L’inquieto vivere segreto
Pubblico di seguito un estratto dal nuovo romanzo di Franz Krauspenhaar, L’inquieto vivere segreto, edito da Transeuropa, con una nota dell’autore sulla gestazione del libro: un romanzo aperto, dove ogni capitolo è una finestra su un possibile nuovo sviluppo, uno spazio vuoto che il lettore può riempire, proseguendo la storia su di un diverso binario. Un padre, un figlio, una moglie scomparsa, un fratello perduto, un surreale, ostile paese nell’hinterland lombardo, una Germania più evocata che attraversata, resa l’interlocutore prescelto di un dialogo dove ogni figura rimanda ad altro, al modo in cui l’opera intercetta la vita, la frantuma, le si sostituisce.( f.m.)
Vedi, la vita del fronte non è come nei film
«Ma sì, è una storia completamente assurda» confidi a tuo figlio qualche giorno dopo, mentre state andando in treno a Colonia all’appuntamento con Wesselmann.
«Tuo nonno mi ha fatto sempre una testa così coi suoi racconti di guerra: possibile che s’inventasse tutto a nastro continuo? Voglio dire, se avesse provato vergogna per il suo passato di guerra avrebbe fatto finta di niente, e se lo sarebbe inventato soltanto se io e tuo zio Rudolf, o Rainer, lo avessimo interrogato in proposito. si sarebbe insomma comportato in maniera completamente differente.» All’improvviso ti tornano nell’orecchio, stillanti dal tuo vecchio cuore picchiato a sangue dallo struggimento, le parole che un giorno tuo padre ti consegnò, quasi con rabbia, quando avevi vent’anni: «Vedi, la vita del fronte non è come nei film: là gli uomini cadono sotto le pallottole dei fucili, delle mitragliatrici, dei cannoni, ma cadono e basta; al massimo, prima di cadere, gli uomini urlano dal dolore, ma più o meno restano interi; nella guerra vera, al fronte, non è quasi mai così. Nella guerra vera, gli uomini diventano pezzi scagliati dal fuoco alla rinfusa; il tuo compagno, col quale fino a un attimo prima avevi parlato, diventa di mille pezzi diversi, pezzi di carne scagliati proprio alla rinfusa; e del tuo amico restano le gambe, e vicino alle sue gambe ora ci sono le braccia di un altro, e le chiappe di un altro ancora, e le viscere di un quarto. Il cinema, per esempio, deve bluffare, nessun spettatore potrebbe resistere ai mille pezzi della verità della guerra…»
Sono più o meno le stesse parole che sentisti raccontare in un documentario da un regista americano, Samuel Fuller, che la guerra l’aveva fatta davvero e che aveva girato numerosi film bellici…
Tuo figlio interrompe il tuo sogno a cuore aperto: «sì, non si può dire che tuo padre si aspettasse le tue domande per attaccare ad ogni pie’ sospinto la sua manfrina
sul passato. Però, caro mio, io tremo ancora come una foglia. sento che questo maledetto dossier in qualche modo è vero.»
PICCOLA STORIA DI L’INQUIETO VIVERE SEGRETO
L’ho cominciato nel 1999, a 39 anni. Nel 2000 constava di 250 pagine scritte fittamente a macchina. Ebbi il primo pc nel 2001. Il primo titolo di lavorazione fu “Gli spiccioli dei Frank“. Seguito da “Spiccioli“. Per anni ne aumentai la massa come se fosse un coacervo di muscoli da palestra pesante. Ricopiai tutto su pc. Era come un blob che si gonfiava a dismisura, un soufflé narrativo pieno di digressioni a volte assurde, giochi logici e illogici. Lo scrittore Arno Frank, poi Franz Frank, poi Franz Werner, poi Franco Frank si scriveva continuamente addosso, tra riesumazioni di morti, di rancori vivissimi, una vita familiare allo sbando, ricordi di giovinezza. Alla fine il nome sparì, lo scrittore non ebbe più nome, e sparì anche il racconto in prima persona. Decisi per la seconda, che rendeva tutto più sospeso, con questa voce che arriva forse dalla coscienza, forse dall’aldilà – non sappiamo, non possiamo saperlo- che indica allo scrittore italiano nato in Germania, 64 anni, una moglie sparita nel nulla, un figlio trentenne che odia e da cui è odiato, le mosse degli avvenimenti, tristi, grotteschi, finali. Una specie di resa dei conti con questo strano romanzo, che alla fine è risultato di almeno tre volte più breve che nelle prime stesure. Un ritorno alla narrazione pura, posso dire. Dopo “Spiccioli“, negli anni successivi intitolai il romanzo “Lo scrittore delle nature morte.” Fino ad arrivare, credo quasi due anni fa, a “L’inquieto vivere segreto“. Undici anni di gestazione e lavoro, di lunghissimi abbandoni e di ringalluzzite riprese. Superato da “Le cose come stanno“, scritto nel maggio del ‘99, da “Cattivo sangue“( 2001-2004), “Era mio padre” (2007) il libro di poesie “Franzwolf” (2007-2009) e addirittura dal romanzo-saggio “Un viaggio con Francis Bacon” (2007-2009) che uscirà a gennaio ma che ho chiuso prima. Un lavoro improbo fino all’ultimo. La prova che ogni matassa si può sbrogliare, che la nostra meta è l’Eldorado del succo. Dunque grazie all’editore di Transeuropa Giulio Milani che ci ha creduto.
Nell’immagine: Robert Capa, D-Day
La parte ombra del lavoro della scrittura si svela. Mi piace conoscere la storia del nascere del libro: è un viaggio iniziato con pagine lasciate in un cartella, come sospese tra la vita e la morte. Si riprende il viaggio in un amore interrotto, il libro cambia di faccia, ma credo che il fondo rimane, la parte del desiderio che ha immaginato lo squeletto del libro, la parte del fantasma che viene sfiorare la pagina, quello che si attacca all’anima, il dolore o la gioia dello scrittore: nessuno libro fa il conto con la vita, con il desiderio.
La scrittura di Franz Krauspenhaar mi sembra il viaggio dell’origine, di una terra dentro e fuori, una ricerca della lingua per salvare un identità, un luogo, una storia.
Credo che comprerò questo libro.. leggere queste poche righe mi ha dato la stessa senzazione sgradevole, un misto di soffocamento, ansia, stimolo alle vie urinarie, che ho provato la prima volta che feci l’errore di iscrivermi ad un corso di scrittura, cosa che sconsiglio a tutti. Ricordo come fosse ieri i malditesta provati, gli occhi arrossari che sentivo schizzare fuori dalle orbite, i tronchi sovraortici strozzati, il respiro affannoso, il diaframma che premeva costantemente, gli abbandoni e i ritorni rabbiosi, il bisogno continuo – del fantasma ontologico – di urinare, mai più, mi sono detto; mai più. L’idea che qiualcuno sia giunto al punto finale, ogni volta mi turba e stupisce.
Io ogni qualvolta ho il maleaugurato bisogno di scrivere, mi sdraio al sole al parco sempione e respiro quella poca aria ambrosiana che mi è concessa, e tutto passa.
Comprerò il libro oggi, per leggerlo a primavera. °_^
non capisco tanto la frase “la nostra meta è l’Eldorado del succo”.
auguri franz.
‘Mmmazza ahò come rosicate. Io, invece, lo comprerò, assieme al romanzo saggio, tanto per vedere a che punto si trova FK dopo Le cose come stanno ed Era mio padre. Poi rileggerò Franzwolf, un’autobiografia in versi, lascerò sedimentare e poi, se mi verrà l’ispirazione, ne scriverò. Indi…passerò a leggere Pecoraro, tanto per capire chi sono i frequentatori di NI, tutte le volte che posso. Insomma da bravo lettore ideale …o , per mutazione, da brava “casalinga di Vigevano” letteraria, toh.
P.S. Io non ci trovo nulla di male che un ex fondatore di NI parli qui del suo lavoro. Se non lo fa qui – e con lui tutti quelli che vi scrivono e la frequentano – dove farlo? (e questa è una semplice notazione generale, senza alcun rifeimento polemico.)
“Il cinema, per esempio, deve bluffare, nessun spettatore potrebbe resistere ai mille pezzi della verità della guerra…”
il punto è – caro Franz – che ormai in molti sono assuefatti anche ai bluff della letteratura… e pochi lettori riescono ancora a resistere alla bellezza della scrittura!
ce ne fossero di FranzWolf almeno altri 100!
la karika dei 101 wolfsskhkzz
La scrittura di Franz mi ha sempre stimolato.
Ho letto un bel po’ di ciò che ha scritto.
E’sicuro che comprerò il libro.
con auguri
MarioB.
come sempre grandi momenti
bravo franz
c.
auguri a tash. auguri a tutti. un grazie a chi ha letto e commentato e in particolare a francesca matteoni.
Ripassando, mi accorgo che nel mio intervento c’era un lapsus: chiaramente la casalinga non è di Vigevano , ma di Voghera. Quello di Vigevano era il Maestro, il bel romanzo di Lucio Mastronardi, che mi era ricapitato tra le maniin questi giorni, una vita dopo averlo letto da ragazzo. La casalinga di Voghera, a cui mi riferivo nella mia civetteria, invece, è quella canonica del saggio di Umberto Eco, che Moretti mette in scena in “Sogni d’oro”, assieme al Pastore d’Abruzzo e al Disoccupato meridionale. Insomma, ci siamo capiti.
Quanto a “paolettodicanio”….a’ paole’ è mejo che riprenni a giocà a pallone, ch’è mejo. Daje, sgomma, cor……kawasaki! E nun te la prende, me riccomanno!
sarebbe casomai possibile espellere i due “commenti” di quel tizio con 300.000 brufoli incastonati nel cervello che si firma col nome di un calciatore romano molto attivo nella premier league inglese?
franz ma perchè te rode tanto a critica mia, se uno te legge da nofficina che scanzate, te rode, se uno te legge dar salotto buono te sta bene, e daje, franz, forze che forze a tuta piena de ojo da fastidio a mammatua?
daje franz, nun esse intollerante, se no se vede, te scrivi, io leggo, e te dico che nun me piace, tutto qua, se chiama diritto de critica, c’ho saje?
[…] Nazione indiana Un articolo a cura di Francesca Matteoni su L’inquieto vivere segreto, con un breve capitolo del libro e la […]
ancora con la mamma… ma sei ossessionato, ragazzo:-)
Franzone, ti faccio pure io gli auguri per il nuovo romanzo e per tutto il resto. Un abbraccio
ormai sei grande, ragazzo, è tempo che tu sappia di chi sei figlio :-)