Radio Kapital : Alain Badiou
Elogio dell’amore
di
Alain Badiou (intervistato da Nicolas Tuong)
traduzione di Roberto Bugliani
N.T. -: Perché non progettare una “politica dell’amore”, allo stesso modo in cui Jacques Derrida aveva abbozzato una “politica dell’amicizia”?
A.B. – Non penso che amore e politica si possano confondere. A mio parere, “politica dell’amore” è un’espressione priva di senso. Ritengo che quando si dice “Amatevi gli uni con gli altri” si faccia una morale, ma non una politica. Perché in primo luogo in politica vi sono persone che non si amano. E’ incontrovertibile. Non possono chiederci di amarle.
N.T. – Contrariamente al protocollo dell’amore, la politica sarebbe innanzitutto scontro tra nemici?
A.B.- Veda, in amore la differenza assoluta esistente tra due individui, che è anche una delle più grandi differenze rappresentabili perché è una differenza infinita, un incontro, una dichiarazione e una fedeltà possono dunque cambiarla in un’esistenza creatrice. In politica non si produce niente di tutto ciò per quel che concerne le contraddizioni fondamentali, il che permette l’effettiva esistenza di nemici designati. Una questione molto importante del pensiero politico, oggi difficilissima da affrontare – in parte a causa del particolare contesto democratico in cui ci troviamo – è quella dei nemici. Si tratta della domanda: ci sono dei nemici? Ma dei nemici per davvero. Colui che lei, triste e rassegnato, vede assumere con regolarità il potere, solo perché molte persone hanno votato per lui, non è un vero nemico.
E’ soltanto qualcuno la cui presenza al vertice dello Stato la rattrista, perché avrebbe preferito il suo concorrente. E lei aspetterà il suo turno, per cinque o dieci anni, se non di più. Ma un nemico è tutt’altra cosa! E’ qualcuno che lei non sopporta minimamente che decida su ogni cosa che la riguardi. Un vero nemico, dunque, esiste o no? Bisogna cominciare da qui. In politica è una questione d’estrema importanza, che abbiamo preso un po’ troppo l’abitudine di trascurare. Ora, la questione del nemico è assolutamente estranea alla questione dell’amore. In amore lei incontra degli ostacoli, è atteso al varco da drammi immanenti, ma non vi sono nemici, propriamente parlando. Lei potrà dirmi: e il mio rivale? Colui che il mio o la mia amante preferisce a me? Ebbene, ciò non ha niente a che vedere. In politica la lotta contro il nemico è costitutiva dell’azione. Il nemico fa parte dell’essenza della politica.
Ogni vera politica identifica il suo vero nemico. Mentre il rivale è del tutto esterno, non entra affatto nella definizione dell’amore. Si tratta di un punto capitale di disaccordo con tutti coloro che pensano che la gelosia sia costitutiva dell’amore. Il più geniale di costoro è Proust, per il quale la gelosia è il vero contenuto, intenso e diabolico, della soggettività innamorata. A mio parere, essa non è che una variante della tesi moralista e scettica. La gelosia è un parassita artificiale dell’amore e non entra minimamente nella sua definzione. Forse che ogni amore per dichiararsi, per cominciare, deve identificare fin dapprincipio un rivale esterno? Nient’affatto! Semmai è il contrario: le difficoltà immanenti dell’amore, le contraddizioni interne alla scena del Due si possono cristallizzare su un terzo, su un rivale reale o supposto. Le difficoltà dell’amore non dipendono dall’esistenza di un nemico identificato. Esse sono interne al loro processo: il gioco creatore della differenza. E’ l’egoismo il nemico dell’amore, non già il rivale. Si potrebbe dire: il nemico principale del mio amore, quello che devo vincere, non è l’altro, sono io, l’”io” che vuole l’identità contro la differenza, che vuole imporre il suo mondo contro il mondo filtrato e ricostruito dal prisma della differenza.
[…]
N.T. – Malgrado tutto, è possibile ravvicinare amore e politica senza cadere nel moralismo d’una politica dell’amore?
A.B. – Vi sono due nozioni politiche, o filosofico-politiche, che possiamo ravvicinare in modo puramente formale nelle dialettiche presenti nell’amore. In primo luogo, nella parola “comunismo” c’è l’idea che il collettivo è capace di integrare ogni differenza extrapolitica. Che le persone siano questo o quello, venute da fuori o nate qui, che parlino o no tale lingua o talaltra, che siano forgiate da questa o quella cultura, tutto ciò non impedisce la loro partecipazione al processo politico di tipo comunista, non più di quanto le identità non siano in se stesse degli ostacoli alla creazione amorosa. Soltanto la differenza propriamente politica con il nemico è, come diceva Marx, “irriconciliabile”. Ed essa non ha alcun equivalente con la procedura amorosa. Poi c’è la parola “fraternità”. “Fraternità” è il più oscuro dei tre termini che compongono la divisa repubblicana. Della “libertà” si può discutere, ma sappiamo di che si tratta. Dell’”uguaglianza” si può dare una definizione piuttosto precisa. Ma la “fraternità” cos’è? Senza dubbio, essa appartiene alla questione delle differenze, della loro compresenza amichevole nel processo politico, che ha come limite essenziale il faccia-a-faccia con il nemico. Ed è una nozione che può essere recuperata dall’internazionalismo, poiché se il collettivo è effettivamente capace di farsi carico della propria uguaglianza, ciò significa anche che può integrare i più grandi scarti differenziali e controllare severamente l’influenza dell’identità.
Estratti a cura del traduttore, da Alain Badiou avec Nicolas Truong, Éloge de l’amour, Flammarion, Paris 2009, pp. 49-56).
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E davvero l’articolo che preferisco perché tocca al lato debole delle miei preoccupazioni – l’amore – nello stato di osservatrice, e quasi mai come attrice.
Nella parte dedicata alla gelosia mi pare molto interessante l’acenno a Marcel Proust che ha fatto un analisa quasi psicanalitica del sentimento.
C’è un aspetto della gelosia che mi interessa molto è tutta la parte immaginaria. Mi chiedo se il geloso non è finalmente innamorato della sua propia storia immaginaria, soprattuto se non conosce il suo rivale.
Inizia forse un fervore nella ricerca di quello che è nascosto, dei tratti del rivale, la sua manera di fare l’amore, mano a mano forse si diventa quasi innamorato, ossessionato dal suo rivale. Parlo con l’esperienza di un amore dove trovavo quasi un piacere malefico a immaginare le incontre del mio amore con la sua amante, quasi a indossare il corpo immaginario dell’uomo e provare qualche desiderio di essere osservatrice, attrice della scène amoureuse.
Mi fermo qui, perché scrivero durante ore, al rischio di allontanarmi dell’argomento dell’articolo.
Invece la politica non è allacciata all’immaginario, è nella parola certo
bugiarda, ma non sognatrice. La joute politique mi pare sempre un combattimento, di scontro, non di incontra. Si parla di odia, di invidia, di miserabile lotta per il potere.
ma lo slogan del Partito De L’amore, faute de mieux, sarà: “fottetevi!” ?
bepperatti
La bella traduzione di Roberto Bugliani mi ha ispirato la lettura del saggio
o piuttosto dell’intervista. Il libro si percorre con una grande facilità di lettura. Il punto di partenza è una riflessione intorno a una publicità di Meetic che offre la possibilità di un “amour sécuritaire”, idea che Alain Badiou rifiuta di vincolare all’amore.
L’amore è fatto secondo lui di un incontro casuale, non si puo calculare, si deve considerare con il rischio, l’avventura.
L’amore e da reinventare.
Alain Badiou mostra come l’individualismo, l’interesse sono i pericoli della nostra società nella nascita dell’amore.
Dice il due ( la differenza) comme orizzonte originale della visione del mondo.
Si distacca anche dell’ideale romantico, perché il romantismo si annega nella fusione; devo dire che questo punto non mi ha davvero convinta, sono affezzionata a questo amore che in certo punto raggiunge la morte
( morte simbolica). Penso che l’amore non si puo vivere nella durata come amore romantico, ma in una relazione si deve anche vivere l’instante romantico.
Alain Badiou insiste sulla durata dell’amore, che non è fatto solo di inzio (commencement), ma di continuo.
Paradossalmente ho trovato che l’idea dell’amore vista da Alain Badiou è poco revoluzionario, nononstante la sua convinzione . E molto allontanata dell’idea di Rimbaud da cui accenna eppure il filosofo.
Aggiungo che ( perché sarebbe molto riduttivo dalla mia parte) che ci sono capitoli bellissimi a proposito del teatro di Beckett, del “amour fou”, della parola comunisme( nel senso che dà Alain Badiou): senso dell’amore nella colletività, della differenza, ben distacco del egoismo e dell’individualismo.
per Beppe Ratti
A Be’! Che confusione ci fai col francisco, Doveva da dicere: “Lu slogan del partito dell’amore “fotte de mieux” sará Fauttetevi!”
Ruge
Credo che il testo proposto meritava meglio che due commenti scarsi, e solo il mio;
Se puo dire che le cose dell’amore non interessa nessuno ?