Talmente noi
Il 13 ottobre 1989 moriva Cesare Zavattini. Sono diverse le manifestazioni che lo ricordano, a vent’anni di distanza. È appena uscita da fuoriformato, la collana di testi italiani contemporanei diretta da Andrea Cortellessa per Le Lettere di Firenze, la prima riedizione integrale – dopo la princeps Bompiani del ’70 – del libro più singolare ed eccessivo, dell’opera più “fuoriformato” di Zavattini: Non libro più disco, per le cure della studiosa Stefania Parigi e con una prefazione di Paolo Nori. La registrazione della voce dell’autore, all’epoca riportata in un 45 giri contenuto insieme al libro in un cofanetto, è ora ascoltabile in un cd allegato. Si riproduce qui la prefazione di Nori.
di Paolo Nori
Di Zavattini, l’ho già scritto anche qualche altra volta, ho l’impressione di non saper niente. Ma non perché io non ne so niente, perché lui ha scritto tanta di quella roba che saper tutto, aver letto tutto, aver visto tutto, aver ascoltato tutto, di quel che ha fatto lui, delle volte anche senza firmarlo, certi soggetti cinematografici, dicono, certe sceneggiature, essere, come si dovrebbe, documentati, essere degli specialisti, di Zavattini, è un mestiere, faticosissimo, è un autore che non conviene, sceglierlo, per far delle tesi, per fare dei dottorati, per scriverci su dei libri; meglio dedicarsi, non so, allo scrittore russo Venedikt Erofeev, che di film non ne ha mai scritti nella sua vita ha scritto praticamente solo due romanzi uno dei quali, sulla vita di Šostakovič, se non ricordo male, l’ha perso nella metropolitanta di Mosca prima ancora che fosse stampato, ne resta uno, basta leggere quello, è un romanzo anche corto, dopo averlo letto uno può già dire di essere uno specialista, di Erofeev, oppure se no scegliere un evangelista, non so, san Marco, che dev’essere anche il vangelo più corto, uno legge tre volte il vangelo di San Marco, sceglie un atteggiamento critico di formalismo duro (Tutto quel che si deve sapere lo si trova nel testo), be’, in un certo senso, senza voler esagerare, uno può dire che nel giro di quattro cinque ore lui è già diventato uno specialista di San Marco, con Zavattini, altro che quattro cinque ore, solo per radunare l’opera omnia ci voglion degli anni, e poi sono delle robe anche tutte diverse, bisogna intendersi di prosa, di poesia, di pittura, di cinema, di radio, e del contrario di tutto, di non prosa, di non poesia, di non pittura, di non cinema, di non radio, che, da un certo punto di vista, per un critico, veramente, Zavattini è una specie di condanna, ma da un altro punto di vista, proprio questo aspetto, le non cose, secondo me sono tra le cose più interessanti delle quali uno si possa occupare, al giorno d’oggi, ammesso che ci sia un giorno d’oggi.
Non so. A me è successo, come a tutti, di andare a dei matrimoni. Devo averlo anche già scritto, da qualche parte. Tutti questi matrimoni a cui sono andato, li ricordo tutti, tranne uno, come delle esperienze faticosissime.
Ma perché ci mettono tanto tra l’antipasto e il primo? O forse quello là non era l’antipasto era il primo? E allora perché ci mettono tanto tra il primo e il secondo? E perché la gente è vestita così? E perché io sono vestito così? E chi sono questi qui, seduti di fianco a me? Ma che discorsi fanno? E cosa mi interessano, a me, questi discorsi? E cosa interessano, a loro, i miei? E perché questa musica così alta? E chi è che ha scelto queste canzoni? E perché non ci dan niente da mangiare? E perché c’è così tanto da bere? E cosa vuol dire millesimato? E così via.
Mi è successo anche, una volta, tornato a casa da un matrimonio, che con mio fratello ci siam fatti una pasta olio e parmigiano, alle 11, prima di andare a letto. E non che fossimo, non so come dire, dei grandi mangiatori, non eravamo, per dire, come il nonno dello scrittore russo Sergej Dovlatov, che era altro più di due metri, e pesava più di 100 chili, e beveva la vodka nei bicchieri alti, quelli che i bambini usavano per le limonate, e che quando andavano a cena fuori la moglie lo faceva cenare anche a casa, prima di uscire, perché se no, con quello che mangiava, l’avrebbe fatta vergognare, no, non abbiamo quell’appetito lì, mio fratello pesa meno di settanta chili, io meno di ottanta, non siamo noi, non siamo io e mio fratello, sono i matrimoni che, in un certo senso, sono contronatura.
Be’, mi è successo, un’altra volta, devo averlo già scritto, di andare a un matrimonio dove la gente ballava, dei valzer, se non ricordo male. Una grande sala rotonda, illuminata bene, non c’era un grande rumore, camerieri gentili, si respirava, si mangiava, dei piatti di pasta, io ero vestito normale, gli altri eran vestiti normali, solo la sposa e lo sposo erano un po’ eccentrici ma, poveretti, non so come dire, li si compativa, insomma, quel che volevo dire, è che, tornando a casa, quella volta lì avevo pensato che ero stato così bene, non sembrava neanche un matrimonio, quello dov’ero stato.
Io, devo averlo già scritto, a me, ma forse sono io, eh, le cose che mi piacciono, sono quelle lì, i matrimoni che non sembran matrimoni, i libri che non sembrano libri, i film che non sembrano film, le domeniche che non sembrano domenica, le vacanze che non sembrano vacanze, i cantanti che non sembrano cantanti, i musicisti che non sembran musicisti, i pittori che non sembrano pittori e anche il contrario, però.
C’era una mia amica che aveva un cugino che, mi ha raccontato, andava in autobus con un basco e delle tele bianche sotto il braccio, era uno che non aveva mai dipinto niente nella sua vita voleva però che gli altri pensassero che era un pittore ecco, queste cose qua, son delle cose che hanno un verso, mi viene da dire, dove l’essenza, ammesso che esista, non si manifesta, ma si nasconde, non ha bisogno di manifestarsi, è tutta nella pratica, o nella non pratica, e Zavattini, mi viene da dire, è uno così.
A guardar Zavattini, a incontrarlo per strada, quella faccia rotonda, quegli occhi rotondi, quel mento così, come dire, importante, e anche un po’ di traverso, uno, io credo, avrebbe detto piuttosto di aver davanti un prete, anziché uno scrittore, non aveva il fisico, diversamente da altri, come Moravia, o Pasolini, o non so chi, che invece loro sì, portavano in giro dappertutto, e anche sugli autobus, le loro tele, e il loro basco di traverso, e tutti appena li vedevano, anche quelli che non leggevano, e non andavano al cinema, pensavano Ma questo qua è un intellettuale, e intanto Zavattini si faceva fotografare con un forcone in mano, come un prete contadino.
Ecco, Zavattini, mi viene da dire, io non l’ho mai incontrato, ma secondo me sembrava tutto tranne che un intellettuale, anche la sua voce, anche quella ce l’aveva di traverso, che ogni tanto sembrava che si incagliasse, che si ingolfasse, sembrava una voce con le ridotte, che uno che la sentiva l’ultima cosa che pensava era che quella era la voce di uno che lavorava alla radio, era una non voce, più che una voce, e, per questo, forse, inconfondibile, unica, ce l’aveva solo lui, una voce così, e quando la sentivi una volta, te la ricordavi per sempre, e ti ricordavi quel che diceva, anche le singole parole che usava, che le usava solo lui, per esempio la parola culano, che si trova in questo non libro, è una parola che nella mia infanzia io l’ho sentita dire un miliardo di volte ma in letteratura non l’avevo mai trovata scritta da nessuna parte, l’ho trovata qui dentro insieme a un sacco di frasi come Un figlio si può fare anche in piedi, o Papa, inventa, fai qualcosa di inatteso, bestemmia e mi converto, bestemmia o ti percuoto, o Che minuto, ieri, seduto in poltrona che sapevo ancora di caffè, o Da noi avvengono cose prive di noi oppure talmente noi che non c’è margine per considerarle, o Sotto gli elmetti da minatore i giovani carabinieri con gli occhi innocenti aspettano l’aumento, o Allungo la mano per slacciarmi il bottone della camicia, respirare meglio, e mi accorgo che è già slacciato, o Più vacca è, meglio è, o Mi cacciano a calci e un giorno faranno la fila davanti al mio mausoleo, o A piazza Venezia il terrore d’essere accusato di retorica solo a fermarmi, mi fa correre fino a Piazza Colonna, o Più di Kant mi convinse l’attaccapanni, o Mi tengo su con iniezioni di cemento, o E se fossi destinato a essere soltanto un artista? Mi si accappona la pelle, o Il capo dello stato riposa, gli ho mandato miei libri con la speranza di essere fatto senatore a vita, o Spese l’ultimo fiato per dirmi Guardati dai comunis, o Ho pieno i cogl di commuovere il prossimo.
copertina: edizione Bompiani 1970; controcop.: “Crocifissione con microfoni”, tecnica mista su compensato, 90 x 69 cm, 1977
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Che idea geniale ristamparlo.
E per di più Zavattini era un uomo buono.
il grande zavattini. molto divertente anche l’introduzione di nori.
Grande Zavattini, ma anche grande e geniale Paolo Nori.
Se solo si potesse trovare il libro in libreria.
io ho avuto la fortuna di conoscere Zavattini attraverso i racconti della prof. che ha curato le edizioni Bompiani dei suoi libri, e mi sono innamorata dei suoi scritti, dei suoi film, e della sua grande generosità. Un uomo che fa regali alle donne brutte, e pensa anche al prossimo, non è solo un intellettuale ma anche e soprattutto un grande uomo.
Complimenti a Nori, spero di trovare il libro.