L’UNITA’ DELLA COSTITUZIONE
di Gustavo Zagrebelsky
Tutte le Costituzioni sono opere dotate di senso unitario: lo sono per il concetto stesso di Costituzione. Se non lo fossero – se cioè fossero scindibili in parti indipendenti – non “costituirebbero” un bel niente.
Il senso di una parte potrebbe essere messa contro il senso dell’altra e, introducendosi “sensi” diversi, si farebbe opera non di costituzione ma di distruzione.
Questo vale in generale e, in particolare, vale con riguardo alla distinzione tra la prima e la seconda parte della nostra Costituzione.
Non è vero che si può modificare una delle due parti, lasciando intatta l’altra.
Gli esempi non sono difficili da trovare.
Primo. L’art. 1 riconosce, come corollario della democrazia, che “la sovranità appartiene al
popolo”, che “la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”. Il popolo è un concetto
complesso, di sintesi del pluralismo. Non è un concetto unitario, olista, come nella democrazia di
Rousseau. La sua rappresentanza politica richiede certe condizioni. Supponiamo – per assurdo – che
si abolissero le camere rappresentative (seconda parte della Costituzione); o che – più facilmente
immaginabile – le camere venissero depotenziate al punto che il loro ruolo fosse reso solo formale o
lo si riducesse al punto di essere chiamate a esprimere un sì o un no alle proposte del governo;
oppure, che il sistema elettorale portasse a risultati di schiacciamento delle minoranze e di
iperrappresentazione o di rappresentazione totale ed esclusiva della maggioranza: supponiamo tutto
questo. Diremmo forse che queste modifiche dirette (con modifiche costituzionali) o indirette
(attraverso la legge elettorale) non influiscono sull’art. 1 della Costituzione?
Secondo. L’art. 2 riconosce i diritti inviolabili della persona umana e gli artt. 13 e seguenti
prevedono una serie di diritti specifici. La protezione di tali diritti è rimessa a istituzioni la cui
disciplina sta nella seconda parte della Costituzione: innanzitutto la Corte costituzionale e l’insieme
dell’organizzazione giudiziaria. Immaginiamo che si ponga mano alla composizione della Corte, ai
suoi poteri, ai mezzi che i cittadini hanno di accedere a essa; oppure che si stabiliscano forme di
soggezione della magistratura al potere e agli indirizzi della politica (governativa o parlamentare).
Diremmo forse che tali modifiche non influiscono sui diritti che rappresentano uno dei contenuti
principali della prima parte della Costituzione?
Terzo. L’art. 5 stabilisce, come criteri organizzativi fondamentali, l’autonomia e il
decentramento; l’art. 6 protegge le minoranze linguistiche. Sono questi principi insensibili a
modifiche che possano riguardare il Titolo V della seconda parte della Costituzione, oppure la
struttura del Senato, come organo delle autonomie?
Quarto. L’art. 3 della Costituzione, che prevede il principio di uguaglianza, oltre che nel suo
lato formale anche in quello sostanziale, e gli artt. 26 e 28, che prevedono la salute e l’istruzione
come diritti sociali, sarebbero insensibili a modifiche della seconda parte della Costituzione, circa il
potere di spesa e i limiti dell’indebitamento dello Stato, delle Regioni e degli enti locali? E sono
forse insensibili alle riforme che possano interessare l’articolazione sul territorio dei poteri, centrali,
regionali e locali in materia fiscale?
Sono solo esempi. E dimostrano ciò che non si potrebbe disconoscere: la prima parte della
Costituzione, che contiene principi fondamentali di sostanza, non è indipendente dalla seconda, che
contiene le norme organizzative che servono a farli valere o che, comunque, ne condizionano
l’attuazione.
La distinzione sulla quale – credo – ci si dovrebbe attestare con molta chiarezza non è dunque
tra “parti” della Costituzione ma tra i suoi fondamenti sostanziali e organizzativi, da un lato, e le loro regole attuative, dall’altro: fermi i primi, sulle seconde si può certamente discutere, perché le
modifiche e gli adeguamenti (ad es. del Senato, alla nuova struttura decentrata dei poteri pubblici;
del governo, alle esigenze di efficienza della sua azione; delle maggioranze di garanzia, alla logica
bipolare, ecc.) sono certamente possibili e, in diversi casi, anche utili.
Ciò che si chiede è dunque un chiaro impegno al mantenimento, nella sua essenza, della
Costituzione che abbiamo (con tutti i perfezionamenti che si possano ritenere opportuni). E’ chiaro
che, in concreto, potranno sorgere contrasti interpretativi sulla portata di questa o quella proposta di
innovazione, se essa stia entro o sia fuori di questa Costituzione. Penso ad es. al tema del
rafforzamento dell’azione del governo o, come si dice, del premierato. Ma sarebbe già un fatto di
chiarificazione se si accettasse la premessa che, al Parlamento, i poteri e le garanzie che oggi
spettano in generale (la legislazione, il controllo sul governo – sfiducia, costruttiva o non costruttiva,
compresa –; lo scioglimento come strumento di garanzia, non di lotta politica) non potranno essere
sottratti, quali che siano le innovazioni riguardanti il governo, i poteri del presidente del Consiglio, i
meccanismi a favore della razionalizzazione degli schieramenti politici in Parlamento. Aggiungerei,
in questa prospettiva, la richiesta di un impegno a favore (oltre che della riduzione numerica) anche
della qualità della rappresentanza che si esprime nelle due Camere, una qualità che, oggi, rischia di
rendere la difesa dei poteri e delle prerogative del Parlamento una azione, per quanto nobile alla
stregua dei sacri principi del costituzionalismo liberal-democratico, assai poco dotata di senso, in
relazione alle sue condizioni concrete.
Sono queste posizioni di retroguardia, che si possono bollare come quelle dei soliti
“parrucconi” da parte degli altrettanti soliti “innovatori”? No. Sono esclusivamente scelte di politica
costituzionale, alle quali si contrappongono altre scelte, anch’esse di politica costituzionale che,
come tali devono essere valutate. La contrapposizione “vecchio” e “nuovo” è totalmente priva di
significato in materia costituzionale: essa nasconde diversi modi di concepire i rapporti in questa
materia e su questi modi come tali, non perché vecchi o nuovi, ha senso fare chiarezza.
http://www.astrid-online.it/Dossier–r/Studi–ric/ZAGREBELSKY_08_10_07.pdf
Riflessione ancora una volta lucida ed esemplare di un maestro del nostro diritto, si legga anche il suo ultimo libro “Intorno alla legge” appena edito da Einaudi, che guarda caso ha per sottotitolo: “Il diritto come dimensione del vivere comune”, a dimostrazione che la legge (e ancor più la Costituzione, che è la legge fondamentale del nostro sistema giuridico) è essa stessa forma della con-vivenza.
Corrado Benigni