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Attualismi 1 – La Gelmini e le pecore nere

di Giacomo Sartori

La ministra Gelmini ha perfettamente ragione: non più di 30% di stranieri (malparlanti, ha aggiunto dopo un assorto ripensamento) per classe. Certo si potrebbe discutere se sarebbe meglio il 29,9 o il 30,2, lo concede lei stessa, ma il principio è sacrosanto: 30%. Il 30% è per definizione una percentuale equilibrata e rassicurante: 30% di materia grassa, 30% di tasse, 30% di umidità, 30% di comunisti. Con il 30% si riesce ancora a ragionare. Anche nella didattica.

Una pecora nera ci sta bene, fa colore. Se però le pecore nere diventano due, cento, mille, le cose cambiano. Non è più una pecora nera, è un gregge, un gregge dove qua e là svetta una mosca bianca. Di fronte a greggi siffatti c’è un solo rimedio: la soglia del 30%. Certo, 30% di pecore nere è peggio di una sola pecora nera, ma la situazione è ancora sotto controllo.

Il toccasana sacrosanto del 30% andrebbe quindi esteso anche a altri ambiti. Prima di tutto alle carceri. Un bel tetto del 30% di stranieri anche lì, e i problemi sarebbero risolti. Basta ghetti babelici, basta assembramenti variopinti e finti suicidi. Che si trovino loro un’altra prigione nei dintorni, se proprio vogliono restare in Italia.

Certo anche sui treni interregionali, che come è noto sono prediletti dagli stranieri malparlanti, e che quindi assomigliano sempre di più a delle infrequentabili casba, bisognerà introdurre al più presto il tetto del 30%. Come anche nei bar di certe periferie, sui marciapiedi di certe stradacce, di alcuni malaugurati centri storici: 30%, e tutti sarebbero contenti.

Ma è soprattutto sui barconi che arrivano in Sicilia che bisognerà essere inflessibili: 30% di stranieri, e non uno di più. Gli altri tutti italiani DOCG. O almeno turisti americani, giapponesi, gente che sa comportarsi e che non ha intenzione di mettere le radici, di impaurire la gente, di generare nidiate di figli.

Quest’idea geniale potrebbe essere applicata anche ai raccoglitori di pomodori e di arance: 30%. Così smetterebbero di stare solo tra di loro, comportamento molto maleducato, e imparerebbero bene l’italiano, cosa che li faciliterebbe nell’acquisto del biglietto di ritorno. Certo si farebbe un po’ fatica a trovare il 70% di lavoratori che parlano bene l’italiano, ma i vantaggi sarebbero incomparabili.

Naturalmente qualche eccezione andrà fatta, lo riconosce anche la ministra Gelmini. Per esempio per le prostitute e i transessuali: qui si potrebbe arrivare tranquillamente al 78%, o qualche volta anche al 99,9%, se i clienti lo desiderano. Come dire, anche nel cioccolato amaro extra-bitter la percentuale di cacao è altissima, senza che nessuno si sia mai lamentato. In certi ambiti si può chiudere un occhio.

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21 Commenti

  1. Il discorso delle ‘quote’, quelle vere mutuate dai paesi cosiddetti multietnici, è molto vecchio, risente in ogni caso di alcuni limiti e non mi convince del tutto, come insegna il caso ‘De Funis’ analizzato da Ronald Dworkin in un libro abbastanza famoso e relativo alle università americane, dove si prevedono talora ‘quote di accesso’ obbligatorie, e sottolineo obbligatorie, per persone appartenenti a gruppi ‘svantaggiati’.
    Il problema è che il ministro della pubblica istruzione non introduce affatto un sistema di ‘quote obbligatorie’ riservate a soggetti svantaggiati, cui si aggiunga un servizio di trasporto ‘scolastico’ idoneo a garantire a tutti l’accesso all’istruzione
    Si tratta di una semplice, stupidissima circolare (e non di un disegno di legge) in cui non si risevano affatto ‘quote’ a stranieri all’interno di ogni istituto scolastico di un dato comune, il che implicherebbe anche uno spostamento di ‘alunni italiani’, con grande biasimo dell’italico ceto medio in fase riproduttiva.
    La circolare gelminica afferma un principio diverso da quello delle quote obbligatorie, sottilmente diverso, e cioè che il numero di ‘stranieri’ per classe non deve eccedere una certa percentuale. Non si riservano, cioè, per legge, ‘quote di iscrizione’ ai ragazzini stranieri che provengano da scuole con bassissime percentuali di ‘italianii’e che quindi devono trovarsi, secondo la presunta logica della circolare, un altro istituto e integrarsi nel bianco natale
    I genitori italiani continueranno pacificamente a iscrivere i figli alle private, o a mandarli in scuole pubbliche con bassa densità di straneiri. In queste ultime verrà forse applicata, talora, la circolare Gelmini ma nel senso di ficcare gli eventuali ‘stranieri’ in esubero in ‘classi’ inferiori’, cioè di creare percorsi formativi parallleli per italiani e straneiri, secondo logiche diffuse nel nord italia.
    Gli istiuti con alta percentuale di stranieri (quelli in cui gli italiani non mandano i figli) non saranno toccati dal provvedimento, altrimenti chiuderebbero (ricordo ancora che stiamo parlando di una circolare, i presidi non sono obbligati per legge a far ealcunché)
    La circolare gelminica non impedirà alle ‘scuole-ghetto’, quelle con classi di soli stranieri, di esistere ancora, fino a quando non cambia il cervello degli italiani
    La circolare gelminica, se applicata nelle scuole-ghetto, sembra idonea a incentivare l’evasione dell’obbligo scolastico da parte di ragazzini ‘stranieri’, proprio perché non esistono quote loro riservate per legge in altri istituti patri. La circolare geliminica non è un provvedimento per ‘l’integrazone’, peraltro unilaterale, del prototipo di bambino Sambo con un futuro da ragionere, o da calciatore.
    La circolare gelminica risponde invece alla domanda di razzismo rzionalizzato presnete nella c.d. società civile, risponde alla paura dei genitori italiani di vedere i loro figli crescere con ‘ritardi di apprendimento’, a causa della presenza di bambini stranieri in classe, riducendola negli istituti dove essa non è ancora perepita come un ‘problema’
    La questione della lingua, con i ragazzini, si risolve in verità prevedendo fondi alle scuole pubbliche, per corsi integrativi nel dopo scuola, si risolve lasciando i ragazzini nelle loro classi e ripartendoli secondo criteri di buon senso.
    Il pezzo di Sartori, quindi, è del tutto condivisibile e rivela la mentalità che c’è dietro ai provvedimenti per ‘lintegrazione’ emanati dalgli attuali governanti. Un trito e ritrito razzismo da Capanna dello Zio Tom, spacciato per un problema di didattica e per uno strumento di ‘integrazione’ (ovviamente unilaterale) del ‘bambino straniero’ che canta bianco natale con i compagni ‘italiani’ e rimane per definzione ciò che già è nelle scuole-bene: una minornaza etnica da inglobare in un modello di rapporti umani che non mette in discussione se stesso, attraverso il contatto con l’altro da sé.
    Un saluto. Marco Mantello

  2. Da insegnante aggiungo: il “ritardo di apprendimento” i bambini italiani ce l’hanno già di default. Non c’è bisogno dei bambini stranieri in classe.

  3. Quest’ultima trovata della Gelmini (lei è solo una esecutrice ma non per questo meno esecrabile) è una delle più riprovevoli di questi anni, è terribile, davvero terribile, nazismo puro.

  4. A me invece non sembra una proposta così “nazista”. Ci si può riflettere. Anzi, ci si deve riflettere. Delle soluzioni vanno trovate. Avete idea di quanto sia difficile a volte fare l’insegnante con tutti i problemi della scuola (tagli ai fondi, meno insegnanti di sostegno, classi con sempre più alunni e via dicendo)? Delle soluzioni vanno trovate e, se non si possono aumentare i fondi e il personale, allora bisogna fare una razionalizzazione dell’organizzazione. E, forse (ribadisco, forse), questo passa anche attraverso al ridistribuzione degli alunni.

    Io ho in mente certe scuole di provincia a Bergamo. Non so se avete idea di come sia difficile per un insegnante dover gestire delle classi in cui a metà anno arrivano degli studenti stranieri, ad esempio molti pakistani o africani, che non parlano una parola di italiano e devono imparare storia, matematica, scienze e via dicendo. Non parlo di bambini nati in Italia da genitori stranieri o di bambini giunti qui molto piccoli e scolarizzati presto, ma di quelli più grandicelli giunti da poco dall’estero, cosa che non è rara.

  5. Concordo con Andrea. Penso scrivere un pezzo più lungo questo pomeriggio, perché la scuola è una cosa che mi tiene al cuore.
    Sono per una scuola flessibile con lezioni con integrazione dei primi arrivanti ( primo arrivants) e lezioni di lingua intensive. Il rproblema è il valore che una società dà alla scuola. per esempio, lavorare in periferia è terribile. Si dve riflettere a creare una scuola che ritrova la sua nobiltà.

  6. Andrea
    penso anche io che qualcosa si debba fare, ma le cosiddette ‘quote’ della Gelmini non risolveranno nulla, a mio avviso, vanno prese per quello che sono: una forma piuttosto razzista di tutela dei bambini italiani e una forma eventuale di integrazione unilaterale dei bambini stranieri, presunti ritardati (ma allora mettiamo anche le quote sui ragazzini italiani che vanno a scuola calcio sette giorni su sette…).
    Il provvedimento di cui discutiamo, per come è congegnato, riserva in realtà una quota del 70 per cento per classe ai ragazzini italiani (qualora i presidi lo applichino), senza garantire affatto che i ragazzini stranieri beneficino di un effetto redistributivo.
    Te li vedi i genitori di un asilo nido del centro di Padova che portano i figli italiani in una scuola nei pressi di Via Corelli (se esiste una scuola nei pressi di via Corelli…questo non lo so, è un esempio), o comunque in una scuola con altissima densità di bambini stranieri rimasta con un buco di iscritti a causa del vincolo del 30 per cento previsto dalla circolare? Nessun preside con un minimo di sale in zucca applicherà questra roba…
    Il progetto ‘quote gelminiche’ andrebbe poi valutato in modo ‘globale’, tenendo conto di altri provvedimenti che ho menzionato nel prmo intervento, la cui logica mi ricorda d amolto vicino quello che succede in città tedeseh non lontaner da Milano (Friburgo) do ve i bambini italiani, per problemi di lingua, sono considerati spesso alla stregua di handicappati e di fatto ‘beneficiano’ di un percorso formativo parallelo a quello die bambini tedeschi, o italo-tedeschi che siano. Nel quartiere berlinese di Kreuzberg, ci sono asili con una presenza dominant edi bambini turchi perché i genitori tedeschi non li iscrivono. Le quote non risolvono nulla, se non cambia la mentalità dei genitori e sopratutto se non si ragiona a monte sui finanziamenti alla scuola pubblica (ricordo che la minsitra ha effettuato principlamente tagli, introducendo nelle università italiane un meccanismo pseudo-concorrenziale imperniato sui finanziamenti delle imprese private alla ricerca scientifica, altra mostruosità…). Un saluto

  7. Fa bene Mantello a scrivere “Nessun preside con un minimo di sale in zucca applicherà questa roba”. Finora i provvedimenti gelmineschi (laddove non si è trattato di puri e semplici tagli) hanno avuto soltanto il valore di annunci pubblicitari fondati sul nulla. Basti pensare a grembiulini e voti in condotta per farse un’idea. I problemi esistono e sono tanti, ma le “soluzioni” proposte sono semplicemente regressive (per essere eufemistici).
    E poi c’è la questione, sottolineata da véronique vergé, del valore che la società italiana attribuisce alla scuola: nullo.
    E le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti, anche di chi non le vuole vedere…

  8. Grazie a tutti per le pacate risposte.
    La scuola (e qui convergiamo) ha valore nullo in Italia e si vede anche dai mezzi che il governo le mette a disposizione. Probabilmente, con più insegnanti, sarebbe più facile lavorare sull’inserimento.
    Però non è così. Quindi vi chiedo: senza tirare in ballo i presidi, come può un professore di una scuola in cui arrivano tre ragazzi dall’estero (ripeto, non quelli nati o scolarizzati, non quelli delle seconde generazioni, che se non mi sbaglio sono esclusi dal provvedimento) permettere l’inserimento di questi, considerando i mezzi a disposizione della scuola?
    Avete idee? Non è meglio distribuire bene i nuovi arrivati. anziché rischiare “sovrannumeri” o peggio anziché creare classi (o scuole) ghetto?

  9. Sarebbe un ‘esperienza mescolare i bambini, perché sappiamo che le scuole non mescolano i bambini. In Francia, e trovo che è una buona idea, si inizia quest’esperienza nelle “grandes écoles” ( mixité sociale).
    Il problema è la manera da cui la scuola è considerata dalla società e l’immagine sociale dell’insegnante, cosa che non riguarda sola l’Italia.
    Quando incontro gente che non lavora nelle scuole, la prima cosa che sento è : non è troppo duro? perché la giovinezza adesso… o allora critica: la scuola non prepara al mondo odierno. Gli insegnanti rinunciano. Non c’è più autorità. Mi viene la voglia di rispondere, se la scuola non funziona ( e penso che invece realizza miracoli) è anche la vostra diffidenza, l’abbandono della lettura, il disprezzo della conoscenza.
    Abbiamo la scuola che la società crea.

  10. @ Andrea

    “una razionalizzazione dell’organizzazione”

    frasi come questa mi fanno paura, sa di sparizione dei corpi e delle anime a favore di addendi in una equazione. Paura soprattutto se detta in buona fede. Viviamo in uno stato mafioso e nazista, la scuola ha molti problemi, ma stiamo attenti alle buone intenzioni.

  11. @ Andrea

    scusami non avevo letto l’altro tuo commento.

    Il problema è a monte, una spregiudicata privatizzazione di tutto, scuola compresa come azienda, situazione che conosci benissimo. Tra la Gelmini e Brunetta nell’ultimo anno le circolari nelle scuole fanno rabbrividire il semplice buon senso. A questo governo, e non solo a questo, non importa della qualità della vita delle persone ne delle persone stesse. Esclusi i casi dove l’operato di singoli riesce a creare delle oasi, esperienze ovviamente sempre più penalizzate e lasciate morire nell’indifferenza, la situazione è terribile, così in tutti i settori.
    Prendo esempio da un altro ambito ma funzionale. Un’amica psicologa va spesso nelle scuole, sensibilizzazione sul problema di droga e sessualità, per ragazzini di 15/16 anni che ne sanno già abbastanza e figurati se da un trentenne stanno a sentir qualcosa su questi argomenti. Magari vuoi fargli vedere dei film, le dico, prova “Kids” di Clark, che per i ragazzini è come vedere topolino, ovviamente credi che te lo facciano vedere e ti diano il permesso ? E’ troppo “forte” dicono. L’ipocrisia la conosci bene. Bisognerebbe rieducare gli educatori su troppi temi, ma non credo sia pensabile.

  12. @ lupo
    anchi’io penso che la scuola, e naturalmente l’università, siano fondamentali per capire certi caratteri, e lo stesso “livello medio”, di una narrativa nazionale (e nella fattispecie della nostra); il che è una piattissima ovvietà, ma in effetti si sente dire molto poco (molto più tartassata è la televisione), in particolare dagli scrittori stessi e dagli addetti del mondo editoriale!;

  13. @ sartori
    nel pezzo infatti mi concentravo sull’assenza di interesse del mondo intellettuale (segnatamente degli scrittori) per la scuola, più che sulla scarsa ricettività di essa verso la cultura ‘viva’ di un momento storico (non so tu, ma se io intervisto i miei 40 colleghi (perlopiù colleghe) in sala professori sulla letteratura ital. degli ultimi vent’anni mi citeranno camilleri fabio volo faletti… e per loro pascoli è sempre e solo questione di dolore…

  14. @ lupo
    sì, sì, avevo visto, e concordo; con l’eccezione però dei linguisti (vedi anche le recentissime prese di posizione delle due accademie (Crusca e Lincei) nei confronti della scuola, che peraltro distinguono l’apprendimento della letteratura da quello della lingua, e suggeriscono che la scuola dovrebbe concentrarsi sulla prima, sulla qual cosa ci sarebbe naturalmente discutere);

    e devo confessare che una delle mie esperienze più traumatiche è stato un giro di conferenze nelle superiori dell’Alto Adige (un avamposto della cultura italiana, uno potrebbe dirsi), dove mi sono trovato davanti- io che non mi consideravo un addetto al mestiere – molti professori di italiano completamente ignoranti riguardo alla letteratura italiana “recente” (= del secondo ma anche primo 900), e quel che è peggio completamente disinteressati;
    ma so che ci sono molti professori di italiano appassionati e preparati, per carità, e io stesso in altre scuole ne ho incontrati;

  15. Ciao a tutti, torno solo per darvi uno spunto di lettura.
    Sul sito lavoce.info è uscito un articolo che analizza la proposta del ministro Gelmini.
    L’introduzione dice questo:
    Il ministero dell’Istruzione ha stabilito che il numero di alunni stranieri per classe non dovrà superare il tetto del 30 per cento. Vanno comunque esclusi dal computo i ragazzi che non hanno cittadinanza italiana, ma sono nati in Italia. Un provvedimento anche condivisibile, ma che segue la solita logica dell’annuncio perché la sua applicazione sembra piuttosto complicata. Non sarebbe meglio allora accrescere il numero di insegnanti nelle scuole in difficoltà invece di spendere risorse per trasportare avanti e indietro gli studenti?

    http://www.lavoce.info/articoli/pagina1001498.html

  16. @ lupo
    Concordo con il tuo pessimismo sulla classe docente, ma sono giunta a credere che più passa il tempo e più l’ignoranza diventerà strutturale, intrinseca alla classe stessa. Mi spiego: cosa ha fatto la Gelmini per la preparazione del corpo docente? Prima ha abolito le Ssis, poi le ha riabilitate…non c’è più un laureato che venga a scuola a fare un po’ di sano tirocinio…arrivano i neo assunti con la testa piena di -otttime, a volte- idee ma che di fronte alla realtà quotidiana non sanno come muoversi…La domanda è sempre la stessa: chi forma i formatori? (e chi aggiorna gli “anziani”?, altra questione non da poco!)………
    @ andrea
    Sull’introduzione del tetto agli studenti non italiani, credo che sia una bestialità, che la situazione non possa essere risolta senza una reale analisi delle varie e variegate realtà scolastiche. Dalle mie parti, per esempio, (Marche) in tutti gli ordini di scuole siamo al di sotto del 30% (fonte FLC CGIL). Il problema non è quanti, ma come vengono accolti questi studenti che, lo si accetti o no, vivono in Italia e devono-hanno il diritto- di avere un’istruzione. E così ritorniamo al tema della formazione degli insegnanti…

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giacomo sartori
giacomo sartori
Sono agronomo, specializzato in scienza del suolo, e vivo a Parigi. Ho lavorato in vari paesi nell’ambito della cooperazione internazionale, e mi occupo da molti anni di suoli e paesaggi alpini, a cavallo tra ricerca e cartografie/inventari. Ho pubblicato alcune raccolte di racconti, tra le quali Autismi (Miraggi, 2018) e Altri animali (Exorma, 2019), la raccolta di poesie Mater amena (Arcipelago Itaca, 2019), e i romanzi Tritolo (il Saggiatore, 1999), Anatomia della battaglia (Sironi, 2005), Sacrificio (Pequod, 2008; Italic, 2013), Cielo nero (Gaffi, 2011), Rogo (CartaCanta, 2015), Sono Dio (NN, 2016), Baco (Exorma, 2019) e Fisica delle separazioni (Exorma, 2022). Alcuni miei romanzi e testi brevi sono tradotti in francese, inglese, tedesco e olandese. Di recente è uscito Coltivare la natura (Kellermann, 2023), una raccolta di scritti sui rapporti tra agricoltura e ambiente, con prefazione di Carlo Petrini.
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