ARRIVO

Nuova immagine broggi

di ALESSANDRO BROGGI

1

guardare al presente
individuare con precisione
le debolezze della società
in cui noi viviamo

il mondo è un luogo dove
siamo sottoposti ad un sovraccarico
di informazioni e la velocità
continua ad aumentare

oggi è sempre più difficile
capire se quella che abbiamo
sotto gli occhi sia la realtà
o un’immagine filtrata

stanno cambiando le regole
si va avanti anche se c’è una certa
confusione su come applicare
e interpretare gli standard

l’urbanizzazione del mondo
è accompagnata da cambiamenti
che possono essere considerati
un’espansione del consumo

le immagini e i messaggi
da cui siamo circondati
generano in noi veri e propri
effetti di accecamento

dovunque siamo basta entrare
in un supermercato per trovare
i prodotti a cui siamo abituati
e sentirci di nuovo a casa

una vera e propria aristocrazia
del potere e del sapere regnerà
completamente incontrastata su un mondo
di consumatori ignari ed esclusi

2

ci muoviamo sempre
in un mondo di immagini
in cui vengono mostrati
i segni del presente

l’umanità è diventata
un contenitore di immagini
il presente non si nutre più
di prospettive future

un corpo modellato sulle immagini
dei mezzi di comunicazione di massa
è ciò che vince nell’attuale panorama
delle motivazioni di consumo

le varie immagini del consumo
diventano metafora emblematica
del processo che porta alla costruzione
dell’identità contemporanea

la nostra economia
immensamente produttiva esige
che noi facciamo del consumo
il nostro stile di vita

il nostro immaginario
è plasmato dal potere
dei media di trasformare
il reale in simulacro

l’immagine del mondo
è dominata dal gusto
kitsch che caratterizza
la società dei consumi

la più grande sfida sarà
progettare oggetti esperienze
e forme di comunicazione
che abbiano senso

*

[foto A Broggi]

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44 Commenti

  1. Sono anch’io d’accordo sul “grado zero del poetico”. Quanto agli argomenti trattati, non mi pare ci sia nulla di nuovo. Sono analisi lette in centinaia di opere, da Debord a Augé.

  2. Grado zero, ha ragione Teti. Continua la sperimentazione (che non riesco a veder dissociata dal tipo di ricerca proprio delle arti visive) di Alessandro. Una ricerca estrema che mi interessa, anche se personalmente non riesco a fare a meno, in poesia, dell'”invenzione”. Ciao, Alessandro, e complimenti per la lucidità con cui osservi il baratro (e alla quale qualcuno deve pur sacrificare la “poeticità”). Più o meno lo stesso tipo di complimenti che mi sento di fare a Gherardo Bortolotti. Viva il coraggio dei pochi. luisa pianzola.

  3. Distillazione – forse sardonicamente intenzionata – del luogo comune sociologico (ideologico), in formule dichiarative metricizzate di diafana, stringente politezza.

    Complimenti. -F.D.

  4. Beh, ma non credo di tratti di contenuto (dire cose eccezionalmente nuove), ma di contenitore (il format poetico), e in questo mi pare di cogliere il parallelismo con l’arte visiva. Creare spaesamento, destabilizzaizone, con lo sfasamento tra il contenuto assertivo, laconico, da saggio sociologico, e l’involucro pacatamente classico (le quartine). Insomma, giocare con gli strumenti linguistici come con un meccano. Certo, il rischio è l’azzeramento, la sommatoria zero. Ma il rischio è alla base dell’arte, e della poesia. luisa pianzola

  5. Una delle solite polemiche sulla nostra società del consumismo, sulla mancata veridicità delle informazioni che ci vengono propinate violentemente giorno dopo giorno (polemica che peraltro approvo pienamente). Certo, contenuto già digerito varie volte e contenitore che all’apparenza può sembrare un pò “sciapo”, quasi banale, per l’uso di un lessico facilmente comprensibile e di un sistema di periodi altrettanto semplificato. In realtà il fascino di questo testo, secondo me, sta proprio in questo racconto quasi assente, privo di moti di pancia o di guizzi geniali: l’immagine (quella che vedo io!) è quella di una scena tetrale, dove un uomo, con lo sguardo perso nel vuoto, assuefatto da una società che gli ha tolto tutto, pensieri, parole, idee, denuncia, con un filo di voce, l’ultima testimonianza della sua anima, la violenza che ha subito.
    Ecco. Stravedo??

  6. Alessandro, Luisa, detto con il masimo rispetto per la vostra buona fede, ma questa non è proprio poesia. Sono solo annotazioni aforistiche . E già c’è stato chi mi ha preceduto nel dire che non si tratta di nulla di nuovo (leggere Guy Debord, a proposito dei contenuti qui proposti). Ad ogni modo va comunque dato atto a tanta , ma tanta ingenuità. Detto senza malevolenza, lo giuro sull’onore.

  7. >Distillazione – forse sardonicamente intenzionata – del luogo comune sociologico (ideologico), in formule dichiarative metricizzate di diafana, stringente politezza.

    Complimenti. -F.D.<

  8. Una cosa che avevo scritto per “Nuovo paesaggio italiano” e che trovo pertinente anche pr questi nuovi testi:

    “C’è una pulizia assoluta nelle parole e una inadeguatezza assieme. Non bastano, rese così quelle parole, quelle frasi non bastano, sembrano banalità, suonano come banalità, luoghi comuni, piccoli fatti invece che deflagrazioni che ribaltano una vita. E’ altresì evidente che l’autore gioca con l’incapacità di molte persone (una maggioranza..?) di trovare parole adeguate, cosa che porta ad esprimersi in un lessico sempre più omologato ed appiattito”

    “Il risultato, se dapprima lascia perplessi, dopo poco diviene esilarante per trasformare solo a fine lettura in un senso di crudele consapevolezza dell’appiattimento sentimentale/emotivo della “grande massa”. Crudele perché l’autore espone tutto senza mettere nemmeno un velo, senza esprimere un giudizio. Egli fa un passo indietro, mettendo noi in condizione di fare tre passi avanti.”

    fabiano

  9. Io continuo a vederci solo una sequela di riflessioni gnomico-aforistiche di pronta beva, che tra l’altro riprendono argomenti triti e ritriti già noti dalla fine degli anni ’60. Non possiamo parlare di poesia per ogni componimento che si presenta in capoversi. Non ci vedo intuizione, né tantomeno un grande sforzo intellettuale. La novità dove sarebbe? Nel linguaggio ‘omologato ed appiattito’? Nell’assenza di ‘giudizio’?

  10. Bah, sarà che a me il grado zero ha sempre attratto. E lo dico pur facendo poesia diversa. Mi ha sempre interessato la marginaltà, l’essere fuori. Poesia che esce dalla poesia, arte che esce dall’arte. Bravo Fabiano. luisa p.

  11. secondo me il termine chiave, per apprezzare un testo come questo, l’ha usato fabiano con “espone”. ovvero: il lavoro di alessandro si basa su un meccanismo espositivo, ostensorio e l’a capo lo rende poesia, proprio perché colloca il materiale testuale secondo un ordine poetico – di nuovo: ne espone gli strumenti. in questo senso credo che veda giusto luisa (che peraltro ringrazio ;-) nel vedere una stretta vicinanza all’arte contemporanea.
    ecco, forse questa ostensione ha in sé una trappola che bisogna evitare, come in tutte le digitazioni alla luna ;-), ovvero leggere il testo come se ci stesse dicendo qualcosa (per esempio delle banali considerazioni sociologiche) e non come, piuttosto, come se montasse il teatrino (l’installazione) delle nostre opinioni, dei nostri piccoli strumenti quotidiani, etc. etc.

  12. più che poesie mi sembrano sentenze. per quanto possa essere interessante il mio coinvolgimento emotivo posso dire che ho notato l’assenza totale di emozione, l’àncora dell’emozione (forse è un’assenza voluta?).
    queste righe non mi hanno trasmesso assolutamente niente, mi sono scivolate via dagli occhi

  13. ma qui oramai il teatrino è stra-noto e la serialità cata-tonica; qui siamo all’estenuazione, soporifera..e d’innovativo o di graffiante si vede poco..se poi si vuol dire che questa è la realtà che ci è toccata, beh allora siamo a una poetica lotofaga..scusatemi, senza alcuna vis polemica verso l’autore e gli altri esponenti di questa tendenza di cui ho letto cose sicuramente più interessanti, V.

  14. La struttura del singolo testo e della seria intera esprimono qualcosa di diverso dal contenuto della singola frase. Per questo chi legge questi testi ad un primo livello, in termini puramente “contenutistici”, prende un abbaglio. O meglio si rifiuta all’aspetto più ambiguo e inquietante dell’operazione di Broggi. Ma non sorge il dubbio che il gioco che l’autore sta giocando è diverso da quello della presa di posizione dottrinale sulla società dei consumi? Poi capisco che uno possa essere non sensibile a quel tipo di gioco, ma almeno bisognerebbe provare a individuarlo. Broggi fa un’operazione assai inqueitante, proprio attraverso la struttura del verso, ossia rende proverbiale il pensiero critico. Ora il pensiero critico è l’antitesi del proverbiale (il proverbio è la negazione di un pensiero articolato e critico). Insomma, per criticare adeguatamente il lavoro di Broggi – il che è del tutto legittimo – bisognerebbe innanzitutto capirlo, cogliere la sua strategia. Ma per fare questo credo che sia davvero necessario leggere questi testi avendo in mente il minimalismo, cage, Barbara Kruger, più che Montale, Sereni, o Raboni.

  15. “attraverso la struttura del verso, […] rende proverbiale il pensiero critico”
    non l’avevo mai vista in questi termini ma è molto giusto, perbacco, è proprio vero!

    sui fraintendimenti del testo di alessandro, aggiungo solo che forse è proprio nella misura lunga, nella iterazione del meccanismo che la cosa appare ancora più evidente.

    ultima nota, per viola: scusa ma un testo che ci dice che questa è la realtà che ci è toccata è tutto fuorché lotofago, anzi: è proprio il punto di partenza di un “risveglio”.

  16. sempre disponibile ai *risvegli*-); ma, sorry, che questa sia la realtà dovremmo averlo già da tempo, almeno qui, acquisito, buon lavoro a tutti, V.

  17. La prospettiva presentata da Andrea è indubbiamente originale. Ma resta il fatto che si tratta di un’operazione intellettuale del tutto asettica, priva di riscontri emozionali. Priva di originalità. Si è scomposto in versi un pensiero critico piuttosto consolidato conferendogli una patina di proverbialità. Ma quand’anche non volessi fermarmi ai contenuti, come posso distinguere la poesia di Alessandro Broggi da quella di chiunque altro a cui venga in mente di prendere il pensiero di Bauman sulla società liquida – per dirne uno – e sezionarlo in versi con la stessa serialità che ci viene proposta? Dove sarebbe la cifra, l’originalità, la forma propria dell’autore?

  18. Condivido quanto dice Aragno e mi dispiace di non essere d’accordo con Inglese: sì, certo, tutto il minimalismo possibile e niente Montale, Sereni o Raboni. Nulla da eccepire. Ma la poesia – qualunque forma essa assuma ( ed io sono onnivoro, sono per la infinita molteplicità delle forme) – quando c’è essa si “sente” ed è indiscutibile. Mi dispiace dirlo, ma qui non c’è. Così come non c’è né cifra né forma propria di un qualcosa che possa far pensare alla poesia. Anche al grado zero. A tal proposito, tanto per fare un esempio di come si possa “esprimere” poesia anche attraverso la citazione ( e qui Debord cade a fagiolo), vi segnalo “Il migliore dei mondi” (2008) di Felice Piemontese, Manni Editore: poesie formate da citazioni di Debord, TS Elot, Artaud, Manganelli, commenti a foto e ritagli di giornale su Abu Ghraib, e rimontate in maniera straordinaria, tale che – vicino al grado zero dell’espressione- la poesia riesplode e si sente, potente, proprio con la cifra dimessa e antiretorica di Piemontese. Leggere per verificare.
    Insomma se quanto dice Inglese, a proposito dell’esperimento di Broggi. è corretto , beh, allora io credo che l’esperimento non sia riuscito. Almeno all’orecchio della mia sensibilità. Non se ne abbia Broggi, sono un signor nessuno.

  19. Grazie, per gli apprezzamenti, i suggerimenti critici e le perplessità.

    Proverò, rispondendo, a ragionare portando altri argomenti rispetto agli accenti posti da Luisa Pianzola, F.D., Fabiano Alborghetti, Gherardo Bortolotti e Andrea Inglese, le cui parole, insieme, colgono già molte delle prerogative della mia piattaforma di lavoro.

    Prima di tutto il titolo. “Arrivo”: arrivo rispetto alle Colonne d’Ercole di uno stile – concettualmente (esteitca del “less is more”) e linguisticamente – “semplice”; e arrivo rispetto alle condizioni di fondo di uno status quo politico-economico “bloccato”, imperniato su una crescita finanziaria autotelica, sul consumo… eccetera, eccetera [che poi “qui” ci siamo arrivati da un po’, che la denuncia di questo status sia purtroppo diventato (o che possa diventare, letteralmente, appunto) un ritornello vuoto, e che p. es. all’orizzonte ci sia forse solo lo stesso sistema che non può che riprendere le proprie vecchie abitudini al primo segnale di ripresa (vd. “strigliata” di Obama a WS poco più di un mese fa), lo ritengo a maggior ragione rilevante.]

    La prospettiva, dal punto di vista degli strumenti come della gestione del senso, non è per me quella della “creazione del nuovo”, bensì la pratica di strategie come la postproduzione (http://gammm.org/index.php/2007/03/29/da-postproduction-nicolas-bourriaud-2004/) di dispositivi testuali, il riuso, il riepilogo, l’ostensione; e il metalavoro e la riduzione a materiali delle strategie enunciative dei mondi comunicativi e testuali possibili, come delle cornici e dei contenitori dei cosiddetti “generi”.

    Questo tipo di piattaforma può portare allo scoperto (e in ciò “denunciare”) due differenti disattendimenti rispetto alle attese medie del lettore – e in tal senso questo piccolo dibattito lo sto trovando piuttosto istruttivo –:
    1) rispetto a bisogni di una letterarietà a chiara (e spesso ad alta) soglia – per dettato verbale, per evidenza di indici stilistici e segnali formali (valide invece, per me, le opzioni contrarie: vd. http://gammm.org/wp-content/uploads/2008/02/hanna-christophe-poesia-azione-diretta.pdf) e per predeterminazione di quali siano i parametri della lingua chiamati in causa in una lettura “informata” rispetto a dato un genere letterario; e
    2) rispetto al bisogno, ugualmente legittimo, di una chiara codifica e di un ordinamento dei generi, o almeno di una loro immediata o rassicurante riconoscibilità, vissuta come prima, costitutiva e ovvia regola del gioco.

    Da qui discende forse, ad esempio, l’automatismo scettico di alcuni verso una scrittura come quella di queste quartine, che, pur in versi, non solo non incontra 1) e 2), ma si pone come indifferente all’interrogazione se si tratti o no di “poesia”, ritenendo implicitamente entrambe le risposte (in più, positivamente o negativamente argomentabili) come valide e impugnabili, a seconda di cosa fondativamente si intenda per “poesia”. Da cui, infine, ancora, la fragilità, o almeno la relativizzazione rispetto al buon fine di un testo, di un rigido ordinamento dei generi.

    A presto,
    Alessandro

  20. allora se ho ben inteso la questione includerei tra le quartine questo pensiero ultramoderno dell’intellettuale barese Tarantini (o Tarantino…):

    “Ho pensato in questi anni
    che la cocaina e le ragazze
    fossero una chiave d’accesso
    per il successo nella società”

    tutto ciò che è versificato può considerarsi poesia

  21. La spiegazione di A. Boggi è stata più che esaustiva. Effettivamente ad essere disattesi sono stati proprio i punti 1) e 2). Ma, più che relativizzazione di generi, io parlerei del loro completo annullamento. Non siamo di fronte ad un originale contaminazione linguistica tra moduli poetici e saggistici. Della poesia manca completamente l’impronta, la riconoscibilità del segno. L’unica cosa che sopravvive è la scansione in versi. E’ un’operazione facile, che costa poca fatica, ma che è del tutto ‘inutile’ dal punto di vista poetico e che permette una produzione a ciclo continuo. Potrei prendere qualsiasi pezzo di un saggio storico o filosofico, riscriverlo in uno stile minimalista e snocciolarlo in versi. Capisco benissimo che questo tipo di scrittura riproduca letterariamente i sistemi di postproduzione, ma dietro tutto questo non riscontro un’intuizione, un’ispirazione, anche semplicemente intellettuale, che mi faccia gridare o soltanto pensare alla poesia. E’ come una scrittura che si sforza in tutti i modi di essere uguale a se stessa. Forse che l’ambizione di Boggi sia quella del Pierre Menard di Borges?

  22. ”Da qui discende forse, ad esempio, l’automatismo scettico di alcuni verso una scrittura come quella di queste quartine, che, pur in versi, non solo non incontra 1) e 2), ma si pone come indifferente all’interrogazione se si tratti o no di “poesia” ”

    Voglio essere più preciso. Allora, chiedo, qual è il senso di versificare una scrittura che risulta indifferente, essa stessa, alla domanda se sia poesia o meno? Che senso ha la versificazione? Scrivo quello che mi passa per la testa, lo metto in versi e dico candidamente che la mia scrittura è indifferente a questo tipo di domande. Una scrittura che giustifica se stessa e sussiste solo in se stessa. Ma non è il massimo dell’autorefenzialismo?

  23. c’è una mancanza di novità, mi sembra, nei commenti di chi dice “questa è poesia” o “questa non è poesia”, “questi testi mi piacciono/emozionano” o “questi testi non mi piacciono/emozionano” e morta lì. questioni di ontologia testuale e di giudizi di valore non aggiungono niente ad un’opera (a meno che non si ipotizzi che l’autore le solleciti di proposito: ma allora deve seguirne un’interpretazione organica che contenga tali sollecitazioni). tuttavia capisco che si possa avere poco tempo (soprattutto qui) per articolare una lettura (complimenti a chi invece lo ha fatto).
    anch’io in effetti ora ho poco tempo, e allora mi limito a dire: questa è poesia: essa mi piace assai.

  24. A stretto giro (@Marco Aragno):

    l’efficacia di un testo (o di un lavoro testuale di ricerca, in senso lato), per quanto mi riguarda non può ridursi alla sua validazione o non-validazione rispetto ai parametri di tale o tal altro genere tradizionalmente codificato (es. la metrica o l’istituzione di una “misura” per la poesia, che pure in questa quartine è fortemente presente, benchè nascosta dall’nganno di una lettura veloce da esse stesse incoraggiata).

    Ipoteticamente, è anzi possibile lavorare su tutte le combinazioni possibili di tali parametri e caratteristiche salienti, che in molti casi sono a loro volta aggregati molecolari degli elementi “primi” e delle “modalità d’uso” fondamentali – a loro volta combinabili e manipolabili – in cui, secondo diversi rispetti, è analizzabile una lingua.
    A partire da quelli della retorica e (soprattuto) della pragmatica dei discorsi e delle scritture, nella quale si ritagliano e prospettivizzano le successive scelte: sintattiche, semantiche e così via.

    Alessandro

  25. Be’, non è poesia perché non suona.
    Non è narrativa, perché tutto è definito in una didascalia noiosa del già detto, del già sentito, del già visto.
    Non può essere ‘saggistica’ perché questa, se fatta bene, almeno non è superflua.

    Un bambino direbbe, bbrutto bbrutto.
    Io sto con il bambino.

  26. Fanciullino pascoliano ti ho scovato!

    Certo, certo…
    così come l’arte contemporanea da Duchamp in avanti NON E’ ARTE – per non parlare di Barnett Newmann, neodada, minimalisti alla Carl Andre, situazionisti, appropriazionisti alla Steinbach, poversiti e inespressionisti, concettuali alla Morris, institutional critique oriented alla Haacke o alla Graham; per non dire dei Cattelan (!)…
    così come la musica contemporanea, da Cage e Feldman in avanti (non avendo melodia, armonia e ritmo) NON E’ MUSICA – per non parlare dei minimalisti alla La Monte Young, dell’elettronica digitale alla Richard Chartier, del noise, della sound art alla Rolf Julius…
    così come i romanzi di Samuel Beckett non sono romanzi…
    […]

    Sìsì, ahinoi, ahinoi, torniamo alla bellezza, torniamo alla Bellezza…

  27. @Reazione

    Vede, di moltissimi nomi da lei citati, è chiaramente distinguibile la forma e la cifra stilistico-espressiva propria, che fanno dire “ecco, questo è un romanzo, una poesia, un film di Samuel Beckett”, insomma c’è un “segno” che lo rende immediatamente riconoscibile eccetera eccetera. Mi dispiace insistere, e non vorrei in alcun modo ferire l’impegno e la buona fede di Alessandro Broggi, ma nei testi qui presentati, io (e altro non ho per dirlo che la mia sensibilità e i miei strumenti critici che, in sé, rispetto all’assoluto, non sono niente, ma “contestualizzati”, sono però il prodotto di più o meno quaranta anni di amore per quasi tutte le forme di espressione dell’arte, e dunque di frequenza quotidiana con essa, come il caffè mattutino o l’acqua che si beve), insomma io non vi leggo un “segno” personale che possa farmi pensare a ciò che va sotto la generica definizione di “poesia”, in tutte le sue infinite varianti, anche le sperimentali più estreme. Qui viene presentato un testo bipartito, composto ciascuno da otto quartine non rimate a metro irregolare (es. la prima : senario-decasillabo-decasillabo-senario; la seconda: ottonario-dodecasillabo-decasillabo-settenario eccetera eccetera);il cui contenuto si presenta come riflessione gnomico-aforistica , considerazioni molto scontate sul mondo, come ad esempio nell’ordine, partendo dalla prima quartina, nel testo 1 : esortazione a individuare le debolezze della società in cui si vive, il mondo come veloce sovraccarico di informazioni, dubbio sull’effettività della realtà, le regole cambiano, confusione sull’applicazione e interpretazione degli standard (quali? riferiti a quali aspetti della realtà effettuale, materialmente organizzata? ecc.ecc.),il mondo si urbanizza e cambia in modo consumistico, siamo accecati da immagini e messaggi, tra i prodotti del supermercato ci sentiamo a casa (siamo proprio sicuri?), il potere è di una aristocrazia che regna su una massa di consumatori ignari ed esclusi; 2 : le immagini in cui ci muoviamo ci mostrano i segni del presente (ma nel testo 1 le immagini non ci accecavano? e se ci accecavano ora come facciamo a vedere i segni del presente che ci mostrano? e quali sono questi “segni” del presente?), umanità= contenitore di immagini (cieco o consapevole?) presente = eterno se stesso, senza prospettiva futura (ma il futuro è pura potenzialità, pura ipotesi, non esiste nella percezione),modellando il proprio corpo sulle immagini dei media si è vincenti nel mondo del consumo, le immagini del consumo come emblema dell’identità contemporanea, il consumo alla base dell’economia e dello stile di vita, i media creano il nostro immaginario, sostanzialmente menzognero, i consumi sono kitsch e kitsch è l’immagine del mondo, la sfida è : creare oggetti, progetti forme che abbiano senso (ecco, appunto, vien fatto di pensare, a proposito del senso di questo testo). Diamo per scontato il grado zero del poetico (e mi creda, io non ho affatto in mente il poetico come “il fanciullino pascoliano”), ma questi contenuti, a parte la loro genericità e contraddittorietà, non si salvano nemmeno con lo scivolamento tra il soggetto impersonale il “noi” generico e generalizzante; anzi , i due soggetti si contraddicono continuamente. Il lessico, il registro, il tono sono quelli che sono, banali, scontati, non hanno uno scatto, un appiglio che li impenni verso un qualcosa di nuovo od originale, anche tenendo conto di un eventuale pubblico di lettori potenziali : se è rivolto a un pubblico di massa, come quello evocato dal soggetto che dice “noi” nel testo, esso dunque è ottuso, cieco, accecato e privo di una qualsiasi capacità critica, probabilmente afasico e al massimo dominatore di non più di 100-150 parole con cui si esprime, fra cui di sicuro non vi sono quelle sociologizzanti e astratte del testo: dunque, quel pubblico, non andrà oltre la prima quartina; se si ha presente un pubblico colto, scafato, o smaliziato, avvezzo ai linguaggi di tutte le avanguardie: beh, stiamo freschi, come si vede da molti commenti, troverà le cose proposte come vecchie stantìe, ritrite eccetera.
    Le giustificazioni e/o motivazioni proposte da Alessandro, nella risposta a Marco Aragno, sono smentite dalla “decostruzione” del testo: se lo smontiamo, come ho in parte fatto io e mi astengo dal proseguire per correttezza, nulla incontra quelle motivazioni, che risultano ideo- sociologizzanti e un po’ confuse. O forse sarò io a essermi confuso, non lo escludo: ma se penso questo, allora è un punto a sfavore del testo, che è stato presentato come “poesia” di nuovo tipo ma dal testo piano e dalla forma “leggibile”.
    Già, il “codice” (come dice Inglese); ma in tal caso il codice dovrebbe scaturire da un “sottotesto”, o da un “ipertesto” (in entrambi i casi nell’accezione greca dei termini, nel senso di”ciò che sta sotto” o “ciò che sta al di sopra, al di là del testo”, di evocatore ecc.). Dunque il “significante”: scompongo, ricompongo, provo a leggere in maniera straniata, a bassa voce, a tono alto…non viene fuori niente di “significante” se non la sola scansione aforistica di luoghi comuni consolidati.
    Cosa voglio dire con tutto questo, sparare a zero su Alessandro Broggi?. Assolutamente no. Non lo conosco se non dalla foto della bibliobio che appare cliccando sul suo nome; nulla ho contro di lui né ho da sgomitare per proporre un mio prodotto concorrente. Cerco semplicemente di alimentare un dibattito centrato su “cosa sia poesia e poetico”, a prescindere dalle forme, dagli stili, dalle scuole. E ho già detto che sono onnivoro e sono per la molteplicità assoluta delle forme .
    Ecco, se penso a Samuel BECKETT, penso a un romanzo come “How it is” (Com’è, Einaudi Editore): ebbene, quell’ossessivo e ripetitivo strisciare del personaggio in un indistinto luogo, quell’ossessivo reiterare per accumulazione le stesse espressioni, ha un effetto “poetico” nel senso che, non solo rimanda a un referente altissimo (nel caso il Ciacco dantesco del Canto sesto dell’Inferno), ma ti trasmette quel senso soffocante e angoscioso di chiuso , di claustrofobico, di coazione a ripetere, che sono né più né meno, dei tratti distintivi della società di massa e dei consumi di massa: Dunque Beckett, utilizzando il “codice” del testo narrativo, non “sociologizza” né fa affermazioni aforistiche, ma “rappresenta” “esprime” quello scacco, quella condanna dell’uomo massa. A sua volta si rifà al pensiero di Walter Benjamin e a Theodor Adorno (su testi di questi prodotti negli anni trenta del Novecento), ma non c’è una parola in How it is che possa riferisi ai due, eppure il romanzo ne è impregnato, così come è impregnato e trasuda di Dante, dei testi biblici e di TS Eliot, e non ostante ciò, è originale, “comunicativo”, trasmette emozione, perché trasuda di questi “sottotesti” o “ipertesti” di questi “significanti”. E siamo un testo del 1961, tutto composto sulla “sottrazione” di elementi tradizionali della composizione e sull’”accumulazione” di referenti e significanti. Paradossale, no?
    E vogliamo parlare del Samuel Beckett’s Film? Lo potete vedere tramite il link sul mio blog. Vedetelo e capirete ciò che voglio significare a proposito delle molteplici vie dell’espressione poetica.
    Insomma, e per concludere, voglio dire che anche l’organizzazione di un pensiero aforistico sotto forma di quartine, con un testo dal registro banale e dai significati scontati può essere poesia; a patto che abbia una sua “cifra” espressiva, a patto che produca un “senso” un “significato e un significante”, che comunichi un’emozione all’altro polo del trasmettitore (il lettore). Allora, perché sia ‘plastico ciò che sto dicendo in modo fluviale e affastellante, ecco invito lei e chi lo volesse a leggere “Mica me”, Orient Express Editore, di Livio Borriello. Quello è certamente un testo aforistico, ma è la rappresentazione “plastica” di un “io” scarnificato di tutto; un io che Broggi tenta di “mettere in scena” nel suo testo senza esiti poeticamente significativi. In Borriello il testo aforistico è ricchissimo di poesia , di significanti e di referenti. E “fa vivere” rappresentando ciò che A.B. elenca nel suo testo.
    Va da sé che non conosco Borriello, non sono il suo editore né il suo agente letterario. Ho citato lui perché è uno degli ultimi libri a contenuto aforistico che ho letto e perché è un “contemporaneo”.
    Chiedo scusa per la lunghezza.

  28. Ho allungato la mano e acceso il pc.

    Questo. Non Quello.

    Si è illuminato lo schermo.

    E’ comparso/a Reazione.

    Senza l’articolo.

    E’ bello veder reagire così.

    Mi Piace.

    E nemmeno mi duole il dito per lo sforzo.

  29. Credo che l’intervento di Broggi del 13 Ottobre 2009 alle 22:19 chiarisca il punto fondativo di questi testi, anche dal solo punto di vista linguistico. Eco chiamerebbe “spazio della scelta” ogni gruppo di combinazioni concesse ad una sintassi; la semantica giunge in un secondo momento ad esprimere un giudizio (altri direbbero ad incarnare), quindi a creare un ordine; diversi ordini si ramificano poi in diverse tradizioni, secondo una prospettiva antropologica cara al partito D’Angelo-Borriello.

    Ma lo spossessamento dell’umano e’ una scelta culturalmente possibile, anch’essa una semantica, dalla prima rivoluzione industriale in avanti. Una semantica equipollente a quella suggerita dai detrattori, senza alcuna lesione dell’umano. Broggi infatti non lavora sulla sintassi, motivo per cui attira i distinguo di altre semantiche con storia piu’ lunga alle spalle, che “sentono” di saperla piu’ lunga solo in virtu’ di piu’ lunga esistenza alle spalle.

    Dal mio punto di vista, per finire, il lavoro di Broggi appartiene ad un seme memorialistico con tonalita’ da necrologio, come si legge nelle apposite pagine dei quotidiani. Un diffusore italiano di poesia in questa tonalita’ e’ stato Valerio Magrelli.

    Ancora, D’Angelo cita Piemontese come realizzatore di cut-up “vivi”; quel genere di operazione appartiene ad un seme diverso, non memoralia bensi’ exempla, come nella letteratura votiva diffusa in Italia sin dal MedioEvo. Gli exempla hanno una storia e una finalita’ probabilmente esaurita -dal punto di vista delle idee- con la prima rivoluzione industriale, l’inurbamento ecc ecc.

    Che il web 2.0 consenta anche a chi si collega da bolle temporali esaurite e passate artisticamente in giudicato di far valere le proprie ragioni, come se fossero una novita’, e’ una causa della grande confusione in atto anche a queste latitudini.

  30. Non sapevo di appartenere al “partito D’Angelo-Borriello”. Inoltre chi ha stabilito che io scriva da “bolle temporali esaurite e passate artisticamente in giudicato di far valere le proprie ragioni, come se fossero una novita’”? Chi è questo Ente Supremo che è anche dentro le mie intenzioni e mi stravolge il senso di ciò che ho detto? Di quali “novità” parla? Ciò che ho scritto è lì ed è intellegibile da chi ha mente e cuore sgombero da malanimo. Dunque, riassumiamo :
    viene pubblicato un post con un testo poetico bipartito. Perche viene pubblicato? Perchè lo si legga e lo si commenti.
    Io ho commentato cercando di dire perchè il testo non mi sembra un testo poetico. Così come altri han detto il contrario. Ho raccolto l’invito di Andrea Inglese a cercare di individuare il codice del testo proposto , per analizzarlo e raccogliere il suo invito a capire almeno l’operazione proposta da A.B. Cosa che ho fatto senza malanimo e con sincera disposizione; ho anche detto e ridetto che non è in questione l’autore che non conosco (anzi, può darsi che altri suoi testi io li trovi interessanti, poetici e apprezzabili; e questo è uno stimolo a conoscerlo, tanto per non sentirmi “passato in giudicato”), ma dal momento in cui si è sviluppato un dibattito su cosa sia o meno “poesia”, ( e la cosa mi interessa e mi appassiona) ho contribuito allo spazio comune, dicendo la mia con sincerità e pesando le parole, nella misura in cui lo consente il mezzo.
    Cosa c’entra lo stravolgimento operato da GiusCo? Non vorrei proprio tirare fuori ancora una volta le paroole di mio nonno…
    Quanto alla “confusione”, cade a fagiolo questo sonetto :

    Scrivere non è così difficile,
    facile è smarrire ogni giorno
    andato, nel girotondo intorno
    a un mondo di risse da cortile,

    dove ogni contrario è sostenibile
    e l’opposto è questione di contorno,
    ove mai non sia l’eterno ritorno
    a un presente inestricabile.

    Non è solo gracile dialettica
    a buon mercato, ma è il peccato
    originale, che nella poetica

    del nulla ha il suo male; fonetica
    fasulla, che nell’arte ha generato
    turbe di cretini , e non estetica.

    (metro : Sonetto endecasillabo a rima ABBA-ABBA-CDC-CDC)

    Stop it, please, e stiamo al terma. Grazie.

  31. D’Angelo, lei ha preso 4 righe da un commento di 28 e replicato con altre 40, del tutto ininfluenti sul merito del discorso. I suoi toni moralisti e patronizing la riconducono, di nuovo, al filone degli exempla (ci metta anche suo nonno, se le fa piacere).

    Quel che non ha capito del merito, perche’ forse non riesce a guardare ad un livello piu’ generale, e’ che lei e’ parla (o meglio, e’ parlato) da una semantica/tradizione/letteratura che precede quella alla quale si appiglia Broggi e che l’Ente Supremo chiamato Tempo sta purtroppo giocoforza estinguendo.

    Capira’ dunque che mentre il suo filone ha storicamente-culturalmente-politicamente espresso quel che doveva quando esso stesso era frontale e contemporaneo, quello broggiano nella sua ingenuita’, nella sua pallida rivisitazione di poetiche oramai mezzosecolari, azzarda ancora una adesione face-to-face al contemporaneo attuale.

    Sono sicuro che anche fra i broggiani abbiamo e avremo presto dei dispensatori di exempla, ma al momento “mente e cuore sgombero da malanimo” non sono virtu’ delle quali puo’ fregiarsi lei e, in genere, alcuna retroguardia. Al contrario dei teneri sperimentatori del freddo.

    • Pur preferendo il commento delle 16.20, trovo che “teneri sperimentatori del freddo” sia notevole.

      Anche bello.

  32. Facendo la tara dei livori personali remoti (evidenti nella retorica tranchant di GiusCo versus Broggi), la discussione sembra prendere una deviazione interessante.
    Vorrei chiedere a GiusCo, per capire meglio, alcuni nomi di autori “engaged”, in un “face-to-face con il contemporaneo” secondo lui invece convincenti e aggiornati. 3-4 nomi, se vuole anche non poeti e anche non italiani, e magari il nome di un artista e quello di un compositore o musicista. Insomma, una part construens…
    Come ha fatto D’Angelo che, rispondendomi solo su Beckett e solo in parte, dal canto suo ha citato Borriello.

  33. Signora/signorina, quale livore? Non conosco Broggi cosi’ come non conosco D’Angelo; e sono sicuramente piu’ vicino ai freddi che ai votivi; materia inerte nei primi, materia morta nei secondi, ma sempre materia (come si trancia la materia viva? A quarti? A mezzi? Lo chieda al “Macello” di Ivano Ferrari). E perche’ mi chiede dei nomi? Non sono un catalogatore. Ma il generatore automatico di poesie di Roberto Uberti http://www.robertouberti.it/ potrebbe incuriosirla. L’algoritmo di creazione, il decisore delle semantiche. Metta quello su pagina bianca, in codice macchina (invece che le poesie che esso stesso genera, pur di sicuro livello) e avra’ la pars construens face-to-face. E’ un brutto lavoro discutere di poesia: tutti si offendono per un nonnulla, come in una catena alimentare carnivora.

    Io stesso non sono migliore, sa? Molesto in NI dalla nascita, ormai sei anni, e se il primo commento lasciato in blog puo’ valere ad epitaffio, sono morto anch’io, assieme a tutti gli Autori: “16 Giugno 2003 alle 19:27 – Non condivido quanto dice Scarpa: un cazzaro resta tale anche se c’ha il blog e molesta gli Autori. I blog evidenziano quanto già noto: la massima parte della gente è cazzara, frustrata e livorosa ma non servono analisi superiori o strenue difese al diritto di rappresentare l’Io (ahi, Scarpa, le hanno pestato la coda? Dov’è il suo Sprezzo Autoriale?). Sic transit fuffa mundi e viva i blog, meglio farsi il sito che le seghe o rompere i coglioni.”

  34. @GiusCo

    Lei continua a sviare il nocciolo della questione, introducendo surrettiziamente questioni che nulla c’entrano con ciò di cui si discute, facendo proprio come quei tizi alla Tv, i servi del Capo, i quali sono espressamente addestrati a “interrompere” e a “sviare” chi cerca di dire la sua articolando il pensiero, badando a non offendere né a urtare le suscettibilità. E infatti sposta sempre l’asticella, fa lezioni, mi taccia di usare un tono “moralistico” e un atteggiamento “patronizing”. I miei commenti sono qui, leggibili e intelligibili; chi non ha malanimo o motivo di pregiudizio o partito preso è perfettamente capace di notare che in essi non v’è assolutamente nulla di “moralistico” e/o di “patrocinante” nei confronti di alcuno, ne di detrattorio verso Broggi.
    Lei svia, ma la questione vera era ed è – lo ripeto ancora una volta – esprimere un parere su un testo presentato sotto forma di poesia .
    Si è sviluppato un dibattito abbastanza interessante grazie ai contributi di Broggi stesso, Inglese, Aragno, Luisa e altri di cui mi sfugge il nome all’atto di scrivere. Da parte mia, raccogliendo l’invito, ho cercato di motivare perché non trovavo “poesia” nel testo, partendo da esso, proprio sulla traccia delle indicazioni date da Broggi e da Inglese. Questo non vuol dire “essere detrattori” nei confronti dell’Autore, significa partecipare a un “confronto”, prender parte a un dibattito su un tema interessante, nel rispetto delle reciproche posizioni, dando per scontato che l’Autore del post ha il pieno diritto di ritenersi produttore di poesia. Ho dato atto non una , ma tre volte di tutto questo. Ora se si mette un post è perché si vuole ascoltare che ne pensano i lettori. E questo ho fatto e sto facendo. Non mi pare di avere offeso AB. E fin qui siamo al “grado zero” del lapalissiano.Il che , di per sè è già emblematico del grado di autismo corale in cui si naviga.
    A proposito di “grado zero” del poetico (locuzione introdotta da Teti, se non erro), ho citato Felice Piemontese come “uno” dei numerosissimi esempi di come si possa utilizzare il “grado zero” del poetico individuale (nello specifico attraverso il collage, il montaggio, la citazione di parole e versi altrui) per produrre “segno, senso”. Citavo FP in questo specifico contesto, non certamente per definire la sua poesia . Lei cosa risponde? Prende la tangente, facendo una lezione sui memoralia e sugli exempla che (per quanto interessanti) nulla c’entrano col caso dato del “grado zero” del poetico al fine di produrre “segno, senso” e/o cifra espressiva propria.. Questa era ed è la questione. Di questo si parla. Io ho cercato di “dimostrare” perché secondo me il progetto proposto da AB non era riuscito, e l’ho fatto alla luce di quanto da lui e da Inglese asserito. Mi sono limitato a fornire dei brevi esempi di analisi della struttura e dei contenuti del testo (della “semantica” del testo, se le piace il parolone specialistico) del lessico, del registro e della forma proposta ed ho anche detto che mi fermavo per correttezza nei confronti di Broggi e di chi legge. Perché fossi meno assertivo e fumoso possibile, ho portato degli esempi e ho utilizzato un testo e un film di Beckett, proprio quel Beckett citato da “Reazione” in un elenco di autori portati come innovatori di “senso, segni” nella direzione di Broggi.
    Lei, invece, che fa ? Invece di portare argomenti ad alimentare la “pars costruens” del dibattito, si lancia in provocazioni gratuite, mi iscrive a un partito (il Borriello-D’Angelo), mi definisce “passato in giudicato” quale “agito” da una semantica/tradizione letteraria sorpassata, aggravata dal fatto anagrafico ( avendo io 55 anni non posso e non sono in grado di capire le “memorabilia” della nuovissima estetica eccetera eccetera). E le sfugge che è sempre lei – aprioristicamente- ad arrogarsi il diritto di definirmi e incasellarmi secondo i suoi pregiudizi e/o idiosincrasie. Ma che ne sa lei di me, di chi sono, cosa leggo eccetera eccetera? Possibile che si senta talmente disorientato da avere sempre e comunque il bisogno di definire e incasellare con sprezzo gli altri? Possibile che non riesce a dare il suo contributo alla discussione su un forum condiviso in maniera propositiva?
    La smetta di menarla, abbia rispetto per Broggi e per i sodali di questo forum. Se non le piacciono i blog , li lasci perdere. A questo punto sarebbe preferibile – cito lei- “farsi le seghe” “ o, al limite, scopare” ( e cito Guccini).
    Mi stia bene e non se la prenda più di tanto.

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Andrea Inglese (1967) originario di Milano, vive nei pressi di Parigi. È uno scrittore e traduttore. È stato docente di filosofia e storia al liceo e ha insegnato per alcuni anni letteratura e lingua italiana all’Università di Paris III. Ora insegna in scuole d’architettura a Parigi e Versailles. Poesia Prove d’inconsistenza, in VI Quaderno italiano, Marcos y Marcos, 1998. Inventari, Zona 2001; finalista Premio Delfini 2001. La distrazione, Luca Sossella, 2008; premio Montano 2009. Lettere alla Reinserzione Culturale del Disoccupato, Italic Pequod, 2013. La grande anitra, Oèdipus, 2013. Un’autoantologia Poesie e prose 1998-2016, collana Autoriale, Dot.Com Press, 2017. Il rumore è il messaggio, Diaforia, 2023. Prose Prati, in Prosa in prosa, volume collettivo, Le Lettere, 2009; Tic edizioni, 2020. Quando Kubrick inventò la fantascienza. 4 capricci su 2001, Camera Verde, 2011. Commiato da Andromeda, Valigie Rosse, 2011 (Premio Ciampi, 2011). I miei pezzi, in Ex.it Materiali fuori contesto, volume collettivo, La Colornese – Tielleci, 2013. Ollivud, Prufrock spa, 2018. Stralunati, Italo Svevo, 2022. Romanzi Parigi è un desiderio, Ponte Alle Grazie, 2016; finalista Premio Napoli 2017, Premio Bridge 2017. La vita adulta, Ponte Alle Grazie, 2021. Saggistica L’eroe segreto. Il personaggio nella modernità dalla confessione al solipsismo, Dipartimento di Linguistica e Letterature comparate, Università di Cassino, 2003. La confusione è ancella della menzogna, edizione digitale, Quintadicopertina, 2012. La civiltà idiota. Saggi militanti, Valigie Rosse, 2018. Con Paolo Giovannetti ha curato il volume collettivo Teoria & poesia, Biblion, 2018. Traduzioni Jean-Jacques Viton, Il commento definitivo. Poesie 1984-2008, Metauro, 2009. È stato redattore delle riviste “Manocometa”, “Allegoria”, del sito GAMMM, della rivista e del sito “Alfabeta2”. È uno dei membri fondatori del blog Nazione Indiana e il curatore del progetto Descrizione del mondo (www.descrizionedelmondo.it), per un’installazione collettiva di testi, suoni & immagini.
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