine con valentino, in cui c’è poco in cui misurarsi :-)

    infine, e per ultimo, Giulio Mozzi, che si è impegnato al massimo per stupire, senza riuscirci, con un pezzo che la dice lunga, più di un trattato di sociologia della letteratura, del rapporto autore-pubblico: ignoto, e ignorato. insignificante come la spocchia boriosa del sarcasmo onanista

    in generale, però, le risposte non convincono specie relativamente alla domanda 4 :

    trovo ad esempio che le risposte di Trevi e Bernardi siano molto opinabili: a me sembra che il lavoro di scouting sia stato accantonato, sappiamo tutti quali le vie e i mezzi per arrivare: quello che è venuto meno, ad esempio, è il dialogo che univa le grandi riviste letterarie alle case editrici, e che veicolava una serie di autori e esperienze che oggi , al contrario, non vengono captate dalla grande editoria…questo compito di lavorare sul territorio (scegliere, selezionare, proporre, proprio delle riviste più attente, nel Novecento, è venuto meno, o è venuto meno il legame tra queste e l’editoria. Il ‘buon lavoro’ che fanno le case editrici, è affidato al caso, al fiuto del singolo, e molto spesso, all’area di appartenenza. Si è perso il rapporto col territorio, cioè con le scritture in atto. Le recenti antologie, ne sono l’espressione più rappresentativa e schizofrenica.

    relativamente alle domande 8 e 9, poi,

    mi pare che ci si sia affaticati a dimostrare, ancora una volta, tutta la distanza e tutti i distinguo tra l’essere scrittore e l’avere una qualche responsabilità sociale (civile). come se le cose fossero separate e divaricate. Come se Volponi e Fortini, ad esempio, non fossero quei due grandi poeti che sono. Come se Dante non fosse mai esistito.

  48. Manuel Cohen,lei cita Volponi,Fortini e persin Dante,ma ci son altrettanti e grandi esempi contrari di scrittori e artisti che poco si son curati d’aver responsabilità sociali.Ci son vari punti di vista,non voglio giudicar qual’è il migliore,fatto sta che in tanti casi appunto,le due cose non necessariamente vanno insieme.

  49. Noto che anche Trevi, rispondendo alla prima domanda, manifesta un dubbio circa l’effettiva esistenza di critici che “denunciano la totale mancanza di vitalità del romanzo e della poesia nell’Italia contemporanea”.

    Se Nazione indiana vuol favorire qualche nome: grazie. (L’ho già chiesto, ma non ho avuta risposta).

  50. …anche se,trovo questa nota :
    Qual’è o qual è non è risolta né dalle grammatiche, né tanto meno dalla letteratura. Sono per l’apostrofo, fra gli altri, Federigo Tozzi, Mario Tobino, Tommaso Landolfi, Paolo Monelli, Bonaventura Tecchi. Non apostrofano invece Vasco Pratolini, Giuseppe Berto, Alberto Moravia, Goffredo Parise, Libero Bigiaretti

  51. cari amici, non è che ho snobbato le vostre osservazioni, benevole o malevole che siano, è che ero all’estero e non mi sono collegato. non sono per niente blasé, come mi si accusa. avendo accettato di rispondere all’inchiesta, ovviamente mi ero impegnato anche a prendere in considerazione i commenti, visto che questa è la regola del gioco. certo, quando leggo certe acidità rimango sempre di stucco, perché dovrebbe trattarsi di una conversazione cordiale. quindi non è che non rispondo per snobismo, ma perché non ho lo stile del livore, non me ne frega nulla di aggredire o difendermi. però, appena ho potuto, ho letto, e in ritardo mando un saluto a tutti.

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Nazione Indiana ha compiuto vent’anni nel 2023! Siccome non tutti i compleanni sono uguali, Nazione Indiana ha deciso di festeggiare il suo ventennale con due iniziative: nel marzo scorso a Parigi e adesso a Milano, città in cui è nata.

Vent’anni di Nazione Indiana. Si comincia a Parigi

I festeggiamenti iniziano il 23 e 24 marzo 2023 con una due-giorni tra Maison de la Poésie, Université Paris Nanterre e Librairie Tour de Babel. Ecco i dettagli del programma

ATLANTI INDIANI #03 Ora e sempre Resistenza

   Abbiamo raccolto in questo Atlante alcuni dei numerosi scritti pubblicati sul tema del 25 aprile e della Resistenza, con...

ATLANTI INDIANI #02 Terrae Motus [Aquila 2009-2019]

A dieci anni dal terremoto dell'Aquila abbiamo raccolto in questo Atlante gli articoli pubblicati da Nazione Indiana sul tema....
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