Non c’è altro tempo da perdere
Se sia lecito a un intellettuale di sinistra collaborare con un giornale di destra è una questione, visti i tempi, che ha il sapore delle innocue quaestiones assegnate come esercitazioni agli studenti nelle antiche scuole di retorica (si doveva o no fare la guerra per Elena?), o dei casi di coscienza (è lecito mangiare di grasso il venerdì?) su cui si accapigliavano nel diciassettesimo secolo gesuiti e giansenisti: roba vecchia. Troppo mutati i termini, troppo lontana una certa idea di intellettuale come rappresentante dell’universale obbligatoriamente schierato dalla parte giusta, da troppo tempo defunta ogni pretesa e speranza di un’egemonia culturale della sinistra (concetto mal compreso, peraltro: chi ne parla oggi cita Gramsci ma in realtà ha in mente Paolo Mieli. A Gramsci di “dettare l’agenda” non poteva importargliene di meno). E puerile, perciò, oltre che dannosa, la polemica che si è scatenata intorno al caso di Paolo Nori che collabora con Libero, dove alla malafede di chi di queste beghe ha fatto una professione (il solito processo stalinista!, cfr. l’esemplare articolo di Pierluigi Battista sul Corriere di qualche giorno fa) si è purtroppo affiancato lo zelo degno di miglior causa di chi ha sostenuto l’argomento che, fatta salva la libertà individuale di chiunque, a collaborare con certi fogli si offre loro una legittimazione culturale. Roba da matti: come se ne avessero bisogno. Sono i padroni del paese, navigano da vent’anni con il vento in poppa della più compatta e incontrastata egemonia culturale reazionaria mai vista in epoca moderna (una miscela di razzismo e liberismo, amoralità ipocrita e pragmatismo maneggione, nichilismo e genuflessioni baciapile), intercettano e informano ogni giorno un senso comune largamente maggioritario: sai che se ne fanno della nostra legittimazione. Bene hanno fatto perciò Marco Bascetta e Benedetto Vecchi a riportare il problema alla sua vera altezza: che ne è in concreto del ruolo, della funzione e delle possibilità di vita e di autonomia di chi lavora nella vasta, sfrangiata e contraddittoria galassia della produzione di sapere, linguaggio, immaginario, ideologia? Il “caso Nori” avrebbe dovuto essere discusso solo dai suoi amici intimi: ma davvero vuoi andare a cena lì, non vedi cosa mangiano? Dopo cena cosa fate, il Karaoke o osteria numero venti? Contento te. Rilevanza politica e culturale ce l’ha però il fatto che tante persone intelligenti e benintenzionate siano cadute nella trappola di confermare chi già ne era convinto nell’idea che gli intellettuali sono un ceto terminale e superfluo capace solo di beccarsi come i capponi di Renzo Tramaglino mentre li portano al macello. In questo ha ragione Pierluigi Battista: davvero non hanno di meglio da fare (come lui, che infatti non fa altro da vent’anni)? Un vecchio precetto reazionario suona più o meno: nella disputa vince sempre l’inferiore, perché il superiore si è abbassato a disputare. E’ da respingere, perché non c’è niente di buono da aspettarsi da chi si crede in diritto di essere superiore, fosse pure di sinistra. Però… Però, visto che la modalità retorica dominante dell’ideologia retriva che ci ammorba è il battibecco, un consiglio di prudenza per tutti da ricavare da questa triste faccenda potrebbe essere questo: meno reattività, meno fretta, meno ansia di presenza, non accettare il terreno del nemico (o avversario, come si dice in questi tempi putibondi), il cellulare è spento, il signore non è in casa: se li facessero da soli i battibecchi. Poi bisogna davvero dimostrare di avere altro da fare. Mica facile, vista la situazione, ed è per questo che non c’è proprio tempo da perdere.
(pubblicato su il manifesto 24/01/2010)
Un solo radicale dubbio: questa è l’epoca “della più compatta e incontrastata egemonia culturale reazionaria mai vista in epoca moderna”? La giornata della memoria è passata neanche da un giorno … Ma forse ho studiato su altri testi …
Altra piccola cosetta … È vero, ha ragione Giglioli: puerile e dannosa la polemica su Nori-Libero, avremmo dovuto dedicarci ad altro … Ma perché mai nessuno dice cos’è questo benedetto “altro”?
Non c’è tempo da pardere: ma con che cosa incalzare il tempo?
Chissà, magari basterebbe, ancora una volta, uscire dalla filosofia …
Spengo il battibecco e torno allo strepito delle onde …
sp
Giglioli ha senz’altro in parte ragione, ma non del tutto, se lui stesso è costretto a scrivere un articolo per dire che non vale la pena parlare del caso… certo, lo si potrebbe leggere – e lo io lo leggo così – come la scala da salire per lasciarsi alle spalle… ma quella scala, comunque, in qualche modo è necessaria.
e forse non è un male che le forme di autonomia esistenti si accompagnino comunque ad espressioni di giudizio, valutazione, analisi, senza troppo indugiare in esse…
Egemonia culturale reazionaria? Vi siete accorti che il mondo in cui viviamo è fatto di mescolanza razziale e di confusione sessuale?
– il sapore delle innocue quaestiones assegnate come esercitazioni agli studenti nelle antiche scuole di retorica (si doveva o no fare la guerra per Elena?) –
Appunto, solo Retorica, il problema sarebbe, è davvero esistita quella guerra ? E di quale natura e per Elena ? Chi o quale Elena ? E’ uno dei temi che affronta la studiosa Wendy Doniger in un suo bellissimo testo da poco released per Adelphi, “La differenza sdoppiata”.
“Non c’è da perder tempo” Ma come già detto in altro post, è il tempo, la questione del tempo è il nodo. Ma i cosidetti o autoproclamatisi “intellettuali” di sinistra, e non ce ne sono da troppi anni, ne intellettuali (Agamben a parte) e ne sinistra, si dovrebbe contestare l’uso del tempo, la percezione del tempo e il poco amore per i corpi. Altro che corpo del capo, nessuno si occupa criticamente di economia, dell’origine della matassa, di uno stato che consegna assegno in bianco ad una azienda di vaccini 169 milioni di euro.
“Ma perché mai nessuno dice cos’è questo benedetto “altro”?”
a questo punto anch’io sarei curioso di saperlo ;-)
ma davvero si pensa che a Libero serviva Nori per accreditarsi culturalmente? Scherziamo! Riecco l’intellettuale che sta in cattedra con alle spalle le icone rivoluzionarie e comuniste. L’intellettuale che ci rimette abbassandosi al livello degli hobbit. Hobbit ci sarà lei. Non perdete tempo a scrivere dell’errore di parlare di Libero-Nori.
“Sono i padroni del paese, navigano da vent’anni con il vento in poppa della più compatta e incontrastata egemonia culturale reazionaria mai vista in epoca moderna (una miscela di razzismo e liberismo, amoralità ipocrita e pragmatismo maneggione, nichilismo e genuflessioni baciapile), intercettano e informano ogni giorno un senso comune largamente maggioritario: sai che se ne fanno della nostra legittimazione.”
questo modo di ragionare di Giglioli (che ammiro come critico) mi sembra così italiano, così connaturato alla situazione presente, che mi cascano le braccia;
il tutto condito da una italianissima buona dose di cinismo, e di italianissima sufficienza nei confronti di chi non ha ancora capito come stanno le cose;
cosa ne è se il cittadino (“le Citoyen”) non può esprimere il dissenso, tanto più quando è in gioco la democrazia stessa, in una democrazia? l’intellettuale – pur avendo, e forse è un bene, perso la funzione che aveva in epoche passate – non è prima di tutto un cittadino, che ha il diritto e il dovere di intervenire quando la democrazia è in pericolo, che deve scegliere il suo campo e fare quello che può per evitare la deriva?
si ragiona sempre – questo è un tratto italianissimo – come se il cittadino non avesso alcun peso; quando in realtà il berlusconimo si basa sì sull’ignoranza civica (l’assoluta mancanza di una cultura democratica) di chi – videopilotato – lo vota , come sull’incapacità di esprimere il dissenso da parte di chi non è d’accordo (e anche qui alla base c’è una cultura che non dà peso al cittadino, e ai suoi diritti);
aspettiamo che la sinistra venga a salvarci, e ci lamentiamo che non lo faccia, quando la sinistra siamo noi, i “cittadini” che non sono d’accordo, e che mugugnando accettiamo la situazione presente (cosa cambia se scrivo o meno, e/o se Nori scrive o meno, su Libero?);
in realtà il problema della democrazia, almeno sotto questo punto di vista, mi sembra assolutamente trasversale sia alla destra che alla sinistra;
non mi sembra proprio che possa risiedere nel silenzio la soluzione (anche se capisco bene il ragionamento di Giglioli, e sono sicuro della sua buona fede); come distinguere il silenzio dissenziente da quello consenziente? Baricco sta zitto per pudore o per cos’altro? e gli altri?
una democrazia non può basarsi sulla effimera qualità dei silenzi!
li leggete un po’ i giornali stranieri? in che altro paese questi ragionamenti attecchirebbero?
e comunque i silenzi sono molto delicati, se si considera la tradizione (si veda il fascismo) di codardia e di vigliaccheria degli intellettuali italiani di fronte al potere (lasciamo stare per un momento il loro peso presente più o meno grande);
ma credo che alla radice, anche se si parla di intellettuali, il problema sia sempre lo stesso, una cultura democratica molto fragile;
Questo benedetto altro? Il Papa, naturally, così benedetto, così altro, altro da me. Intanto se dovessi come Gianni Mura dare un voto all’équipe del manifesto darei 5 meno al loro dossier, salvato in calcio d’angolo e a gamba tesa dal nostro andrea inglese. Si però, mi si dirà, lì non pagano mica come da LIbero! E intanto cresce insieme all’industria culturale , l’industrioso intellettuale di sinistra che potrà dire quel che vuole e quando e come, solo se ricco di famiglia. La classe borghese va in paradiso…
effeffe
non mi sembra puerile chiedere a uno scrittore che ti piace come mai pubblica su un giornale che non solo non ti piace (conflitto estetico), ma che veicola la cultura che odi – che ritieni completamente estranea sia a te che allo scrittore che ami – nel modo più volgare e brutale (conflitto politico).
e se è lo scrittore stesso a domandare un dibattito pubblico perché mai dovrebbe essere puerlie acconsentire e dargli corso?
le polemiche si prendono lo spazio che occorre loro per esaurirsi.
alla fine qualcosa se ne sarò ricavato.
il mio cellulare non è spento, sono in casa, ho da fare, ma ho tempo anche per queste cose.
puerile signica “proprio dei bambini”.
ok.
cos’è allora “proprio degli adulti”?
odii
grazie @Sartori
quando ho letto questo post, che sembra spingere le cose più avanti, o addirittura più ” a sinistra” e nel “politico”, in una specie di visione catastrofica del paese che rende inutile ogni partecipazione e anche la ridicolizza, ho pensato anch’io, com’è italiano tutto questo, com’è cinico, come manca ancora da noi l’idea stessa di cittadino, molto prima di quella di sinistra.
siamo, mi pare, ad un buon livello di entropia, con un po’ d’aiuto da parte di tutti possiamo sperare di implodere, sempre che non siamo già implosi…stando ai discorsi sul discorso, parrebbe di sì. siamo al meta-politico, anzi meta del meta: poiché ogni (serio) discorso politico è un metadiscorso. tutto è così “italiano”. lasciamo allora, stando alla finestra, metaparlandoci addosso che gli italiani crepino con tutti i filistei.
se il popolo non ha pane che mangi brioches, per dire.
forse è il caso che qualcuno torni – pur essendo *intellettuale* a sporcarsi le mani di farina, a chiedersi come fare a procacciare il pane. che il mio paese, fatto di tutt’altro che di “brava gente” perisca in questa melma, continua a costituire motivo di angoscia e preoccupazione. su questo argomento tutto quello che ho letto qui e altrove è stato cavilli cavilli e cavilli.
l’onestà, la rettitudine, la coerenza contro la pagnotta-costi-quel-che-costi non è argomento abbastanza elegante, è tagliato con la mannaja, non seziona il capello in quattro. è superato, obsoleto, stantìo. ridiamo peso ai gesti e alle parole che li esprimono. sinistra e destra non vogliono dir nulla solo per chi non ha coraggio o ha smesso di guardare dalla parte in cui dovrebbe.
Però, se mi guardo intorno, se parlo col mio vicino, o col mio collega di lavoro, se poi mi sposto a incrociare il pensiero di qualunque cittadino, uno a caso, poniamo del bidello e del professore universitario, l’humus bestiale dell’avidità senza cultura lo colgo anch’io: anch’io noto che l’egemonia culturale della destra è reale. Qui non è questione di cinismo, ma di guardarsi intorno e di dirsi la verità: sono maggioranza nel paese, e si moltiplicano nelle coscienze; vibrano nella profondità del quotidiano e si diffondono. Hanno il consenso, qualsiasi sia il mezzo con cui lo ottengono. Io contestavo il fatto che una situazione di questo genere, come scrive Giglioli, non si sia “mai vista in epoca moderna”. L’epoca fascista è stata peggio, e di molto, e il fascismo è un fenomeno prettamente moderno. Dopodiché, non mi sento di dare torno a Giglioli quando sottolinea “l’egemonia culturale reazionaria” della destra: che è evidente. Così come è evidente che, almeno a livello di macro-numeri, sia “incontrastata”, visto che molta “sinistra” ne imita alcune istanze o parole d’ordine. Esistono sacche di “resistenza”, certo; cittadini che hanno memoria, che ragionano al di là dello schifo televisivo, che partecipano e che si riempiono i polmoni di dissenso. Ma quanti sono? Quanto incidono sul senso comune? Il “contrasto” è minoritario e resistenziale. Giglioli, poi, per come ho inteso il suo discorso, non mi pare che dica di stare in silenzio, ma di tacere sulla questione Mori-Libero e di spendere il tempo facendo altro. Non è propriamente la stessa cosa. Come ho già scritto, il problema è che cosa sia questo “altro”, che raramente viene declinato con precisione. Però non ha senso imputare a Giglioli una richiesta di silenzio totale …
sp
Ma la questione Mori-Libero è sintomatica, era sintomatica in sé e lo è diventata tanto più quando si sono letti i commenti di condivisione alla sua decisione, quel “e che fa” , “dev’essere libero”, “l’importante e che non cambi una virgola di quel che scrive”.
Come se per una parte importante dei commentatori tutto fosse uguale a tutto. E la libertà un valore decaduto al farsi i fatti propri senza alcun vincolo.
Se di Nori come persona è ora di non parlare più, di Nori come sintomo e simbolo di un modo di intendersi, in questo paese, a mio avviso si dovrebbe parlare ancora.
Perché è un modo vecchio che ritorna.
Spostare l’attenzione a un “altro” dai confini più vasti, così vasti che alla fine sbiadiscono nella retorica, e peggio ancora, nella vaghezza di una posizione più elegante, “superiore”, così “amara” che gira le spalle e se ne va a discutere di cose più interessanti altrove, sarà più cool, ma non più sano.
@ Alcor
guarda che sono d’accordo con te; e infatti ho partecipato alla discussione su Nori-Libero. E dell’articolo di Giglioli (ma invero di tutto il dossier de Il Manifesto) condivido ben poco. Volevo solo far presente che Giglioli non ha invitato al silenzio tout court, come sembra imputargli Sartori, ma solo al silenzio sul caso di specie …
sp
… e comunque il girare le spalle e andare a discutere altrove, se davvero Giglioli lo facesse, potrebbe ugualmente essere interessante. Non è che si possa discutere delle ambiguità di certi intellettuali di “sinistra” solo a partire dal caso Nori-Libero …
sp
Ah, ecco finalmente qualcuno che butta tutto in vacca dall’alto delle pagine del supermarket discount della “sinistra” e che ti infilza con l’arma super partes del cinismo e della sufficienza (bravo Sartori). Che dire, “i tempi sono cambiati”, ergo il cliché dell'”intellettuale-che-scrive-su-un-quotidiano-di-destra” è vecchio, non val la pena guardarci dietro o sotto, interrogarsi su cosa siano oggi la destra e la sinistra, e che caratteristiche debba avere un giornale di sinistra, che poi magari si scopre identità dove si supponevano differenze, e allora sono scoperte amare, che rimetterebbero in discusione anche altre collaborazioni ad altri quotidiani, meglio allora sdoganare tutti, snobbare karaoke e osteria numero venti e seguitare a marciare verso il nuovo radioso sol dell’avvenir, che però anziché a Oriente stavolta porta nel cuore dell’Occidente.
Quel che dice Giglioli nel pezzo che ho postato è per me giusto in linea generale (Roberto, la sua intenzione non è assolutamente sdoganare tutti, anzi: vorrebbe piuttosto poter immaginare una guerriglia: ma il punto critico è: quale?). Ma come, mi sidirà, non ti sei speso in prima linea sul caso Nori? Appunto, il fatto è che manca il punto nello specifico. Ne manca la genealogia. Molto semplicemente, si è presentato un fatto (la collaborazione di Nori), e una serie di commentatori hanno espresso spontaneamente la propria opinione, e spesso le proprie critiche. Tanto è vero che immediatamente in Nazione Indiana abbiamo pensato che questa si poneva come occasione straordinaria – trascendendo il singolo caso – per riflettere su ciò che Giglioli dice, ovvero i rapporti tra i produttori di sapere e il potere, e dal giorno dopo abbiamo cominciato a elaborare una “inchiesta” su questo, con una serie di domande da sottoporre a “intellettuali”. (Siamo colpevolmente in ritardo nell’esposizione di questa inchiesta, per una serie di motivi contingenti).
Non sono d’accordo poi sul fatto che per la destra questo non sia una questione di legittimazione. Per loro è importante, da sempre, strappare alla sinistra degli intellettuali, e farne vanto: da sempre, tanto tra i loro “intellettuali organici” quanto tra i loro politici, i transfughi hanno fatto carriera. E anche se non fosse, resterebbe il fatto – etico e immediatamente politico – che tu il tuo assenso non lo vuoi (devi?) dare a quel discorso. Del resto l’assunto dell’articolo è totalmente condivisibile (e secondo me su questo occorrerebbe confrontarsi a fondo, credo, è un punto decisivo, contro le posizioni della posizione eccezionale auratica dell’intellettuale che ultimamente è tornata fuori da più parti): l’intellettuale non ha uno statuto speciale oggi, né nel bene né nel male. Il suo “dovere” è, esattamente come per tutti gli altri che “intellettuali” non sono, di mantenere una “posizione etica”. La politica comincia da qui, dall’assenso dato a una rappresentazione – per dirla, scivolando sulle parole, con Zenone lo stoico: dal pugno chiuso.
Pierluigi Battista scrive anche questo:
“E infatti anche uno scrittore decide di non scrivere e ritirarsi da un impegno che non può più onorare per non incorrere nel peccato di collaborazionismo culturale. Si tratta di Vincenzo Consolo, che ha deciso di non partecipare con un suo scritto a un’iniziativa einaudiana a favore di Roberto Saviano. E che cos’ha di così scorretto e compromettente il povero Saviano da colpirlo con l’arma dell’ostracismo (letterario)? Questa è la colpa: aver ammesso in un’intervista a Pietrangelo Buttafuoco per Panorama di frequentare autori di destra come Ezra Pound e addirittura Julius Evola? Per non farsi contagiare da chi a sua volta si è fatto volontariamente contagiare, Consolo decide di astenersi per punire Saviano della sua indisciplinata propensione a leggere autori democraticamente infrequentabili.”
“cosa ne è se il cittadino (“le Citoyen”) non può esprimere il dissenso, tanto più quando è in gioco la democrazia stessa, in una democrazia? l’intellettuale – pur avendo, e forse è un bene, perso la funzione che aveva in epoche passate – non è prima di tutto un cittadino, che ha il diritto e il dovere di intervenire quando la democrazia è in pericolo, che deve scegliere il suo campo e fare quello che può per evitare la deriva?”
si, perfettamente d’accordo – e in linea con il vecchio Orwell
@ Marco Rovelli
Mi spiace ma l’amico Daniele Giglioli ha scritto un pezzo, invece, del tutto incondivisibile. Concludere che “non c’è tempo da perdere” significa incorniciare con un fervorino che più generico non si può, in omaggio allo spirito di bandiera diciamo, un pezzo che per il resto mi sarei invece aspettato – per toni e contenuti – piuttosto da un Marc Fumaroli, che non da chi tempo fa vergò un incandescente manifesto del “critico come casseur” (e allora, visto il tenore questo séguito, è davvero impossibile non chiedergli a cosa “altro”, di grazia, non sarebbe “puerile” dedicarsi: che cosa esattamente sia intenzionato a sfasciare, il “casseur” che qui tende ad assomigliare piuttosto a Des Esseintes che ha perso lo spazzolino – “il signore ha il cellulare spento”: sì, anch’io ho pensato alle brioches di Antoinette…).
Tanto è vero che – all’atto pratico – la sua posizione finisce per coincidere – a cinico cinico e mezzo – con quella di Pigi Battista (definito non per caso “esemplare”): che ieri addirittura pretendeva di sindacare su cosa un libraio sceglie di offrire ai suoi clienti.
Certo che c’è un’egemonia culturale di destra. Non è ancora del tutto “incontrastata”, per fortuna. Ma pezzi come questo non incoraggiano a fare più alcunché, per contrastarla.
sono perfettamente d’accordo con quanto, più su, replica Sartori. (poi la questione dei “silenzi” è, effettivamente, complicata, e giudicabile credo a posteriori). (però baricco no, dai, qui prodest?)
cui prodest, etc.
ho toccato anch’io la questione:
http://beppesebaste.blogspot.com/2010/01/gli-avatara-nascosti-rubrica.html
ciao agli amici di NI, beppe s.
Oggi, sul Venerdì di Repubblica, tre cittadini (grazie a Sartori, io il suo intervento lo metterei in homepage…) scrivono:
Caro Serra, a Sassuolo (Modena) le ultime elezioni sono state vinte dal centrodestra […]. Nonostante la scontata dichiarazione del vincitore “sarò il sindaco di tutti”, siamo già all’epurazione delle voci di dissenso. Tra i quotidiani della Biblioteca comunale è improvvisamente sparito Repubblica.
Agli utenti non è stata fornita motivazione e nessun atto ufficiale è stato firmato dagli amministratori. La motivazione di un risparmio non regge perché al posto di Repubblica sono arrivati Libero e Il Giornale. Se la scelta fosse stata quella di ampliare l’offerta, nessuno avrebbe avuto a ridire. E’ bene ricordare, in accordo con l’Associazione italiana biblioteche, che devono essere garantiti la pluralità delle opinioni e l’accesso senza pregiudiziali ideologiche “a ogni genere di conoscenza e informazione”, come recita il Manifesto Unesco per le biblioteche pubbliche”.
Serra, tra le altre cose, scrive:
“[…] Repubblica contende al Corriere il primato tra i quotidiani nazionali, e solo per questo dovrebbe fisiologicamente apparire tra le testate di servizio. Lo sa il sindaco di Sassuolo? Forse sì, ma l’istinto di “punire il nemico”, e favorire l’amico, è più forte di qualunque valutazione di pubblico interesse”.
*
Dovremmo occuparci di altro. Quale altro, di grazia, sarebbe rimasto di cui occuparci?
Forse quello di continuare a stare a guardare?
Confesso di non aver seguito bene il caso di Libero, ma in generale penso che siano più interessanti quegli interventi, come questo di Giglioli o quelli di Inglese, che prendono in considerazione il quadro generale, la situazione effettiva del paese e della sua industria culturale. Credo però che la domanda posta da Sp su cosa sia quell’altro di cui parla Gigliotti sia una questione fondamentale su cui non si possa glissare.
Ecco per gioco a mo’ di letterina a babbo natale mi permetto di indicare un due o tre ‘altri’ su cui sarebbe urgente dibattere:
a) sulla natura del caso italiano: è vero, come sostiene la cultura liberale che oggi fornisce l’ossatura culturale alla nostra opposizione, che Berlusconi rappresenta una tipica stortura italiana, che isola di fatto il nostro paese dalresto dell’occidente e se sì, come si spiega che questo fenomeno arriva proprio dalle regioni più sviluppate e più europee del paese?
b) quali sono gli aspetti della nostra tradizione culturale che possono favorire lo sviluppo di una cultura più mescolata e che dia senso di appartenza anche ai nuovi italiani provenienti da altri paesi?
c) è giusto e conveniente che qualsiasi discorso o elemento dia fastidio o sembri dare fastidio a Berlusconi venga considerato ipso facto come partecipe di un modello alternativo alla solida egemonia reazionaria? ( ammetto che questo è un tema che riguardi prima di tutta la politica professionale, visto che l’ultimo govermo Prodi è stata abbattuto con il voto decisivo dei senatori Degregorio, Dini, Mastella e Fisichella, tutti eletti con il centrosinistra e tutti provenienti dal centrodestra; ma penso che anche nella cultura abbia operato una logica inclusiva del genere).
d) Berlusconi ha inventato l’industria culturale in Italia o l’industria culturale in Italia ha reso possibile l’avvento di Berlusconi?
Io sono chiaramente un sognatore lontano dalla praxis raffinata di chi sa come navigare il mondo mediatico, ma ho l’ingenuità di credere che forse dibattiti del genere contribuirebbero a riaprire un discorso critico nella cultura di sinistra italiana e avrebbero un’importante funzione nel compito concreto e politico di una cultura di sinistra che è la critica dell’ideologia.
@ Cortellessa (e Mascitelli, indirettamente)
concordo quando scrive su Il Manifesto (26 gennaio) che “collaborare a un giornale significhi partecipare a uno sforzo comunicativo che ha anzitutto fini politico-culturali”. Ma allora perché, lei che si ritiene di sinistra, collabora con La Stampa? Guardi che la mia domanda non è provocatoria. Sì, Libero afferma e contribuisce a sviluppare “un senso comune razzista, omofobo e fondamentalista”; qual è il senso comune che veicola La Stampa? È davvero così innocente confermare l’idea che il più grande gruppo industriale italiano possa tranquillamente disporre a proprio piacimento della forza-lavoro altrui? Senza contare poi le ricadute sul tipo di sviluppo proposto dalla “busiarda” in questi anni, a dir poco criminale dal lato dell’ecologia … Ma c’è dell’altro, e ben più sostanziale: siamo così convinti che Libero e La Stampa (e Repubblica etc.) non siano complementari? Che non facciano, cioè, da diverse prospettive, lo stesso gioco? Ora, se la necessità principale per il “potere”, oggi, è ristrutturare il sistema economico per fare fronte alla crisi, questa necessità in che modo si riflette negli ambiti sociale e culturale? Rendere innocue le forme democratiche, sradicare ogni conflitto, cancellare ogni idea di giustizia sociale, impoverire le coscienze: queste sono le forme fenomeniche di un processo complesso che ha al centro la funzionalizzazione di ogni comparto al “capitale totale”. A livello culturale non servono intellettuali, ma imbonitori; si deve diffondere la menzogna e “disumanizzare gli individui” affinché venga meno ogni consapevolezza della posta in gioco. No, se questa è la realtà, Libero e La Stampa concorrono (con stili certamente diversi) allo stesso obiettivo: socializzare le perdite, privatizzare i guadagni. Davvero, non voglio essere provocatorio; però ci vedo una contraddizione tra il dirsi di sinistra e collaborare con quello che è il giornale padronale per eccellenza … Io, comunque, non voglio giudicare nessuno; precisare i contorni può permetterci di costruire risposte collettive alle domande fondamentali poste da Mascitelli. Altrimenti continueremo a sbagliare mira …
sp
@ Andrea Cortellessa
Forse sono stato troppo ellittico nell’esprimere quel che per me è condivisibile. Insomma, io (come te, Andrea Inglese, ecc) mi sono speso per una “battaglia” che Daniele Giglioli definisce puerile e che secondo me è necessaria. Su questo, il dissenso è netto: sono convinto che la causa del nostro zelo sia assolutamente buona… (Lo davo per scontato). Mi pare importante, invece, il discorso che dice: proviamo a pensare traiettorie che si sottraggano all’egemonia di un complesso culturale soffocante, che impone anche l’agenda non solo nel senso dei contenuti ma anche proprio dello strumento, ché l’agenda la tiene in mano lui. E’ questa tensione di fondo – che si basa mi pare su una nozione dello statuto dell’intellettuale come un “lavoratore della conoscenza” che non fa eccezione rispetto agli altri lavoratori (e questo è il punto di maggior condivisione) – che mi convince, ecco. Come concretizzare? Questo sta alle scelte di ciascuno di noi, le mie, le tue, Andrea. E magari anche l’inchiesta che abbiamo in cantiere potrebbe dare un contributo in questo senso.
@ sp
Lei non è affatto provocatorio e la sua domanda è più che lecita (anzi, mi stupisce che arrivi solo ora; per la verità Nori in privato me l’ha fatta il giorno stesso in cui è iniziata la discussione). Io sono dell’idea che sia un favore fatto ai nostri avversari sostenere che tutti, indistantamente e allo stesso titolo, siano nostri avversari. Per me la prima cosa da fare è distinguere: Libero non equivale alla Stampa e neppure al Sole 24 ore. La Stampa, come il Corriere (e per questo mi fa tanto specie che alle posizioni di Battista, lì, non replichi nessuno; io ho provato a chiedere uno spazio di replica e non sono riuscito neppure a parlare con un responsabile), sono giornali sicuramente non schierati a sinistra; sono anzi storica e coerente espressione del capitalismo italiano (i famosi “salotti buoni” ai quali tanto ardentemente Berlusconi per anni ha voluto avere accesso): e in quanto tali hanno conosciuto stagioni di virulento reazionarismo (penso alla Stampa durante le fasi più tese della lotta sindacale tra fine Sessanta e inizio Settanta o, ricordava Nori, al Corriere durante lo scontro del ’60 col governo Tambroni). Ma, ricordava altresì qualcun altro, hanno conosciuto anche stagioni di inopinata apertura a toni e temi della sinistra anche estrema (il mai troppo rimpianto Corriere di Ottone “e Pasolini”). E anche oggi, considerato il catastrofico spostamento a destra della nostra opinione pubblica, mi pare che su certi temi (per es. la politica estera) La Stampa non abbia nulla da invidiare all’Unità o a Repubblica. Sono media “generalisti”, insomma: in quanto tali terreno ideale per condurvi un dibattito il più possibile franco e pluralista.
Il che non vuol dire, beninteso, che collaborarvi sia tutto rose e fiori. Ma portare lì dentro, e non altrove, certi temi e certe voci ha il senso, appunto, di combattere l’egemonia culturale di destra: su un terreno, voglio dire, che non è quello pregiudizialmente favorevole di testate (dove pure ho scritto per anni) come Linea d’ombra, Diario della settimana, l’Unità e il manifesto. Io sono molto fiero, per es., di aver intervistato sulla Stampa nel 2007 (nel momento più delirante dell’emergenzialismo immigrati, seguito al delitto Reggiani) Giorgio Agamben (cfr. http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/cultura/200711articoli/27932girata.asp): il quale ha avuto modo di criticarvi con forza le politiche della destra, della cosiddetta sinistra allora al governo, e persino dei media italiani (cioè chi ci stava ospitando in quel momento). Un’intervista che è stata ripresa da decine di blog italiani e da un’importante testata francese (la Revue internationale des livres et des idées: http://revuedeslivres.net/articles.php?idArt=118&PHPSESSID=c1c2945f225a5910c2db10f6c6889e93).
Ma soprattutto mi illudo che – nel mio terreno specifico, quello dove meglio mi muovo e so operare – abbia un senso squisitamente politico anche, se non soprattutto, tenere aperto su un altro terreno “generalista” come Tuttolibri uno spazio per la piccola editoria e la letteratura “di ricerca”. Naturalmente non sta a me dire se ci riesco davvero, e se dunque il mio lavoro abbia un senso. Ma se lo svolgo è perché ci credo.
@ Marco Rovelli
Davi per scontato che la causa del nostro zelo fosse buona; ma Daniele no. (E, mi pare, neppure Marco Dotti: uscito sul manifesto di ieri con un articolo del quale molto francamente non ho capito il senso. Dal che si vede – a dispetto dei fervorini di Pigi Battista – come e quanto la sinistra si metta in discussione. Pure troppo, come ahinoi sappiamo bene.)
Che poi il “caso Nori” vada usato come grimaldello per aprire una riflessione a più ampio raggio, sono io a darlo per scontato. Forse vale la pena precisare (visto che in rete ne ho lette di tutti i colori) che personalmente io non ce l’ho affatto con Nori. La mia stima per lui come scrittore resta invariata (su di lui ho scritto dieci articoli in dieci anni; l’ultimo dopo la discussione su Libero; uscirà sul primo numero del nuovo Stilos, credo la prossima settimana), anche se ovviamente dissento da questa sua scelta. Ma a me non interessa continuare a interrogare una persona che di questa scelta ha scritto a più riprese sul suo blog e ha condotto insieme a me un dibattito pubblico di tre ore. Francamente quel che dovevamo dire, sul merito, abbiamo detto entrambi. A questo punto interessa invece, appunto, allargare il fuoco del nostro sguardo. Per questo ho molto apprezzato l’intervento di Helena Janeczek sul lavoro editoriale, e mi piacerebbe che Vincenzo Ostuni (con le cui idee, al riguardo, non concordo) formalizzasse, qui o altrove, il suo pensiero. Per questo ho persino apprezzato, a denti stretti, il pezzo di Emanuele Trevi uscito sempre sul manifesto di ieri; anche se, com’è forse ovvio, dissento radicalmente dal suo punto di vista. Insomma, saranno argomenti puerili per chi dà del tu a Nietzsche e Robespierre; ma restare un po’ coi piedi per terra e muovere da concreti casi personali (“privato e perciò concreto”, metodologicamente insegnava il Pasolini di Lettere luterane) aiutra a conferire, ai massimi sistemi, una temperatura un po’ più alta del tono blasé del casseur col cellulare spento.
@ Marco Rovelli,
vedi, Marco, leggendo il pezzo di Giglioli mi è venuto un attacco di orticaria virulens per cosa dice e anche per come lo dice. Per cosa dice, perché su un argomento così sfaccettato (e forse sovrastimato: in soldoni io ritengo che la differenza tra il collaborare a “Libero” & Co. e a “Repubblica” & Co. sia solo faccenda di raffinatezza e intelligenza – a favore della seconda -, ma che l’essere di sinistra c’entri poco) lasciare la parola dirimente al solo Battista, oltreché a lui stesso, be’, mi pare un po’ eccessivo. Per come lo dice, perché tutto impegnato nell’ironia (e cinismo, Sartori dixit) del discorso, professorinale (oggi abbondano i professorini smaliziati, che ne sanno di più dei poveri karaokisti e che ti dicono: non è questo il punto, senza poi centrarlo, il punto), non ti fa capire bene (almeno a me) dove voglia andare a parare.
E, rozzamente, aggiungo: se non ci fosse “Libero” e “il Giornale” bisognerebbe inventarli. Perché? Premesso che personalmente non compro più giornali, ma leggo gli articoli rimbalzati in rete, be’, da quello che leggo del “Giornale” di politica estera, viene fuori un aspetto interessante del mosaico geostrategico mondiale, questa destra, per ragioni di gioco politico, non di ideali (che non ha), certo, per difendere il Berluska, certo, non si perita di fare le bucce alla superpotenza monopolare (ultimamente “caso” Bertolaso, accordo Eni-Gazprom, ottimo a livello di sovranità nazionale, i retroscena di “mani pulite”, ecc.), cosa che altri giornali non fanno. Per quanto riguarda poi l’informazione sull’America Latina dei vari “repubblica”, “corriere” (e talvolta “manifesto”), be’, è una cosa che io considero semplicemente vergognosa.
@ Cortellessa
lei mi conferma, anche se indirettamente, il mio sospetto: che non ci sia condivisione sulle caratteristiche fondamentali di quest’epoca. Il segnale è la frase che scrive sulla politica estera de La Stampa. Immagino si riferisca alle bordate fatte partire contro la politica esterna del governo Berlusconi. Se è così, se cioè riesco a leggere tra le righe di quello che scrive, e proprio con l’intento di porre ulteriori tasselli per rispondere alle domande di Mascitelli, le chiedo: quanto conta il conflitto tra i vertici Fiat e Berlusconi? Voglio dire, la posizione de La Stampa sulla politica estera rispecchia fedelmente la posizione della proprietà, in questa fase in rotta di collisione con alcune scelte del governo, a partire almeno dal “silenzio” di quest’ultimo nel caso Magna. Come credo lei sappia, la Fiat ha “cuore americano, portafoglio lussemburghese e sudore italiano”. E il “cuore”, ultimamente, ha sgridato più volte il governo; lo ha fatto energicamente, ad esempio, per la scelta di bypassare il Nabucco a favore del Nord Stream. Da qui, da questi fatti molto materiali, legati a scelte concrete, discende la posizione de La Stampa in politica estera, che è per l’appunto la posizione della Fiat. Perché la sinistra dovrebbe sostenere questo punto di vista? Ora, io so bene, me ne accorgo tutti i giorni (dalle dichiarazioni, dai programmi, da tutto), che la cd “sinistra moderata” è filo-americana, così come era filo-Blair quando questi godeva di buona salute (e infatti tacciono sul processo – importantissimo! – che sta subendo per le menzogne sull’Iraq); ho però il sospetto che molto del plauso che si concede a certe testate quando, in qualche modo, riprendono Berlusconi sia miope, non sia cioè in grado di cogliere che il conflitto non è per aprire uno sviluppo differente alla società, ma per privilegiare certi comparti produttivi (e finanziari) a scapito di altri. Credo insomma che sia una lotta interna a un fronte che non è il nostro, che non dovrebbe riguardarci. Guardi, e glielo dico brutalmente, anche a costo di prendermi del demodé, io credo ancora all’esistenza delle classi e quindi, come logica conseguenza di questo mio pensiero poco originale, credo anche che vada condotta una precipua analisi della loro “composizione”, almeno per stabilire chi sono gli amici e chi sono i nemici. Dal che ne consegue che oggi, in questa particolare fase storica, Berlusconi è il primo nemico, nn foss’altro perché è al governo, ma non è il solo; la Fiat è un altro … Dal mio punto di vista, quindi, Libero e La Stampa portano avanti pensieri che non sono i miei, che non potranno mai esserlo. Lei ha chiesto a Nori, sempre su Il Manifesto del 26 gennaio, se si sentisse libero di parlare su Libero di Rosarno o di Veronica Lario … Lei si sentirebbe libero di scrivere, su La Stampa, della bontà degli argomenti dei No TAV o del vergognoso ricatto di Termini Imerese?
Sp
PS: Se per caso la sua frase sulla politica esterna de La Stampa voleva intendere qualcosa di diverso da quanto da me intravisto, me ne scuso; quello che ho scritto può comunque funzionare lo stesso per aggiungere polpa alle risposte dovute a Mascitelli.
[Vedo solo ora il commento di Bugliani, che mi pare coincida con certe cose che ho scritto io]
@ sp
Ho pur detto che collaborare a un giornale come La Stampa non è precisamente rose e fiori; ma ho spiegato perché, politicamente, per me abbia senso farlo. Ho anche detto che la sua pagina di esteri, a mio modo di vedere, non ha nulla da invidiare a quella di Repubblica, ma non ho detto che io la farei così (del resto non sarei certo in grado di farla); d’altra parte piuttosto spesso non sono d’accordo neppure con quello che scrive, al riguardo, il manifesto. Penso altresì che se si usa lo strumento della dietrologia che usa lei, per decodificare ogni singolo atto linguistico di qualsiasi giornale, nessuno resterebbe illeso. Vede, “collaborare a un giornale” significa che, senza identificarsi al mille per mille con quel che sostiene quel giornale (perché per quanto mi riguarda – e credo riguardi tutti coloro che indulgono ancora al vizio di pensare con la propria testa – non c’è giornale con la cui linea io mi identifichi al mille per mille: fortunatamente), non ci si vergogna di “collaborare” alla sua proposta culturale (e dunque, in ultima analisi, politica). Lei, se ho ben capito, si vergognerebbe a scrivere sulla Stampa quanto su Libero; io, come ho detto e come è poi evidente dal fatto che ci scrivo da cinque anni, no.
@ sp
Aggiungo che non avrei molta competenza per trattare del No TAV (questione sulla quale temo peraltro che non la pensiamo allo stesso modo) o di Termini Imerese. Restando nel mio specifico: un paio di volte, sulla Stampa, m’è capitato di punzecchiare Alain Elkann. E nessuno ha avuto niente da ridire.
@ Cortellessa
il vero lato buffo della questione – e poi chiudo che devo uscire per andare a lavorare (faccio i turni, sì, mi tocca per necessità) – è quando scrive che “collaborare a un giornale significa che, senza identificarsi al mille per mille con quel che sostiene quel giornale (…) non ci si vergogna di collaborare alla sua proposta culturale (e dunque, in ultima analisi, politica)”. Nori potrebbe scrivere lo stesso.
In ogni caso, e per di più da torinese, mi rifiuterei di scrivere su La Stampa, sì.
sp
… ma la domanda a Nori su Rosarno e Veronica Lario l’ha posta lei, non io; immagino che Nori possa dire lo stesso: no competente …
sp
@ sp
Ecco, l’ha detto: Nori non si vergogna di scrivere su Libero. E’ questo il punto. Per me è impossibile non vergognarsi di scrivere su Libero; per lei è lo stesso con La Stampa: vuol dire che la pensiamo diversamente. Su come Veronica Lario è stata trattata da Libero, e sulla visione del mondo che esprime quella copertina, mi illudo però che siano “competenti” tutte le cittadine e tutti i cittadini. Mi citi, se può, una copertina della Stampa paragonabile a quella.
@antonello cassano, effeffe:
Se è vero che la classe borghese va in paradiso, gli intellettuali intransigenti come Consolo (e quindi oggi obsoleti nella loro radicalità) sembrano destinati all’inferno con buona pace di destra e sinistra?
Ai tempi di Pasolini, Moravia e Consolo, si tenne un convegno a cui era invitato pure Ezra Pound e loro, appena arrivò Pound, si alzarono e lasciarono l’aula per protesta. Erano altri tempi, d’accordo, ma oggi tutto può essere legittimo e giustificabile. Bah!
@ schillo
Loro chi?
http://www.youtube.com/watch?v=0YJSG1C3sF8
@ sp,
ho l’impressione che bazzichiamo gli stessi blog “eretici”: COeS e CDC?
Quella frase sul cuore americano di Markjonne e Fiat…
scusate l’intromissione. Andrea: certo, il mio articolo non aveva un senso compiuto, ma non fraintendermi (e oltretutto non c’era nulla contro di te, lo dico a scanso di equivoci). Sono d’accordo con voi, a prescindere, anche se non ho capito quale sia la questione. Nori? (i suoi lettori come la pensano? Continueranno a leggerlo, credo, è nel “personaggio-Nori” l’opzione di provocare era implicita) Libero? Einaudi? Il manifesto? Elena? Credo, semplicemente: non ci stiamo capendo nulla di nulla, sul contesto in cui tutto ciò avviene. Non dico sia inutile dibatterne, dico che se non capiamo la “cornice” in cui più o meno siamo immersi, è come discutere di libertà di stampa, mentre qualche apprendista stregone di appresta a mettere il copyright sulla parola “libertà”, dopo aver messo le materialissime mani sulla stampa. Sono d’accordo con Marco Rovelli: perché distinguere i lavoratori della conoscenza dagli altri? Vecchia polemica, che ha devastato il movimento operaio del secolo scorso. [E’ uscito, di Josef Dietzgen, “L’essenza del lavoro mentale umano”, un testo del 1869, edito ora da mimesis: Dietzgen era un ciabattino, e secondo i detti (anche italioti), il ciabattino dovrebbe fare solo e semplicemente il suo mestiere. Beh, questo è un libro che parla esattamente di questo: lavoro cognitivo]. Oggi, nelle redazioni dei giornali, il lavoro è essenzialmente non-cognitivo. Chi ci lavora: taglia e incolla notizie di agenzia, e per le “opinioni”, appalta sottocosto all’esterno. Tutto lecito, purché si sappia chi controlla chi, mentre invece il circo gira a vuoto e il controllore si sente controllato e i controllati si illudono di fare i controllori. Ovunque. Il mio innocuo e a tratti patetico articolo, da “sinistra”, è un esempio di questo lavoro a cottimo e un segno di questa confusione (che faccio integralmente mia, non voglio coinvolgere altri nelle mie “menate”: l’articolo mi è stato chiesto e io l’ho scritto, come faccio sempre: ad azione, replico con la classica reazione, sperando o illudendomi che prima o poi vada in tilt, questa cosa banale. Ma nessuno, diceva Lec, ha mai chiesto all’antitesi e alla tesi se vogliono diventare sintesi, figuriamoci se lo chiederanno a “noi”). Nori ha deciso di vendere a altri le cose che scrive? Non lo biasimo, né lo giudico, dico che è su questa esternalizzazione che mi interessa ragionare. Altrimenti potremmo ragionare delle femministe che scrivono su Grazia o dei comunisti che scrivevano sul Sole 24 ore. E saremmo sempre al punto di partenza Tutto qui il mio discorso. E comunque non reputo mai inutile porre problemi, e voi comunque un problema l’avete posto (salvo poi capire che i problemi sono tanti, ma proprio tanti, anche nelle zone franche o case matte della sinistra).
Un abbraccio a tutti/e.
Non so se rispondo ai post, alle mail di certo, ma vi leggo e vi seguo.
PS: Leo Festinger elaborò, qualche decennio or sono, il principio di dissonanza cognitiva. Credo si applichi a meraviglia anche a noi (a me, quanto meno).
io invece trovo che in corpore vili sia bello succoso e divertente (dalla responsabilità dello scrittore all’idiota, passando per bascetta e vecchi, questi ultimi 2 mi son piaciuti parecchio) peccato che marco, qui, (ci hai provato: ciao:) non sia riuscito a scalfire il punto (torna, ricorre, aleggia, risplende in parecchi pezzi il narcisismo), la roccaforte (più o meno mascherata) dello statuto speciale “dell’intellettuale”. Un regalino, marco,
la muffa policefalo melmosa
Non so, non capisco, mi torna ogni tanto la sensazione che l’intelligenza offuschi la mente, e non sarebbe la prima volta.
Anche ieri sera ho visto una trasmissione in cui Cacciari diceva che destra e sinistra non esistono più, sua vecchia tesi.
E anche l’intervento qua sopra, le contempla più che altro sentimentalmente
Eh no, cari miei, molto lavoro che una volta si poteva definire “intellettuale” e dargli una patina di autonomia è diventato non-cognitivo da un pezzo, non da oggi, e soprattutto è lavoro dipendente, non controllato da chi lo fa, dai nuovi operai della fabbrica mentale.
Ma il lavoro dell’autore non è dipendente come il lavoro del redattore di un giornale, lo è in una maniera diversa che fa una certa differenza.
Se la sinistra, e il sindacato prima ancora, che avrebbe il compito di organizzarli, questi nuovi operai, questi nuovi proletari, precari, trentenni senza statuto, e che con la scomparsa della sua classe di riferimento, quella operaia, si è presa uno sturbo e si è sbandata a sua volta ricominciasse a pensare nuove categorie, si vedrebbe eccome che destra e sinistra esistono ancora, perché ci sono ancora ricchi e poveri, potenti e impotenti, gente che possiede il proprio lavoro e gente che vende la mente come un tempo vendeva la forza fisica del suo lavoro, come sempre.
Le cose non sono cambiate, è che dipendono dai nomi che gli si da.
Venuti a mancare i vecchi nomi, i distratti credono che sia venuto a mancare l’oggetto.
Strofinatevi gli occhi.
@ marco dotti
Ancora non ho letto il suo articolo sul manifesto (e neppure quello di trevi) ma mi complimento con lei: ha detto, in questo piccolo commento, delle cose di grande intelligenza e soprattutto non banali (cosa ancora più difficile e rara). la ringrazio
georgia
Questo è un bel regalo Gina :-) [una specie di Eywa, no? Vabbé, a me Avatar è piaciuto un sacco, mi sono riempito gli occhi]
Non so gli altri lettori, ma io sono una lettrice. Libero mi rifiuto di considerarlo un “giornale” e Nori non lo leggerò.
alcor cosa è peggio, cosa infetta di più, leggersi nori sul suo blog (anche se il pezzo è uscito su libero) o guardarsi, comodamente in poltrona, una trasmissione oscena come quella del cialtroncello Paragone ex direttore della padania e giornalista di libero? Considerato poi che una cosa è leggere (che bene o male lascia vigile il senso critico potendo sempre andare indietro per cotrollare le bestialità) e un’altra guardare la televisione passivamente, tanto passivamente che poi una volta passata una simile indegna oretta si preferisce infierire su cacciari che sulla trasmissione;-)
Anche ieri sera ho visto una trasmissione in cui Cacciari diceva che destra e sinistra non esistono più, sua vecchia tesi. alcor
maria
Probabilmente è anche l’idea del neoconduttore, tal Gianluigi Paragone, prima direttore dell’orrida Padania e poi approdato a rai due, dopo aver transitato per il Giornale o Libero, non ricordo bene.
Vedo, però, che non si disdegna di seguire tale immondezzaio, come non si disdegna di parteciparvi accanto a Cota e a Capezzone.
Ed io non dovrei leggere Nori perchè collabora a Libero?
No, io lo leggo eccome, tanto per rispondere a Dotti che si chiedeva cosa pensassero i suoi lettori:-)
consiglierei a Emanuele Trevi – parafrasando quanto scrive in quel pezzo – di lasciare al proprio destino di paludi e di fango le testate e gli scrittori di sinistra, e di abbandonarsi fumatamente alla paraculaggine ‘idiota’ ( una vera minkiata di ovvietà autoassolvente ) e di raggiungere placidamente Nori nella morbida calda ben retribuita merda presente .
Scrive Dotti: «Nori ha deciso di vendere a altri le cose che scrive? Non lo biasimo, né lo giudico, dico che è su questa esternalizzazione che mi interessa ragionare».
Va bene, proviamoci.
Butto lì un primo dato.
Oggi non esistono più le «case politiche» dove ritrovarsi coi propri simili, non ci sono più i fortini ideologici dai quali si poteva sparare sul nemico (comune) e anche compiere sortite con la garanzia di un fuoco di copertura.
Non esistono più presidi culturali, scuole, maestri o, se esistono non contano più molto, hanno perso la capacità attrattiva e gravitazionale di un tempo.
Non ci si trova più a cena a discutere la linea del partito nella certezza (probabilmente, anzi sicuramente illusoria) di avere in comune almeno l’obbiettivo politico finale, cioè la trasformazione in senso socialista della società (e del mondo).
Tutto questo, con la quota terrificante di malintesi e ipocrisia e opportunismo che conteneva, non c’è più.
Oggi si nasce soli e si muore soli, non esistono case che ci accolgano alla sola condizione di adeguarci, nei fatti, alla loro linea e mettendo da parte eventuali dissensi in vista dell’obbiettivo politico (di breve, di media, di lunga durata) comune.
Cosa c’è oggi?
Da qui, al di fuori della potentissima domus berlusconiana, della sua capacità di deformazione giornaliera della politica e della sua devastante pervasività mediatica, vedo il dato generale della dis-appartenenza, una dis-appartenenza che mi sembra accomuni Nori, Cortellessa e quasi tutti noi.
Ciascuno loro parla per sé, nessuno oggi esprime posizioni dettate più o meno direttamente da una linea politica.
Sono pronto scommettere che nessuno dei due ha in tasca una tessera di partito. Nessuno dei due è coperto da nessuno.
Ambedue vivono, come moltissimi di noi semplici cives, artisti, intellettuali, tecnici, operatori (culturali e non) dei settori più vari, la condizione della dis-appartenenza.
E questa condizione la vivono in un Paese che appartiene sempre di più a un blocco politico-mediatico-aziendale che ha intenzioni egemoniche di lunga durata.
Muoversi allo scoperto su un territorio ostile, privi di difese, senza una casa politica, ciascuno per proprio conto, quindi ciascuno per i propri scopi e convenienze, con-dividendo solo un sentimento (molto diversificato) di avversione al leghismo- berlusconismo, potrà piacere a coloro che hanno il mito della «libertà espressiva» individuale («finché sono libero di scrivere quello che voglio…»), quelli che «pensano con la propria testa», gli apoti, quelli che «non la bevono», ma in linea di massima crea un problema non piccolo a tutti quelli che vorrebbero anche fare qualcosa di concreto, di politicamente rilevante, per opporsi allo status quo.
Questa nuova condizione (nuova per chi ha esperito la maggior parte della propria esistenza nella vecchia condizione), che definirei di una perduta coincidenza tra identità politica e identità culturale, se è nuova per noi non lo è per altri paesi, come per esempio gli Stati Uniti, dove le appartenenze politiche sono labili almeno quanto sono strumentali ed efficaci le aggregazioni e le alleanze temporanee su obbiettivi politici precisi e circoscritti nel tempo, come eleggere un presidente, fermare una legge, appoggiare una riforma, eccetera.
L’organizzazione della politica e della cultura nell’Italia del Secondo Novecento si basava invece,come tutti sanno, sull’appartenenza ad almeno quattro diversi filum (fila?) politico culturali.
Quello di tradizione cattolica, quello social-comunista, quello liberale e quello fascista a cui bisogna aggiungere tutte le possibili ibridazioni tra questi che a tutti gli effetti erano veri e propri mondi ideologici che tutti noi, con minore o maggiore coinvolgimento, abbiamo abitato.
Era difficile a quel tempo tenersi davvero fuori da questa case, vale a dire abitare uno spazio esterno, una terra di nessuno in cui il pensare potesse essere del tutto autonomo e forse autenticamente libero.
Personalmente ancora oggi dubito che esista un libero pensiero e diffido di chi si dichiara «libero pensatore»: pensare significa elaborare idee in gran parte altrui e inventare significa di solito combinare il già pensato, magari in modo inedito e originale.
Non voglio dilungarmi in questa immagine del Paese di allora, non voglio approfondire l’analisi ed emettere giudizi storici su quella stagione, né ne sarei capace, ma è del tutto evidente che oggi le cose stanno molto diversamente.
Oggi la permanenza nello spazio esterno, fuori dalle ormai deboli e quasi inesistenti internità delle case politico-ideologiche, è una condizione abbastanza comune.
Ma c’è una novità: lo spazio esterno, non ostante a qualcuno appaia come uno spazio libero, in realtà è fortemente ideologizzato, in quanto non sfugge (non deve sfuggire) al progetto egemonico di cui sopra.
Anzi, è proprio su questo spazio di (apparente?) dis-appartenenza che si applica con maggior forza la politica culturale del Partito-Azienda, il cui progetto è costruirvi un senso di comune equidistanza che faccia da premessa all’arruolamento sempre più largo delle menti: chi non può essere lavorato con la tv può esserlo con altri mezzi, più consoni e senza dargli l’impressione di forzare (per adesso).
Ma (se davvero esiste) la dis-appartenenza avrebbe almeno due o tre conseguenze.
La prima è l’individuazione in ciascuno di noi di un perno etico-politico sul quale fissare il proprio agire quotidiano, che per statuto è fatto di contingenze e tentazioni contraddittorie, a volte apparentemente innocue, in realtà spesso vere e proprie spinte verso l’ottundimento della percezione individuale dell’anomalia.
La seconda è il tracciamento nella propria «coscienza» (uso questa parola in mancanza di un termine più appropriato) di un limes percettivo, oltre il quale «sentire» la contraddizione tra quello che si è e il paese in cui si vive, una linea oltrepassata la quale non ci si possa consentire alcun tipo di consenso, neanche parziale, verso il potere vigente, che annovera tra le sua particolarità quello di essere inclusivo.
La terza è in parole povere una cosa che oggi per i più giovani (di allevamento «individualista») sembra inconcepibile: la necessità di unirsi, di aggregarsi anche solo temporaneamente, per combattere battaglie comuni.
Cioè mettere da parte le differenze, accantonare la questione dell’essere «de sinistra» o meno, per fronteggiare assieme le continue emergenze basiche riguardanti i deterioramento della democrazia e l’abbrutimento della cultura di massa.
Condividere e di volta in volta fare sistema, fare politica oppositiva con ogni mezzo democratico, essendo anche disposti (qui la cosa si fa delicata) a pagare qualche prezzo (di persona).
Per quanto mi riguarda, dis-appartenere non significa liberi tutti e affanculo ogni coerenza.
Non significa, parafrasando Nietzsche, che una volta (e qualora fosse) morta ogni ideologia, siamo automaticamente liberi da ogni vincolo.
Non significa che tutto è uguale a tutto, ma esattamente il contrario.
Significa che volta per volta, momento per momento, giorno per giorno, dobbiamo fare questa fatica di giudizio e di discernimento, dobbiamo decidere se dire di sì o di no, se acconsentire o meno, se opporci o meno.
Ed essendo ormai completamente privi di guscio, dobbiamo farlo a pelle nuda, fidando sulla percezione e la sensibilità, cercando contatti, alleanze temporanee, raggruppamenti ad hoc, eccetera, per opporci (per quello che possiamo e ogni volta che possiamo) ai linguaggi, alle narrazioni e al progetto egemonico della maggioranza.
Questo in teoria.
cara Georgia, che io guardi passivamente è una tua illazione, che io poi infierisca su Cacciari, se è a me che ti riferisci, è sbagliato.
Tolte queste due cose, cosa vuoi che ti risponda? niente
@tash
io non mi sento sola per nulla, disorganizzata, questo sì, non mi sono sentita sola leggendo Inglese, o Rovelli, o Buffoni, o Cortellessa, o Helena e altri che mi scuso se non cito che postano o commentano qui
E non mi sento sola leggendo la seconda parte del tuo commento
Il mio pensiero coincide completamente con il vostro? no evidentemente, e anche: no, grazie a dio, ci sono differenze, ma alcuni punti fondamentali sono ancora condivisi, e se anche possono sembrare per il momento deboli, sono quel filo che tiene e prima o poi tesse e ritesse.
Certo, bisogna continuare a fare manutenzione.
E soprattutto pensare cose nuove, adeguate ai tempi nuovi, ma questa specie di resa che ho letto nell’intervento di Dotti non la condivido.
alcor non è che tu guardi la tv passivamente, e magari io, o altri, attivamente, è il mezzo televisione che non permette altro modo ;-)
Eppure credo tu sia una attenta lettrice di McLuhan e di Pasolini, solo per fare i nomi più famosi
Ci sono un po’ di punti che tornano sempre in questa discussione che mi straniscono. Sembra che spesso non si riesca a uscire da una logica per cui o “liberi tutti” (anything goes) o “tutti colpevoli”, “tutti collusi col sistema”. L’infinita fatica di spiegare che collaborare con La Stampa sia diverso che farlo con Libero (o, per quel che mi riguarda, collaborare alle collane letterarie Mondadori sia diverso dal fare la segretaria di Berlusconi o simili).
Torno alla vecchia similitudine della notte in cui tutte le vacche sono grigie. E’ chiaro o no che vedere tutto ugualmente nero, serve a non sentirsi mai chiamati in causa direttamente? Se tutto è egualmente merda, ah signora mia, noi poveracci che possiamo farci? (non sono questi i discorsi che si sentono in giro, ovunque….)
Riporto sotto un pezzo di un’intervista a Gustaw Herling che verteva sulla sua esperienza di redattore di “Tempo presente”, rivista fondata da Nicola Chiaromonte e Ignazio Silone, ovvero di quella sinistra antitotalitaria alla quale appartenva pure Orwell.
Herling – ex detenuto del Gulag – commenta l’ostilità di molti intellettuali italiani vicini al PCI (Calvino e Moravia, per esempio) a pubblicazioni come il Dottor Zivago o – appunto – “La fattoria degli animali” definito “scadente propaganda”.
A quel punto gli viene chiesto come si spiega questi episodi. E lo scrittore polacco risponde così.
“Solo e unicamente con il conformismo. E’ un costume che molti intellettuali hanno imparato durante il fascismo. Ciò che hanno prodotto in quel periodo scrittori di rilievo come Guido Piovene e altri, è semplicemente un’infamia. Ringraziono Iddio che vivono in un paese in cui queste cose non vengono rinfacciate. Non se ne parla, perché è considerata quasi una gaffe mondana. Ma se avessero vissuto in un paese dove queste cose venivano riesumate, si sarebbero trovati in una situazione veramente spiacevole. Non è tanto in questione quello che hanno fatto, bensì il modo in cui l’hanno fatto: essi usavano, infatti, un linguaggio da fogna. L’Italia è un paese di “letterati di corte”. Un siffatto letterato sa che deve eseguire gli ordini del suo padrone, egli serve a questo. Il fascismo ha sfruttato appieno questa attitudine dei letterati italiani alla difesa della propria convivenza.”
E’ interessante che poi nella stessa intervista lo scrittore affermi che malgrado l’ostracità dell’area PCI “noi avevamo allora alleati solo a sinistra. La destra italiana, osiia principalmente la DC, era interessata a che nulla cambiasse, temeva qualsiasi cambiamento.”
vedo adesso che @georgia e @maria ipotizzano che qualcuno non voglia leggere Nori o inviti a non leggere Nori dopo la sua decisione di scrivere per Libero.
Non mi pare che qualcuno lo abbia sostenuto, fosse così è a dir poco una stupidaggine. Mi pare che la confusione, dopo giorni e giorni, continui a regnare sovrana.
Quanto a me non solo leggo Nori e continuerò a leggerlo, ma ho letto e continuerò a leggere anche autori decisamente di destra come Jünger, o Eliade.
Tash, non avevo ancora letto il tutto il tuo intervento. Non so se ce n’è bisogno, ma in rete la chiarezza in più non guasta, ma colgo l’occasione per dire che il mio commento non era in nessun modo una risposta polemica al tuo che sottoscrivo soprattutto nella sua seconda parte (anche perché mancanza di esperienza della prima).
@ Helena Janeczek
guardi, lo dico così, per amore della precisione: scrivere che il senso comune che La Stampa veicola concorre, pur da punti di vista differenti, allo stesso gioco di Libero NON È dire che “tutti sono collusi col sistema” o che “tutte le vacche sono grigie”. Vuole soltanto dire che c’è una sorta di unità d’intenti che si manifesta per differenza. Tutto qui. Lei non ci crede? Bene, ne prendo atto; ed è posizione leggittima. Però, per lo meno, non faccia rientrare in un calderone qualunquistico o conformistico chi non la pensa come lei sulla questione. Non è elegante; e non entra nel merito. Che La Stampa o Repubblica siano testate meno rozze o soltanto più decenti di Libero, è cosa certamente vera; vera ma non del tutto vera: provi a dirmi qualcosa sull’immagine della donna che veicola Repubblica … È però meno vero, se permette, che non partecipino al gioco al massacro della democrazia e delle conquiste civili dell’ultimo trentennio. Se ne faccia una analisi, anche linguistica, di quello che hanno veicolato, e poi vediamo se sono davvero così meglio di Libero per gli effetti sulle coscienze. A me fa schifo la copertina di Libero su Veronica Lario, ma fa altrettanto schifo l’editoriale de La Stampa sulle ragioni che ha Israele nel massacrare (un anno fa!) i palestinesi, o quello che in questi giorni stanno scrivendo sulla necessità, per la Fiat, di licenziare operai, mettere sul lastrico famiglie etc.. Rilevare questo non è, mi creda, mettersi da parte: è soltanto dire che quella non è la mia parte. Punto.
sp
Chissà perchè io non ho avvertito una specie di resa nell’intervento di Dotti come invece ci ha avvertito Alcor
Anzi dotti sembra aver capito benissimo che il vero problema non è su quale giornale nori scriva o meno (ok più carino e meno compromettente scrivere sulla stampa che su libero) ma sul fatto di come e cosa ci lascino scrivere oggi su tutti i giornali. Io non ho mai visto dei giornali così conformisti e pre.inscatolati (cambia apparentemente solo la marca) come quelli italiani di questo periodo.
Scrive dotti:
non ci stiamo capendo nulla di nulla, sul contesto in cui tutto ciò avviene. Non dico sia inutile dibatterne, dico che se non capiamo la “cornice” in cui più o meno siamo immersi, è come discutere di libertà di stampa, mentre qualche apprendista stregone di appresta a mettere il copyright sulla parola “libertà”, dopo aver messo le materialissime mani sulla stampa
In questi ultimi anni è talmente cambiato tutto, anche (anche, ma forse addirittura soprattutto) nel lavoro intellettuale, che non so se sia più infetto scrivere in un giornale grossolanamente di destra come libero, che in uno più sofisticato come la stampa o il corriere.
Molti studi sono stati fatti sull’enorme cambiamento nel lavoro, nell’industria, e di conseguenza nella politica e nella società, ma pochi, anzi punti sono stati fatti nel campo della letteratura, della scrittura, sul ruolo e sugli spazi rimasti al singolo intellettuale. E forse non è un caso se non sono stati fatti (o se circolano poco) visto che oggi il vero potere poggia proprio sul linguaggio e sulla comunicazione. Al potere che simile linguaggio sia, esternamente, di destra o di sinistra, interessa veramente poco (anzi nulla) l’importante è che non sia in grado di scardinare il velo di omertà e di conformismo che protegge il potere come un guscio. Un gesto provocatorio, e a quanto pare anche incontrollabile, come quello di nori sta, in fondo, rimuovendo le acque più di mille articoli ideologici e urlati da tutte le pagine dei giornali o anche della rete. Io non credo che la discussione sia sbagliata, anzi penso sia il meglio che ci potesse capitare per sfondare il tetto di calcare che ci ricopre, e ricominciare così a vedere e a capire davvero.
La discussione prima o poi arriverà a centrare il vero problema che non è affato se nori sia o meno un traditore e se stia svendendo qualcosa di sinistra, anche perchè quel qualcosa ormai ce l’hanno scippato da tempo … quando ancora eravamo sull’albero a cantare;-)
Dando per scontato che berlusconi oggi non ha assolutamente nessun bisogno di utili idioti da usare come ciliegine per i suoi giornali, lui ha le televisioni, e non c’è nori che tenga per dargli una briciola in più. Dando per scontato questo, il problema è semmai se per uno scrittore sia più indegno poter scrivere quello che vuole (magari scegliendo sempre lui), su libero o sul foglio (come obbiettivamente fa berardinelli), o se sia invece meglio scrivere per giornali che in maniera più sofisticata ti obbligano a fare continuamente sommersa autocensura … l’autocensura, in ambito intellettuale, è molto più invasiva e dannosa della censura.
Sp, guardi che il mio commento non era mirato a lei, quindi la prego di non sentirsi bollato di un bel niente. Le chiedo semplicemente: lei crede davvero che gli obiettivi di Libero, Giornale, Lega, Pdl ecc siano gli stessi di tutto il resto di coloro che operano nel sistema capitalistico-democratico? Per quanto questi facciano o dicano cose duramente criticabili ( anche da me) o possono essere rigettati in toto, come sembra essere la sua posizione? A me pare di no. Tutto qui. E quindi terrei separata la critica a Stampa, Repubblica ecc. (che va fatta) al ragionamento su quelli che sono gli obiettivi della nostra assai specifica destra al governo.
Dopo due settimane di discussione simili a una sorta di mulinello che ruota e si esaurisce in se stesso mi sento di condividere parola per parola l’intervento di francesco pecoraro, che mi sembra avere una visione più ampia. mi sentirei anche di parcellizzarlo, prendere delle frasi e strumentalizzarlo, per confutare la mia tesi, ma evito. Mi soffermo sull’impianto principale che vuole l’individuazione di una cornice e un nuovo sodalizio (in barba a destra e sinistra) condiviso puntando su valori e battaglie comuni.
alcor
non ho detto che qualcuno mi impedisce di leggere Nori, ho semplicemente affermato che io lo leggo molto volentieri, prendila come una presa di i posizione a favore di Nori, che sottintende ,ma forse non era chiaro per mia colpa:-), che non lo consideroi corresponsabile nemmeno oggettivamente ,come qualcuno ha sostenuto ,della xenofobia e del razzismo di Libero. E qui mi fermo perchè altrimenti si ricomincerebbe daccapo.
Quindi, pur dando sul giornale un giudizio criticissimo, come tutti voi, ho detto che l’avrei letto comunque , una dichiarazione di lettrice speculare a chi ha invece detto che non lo avrebbe fatto.
Guarda che qualcuno ha raccontato, non ricordo più dove ,che mentre leggeva Bassotuba non c’è ha saputo della collaborazione a Libero e per a tal causa era incerta/o se continuare o meno.
Mi dirai , una stupidaggine ma tant’è.
maria
maria
@ Helena
sono io che ho tirato fuori l’argomento “La Stampa”, quindi era lecito ritenere che le sue considerazioni fossero rivolte a me … In ogni caso, stiamo discutendo a partire dalla “collaborazione” di Nori a Libero … Le motivazioni di chi lo ha disapprovato vertono tutte sulla pericolosità di assecondare lo scadimento della comunicazione, perché funzionale al governo di centro-destra. A me pare normale allargare la questione – la stessa questione! – a testate che, in questi anni, si sono rese responsabili anche di cose peggiori. Ma forse, come ripeto da tempo, non condividiamo la stessa idea di società e, soprattutto, di “sinistra”. Da qui tutte le differenze …
@ Francesco Pecoraro
sostanzialmente d’accordo. Rischia però di essere troppo astratto, soprattutto il finale. Intanto, fuori da questo spazio virtuale, ci sono persone che si mettono insieme, che volta per volta si oppongono; la guerra, la scuola e il lavoro sono stati, in questi ultimi anni, i temi aggreganti. Il problema, almeno a questo livello di discorso, è che nel concreto le differenze esistono e sono dirimenti. Pensa all’Onda … Un movimento anti-istituzionale, capace di mobilitare attorno a un’unica parola d’ordine: NOI LA CRISI NON LA PAGHIAMO. Come è stata osteggiata o trattata dai partiti e dalle testate di “sinistra”? È nel concreto, là dove si esce dal virtuale e ci si riappropria della propria corporeità, che si tratta di stare; ma il concreto, quando il pensiero si traduce in obiettivi o punti d’arrivo e in azioni per raggiungerli, presuppone l’analisi della situazione … E qui, anche solo nel piccolo di questa discussione, mi pare che le differenze siano evidenti …
sp
Probabilmente non condividiamo la stessa idea di sinistra. Ma non mi sembra un motivo per non trovare il modo – come dice francesco- di opporci a questa destra, di ragionare come si possa farlo. La sinistra poi ognuno la critica (perché non riesco a immaginare nessuno, per quanto moderato, che non senta l’esigenza di farlo) secondo l’idea che ha. Non domani, anche subito, ora, sempre. Ma senza che questa critica che dovrebbe portare a modificare pratiche e posizioni, possa essere usata come scudo sul quale far rimbalzare l’opposizione alla destra.
Se si vuole prendere minimamente in esame i fatti politici, ops, mi scuso se non sono anche culturali, bisogna a mio avviso uscire dall’antiberlusconismo viscerale, virus esiziale alla politica, e considerare nella sua giusta ottica certi “dettagli” come quello recentissimo della proposta di Bertolaso a ministro, che è un sonoro schiaffo sulle “ferite” ancora aperte della Clinton che s’è vista criticare – indirettamente – il maritino per la comparsata dello scaricacassete umanitarie per poi andarsene da Haiti. Ebbene, sarà anche un “dettaglio”, ma che va in direzione della sovranità nazionale dell’Italia, abituata al vassallaggio dal 1945. Che poi si sia visto anche il vassallaggio diplomatico, non ci piove, ma è stato contraddetto nei fatti a poche ore di distanza. Ora, io non ricordo un “dettaglio” simile, uno schiaffo simile, in alcuno dei governi Amato-Ciampi-Dini-D’Alema-Prodi, ma forse ho la memoria debole, né in alcuno dei giornali che hanno supportato e supportano tali governi o tali linee politiche (e invito a mettere il naso nella proprietà di tali giornali, per vedere i giochi e gli schieramenti di forze politiche, che con la sinistra poco o nulla hanno a che fare, ma tanto con la “””sinistra”””). Per cui, personalmente, e per quel che valgono queste sventate parole di un signor Nemo qualsiasi – Nemo che non pubblica nemmeno per Mondadori-Einaudi -, non ci sto a sdoganare a sinistra quei certi giornali, anche perché non devo salvarmi l’anima o mettermi il cuore in pace con l’imprimatur. E se altri hanno avanzato un’interpretazione esistenziale della chose, io, Nemo, rivendico quella politica.
Mi sembra che Pecoraro abbia centrato in modo esaustivo la situazione.
marco
avatar non l’ho ancora visto. quindi….non saprei:)
sp
dici bene quanto alla sostanziale equivalenza. il calderone di fatto è uno solo. la stampa e repubblica comprese (su repubblica, e sul corriere, si potrebbe fare un discorso analogo a quello che helena fa per mondadori. che non condivido: c’è di tutto. ma c’è qualcosa che è ….più tutto degli altri. Compreso il manifesto che non sdogano… del tutto (per quanto di mia piu stretta competenza, penso a muraro (pure sull’avvenire, e in modo agghiacciante, in questi giorni) e dominijanni che alterna buone cose a cose tremendissime.
Stesso discorso per quanto riguarda gli altri. bifo ha mollato sansonetti dopo l’invereconda comparsata a porta a porta. Ma quelle che a me stanno piu a cuore son rimaste. Proprio perché da li, certe cose si possono dire, e non su repubblica invece. o sul corriere, o sul manifesto.
Ecco. ma come diceva il mio vecchio caporedattore, domani è tutta carta da imballo.
però è come se tu ti arrestassi a un certo punto, che non vorrei fosse quello degli scopritori d’acqua calda (della convergenza via via, sulla singola iniziativa, anche se i presupposti ideologici non collimano del tutto, ci siamo già e da mo’, ma è un mondo difficile, da fare). Ad esempio bascetta con l’onda ci ha avuto e ci ha parecchio ben a che fare (anche vecchi a dire il vero, e illuminati, lucidissimi e col disincanto che basta. E col senso del comune, dei commons, col senso che basta).
Mi chiedo se non lo sai. O se ci fai.
a francesco Pecoraro,
ho apprezzato davvero il tuo intervento, che coglie davvero la situazuone attuale in una prospettiva storica; prospettiva che nonostante la buona volontà spesso manca a chi è arrivato dopo, nato nella fine degli anni Sessanta;
sono perfettamente d’accordo sul danno di quella che io chiamo “ideologia trasparente”
poi scrivi:
“Cioè mettere da parte le differenze, accantonare la questione dell’essere «de sinistra» o meno, per fronteggiare assieme le continue emergenze basiche riguardanti i deterioramento della democrazia e l’abbrutimento della cultura di massa.”
Divisione dei poteri, rispetto di principi costituzionali elementari, pluralismo dell’informazione, lotta per la legalità su tutto il terriotorio e contro l’immunità dei grandi, lotta contri il razzismo nelle sue varie forme, tutte queste sono lotte trasversali, di civiltà, per la democrazia…
“Condividere e di volta in volta fare sistema, fare politica oppositiva con ogni mezzo democratico, essendo anche disposti (qui la cosa si fa delicata) a pagare qualche prezzo (di persona).”
Pagare qualche prezzo di persona…. Il che significa che certi principi “obbligano” i comportamenti.
i cie sono legalissimi. il lager nella tua città c’è, ed è legalissimo.
per non parlare del decreto sicurezza.
me parete il napolitano.
Benissimo. Non mi importa. Posso sembrare Napolitano, fare certe cose, sostenere certe battaglie sulla base di quel che mi rende somigliante al vecchietto presidente, e dividermi su altre. Battaglie nemmeno di sinistra (contro il decreto sicurezza o i Cie, per esempio, almeno in teoria e/o nella speranza), battaglie un po’ più di sinistra, anche un bel più di sinistra. Poi tu resti e altri potete restare convinti che la differenza fra Libero e Repubblica è irrisoria, che dall’editoria berlusconiana o forse dall’editoria di mercato in generale bisogna tenersi dalla larga, e io continuo a vederla diversamente. Quel che mi pare dannoso, oggi, è continuare non a discutere su queste differenze di vedute, ma farlo sottolineando le differenze come fossero assolutamente incolmabili, come se chi esprime – anche – un punto di vista più (orribile parola) moderato, sia automataticamente un non-interlocutore, se non un avversario. Una delle cause dell’ascesa parlamentare del nazismo in Germania era la litigiosità della sinistra. Cerco di essere più precisa: non dubito che Repubblica non segua interessi non adamantini. E’ solo un esempio, per dire: cerchiamo di distinguere fra ciò che muove un partito, un giornale ecc e ciò che anima il punto di vista di singoli individui, singoli cittadini senza nessun potere particolare? Ribadisco: vorrei tanto che possa essere accettato come punto di partenza che le cose che penso io, per esempio, non le esprimo “per comodo” o “per interesse” (per interesse me ne sarei dovutare stare zitta, se è per questo, perché nel caso fosse sfuggito i cani di guardia della destra tutti coloro che cantano fuori dal coro ormai se li segnano sul taccuino). E non è una questione di puntiglio personale, ma che riguarda la sostanza del poter – insieme – fare qualcosa.
Gina, questo commento è partito dal tuo ultimo, ma non riguarda solo strettamente le cose dette da te…
helena
lavoriamo entrambe nel “privato”, non siamo insegnanti ad esempio , quindi sappiamo quel che significa, sulla nostra carne. tanto quanto sa quel che tutto questo significa, sulla propria carne, il 50 per cento e rotti dell’intellettualità diffusa in gran parte precaria, infestata:) dal mercato del lavoro italiano e non. Per non parlare del resto, dei ciabattini:) delle badanti, dei braccianti neri in nero dei/delle disoccupati/e. Quindi: non ci si può tenere alla larga E l’innocenza, come dicevano altri dell’incorpore vili, è andata a farsi fottere da un pezzo. Per tutti, nessuno escluso. Non tollero (capisci il senso) dunque accezioni di purezza e moralismi vari placcaggi oro e indoramenti di pillole autoassolutori.
Con te, molto semplicemente, non concordo sul non riconoscimento della situazione personale e collettiva (vecchi ha ragione) per quella che è. non presuppongo la tua malafede ma non concordo sullo sdoganamento E questo non significa che tutte le vacche son grige, altra liquidazione di comodo (non tanto da parte tua, mi baso su tutto quel che ho letto qui). E questo non significa che non si possa fare qualcosa. e questo non significa che non si stia già facendo qualcosa. e questo non significa che sia facile. peace and love:)
Se sia lecito a un intellettuale di sinistra collaborare con un giornale di destra è una questione ecc ecc: certo, “… per gli italiani la politica, come la religione, la giustizia, come tutto, significa sopravvivere, usando furbizia e volubilità. Così era Mussolini, e questa del trasformismo è l’unica lezione sua che gli italiani capiscono: ‘Francia o Spagna pur che se magna’.”
giorgio bocca, annus horribilis, pag. 8
Ok, sista’, ci sono, su tutto questo. Peace& luv (e fatica, tanta)
helena
:) si, tanta
(ma napolitana no, please, il nostro ruolo è un altro, imho, la difesa della legalità tout court è roba dangereuse, e non solo perché apre al giustizialismo)
Sintesi sul caso Nori-Libero (et ultra):
«Oggi per intellettuali si intende esclusivamente un gruppo di Tuttologi Consentiti. Che significa tuttologi consentiti? Significa tuttologi con accesso ai mezzi di comunicazione di massa. Ma se possono avere accesso ai mezzi di comunicazione di massa, significa ipso facto che si tratta di giullari poco pericolosi, in quanto in caso contrario non vi avrebbero accesso.»
Ognun si chieda: quanto vero c’è in questa frase?