che avrebbe detto Bartolo
di Fabrizio Tonello
Che avrebbe detto Bartolo da Sassoferrato del lancio di un duomo di Milano in alabastro sulla testa di Silvio Berlusconi? Forse avrebbe avuto qualche difficoltà a rispondere, perché il celebre giurista marchigiano morì, nel 1357, a soli 43 anni, mentre la prima pietra del duomo fu posata solo nel 1386 e l’ultima addirittura nel 1965 (un po’ lenti, questi milanesi). Per di più, ai tempi di Bartolo erano molto diffusi dei particolari souvenir chiamati “reliquie” ma il concetto di ricordino-industrializzato-a-basso-costo non era ancora stato introdotto. L’opinione di Bartolo ci interessa perché fu l’inventore di una categoria giuridica che sarebbe bene rispolverare, e rendere nota ai nostri intellettualmente neghittosi politici: l’idea di tyrannus ex parte exercitii, cioè chi esercita il potere in modo tirannico pur essendo stato eletto, o nominato, legittimamente. Fino ad allora, la tradizione giuridica considerava soltanto l’usurpatore, il tyrannus ex defecto tituli.
Una prova della mediocrità del dibattito di questi giorni è il fatto che, a destra o a sinistra, si strepita molto ma non si mette in discussione l’assioma che, chiunque vada al potere a seguito di elezioni, è legittimato a governare qualsiasi disastro o abuso produca successivamente. Il conteggio dei voti è diventato l’equivalente dell’incoronazione nella cattedrale di Saint Denis per i re francesi, con le schede che rimpiazzano l’olio sacro e la CNN che ha preso il posto dell’arcivescovo.
Gli antichi non la pensavano così. Tiranno era colui che si considerava al di sopra della legge, colui che si circondava di prostitute e ruffiani, colui che conduceva il paese alla rovina, comunque fosse arrivato al potere, anche in maniera legittima. E del resto, sulle elezioni, gli appassionati di Humphrey Bogart e Lauren Bacall ricorderanno un dialogo di Key Largo: “You hick! … I take a nobody, see? … Get his name in the papers and pay for his campaign expenses…. Get my boys to bring the voters out. And then count the votes over and over again till they added up right and he was elected.” A parlare è Edward G. Robinson (nella parte del gangster Johnny Rocco), che spiega la politica in Florida a John Rodney, nella parte di un rappresentante della legge: “E poi si contano e si ricontano i voti finché non danno il risultato giusto…” nel 1948 si facevano le cose con meno ipocrisia che nel 2000, quando Bush rubò le elezioni a Gore ma, visto che le televisioni lo avevano dato per vincitore pur avendo ricevuto mezzo milione di voti in meno del suo avversario, gli americani si accontentarono.
La questione della legittimità del sovrano è stata affrontata sistematicamente in un eccellente libretto che sarebbe opportuno distribuire nelle scuole di ogni ordine e grado: Vindiciae contra Tyrannos, del 1580, di cui vedete il frontespizio qui sopra. Per chi fosse spaventato dal latino diremo subito che ne esistono varie edizioni inglesi e una traduzione italiana del 1994, oltre che un’ottima edizione francese scaricabile integralmente da Google Books.
L’autore di Vindiciae contra Tyrannos, che si nascondeva dietro lo pseudonimo di Stephanius Jurius Brutus, aveva studiato Bartolo e sulla scienza politica aveva certamente le idee più chiare di molti studiosi moderni. Per esempio, il capitolo che riguarda i tiranni inizia con una questione assai semplice: “Rex, quia iuri dicundo praest, ex arbitrio suo ius dicet? Rex ne inquam à lege, an lex à rege pendebit?” Ovvero: il re che presiede all’amministrazione della giustizia, può giudicare a suo arbitrio? E’ il re che è soggetto alla legge, o la legge che dipende da lui?
Toh, sembrano delle questioni alquanto d’attualità: in Italia non si discute tutto il tempo se la maggioranza abbia il “diritto” di applicare il suo programma elettorale e se i giudici non debbano “farsi da parte” per rispettare la volontà del popolo, incarnata dal Capo? Forse, sfogliando il pamphlet, troveremo altre cose interessanti. Per esempio, la risposta alla domanda se sia il re che è soggetto alla legge, o se la legge dipenda da lui, viene affidata al generale spartano Pausania: “C’est chose convenable aux lois de commander et aux hommes de s’assuiettir au loix” (cito dalla traduzione francese, più facilmente comprensibile per Gasparri, che così può chiedere alla sua tata).
Quindi, 430 anni fa, c’era già l’idea che perfino l’essere “unti dal Signore” non è sufficiente per fare ciò che si vuole quando si è al governo. Un vero sovversivo questo Jurius Brutus (probabilmente il protestante francese Hubert Languet ma alcuni attribuiscono il testo a Teodoro Beza). Sfogliamo un po’ più avanti: “I franchi deposero alcuni re anche per la loro oziosità e insensatezza, che faceva dello Stato una preda e consentiva a puttane, ruffiani e adulatori di governare a loro completo arbitrio”. Mmmmmmmh.
Tiranno è “colui che governa il regno (…) in modo completamente diverso da quanto richiedono il diritto e l’equità e contro le leggi e le convenzioni alla cui osservanza si era strettamente obbligato”. Sembrerebbe che chi giura fedeltà alla costituzione poi non possa fare leggi su misura per se stesso, o abbiamo capito male? Il tiranno “toglie a molti per dare a due o tre favoriti, impoverisce tutti per elargire a quegli insolenti, rovina il bene pubblico per costruire la sua casa”. Chiunque pensi che l’autore si riferisse alle politiche di Tremonti o alle leggi pro-Mediaset certamente si sbaglia: il condono fiscale nel 1580 non era ancora stato inventato.
Ma chi sono questi favoriti? Il tiranno “innalza gente volgare e sconosciuta affinché questi pezzenti, dipendendo totalmente da lui, lo adulino e si pieghino a ogni sua passione”. Non solo, egli “odia gli uomini dotti e saggi” (come dimostra la presenza di Bondi al ministero della cultura) e, “ritenendo che la sua sicurezza risieda nella corruzione e nella degenerazione”, istituisce popinas, ganas, lupanaria, ludos ovvero “taverne, case da gioco, bordelli e giochi, come fece Ciro” (il riferimento è al re persiano, non all’incolpevole Ciro Ferrara, anche se quest’ultimo ha effettivamente portato la Juventus nella corruzione e nella degenerazione, come dimostra la sua posizione in classifica).
Già Sant’Agostino aveva scritto che i regni dai quali è stata scacciata la giustizia sono “grandi bande di briganti” (De Civitate dei, IV, 4) ma il nostro insolente autore cinquecentesco rincara la dose: il tiranno “è accompagnato da pendagli da forca (gens de fac et de corde) stipendiati col denaro pubblico, spie e delatori”. Certo nessuno, all’epoca delle alabarde e dei galeoni, poteva immaginare che sarebbe nata la Fininvest e che le guardie del corpo del fondatore sarebbero state messe sul libro paga dei servizi di sicurezza della Repubblica italiana… Incredibilmente, invece, il nostro profetico Jurius Brutus, cita tra le caratteristiche dei tiranni quella di avere “innumerevoli le guardie del corpo, che aprono al tiranno il passaggio tra la folla ma non riescono a togliergli la paura e la diffidenza”.
Non ci sono dittatori, ribadisce Vindiciae contra Tyrannos, senza malefemmine: fortunatamente il testo latino originale conservato nella biblioteca di Mannheim in Germania è integro e privo di alterazioni, altrimenti si potrebbe pensare che questo passo si riferisca alle “quote rosa” del governo italiano attuale: Sunt foeminae (…) occupat eorumve administrationem ad se rapiunt che si potrebbe tradurre così: “Ci sono donne che si ficcano al governo e se ne impadroniscono”. I raffinati francesi traducono “et s’en font Reines et maitresses”.
E le “maitresses” (vocabolo arcaico per “escort”) apparentemente nell’antichità venivano considerate un problema politico: sono i tiranni ad essere guidati “dal piacere sregolato” e lasciano l’autorità “nelle mani delle regine madri o dei loro favoriti, servitori e funzionari” che approfittano “dell’ignavia, indolenza e [amore per] il lusso dei legittimi governanti.” Ogni riferimento alle candidature delle veline per le europee è improprio, non essendo state ancora inventate né le veline, né le elezioni, né l’Europa. Le notti a corte non ottengono indulgenza da parte di Jurius Brutus: chi vi si dedica sfrenatamente, quand’anche governasse in modo efficiente (quamvis caetero quin iustè gubernarenti) resterebbe comunque uno dei tiranni.
Il nostro profetico autore cita Cicerone per sottolineare che il tiranno “si destreggia in modo tale che, proprio quando scelleratamente trae in inganno, appare un uomo onesto” (vir bonus esse videatur). Per questo motivo, come già aveva sostenuto Aristotele, “ostenta religiosità e devozione” (Itaque pietatem erga Deum simulam), un contegno che assume “perché il popolo abbia timore di tentare qualcosa contro di lui, pensandolo amato da Dio, al quale sembra porti tanto rispetto”. I filosofi classici, naturalmente, non pensavano a lettere del presidente del consiglio al Papa (carica anch’essa non ancora inventata) per ribadire che il suo governo “difende i valori cristiani”.
Ma, infine, si può sintetizzare l’essenza della tirannide in una frase? Jurius Brutus risponde che il tiranno trionfa quando “può recitare abilmente il suo personaggio”. Ecco, proprio quello che pensavamo guardando le foto della faccia di Berlusconi subito dopo il lancio del famoso Duomo in alabastro.
Che fare, dunque? Primum docet nos ius Naturale, vitam & libertatem nostram, qua fine vita vix vitalis est, adversus omnem vim et iniuram conservare et tueri, “il diritto naturale ci insegna di aver cura e di difendere la vita e la nostra libertà, senza la quale la vita non è vita, contro ogni insulto e violenza”. Qui il nostro autore si fa però prendere dalla cautela e raccomanda di fare attenzione: “non sarà necessariamente tiranno il principe se in qualche questione perde la misura” (per esempio si affida a Dell’Utri) “se gli accade di trascurare il pubblico bene” (perché occupato con Patrizia D’Addario) o di “non fare giustizia con rapidità” (consegnandosi alla più vicina caserma dei carabinieri).
Tuttavia, “se con deliberato proposito rovina lo Stato, se calpesta con protervia tutti i diritti e i doveri, se non si cura in alcun modo della parola data, se non ha riguardo per le convenzioni, né per la giustizia…” occorre resistere. Il tiranno, continua Brutus, “offendendo il popolo commette fellonia”, poiché “distrugge le leggi” non è un principe legittimo e quindi “coloro che prenderanno le armi contro di lui non potranno essere gravati del crimine” di lesa maestà. Tuttavia, Vindiciae contra Tyrannos insiste ripetutamente sul fatto che il compito non appartiene al privato cittadino, non è un appello all’omicidio politico: sono gli altri ufficiali del regno, nobili, ministri, deputati, sceriffi, connestabili, sindaci a dover fare il loro dovere rispettando il giuramento compiuto e opponendosi con tutte le loro forze al tiranno: non connivebunt (capito, Giorgio Napolitano?).
Che dire? Quando i nemici scalano il Campidoglio e “I soldati sono assopiti al loro posto, le sentinelle dormono e i cani non abbaiano, spetterà alle oche di dare l’allarme”. E se le oche lanciano un souvenir di alabastro invece di scrivere un’educata lettera al Corriere della sera, beh, prendiamolo come un segno dei tempi.
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Lui
Kendell Geers in Irrespektiv, al MART,di Rovereto,ha messo la maschera del capo su un pallone da calico e tutti quelli che entrano possono agire facendo un lancio.f
il pallone è da calcio,spero sia chiaro.
un’infinità di testi e di esempi autorevoli si possono portare per inquadrare l’attuale governo come tirannico. un’infinità di esempi moralmente e legalmente ineccepibili sulla necessità della monarcomachìa. ma il problema non è evidenziare, ricordare, discutere con chi queste cose le sa già: il problema è che il 60% degli italiani non ci sentono da questo orecchio, né possono sentirci dal momento che i fatti e l’informazione sui fatti provengono dalla stessa persona. inoltre il nostro popolo è contrassegnato da un male, quasi una febbre malarica, che ricorrentemente si presenta: il bisogno di farsi dominare da un capo: ridicolo, bruttarello, ignorante, chiacchierone, furbetto, donnaiolo, spaccone, un capo del governo operaio, o che faccia la battaglia del grano, poco ci corre.
quando finirà quest’era disgraziata, avremo i nostalgici e i voltagabbana.
io non ho più illusioni sui miei connazionali.
comunque grazie per l’attenzione filologica al testo e lo sforzo di riflessione.
simpatico questo tonello, mi è piaciuto molto il suo pezzo. un’unico appunto a margine: forse si può andare anche più indietro di bartolo, io sapevo di un commercio diffusissimo di souvenir della dea artemide a efeso per i pellegrini pagani, statuine placcate d’argento o similari, se ne parlava in un bel saggetto bollati boringhieri di antropologia del souvenir, “trofei di viaggio” credo s’intitolasse.
un brano davvero tosto e “fondativo”, al pari di quanto va scrivendo sul tema o “a latere” il prof. Cordero
confermo l’appunto di Sergio Garufi