MARADONA SKETCHES
di Franz Krauspenhaar
Era frenato da un fisico strambo, una palla da golf che girava per un campo da calcio, un solo piede per far tutto, il sinistro, una testa matta, un appetito insaziabile, un redentore mai redento.
Maradona è il campione dell’opposizione a oltranza: da Gianni Minà parla di Fidel Castro bevendo Coca Cola, a Napoli va coi femminielli e poi dichiara: “Io sono favorevole agli omosessuali perché, grazie a loro, aumenta la richiesta di veri maschi.”
Pelé aveva di fronte gente bassa e poco atletica, lui campione d’atletismo; Maradona, vent’anni dopo, aveva a che fare con veri atleti, spallati, dai garretti di toro infuriato, Goicoichea spaccaossa. Anche per questo è stato el mejor, per poter scagliare la palla col suo piede sinistro – “di Dio”, aveva prima da seminare dobermann assatanati a caccia di malleoli scheggiati nella furia.
Era tutto concentrato sul sinistro, come se si muovesse con un pendolo sul piede buono; il resto del corpo era a servizio, gregario in ogni sua parte e funzione di quella fetta fatata, che teneva tutto, la fortuna, l’estro, la potenza.
A Napoli divenne napoletano espanso, portò la follia del tango e di un paese troppo esteso e svariato in una rocca antica, piena di contraddizioni e frustrazioni temperate da una tragica allegria; a Napoli divenne Masaniello d’un sogno, conquistador d’una isola nella quale la pelle di Malaparte s’era seccata da decenni attendendo una sutura.
Araba fenice d’una favela grande come il mondo, o di un mondo tutto riassunto in favela: ricco come pochi sportivi, Maradona manteneva dentro di sé la fame delle origini scassate, come se la sua anima fosse rimasta povera e disperata, con nulla da perdere. Perciò, arrivò a perdere quasi tutto: l’anima, il corpo, la vita; prima di risorgere all’ultimo minuto.
Diego Armando, primo nome da Zorro in battaglia e secondo da tabaccaio del sud Italia. Il mischiume di razze diverse, e quell’indio che da conquistato diviene conquistatore, quei tratti duri nella pelle fangosa, e quei capelli tagliati da scugnizzo, come se Nino D’Angelo si fosse tinto di nero. E alla fine quell’atroce film di Kusturica, che dimostra come la rovina di un campione possano essere spesso i suoi fan, piccoli e grandi, tutti sotterranei nemici.
Diego senza speranza, senza cocaina, senza forze, il cuore che sta per scoppiare, la morte annunciata, e la moglie patita, e le figlie amate. E quel figlio napoletano che sgarretta sui campi piccoli, una specie di prima matrioska, col viso triste da Maradona sbiancato, bravo ma senza talento.
Le diatribe coi giornalisti, in Argentina, lanciando pallini di gomma con l’aria compressa di un fucile. In mezzo alla folla, Maradona scalcia per evadere, dall’Alcatraz dei media-corvi, dal suo sentore di morte, e il profumo della pizza, a Napoli, tra un vicolo e l’altro, nello scippo d’ogni fede.
Il grande, lungo canto a Messico 86, contro l’Inghilterra detestata, quel mezzo giro di trottola a metà campo e la lunga corsa, il saltello continuato del sinistro a sfiorare la sfera, dentro il dribbling di cerveza ubriacante, mezza Inghilterra lasciata col sedere per terra, fino al gol, il capolavoro d’azione, il grande, lungo canto di Maradona, che ricordo lo vidi in bianco e nero – perché la tv principale s’era rotta – in un piccolo Admiral, davanti a una carbonara a fumare, nel caldo della prima sera, e la mia giovinezza – io, coetaneo del Pibe – all’esplosione, promettente e rapace.
[Letto in parte a Bari a “LIT COVER – Letterature remixate” una performance letteraria in 3 momenti. Immagine: FK – Maradona sacrifice.]
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Complimenti da un maradonadipendente.
Ciao.
Bel pezzo. E’ stato il più geniale sportivo (non calciatore, sportivo) di tutti i tempi.
Testo bellissimo con un ritmo
come tutti scritti da Franz Krauspenhaar.
C’è una musica particolare.
Maradonna mi tocca per il suo talento
e la sua adozione da Napoli, una città
che l’ha accolto e anche bruciato.
La città di quelli che non hanno più niente
da perdere e portano in loro un sole.
rispondo da lettore e da fissato per maradona.
da lettore sottoscrivo veronique. da fissato, aggiungo, che in quegli anni (stavo ancora a napoli) ci sono state domeniche pomeriggio in cui quest’uomo mi ha rimesso al mondo. Un genio, un fuoriclasse, un fuori dagli schem, una testa di cazzo, un debole, un generoso. Unico, comunque.
grazie franz
Bel pezzo. La chiusura con quei due meravigliosi aggettivi a suggellare il ricordo di una giovinezza che, come tutte, sembra sempre promettere tanto. Ciao
grazie a voi tutti. maradona è indimenticabile, un personaggio leggendario, e credo sia anche – in parte – un esempio: arrivare al massimo dall’estremo basso, dire quel che si pensa a qualunque costo, essere se stessi nel bene e nel male. mi auguro che da allenatore abbia trovato il suo futuro. (véro, un abbraccio affettuoso.)
Bel pezzo, Franz. Véro ha ragione: gran bel ritmo. A tratti supera anche il Soriano di “Pensare con i piedi”.
Maradona è meglio ‘e Pelè: non a caso un inno di popolo. probabilmente il popolo, più intimamente, legato nel bene e nel male, al genio della pelota.
allo scugnizzo, al pibe de oro, al nino de rua, ‘o guaglione ‘e miezz’a via. invece, in anni più addietro, ma quella era un altra storia, nè fu coniato un altro, ma era più che altro una sfida di rima e accenti, cioè una voglia, sempre di un popolo, di vincere e stravincere col calcio, attraverso ‘nu guaglione niro, timido e sconosciuto a sfidare il campione supremo, ma comunque, spavaldamente urlare: Pelè è ‘a ‘uallera ‘e Canè.