Per Rossana Ombres
di Andrea Breda Minello
La settimana scorsa, facendo una ricerca di studio su internet, mi sono imbattuto nell’elzeviro a firma di Cesare Segre del 7 agosto scorso; in questo modo ho appreso della scomparsa di Rossana Ombres, morta in solitudine a Livorno il 2 agosto, in solitudine ripeto e purtroppo a testimonianza di ciò la salma è rimasta in obitorio per due giorni senza esser reclamata. In questo modo non dovrebbero morire i poeti, in questo modo non dovrebbero andarsene i grandi poeti. Rossana Ombres è nel novero di questi e non servono gli apprezzamenti di critici fini e notevoli come Segre, Sanguineti, Porta a renderle ragione, basterebbe l’umile ascolto della sua voce inusitata e mai davvero compresa. Ombres non ha affinità con nessuno, non ha modalità vicine a qualsivoglia scuola o tendenza poetica. Ombres è stata solitaria, superba, un’anacoreta della parola.
In suo ricordo ripropongo il pezzo che stesi per la rivista Daemon nel 2002. Vi chiedo, se vi capiterà di leggerla in antologia, di prestarle ascolto e di entrare nel suo mondo.
Un po’ di luce sulla Ombres
La poesia, si sa, non ha mercato e all’interno del ritorto meccanismo dell’editoria assume, costretta, le fattezze dell’agnello, vittima sacrificale, da immolare. Difficilmente se non si è un Zanzotto, (o un caso massmediologico come la Merini) o un Luzi si verrà letti, e se tale condizione si avverasse il pubblico della poesia sarebbe, come è, costituito solo da poeti e critici. (Si tenga presente che gli italiani sembrano, sempre più, assidui divoratori di sceneggiature cinematografiche, incapaci di “assorbire” altro). Se poi il poeta in questione è addirittura una donna la visibilità e la conseguente circolazione è nulla, azzerata. La vena polemica che si è voluta assumere, a inizio di articolo, serve a introdurre due libri, esauriti da tempo e non più disponibili se non scovati in biblioteca o in librerie dell’usato, della torinese Rossana Ombres (1931).
Scrittrice, giornalista, critico letterario de La Stampa, e soprattutto poetessa, è stata la prima donna a vincere il Viareggio, nel 1974, con Bestiario d’amore. Ha esordito, ancora universitaria, nel 1955 con Orizzonte anche tu (Vallecchi), a cui si sono aggiunte Le ciminiere di Casale, Feltrinelli, 1962 e Le ipotesi di Agar, Einaudi, 1968. È presente nelle antologie di Biancamaria Frabotta, Pansa – con una breve ma importante introduzione di Sanguineti – Porta – Doplicher; è stata tradotta in numerosi paesi.
Le ipotesi sono costituite di testi pensati per la rappresentazione, esempio di “poesia-teatro” – tanto da essere inseriti dei brani “d’appoggio per una eventuale messinscena” – testi essenzialmente femminili, scritti dalla parte delle, e per le, donne. Poesie sorrette, ognuna, da un colore come il bianco e l’oro della bambina e della madre o il nero dell’uomo, il rosso sanguigno del cibo e del mestruo. Componimenti fisici, “palpabili”, permeati di pulsioni erotiche, provenienti dal mondo dell’infanzia. Anche quando viene descritto il coito l’autrice ricorre al lessico dei bambini, agli oggetti/giocattolo come l’aquilone o le coccarde. La dimensione magica del mondo femminile si scontra con quella austera, di potere, dell’uomo ovvero con la Chiesa e i suoi innumerevoli Vescovi. In Travaglio sentimentale dell’ostrica di fumo, le espressioni iterate, l’ossessione racchiusa nei versi ipermetrici permettono l’esorcismo del male (l’elemento maschile manifestato dalla tarantola, simbolo dei genitali, è comunque non eliminabile, anzi essenziale), del dolore sempre esposto in primo piano. La ripetizione quasi telegrafica, lo stile che procede per scarti, porta la voce estenuata della donna al soffocamento del rapporto amoroso e del mondo: si raggiunge l’orgasmo.
Il Bestiario sorprende non tanto per la singolarità dei componimenti presenti nel libro, bensì per l’atmosfera demonica, surreale, atavica che lo avvolge (e vide bene Porta l’assonanza con la pittura di Bosch). Si potrebbe definire canzoniere d’amore se non fosse per quel titolo dato all’opera che disorienta e conduce a una classificazione, certo amorosa, ma pure ferale, da zoo degli orrori, visitata da ombre. Ancora una volta figure centrali, abitatrici di una natura notturna, sono i corpi deformati delle donne e non ha importanza se il ventre gravido sia quello di Maria o quello sterile, puro?, di Lilit, capace, come un organismo asessuato, di procreare “dolci angeliche creature / dalle ali di scarafaggio”, certamente più simpatica di Eva, la quale non riesce ad emettere suono, sfornita, qual è, di voce. La Ombres inventa personaggi come gli straordinari Scarabangeli od osa prendere per i fondelli il mito di Orfeo bambino – protagonista, anche, di un poemetto uscito nell’ “Almanacco dello Specchio”, nel 1975 – e del “suo biscotto votivo in forma di donnina”. Poeta colto, coltissimo, mescola Freud, la mistica ebraica, le fiabe popolari e crea con questo suo lavoro una sua personalissima cantica infernale, in cui tutto viene amplificato con ironia e situazioni grottesche. I testi nascono per attrito, scontro fra la ratio e la psiche, e il duello riproposto non comporta, di necessità, la sopraffazione di uno dei due contendenti ovvero il poeta riesce a costituire una perenne tensione, un precario equilibrio fra il sogno e l’incubo che si vive nel quotidiano. Il lettore viene sorpreso dall’affabulazione, dall’incanto del mostruoso, e straniato si ritrova, in un altrove, in una terra di nessuno e di tutti, ad ascoltare un canto privo di disperazione, intonato da un poeta che come pochi altri, a mio avviso, ha saputo porci di fronte al dramma del Novecento, ai suoi orrori, alla desolazione. Anche se da lontano, come se il pensiero della morte – in vita – non potesse più intaccarla, la Ombres, come per un suo personaggio, “non vorrebbe che la lotta avesse fine / senza un segno senza una ferita”.
Negli ultimi decenni, si è dedicata alla narrativa con la pubblicazione di romanzi, anche se non ha mai abbandonato la poesia. Mi auguro, davvero di tutto cuore, che possa uscire presto una sua nuova raccolta, o almeno, piccolo dono, si proponga un’antologia dei lavori –oggi – introvabili. Poche cose sono necessarie nella vita, la sorpresa della lettura è una di queste.
Articolo originariamente apparso su Daemon, libri e culture artistiche, nov 2002, anno III, n°6, p.43
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Da BESTIARIO D’AMORE (RIZZOLI, 1974)
LEGGERO ANIMALE ROSSO
Uno si scorda l’embrione del papavero
e non sa
che ne schioderà un rosso animale di sete raggricciante
un leggero animale vòlto sempre all’insù
goloso di pensili cibi.
Misterioso ha il ventre e segna, appena toccato,
una fumosa stella:
il suo aspetto è raggiante
come quello degli Arcangeli che guardano
troppo dentro il mistero e diventano torce.
Non prometteva queste cose quando
nei suoi tiepidi sudari imbalsamato e raccolto
aveva intorno segala e grano protervi:
ma vinse su tutto una legge d’amore.
COLIBRI’ ALFABETICO
Ci fu un soave momento
che armonie in scrutabili
condussero al magma appena modellato
i nomi degli Angeli Nuovi in circolata melodia:
sono questi
i suoni addormentati
che aspettano di levarsi
al passaggio del colibrì alfabetico.
SCARABANGELI
Un tuono a sinistra, nell’Eden,
e un fulmine tranciò
l’albero della Salvazione dai vinosi frutti.
Rafael, principe di tutti gli elettuari,
si dava d’attorno con la sua triaca
(linfa di fegato di pesce, fiori di manna e polvere
di zanna di pachiderma)
per salvare almeno Eva
portatrice di seme maturo.
Ma per errore salvò Lilit,
démone femminile schivo d’amplessi
che non sa qual sia l’uomo e quale il caprone
e l’uno e l’altro rifugge
usando del tempestivo odorato e del potere del volo:
e genera ad ogni nuova luna
dolci angeliche creature
dalle ali di scarafaggio.
FIORE ACCALAPPIATORE DI SALMI
C’è un fiore che fiorisce fuori stagione
e somiglia
per la sua conformazione
ad un asso di spade:
ha il colore di una lama e lancinante
è quel suo profumo di nemesi.
Ha un talamo debordante
che mugola di risentimento o d’amore,
gonfio e vivamente colorato
come l’impugnatura di un asso di spade.
Lo sognò, una notte,
un profeta
e
lo vide al mattino:
mugolava forte
vicino alla porta di casa
piantato in un mucchietto di terra tremante
come la groppa d’un cavallino in corsa.
A pochi è dato di vedere
il fiore accalappiatore di salmi
che fiorisce quando il tempo dei fiori
è distante e dimenticato:
e solo i più santi
lo sentono gemere.
LA TERRA COMINCIO’ A TREMARE
La terra cominciò a tremare così forte!
Caddero muri
con tutti i loro interni carichi e caldi
si chinarono gli alberi
a raccogliere le loro foglie.
Una fiamma percorse i fiumi con salti da delfino
e le bocche delle sorgenti,
gridarono ognuna la propria meraviglia!
Un furore del sottosuolo
creò
e immediatamente moltiplicò
forme dall’avvenenza slittante:
placodonti di crogiuolo, devotissime
iguane e granseole meticolose.
L’anima,trasecolata, produsse santi.
ricordo d’aver letto Bestiario , qualche secolo fa, con grande interesse
in effetti, in poesia la scelta (dolorosa) anacoretica è l’unica foriera di frutti autentici
Perché la Ombres ha perso “visibilità” dopo gli anni Settanta? E malgrado il suo percorso poetico ed editoriale di tutto rispetto? Forse anche lei è stata vittima del crollo (o dell’esaurimento) della neo-avanguardia, a cui in qualche modo (e non so se suo malgrado o meno) era stata cooptata, ma di cui non aveva goduto, come molti altri, le prebende.
Non direi, comunque, che le donne in poesia non hanno visibilità. Abbiamo fior di poetesse, e forse a contarle sono anche più degli uomini. Valga per tutte il caso “massmediologico”, come nel post è detto, della Merini.
che dolore sapere che chi ha amato alimentato illuminato le parole come Rossana sia morta nel silenzio abbandonato di un giorno qualunque d’agosto
una poesia non reclamata
una poesia che dovrebbe essere urlata
che cos’è la poesia che non salva i popoli nè le persone? ha scritto un giorno lontano Milosz
questo mio caro Czeslaw avrei voluto dirti oggi
queste piccole parole come un fiore sulla tomba di questa grande donna poeta
c.
“In questo modo non dovrebbero morire i poeti, in questo modo non dovrebbero andarsene i grandi poeti”. Mi permetto di dire che in questo modo non dovrebbe morire nessuno.
Sì, Domenico, nessuno dovrebbe morire in tal modo, concordo con te.
Elsa Morante, in Pro o contro la bomba atomica, scrisse che troppo spesso l’attributo “grande” viene utilizzato per dittatori o omuncoli qualsiasi, che nella vita arrecano o consolidano il male e troppo spesso vengono ricordati con zelo. Ecco con questo articolo ho voluto ricordare una donna, che è sempre stata poeta e per scrive davvero grande poeta.
Questo mio è, vuole essere, un atto d’amore.
Robugliani, concordo che la visibilità delle donne che fanno poesia sia aumentata, rispetto alla stesura dell’articolo (ormai vecchio di quasi otto anni), penso a due fra i più importanti poeti, oggi in in Italia: Anedda e Calandrone, ma se si va a vedere il percorso, se si va a verificare i canoni di diffusione, la loro incidenza o anche solo lo studio, le cose non mi sembrano molto cambiate. Penso ai percorsi di grandi poeti (e come noti non distinguo assolutamente fra uomini e donne) come Grisoni, Annino, Ombres, Vicinelli (e per fortuna quest’anno è stata ricordata grazie alle cure di Cecilia Bello).
S’, il percorso della Ombres è stato negli ultimi anni appartato (intendo il lavoro poetico), anche se fino agli anni Novanta è stata attiva con la narrativa. Non ha mai smesso di scrivere. Non so se si può parlare di autoesclusione o di esclusione coercitiva, sta di fatto che è scomparsa dal panorama poetico.
Bestiario d’amore non è opera d’avanguardia , è poesia assoluta.
Andrea, conoscevo questo tuo pezzo e sono lieto che in questa triste circostanza Francesca abbia pensato di riproporlo. Ho altissima considerazione di Ombres poeta e un ricordo stupendo della sua figura solitaria risalente a molti anni fa, insieme a Bernard Simeone, mio caro amico e traduttore francese (morto di cancro e a 44 anni), grande estimatore a sua volta della Ombres. Quanto alla solitudine la si vuole, la si desidera, se ne ha bisogno, poi diventa un destino.
Franco, grazie del tuo ricordo di Bernard Simeone, la non resa insieme col ricordo sono gli strumenti per mantenere viva ogni esistenza umana.
Tema troppo compleso,fuori da ogni retorica, quello della solitudine scelta dopo che subìta, da un poeta. Sulla esistenza, o resistenza, di un pensiero forte e femminile nella poesia italiana, credo di avere voluto e curato il festival “Donne in poesia” per omaggiarne le zone di luce e di ombra.
E mi onoro di avere conosciuto e avuta ospite, alla sua terza edizione, la grande e appartata Ombres.. come Andrea sa.
Sulla fiorente originalità e pensiero, sui correlati coltissimi e inediti, credo che Andrea ne abbia scritto molto meglio di me. E lo ringrazio qui.
Maria Pia Quintavalla
Sono io a dover ringraziare te, Maria Pia, e lo faccio qui pubblicamente, per quella antologia, culmine di un’iniziativa essenziale, profonda e unica per quegli anni Ottanta, tanto e forse troppo spesso beffeggiati. Oltre a Ombres, ricordo Annino, Insana, Oppezzo, Vicinelli. Ti ringrazio per quella non resa poetica, sempre più rara. Se penso a cosa resta da fare ai poeti, in questa Italia sbilenca, ecco la risposta.
Fu uno spartiacque, fu difendere, e diffondere anche, una tradizione di pensiero, quella di “Donne in poesia” e la grande Ombres ci stette a pennello. era davvero una donna in amore e in poesia, mentre leggeva e scriveva, in un present progressiv, che solo la morte ha spostato, consegnadocela come opera.Ma per me, sempre più spesso coincidono, negli amati.raramente una brutta umanità crea ottimi versi (lo spero)-
“L’anima, trasecolata, produsse santi.”
Maria Pia Q.