Darsi all’ippica

di Gianni Biondillo

La verità è che io non ci sono mai entrato. Mi ricordo quando, da bambino, mio padre mi portava allo stadio e si passava davanti all’ippodromo ed era tutto un racconto di cavalli, scommesse, gran dame, nobiltà. Una specie di mondo incantato, una favola, una realtà parallea a quella che frequentavo io, piccolo sottoproletario milanese. Come poteva mio padre conoscere quel mondo magico e misterioso, sapere di galoppo, trotto e alta società?

Non ci sono mai entrato, dicevo. Ma lo conosco da sempre. L’ippodromo è uno degli scenari più tipicamente milanesi. È depositato nel nostro immaginario collettivo, presente in moltissimi film girati a Milano. (Sono molti di più di quanti crediamo i lungometraggi girati in questa città, non ostante lo strapotere romanocentrico del cinema italiano). Anche perché quel vuoto clamoroso nel cuore di una città così densamente costruita, creava una anomalia affascinante per i cineasti. Non l’ho mai visto, ma ho girato questa parte di città in lungo e in largo. Una delle zone più eterogenee di Milano, dove vivono a stretto contatto di gomito, quartieri sperimentali da antologia come il QT8, palazzoni ultrapopolari in attesa di decennali manutenzioni straordinarie e gruppi di ville altoborghesi, spesso di una qualità edilizia davvero unica. Una borghesia che negli anni Sessanta, negli anni del boom, ha deciso di andarsene dal soffocante centro storico per cercare spazio, salubrità, sport. Ha deciso di vivere qui e mandare i propri figli a lezione di equitazione. Io non sono mai salito su un cavallo in tutta la mia vita. I cavalli sono animali strani; eleganti e spaventosi. Per me, sia ben chiaro, bambino di periferia, che i cavalli li vedeva solo nei film western.

Il catino dell’ippodromo, l’ho visto da lontano, sul Monte Stella, l’unica corrugazione della piatta tavola che è Milano, non ci sono mai entrato ma ora che leggo che lo hanno chiuso mi è venuta una sorta di nostalgia per un passato che non ho mai vissuto. Non so se fra un mese tutto si rimetterà a posto, se la politica lo farà riaprire. Da quello che leggo la crisi è profonda e tocca anche altre realtà nazionali. Mantenere un ippodromo è davvero costoso e, ironia della sorte, i fondi vengono dalla più aleatoria delle attività, le scommesse. Chiaro che mio padre conosceva l’equitazione come scommettitore, mica come sportivo. Ma dietro le corse, dietro le scommesse, c’è anche una storia leggendaria che chiude. Nomi che sono scolpiti nella memoria collettiva (come non pensare a Ribot?).

Da sempre quest’area ingolosisce la speculazione edilizia meneghina. Ricordo già negli anni Ottanta la costruzione di una serie di palazzoni di appartamenti di lusso come avamposto di un definitivo sfruttamento dell’area. Edifici di particolare bruttezza e arroganza, primo sintomo del cancro dell’indifferenza civica. Il nuovo PGT in discussione proprio in questi giorni, dopo che per anni il mercato privato ha cercato in tutti i modi di metter le mani su quest’area pregiatissima, pare voglia definitivamente bloccare l’eventuale colata di cemento. Meno male. Milano na ha un bisogno vitale di vuoti urbani di tali dimensioni. Da una parte il Parco Sud e qui tutto il sistema di verde da riorganizzare che comprende il Parco di Trenno, il Bosco in Città, il Monte Stella. Ma perché un ippodromo possa svolgere la sua funzione sociale – scuola di equitazione, area verde, spazio collettivo – deve anche funzionare. Se lo si terrà fermo per anni diventerà una zona depressa, degradata, morta. E ancora una volta gli avvoltoi del cemento saranno lì in attesa, fregandosi le mani. Scongiuriamolo.

[pubblicato su Il Corriere della Sera del 14.02.2010]

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11 Commenti

  1. Gianni, questi tuoi articoli milanesi – questo tuo articolo milanese, anche se contiene una inevitabile vibrazione amara, mi fa venire la nostalgia de Milàn. Hai toccato i luoghi che frequentavo abitualmente, il Bosco in città, splendido, il parco di Trenno, dove andavo a correre col cane, il Monte Stella, dove in inverno sciavano… Se vai avanti mi farai piangere!

  2. Io invece ci sono entrato. Più all’ippodromo del galoppo che in quello del trotto. Gran dame non ne ho mai viste. I frequentatori erano più o meno sempre gli stessi, che giravano dagli sportelli del totalizzatore ai chioschi dei picchetti alle facce furtive dei “clanda”.
    Insomma, non c’era niente di mitico. Il trotto mi ha sempre dato un’aria squallida, da fabbrica. Il galoppo invece era tutta un’altra cosa: verde, spazio aperto, nelle belle giornate dalle tribune si vedono le Alpi.
    Sì, certo: bisogna difenderlo. Anche senza mito.

  3. L’ultima volta che ci sono stato ho portato un compagno di università australiano che soffriva di crisi d’astinenza da scommesse, e a suo tempo mi chiese se a Milano vi sosse un luogo per le scommesse sui cani – i cani da corsa – lo giardai sbigottito poi feci ordine nella mia mente e dissi:

    “si un luogo c’e’, nel frattempo ti faccio vedere un’opera ricostruita di Leonardo, il monumento equestre, però li non ci sono cani ma cavalli”

    ” si è uguale sono solo più alti ”

    Ricordo che vinsi poche lire, o forse erano già euro, 3 mila lire o 3 euro, lui invece ne vinse molti di più. Era la prima volta che entravo all’ippodromo di Milano per scommettere; era un luogo proibito per me che avevo un padre che perse al gioco delle carte un appartamento e vari oggetti d’arredo. Stavo vivendo quella realtà nel suo fermento, non avevo mai visto un cavallo da dorsa e l’impressione fu stana, mi sembravano piccoli, la testa era piccola e le gambe sottili, nell’insieme avrei detto che erano dei pulidri, se mai ne avessi visto uno e la loro maestosa e nervosa andatura non tradiva una certa esperienza; le loro proporzione conferivano all’insieme dell’animale una certa leggerezza, forse questa leggerezza è necessaria per correre con il vento, pensai. I cavalli erano condotti in cerchio, per la scelta del cavallo su cui puntare, dai loro fantini minuti anchessi come dei folletti colorati nelle loro uniformi cangianti. Con in mano la mia cedola mi portai sugli spalti, puntai tutto su juliette, vinsi la mia prima e unica scommessa in denaro.

  4. Io invece ci andavo qualche volta da piccola, mi portava mio papà, e mi piaceva moltissimo. Questa notizia mi è dispaciuta tanto. Milano sta precipitando giù per la canna del cesso a velocità accelerata. Personalmente sono di un pessimismo totale. Spero – ma così tanto per, solo per mia soddisfazione, per dispetto – nel fallimento dell’Expo. E mi piacerebbe anche che prendesse un colpo a tutti quelli che sniffano la coca. Così rimaniamo davvero in pochi, e magari si salva anche San Siro.

  5. non mi sembra una tremenda notizia. all’ippodromo ci sono stato tre volte, fu divertente e rilassante, scantonai dal lavoro per andarci con colleghi scommettitori. nessuna particolare emozione, non fu come andare allo stadio, nella san siro degli anni 70 e 80, prima che costruissero quello schifo di terzo anello che per capire la partita ci vuole un telescopio – più la sensazione di soffocamento.

  6. Solo chi scommette sa cos’è un ippodromo.Anch’io di gran dame non ne ho mai viste.San Siro non è Longchamps o Epson.Tanti proletari,molti del milieu,vari traffichini,succhiabiglietti e biechi arraffatori dei picchettio,grida di gioa e incazzature mai viste.Poi c’erano i cavalli,l’unica cosa mitica.Il più armonioso,eccitante e ombroso animale che la natura abbia mai prodotto. Vedere un testa a testa di 800 metri sul rettilineo finale è quasi una scopata super,roba da infarto.Le bocche furiose e schiumanti come nei disegni di Leonardo,si sentiva l’ansare dei cavalli,il colpo degli zoccoli sull’erba e lo stesso sforzo fisico degli scommettitori per trascinarli alla vittoria.Il grande Piggot ,
    un pollicino minuto e imperturbabile,sembrava una gazzella in groppa ad un drago alato,domato fin sul traguardo.
    I trottatori sono un insulto ai purosangue,obbligati a trascinarsi carretti e scariolanti che si sbracciano come scimmie.solo un grande cuore può sopportare tanto,sia brocco o campionissimo,come Varenne.
    Questo extra mondo affascinante è stato forse involontariamente afferrato fino in fondo da un film,Febbre da Cavallo.
    Ma di soli umani,il cavallo era un fantasma,una comparsa.Chi frequenta il prato se n’è accorto.
    Comunque sia,l’ippodromo a Milano non deve mai sparire.Ogni polis degna di tal nome l’ha sempre avuto,come il teatro.

  7. un pomeriggio infrasettimanale di primavera, evitando la calca del fine settimana, seguire i piccoli riti degli spettatori, i cavalli al tondino, la puntata, la corsa, l’emozione degli arrivi. il foglio con il programma delle corse, la magica interpretazione che ognuno pretende di dare di premi guadagnati in carriera dai cavalli, pesi, anni, eta’ e faccia dei fantini, nomi di cavalli e scuderie improbabili. e poi la cadenza delle partenze e degli arrivi, la sensazione che tutto puo’ succedere, perche’ …come si fa a corrompere un cavallo ?? insomma, la sensazione di stare bene. pomeriggi cosi’ sono (erano ?) un toccasana per riconciliarsi con la nostra citta’. peccato se li perderemo

  8. x diego – ….indovinar quali erano le corse con il trucco,le dispute sulle genealogie,questo è un cavallo che va solo sul pesante….non fa i 2400…..insomma,rischia di diventar un mondo perduto,un’isola mai esistita,sommersa da un grigio mare di cazzate che stan spacciando a destra e a manca.

  9. Lo fanno ancora, ma vanno in quei posti per niente belli chiamate un tempo “sala corse”, adesso non so… Con anche le slot machine e le scommesse sul calcio. L’ippodromo sta alle sale corse attuali come la Garbo a una velina.

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gianni biondillo
gianni biondillo
GIANNI BIONDILLO (Milano, 1966), camminatore, scrittore e architetto pubblica per Guanda dal 2004. Come autore e saggista s’è occupato di narrativa di genere, psicogeografia, architettura, viaggi, eros, fiabe. Ha vinto il Premio Scerbanenco (2011), il Premio Bergamo (2018) e il Premio Bagutta (2024). Scrive per il cinema, il teatro e la televisione. È tradotto in varie lingue europee.
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