Baarìa (ovvero, il tempo dei sorvolatori)
di Evelina Santangelo
Perché Tornatore ha messo su una produzione colossale, ha convocato attori e comici (siciliani soprattutto, ma anche non siciliani) di varia fama e fortuna, accanto a una moltitudine di comparse? Perché ha rinunciato a ogni tipo di effetto speciale o di espediente cinematografico al punto da far sgozzare davvero un bue sul set, suscitando lo sdegno degli animalisti?
Perché – passando al piano delle scelte strettamente narrative – ha evocato quasi un secolo di Storia? ha attraversato tre generazioni (il nonno pastore, appassionato di letture, il padre semianalfabeta e attivista politico, se stesso ragazzo…)? ha intersecato le esistenze di una moltitudine di personaggi? ha montato un film lunghissimo quasi tutto calato in una colonna sonora pervasiva?
Con domande del genere, prive di risposte convincenti, si esce dal cinema dopo aver visto Baarìa.
Per fare un omaggio alla sua cittadina di origine, Bagheria, verrebbe da rispondere (restituita, infatti, in paesaggi e ricostruzioni mozzafiato), con le sue figure eminenti (Guttuso, Buttitta evocati in camei emblematici), le sue credenze locali (le uova rotte e le serpi nere del malaugurio, le «truvature» nascoste sotto rocche miracolose), i suoi antichi o inveterati o invalsi usi e costumi (la «fuitina» dei fidanzati, le suggestive processioni religiose, il più moderno «schiticchio» in campagna, i «bagni ammare» negli stabilimenti…), il suo dialetto, le sue strade, i suoi monumenti, i suoi palazzi-simbolo (come Villa Palagonia e i mitici mostri che la vegliano)… Per fare un omaggio a suo padre, semianalfabeta e appassionato attivista comunista, che non ha mai avuto la soddisfazione di essere davvero qualcuno, verrebbe da dire, visto che è l’unico personaggio su cui indugia un po’ di più la storia (anche se mai sino al punto da toccare la sostanza umana più nascosta). Per tornare, a suo modo, a casa, alle sua terra, alla sua gente, alla sue vicende familiari e alla loro esemplarità.
E, per fare un omaggio del genere, era necessario scomodare tutto quello che è stato scomodato? Dissipare tutto quello che è stato dissipato?
Ridurre mezzo secolo di Storia a una carrellata di fatti salienti privi di sviluppo interno, dove alcuni eventi fondativi del nostro Novecento sono risolti quasi sempre in corse concitate e urla? (non ho mai visto concentrate in un film tante scene di massa in cui la gente non fa altro che correre e urlare per ogni genere di evento), dove le intimidazioni degli squadristi e l’arroganza dei podestà diventano siparietti sapidi, caricaturali? dove le aspirazioni, le delusioni, le tensioni, i sacrifici, le disillusioni che accompagnarono le lotte contadine e sindacali sono risolti in citazioni più o meno suggestive (come il corteo muto di bandiere rosse e petti a lutto dopo la strage di Portella della Ginestra, di cui resta solo questa nota di colore)? dove le contestazioni del Sessantotto si risolvono in citazioni di peso del più famoso degli slogan del maggio francese e in un didascalico conflitto generazionale a suon di centimetri di gonne? dove l’urbanizzazione – con tutto quello che ha significato per la Sicilia e per un paese come Bagheria la speculazione edilizia –, diventa una trovata semicomica con l’assessore all’urbanistica cieco che mette le mani sul plastico della città e sulla bustarella infilata nella tasca (una scena che non riesce nemmeno a essere iperbolica, solo una citazione letterale del titolo di Rosi)? dove la Storia insomma diventa una sorta di manuale «tascabile» di facile consultazione condito di trovate sapide? E dove le storie individuali, le storie minori che fanno la Storia, diventano scene di vita puramente giustapposte senza alcuna intrinseca necessità narrativa, alcuno sviluppo interno né alcuna eco umana che dia lo spessore di una esistenza?
Per fare un omaggio del genere, quasi personale, che mi ha ricordato certi aneddoti di mia nonna (bagherese o di mia madre, lei pure bagherese), certe storielle raccontate così per passare una serata o ricordare i tempi andati (Buttitta che recitava le sue poesie per strada, le leggende di tesori nascosti…) era necessario andare a scomodare la sicilianità nella sua quintessenza riducendola a un repertorio di tratti distintivi, anzi di luoghi comuni: le lupare in spalla, la coppola, le mafiosità verbali e comportamentali, le furberie, il qualunquismo, il dialetto sempre urlato, la battuta facile (ammesso che i siciliani, i bagheresi, abbiano la battuta facile)… così facile che molte scene sembrano costruite tutte in funzione di una qualche battuta, appunto… così facile che l’intera Storia e quotidianità dei siciliani sembra esser stata un susseguirsi di gag, di siparietti comici, un ininterrotto avanspettacolo o una perenne commedia delle parti, con tutti i ruoli previsti assegnati a dovere, e con un netto prevalere di caricature (tragiche o esilaranti)? Cosa che sarebbe anche andata bene (c’è chi, come Roberta Torre, ha messo alla berlina certi tratti dell’identità mafiosa attraverso un uso intenzionale e corrosivo della caricatura, c’è chi, come Ciprì e Maresco, ha perseguito il grottesco caricaturale senza risparmiare niente e nessuno… qui in Sicilia), sarebbe andata benissimo, ripeto, se in Baària non ci fosse sempre quella musica epica o nostalgica, da «come eravamo», quella figura del padre dotata di una sua allusa (presunta) dignità interiore, se non ci fosse quell’atmosfera patinata, quella luce dorata, che a volte ricorda persino certe pubblicità della chiesa cattolica o della pasta Barilla (con il piatto, non di pasta ma di polpo, servito in tavola al maestro Guttuso, che accenna il disegno di un tentacolo… in omaggio anche lui alla sua gente che, a sua volta, lo omaggia)… se non ci fosse quell’atmosfera bella, consolatoria, dove ritrovi le cose antiche (le uova rotte, le serpi, le «truvature», le veggenti…), il sapore locale, il vernacolo (pronunciato quasi sempre a voce altissima come se fosse un parlare tra sordi), se non ci fossero quei rallenty, quelle riprese evocative o grandiose, quelle citazioni e autocitazioni (Le mani sulla città, Il Padrino… le scene più memorabili di Nuovo Cinema Paradiso), se non ci fosse quell’ambizione di attraversare la Storia (come ha saputo attraversarla Bertolucci nel suo Novecento, con le sue scene durissime sulla vita contadina di cui il toro sgozzato di Baarìa sembra una pallida rievocazione, se non fosse che il toro è sgozzato sul serio…), quell’intento abbastanza esplicito di restituire l’identità di tutta una gente attraverso storie minori, oscure, iscritte nella grande Storia.
Così, alla fine, uscendo dalla sala, dopo aver visto un film di un regista ritenuto tra i più rappresentativi del cinema italiano contemporaneo, e accolto come un maestro (indiscussa la sua abilità con la cinepresa), si ha l’impressione che quel volo iniziale del bambino su Baarìa non sia mai finito, che il film non sia mai davvero iniziato, e che tutti noi spettatori si sia stati lì a volare, o sorvolare, sulla Storia e le storie, senza mai davvero toccarle o affondarvi lo sguardo, da bravi sorvolatori o da cultori della distrazione e della battuta facile, senza troppe pretese, quali spesso ci siamo ridotti, nostro malgrado.
E la sensazione disturba ancora di più proprio perché questo film scomoda tutto quello che si poteva scomodare e dissipa tutto quello che si poteva dissipare, in termini anche di patrimonio spirituale e identità collettiva.
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Non l’ho visto e non credo che lo vedro’ perchè preferisco ricordarmelo da vivo, quando faceva film creativi e personali.
Tutto questo clamore richiama i colossal e il cinema, che dovrebbe essere luogo dell’onirico, del non detto, del visionario e della trasfigurazione, non lo contiene.
Tra i film piacevoli che ho visto: “Cosmonauta”, regno di utopie,
“Una soluzione razionale”, surreale e divertente, “the reader”, “vincere” etc etc……..escluderei Placido che avrebbe fatto bene a fare il poliziotto….
Ben detto. Io mi domando come mai Tornatore sia “ritenuto tra i più rappresentativi del cinema italiano contemporaneo, e accolto come un maestro”.
c’entrerà qualcosa il fatto che chi ha prodotto il film sia il primo, più potente e più efficace, attraverso i suoi media di ogni specie, dissipatore della cultura e delle coscienze italiane?
Tornatore o tornitore della cinepresa poco importa. A volte ritornano…Sarebbe stato meglio un viaggio di sola andata… Tornatore è un regista totalmente sopravvalutato, non vale quasi neanche la pena parlarne, basta non andare a vederlo. Cosa che faccio da anni.
Reputo Tornatore un autentico talento della visione. Il problema è che lui pensa anche di saperli scrivere i suoi film. E lì casca l’asino.
c’è un tanfo di boria impressionante sia nella recensione che nei commenti. come la recensione di quel a dir poco geniale giornalista della Süddeutsche Zeitung che scrive: “Rifare la stessa cosa non è in linea con le ambizioni di un grande festival. (…) Diventa spiacevole per lo spettatore rivedere quasi le stesse immagini di “Nuovo Cinema Paradiso” (…) si può dire ciò che si vuole, ma una cosa del genere può venire in mente solo a un italiano.”
che vuol dire???
molto bello, questo pezzo; e personalmente – e penso anche alla narrativa – è proprio di analisi di questo genere – intelligenti e non faziose – che sento la mancanza; sul prodotto, e non sulla persona; come dire, se non lo fanno più quelli che dovrebbero farlo per mestiere, fenomeno ormai generale, ma da noi ancora più dilagante, qualcuno dovrà pur farlo; per il bene di tutti
Qualcuno portò una cinepresa.
Nessuno iniziò a girare.
Era Torna, Tore (‘sta casa aspetta a tte).
Non ho ancora visto Baària, dunque non commento sul film, né su quanto sostiene la Santangelo, che ha comunque il merito di fare una critica che qualcuno potrà trovare non condivisibile, ma che è argomentata e corretta. Non capisco perchè, in casi del genere, subito scatta la compagnia di giro delle fastidiose mosche cocchiere pronte all’insulto gratuito mascherato dietro il nick name più o meno di comodo. Condivido, invece, quello che dice Gianni Biondillo: a volte Tornatore sopravvaluta la sua capacità di scrittore di cinema. Ma che sia un grande cineasta, su questo non ho alcun dubbio e potrei addurre qui una lunga serie di argomentazioni “cazzute” e specialistiche. Ma mi astengo, non foss’altro perchè gli anonimi polpi devono cuocere nel loro brodo ..insipiente. Non meritano repliche. A contrappasso, come in Arancia Meccanica, li inchioderei alla sedia, gli occhi sbarrati alla maniera del capo dei “drughi”, e li obbligherei alla visione di tutto Tornatore, Baàrìa compresa. Amen.
concordo con Biondillo
Tornatore resta un autentico talento, coi limiti sopra citati
a suo tempo Nuovo Cinema Paradiso mi suscitò un misto di fastidio e di commozione – credo che proverò sensazioni non dissimili con Baaria
“… potrei addurre qui una lunga serie di argomentazioni “cazzute” e specialistiche…”
anche la tua saccente prosopopea, d’angelo, è un brodo polipale nel quale sguazzi a piacimento
e ti ci trovi talmente bene, talmente compreso nel ruolo di nuotatore nella pentola di se stesso, che ormai non riesci più a distinguere l’ironia dall’insulto
riemèrgi, ripìgliati, rilàssati
Desidero ringraziare Evelina Santangelo per questa recensione, che mi ha tolto ogni dubbio. Vedendo i trailer, leggendo qua e là, pensavo: Boh?! Mah!? Ora invece sono arcitranquillo, neanche mi sogno di andare a vedere questa roba, anzi, terrò una distanza di almeno trenta metri da ogni cinema dove lo priettano. Uno che uccide davvero un animale “con un punteruolo”, come ho letto in giro, per le sue menate artistiche, non può che avere il mio disprezzo.
Credo ch andrò a vederlo, e credo che mi annoierò. Peccato perchè reputo Tornatore un ottimo regista, ma di certo non si puo’ raccontare eternamente la stessa storia largamente autobiografica. Anche perchè non è detto che una bella atmosfera e quel tappeto spesso melanconico e a tratti epico siano sufficenti a fare un gran film, perchè questo è assolutamente ordinario (chi di noi non ha una visione ricorrente degli anni dell’infanzia, una struggente nostalgia di atmosfere che non ritorneranno più?).
Il cinema, e qualsiasi tipo di racconto, in generale, deve trovare lo straordinario, e qui sta il difficile.
Comunque andrò a vederlo, sperando di sbagliarmi.
un omaggio al padre comunista da venticinquemilionidieuro sponsorizzato da un unto dal Signore!?
tornatore padre (comunista) forse non avrebbe gradito :)
baci
la funambola
Antonello,
ti assicuro che non c’è nessuna boria. Né mi interessa esprimere giudizi boriosi, che non giovano a nessuno, nemmeno a chi li formula (se, come penso, ogni giudizio dovrebbe essere esercizio di intelligenza e sensibilità, nei limiti certo delle possibilità di chi, quel giudizio, lo formula).
C’è solo la voglia, come ha detto Giacomo Sartori, di interrogarsi su un’opera così impegnativa, così ambiziosa, realizzata da un regista che ritengo dotato – come notano Gianni Biondillo, Enrico De Lea e alcuni altri – di «un talento della visione» non indifferente, anche se, per me, «la visione»… la «visone» è qualcosa di più che l”abilità di creare imagini suggestive.
La «visone» dovrebbe essere (nelle sue manifestazioni più significative, almeno) SFIDA DELLO SGUARDO SULLE COSE, no? Desiderio e capacità di tradurre quello sguardo in forme aderenti il più possibile alla sua natura, perché quello sguardo si faccia senso, pluralità di significati, emozione umana o intellettuale o artistica non occasionale né vittima dei luoghi comuni…
O qualcosa del genere, insomma (almeno nelle manifestazioni che pretendono, esigono il riconoscimento di opere d’arte).
E dico questo, perché se un tale impegno non si chiede a chi, come Tornatore, ha talento e mezzi (artistici ed economici non comuni), a chi si dovrebbe chiedere?
La severità di giudizio è d’obbligo, in casi del genere, ed è anche un modo, a mio parere, di rispettare l’opera el’artista (qualsiasi opera e qualsiasi artista di qualsiasi statura e fama, direi).
Certo avere «talento» significa anche probabilmente conoscere i limiti del proprio talento… e sapersi misurare con essi…
Per questo anche io ho l’impressione, come tanti altri intervenuti con i loro commenti (più o meno irruenti), che la debolezza di fondo di questa come di altre opere di Tornatore (vedi «L’uomo delle stelle», vedi la versione integrale di «Nuovo Cinema Paradiso»…) stia proprio nel voler fare da solo quello che farebbe meglio probabilmente confrontandosi con autori più sensibili alle storie, all’arte di raccontare storie e alle possibilità espressive proprie della parola…
(Un gesto di umiltà e di grandezza… mi verrebbe da dire, tra parentesi).
Talento visionario, scrittore da stradario.
Capisco che se non siete siciliani non vi fa effetto perchè vi sembra il solito clichè sulla Sicilia, ma vi assicuro che qui è davvero così. Le espressioni del dialetto, i timbri delle voci, i colori della luce.
Vi confesso che l’ho appena visto e che sono tornata a casa da circa trenta minuti e che ancora sono commossa.
Vedetelo prima di parlare, perchè questo film vi può insegnare qualcosa.
P.S. Per la cronaca, il film non è comico ma è il nostro dialetto che racchiude uno humor eccezionale dato soprattutto dalla mimica facciale.
al cinema palma di trevignano davano baaria in sala a e videocracy in sala b: in questa scelta percepivo una specie di reciprocità, una simmetria, un qualcosa.
Signor d’Angelo, lo dice anche lei, vedere Tornatore è una tortura, solo obbligando lo spettatore a guardarlo con i suoi metodi direi un po’ fascisti si può andare a vederlo. Concordo totalmente con Fortebraccio. Non coglie l’ironia delle parole e scade, lei si, con una serietà assoluta, nell’insulto gratuito. Ho il diritto di dire che a me Tornatore non piace? Comunque, ripeto, non vale neanche la pena parlarne, meglio l’oblio e la dimenticanza e di Tornatore ci si scorderà molto presto
Laura,
io «sono» siciliana!
Per ragioni legate al mio lavoro, mi sono ritrovata a lungo a misurarmi con le manifestazioni più complesse della nostra identità culturale, e non mi sembra affatto che si possa ridurre alla restituzione macchiettistica (che macchiettistica non vorrebbe essere, e questo è il punto…) che ne fa in questo film (diversamente che in «Nuovo Cinema Paradiso», capace davvero di commuovere e irritare e commuovere… come ha notato Enrico De Lea) Tornatore.
Per favore, glielo dico da siciliana che ha cercato di far venire fuori anche voci meno «ortodosse» della Sicilia, provi a leggere «Terra Matta», di Vincenzo Rabito… Per me l’ironia, lo sguardo traverso sulle cose, il comico e il tragicomico che sono davvero rappresentativi della nostra identità culturale ha a che vedere con quel modo lì di raccontare, con profondità del genere…
Ognuno ha i suoi modi certo di raccontare o dar forma ai propri mondi di invenzione, ma se lo si fa in modo facile (e in questo film, sul piano narrativo, c’è davvero molta approssimazione…), non si può pretendere il plauso indiscriminato.
Per questo ho cercato di esprimere un giudizio circonstanziato.
ps: Grazie a Dio l’arte dell’invenzione (letteraria, cinematografia, figurativa…) non è misurabile in termini di consenso (o non dovrebbe).
ho visto baarìa l’altro ieri. l’ho trovato magico ed emozionante dal punto di vista strettamente cinematografico (in televisione perderà molto) e macchiettistico in modo imbarazzante in tutto il resto. troppa musica, troppa caciara, troppe facce note, troppe citazioni, nessuna voglia o possibilità di profondità. in sostanza un film in perfetta sitonia con i nostri tempi. un ben confezionato popolare-populista film di regime.
Resta il fatto che Tornatore ci sa fare con la macchina da presa, e parecchio.
non l’ho visto. penso che non lo vedrò. vidi però “malena”, che si svolgeva lì. era tratto da un racconto di luciano vincenzoni, il noto sceneggiatore veneto; il racconto era ambientato nel suo nordest, e tornatore rigirò (in tutti i sensi) il tutto in sicilia. macchiettismo a ondate telluriche, confezione weinstein.
da quel che scrive massimo anche qui siamo sulle stesse “corde”.
ma credo che la cosa peggiore che abbia girato tornatore resti “la leggenda del pianista sull’oceano”. storia insulsa, film insulso, capacità tecnica (indubbia) buttata al vento (oceanico?)
mi scuso con l’autrice della recensione per il mio giudizio troppo tranciante sulla sua opinione. era la voglia di essere sintetico e sincero in toto.
prendo in prestito le parole di laura b. per spiegare il mio punto di vista:
“vi assicuro che qui è davvero così. Le espressioni del dialetto, i timbri delle voci, i colori della luce”.
ce la prendiamo tanto con i luoghi comuni ma è battaglia persa perché anche se a volte diventano stereotipi e basta, i luoghi comuni sono in grado di esprimere la realtà con una inesorabile crudeltà. non sono siciliano ma sono del sud e i luoghi comuni me li sento addosso
si può discutere però sulla questione della “barillità” in certi tratti del film
Il film l’ho visto, mi è piaciuto molto, sono siciliano e ho apprezzato che Tornatore si sia impegnato nel voler fare un film d’autore, dove ci ha messo il suo personale sguardo e la sua memoria storica. Recensione completamente fuori contesto. Ma di che parlava?
Antonello,
perdonami, erò, una cosa è lavorare sui luoghi comuni, farli diventare significativi di un modo di essere, ad esempio, o, diversamente, sottoporli a un’ironia corrosiva, ben altra cosa è essere preda, come autore, dei luoghi comuni. C’è una riflessione molto bella di Nabokov proprio sui luoghi comuni, su questa bestia nera per ogni autore… su cosa significa usarli e non esserne usati…
Il discrimine sembra sottile, e invece è abissale.
Ev
Antonello,
perdonami, però, una cosa è lavorare sui luoghi comuni, farli diventare significativi di un modo di essere, ad esempio, o, diversamente, sottoporli a un’ironia corrosiva, ben altra cosa è essere preda, come autore, dei luoghi comuni. C’è una riflessione molto bella di Nabokov proprio sui luoghi comuni, su questa bestia nera per ogni autore… su cosa significa usarli e non esserne usati…
Il discrimine sembra sottile, e invece è abissale.
Ev
mah, francamente a me tornatore sembra un altro dei numerosi “indicatori” biologici del degrado della nostra cultura…. ha certo una qualche cultura cinematografica e qualche talento, ma infine il regista è responsabile di ciò che nell’insieme comunica il segno film, che in questo caso è solo una certa ordinarietà a imitazione holliwoodiana… mi spiace di non essere d’accordo nemmeno col compagno di battaglie salvatore d’angelo, ma io questa visionarietà, confrontata a quella che so di herzog, di fellini, o di tanti assai meno famosi autori di film o video contemporanei, non ce l’ho mai vista…magari parlerei di visività…
C’è un virus ….. la demagogizzazione della cultura o meglio dell’emozione.
Martinelli nella piazza delle cinque lune è un grande….poi ha deciso per la saga leghista del Barbarossa…..c’è dissonanza, devianza.
Tornatore sembra compiere lo stesso percorso…la confezione del talento in contenitori spendibili su larga scala per un grande pubblico e un vasto profitto..
Spero non succeda lo stesso al mio adorato Diritti de “il vento fa il suo giro”.
Amo il cinema per la propulsione immaginifica, perchè induce sogni che autonomamente non scaturirebbero, perchè osa indagare la psiche umana più di qualsiasi compendio psicanalitico, perchè è per eccellenza dominio dell’aleatorietà e dell’immedesimazione.
Tradurre questa liturgia quasi sacrale in un prodotto propagandistico irretisce e offende perchè rompe il giocattolo preferito del bambino-spettatore e non c’è nulla di più serio del giocare al ” se fosse”.
sono d’accordo con te Evelina sulla questione della lotta che ogni autore dovrebbe condurre contro i luoghi comuni per dirsi originale (ma l’ironia sul luogo comune non è una dimostrazione del vincente strapotere del luogo comune?). e forse il tuo essere conterranea di tornatore ti ha reso insopportabili i luoghi comuni presenti nel film. o forse sono insopportabili anche per uno spettatore friulano…non lo so più.
certo è che si tratta di una battaglia davvero difficile da combattere e, letto e riletto il tuo punto di vista, non so più se tornatore questa battaglia l’abbia vinta.
tu sei una ‘resistente’. io un ‘fatalista’ che non pensa di poter sfuggire dai topoi (giusto per non usare sempre la stessa parola). e il mio essere fatalista è un altro luogo comune
ps: gli americani all’oscar per questi topoi, o topi, ci andranno matti…
a rileggerti
“Perché Tornatore ha messo su una produzione colossale, ha convocato attori e comici (siciliani soprattutto, ma anche non siciliani) di varia fama e fortuna, accanto a una moltitudine di comparse?”
Ma che domande: per poter concorrere agli Oscar, no? Infatti c’è riuscito.
Un saluto.
sgozzare un toro in diretta è tipico di una altissima visione estetica e narrativa e siffatta arte è premiata con la partecipazione agli Oscar americani. Si potrebbe girare un film sgozzando un umano e selezionarlo per gli Oscar? D’altronde anche l’arte contemporanea si nutre di animali per speculare. Una domanda provocatoria per Evelina Santangelo, , come si può recensire un racconto per immagini sorvolando sull’unica immagine vera e autentica?
Secondo me molte della valutazioni che ho letto sono sbagliate, perchè è errato guardare questo film aspettandosi da Tornatore uno scavo profondo – che del resto non c’era neanche nel cinema di fellini, ovviamente anche lui molto criticato da scrittrici come la Duras che non amava Fellini (leggere vecchia intervista al riguardo sull’estinto Linea D’Ombra) perchè non sapeva narrare. Quello di Tornatore è un cinema iperbolico, la quint’essenza del cinema, dove l’eccesso contiene – come giustamente Tornatore ha individuato – quello che si vuole rimuovere ma non è stato rimosso. Infatti è carico di simbolismo. Roba che i critici di sinistra (in verità anche quelli di destra9 non hanno mai capito.
In questo senso la memoria storica di Tornatore è emblematica e coraggiosa perchè se ne fotte delle pretese di fare del cinema una sociologia di basso profilo – che è quella che si aspetta una certa critica di sinistra – degna delle osservazioni ad ampio spettro parlamentare di Ermanno Cavazzoni in Il Limbo delle Fantasticazioni.
Ritengo che non è un capolavoro – il torto è pomparlo in questo senso – ma d’altra parte con quello che è costato, ma è un film di qualità, riuscito, dove l’emozione non può essere misurata e giudicata perchè inappropriata alla realtà narrativa.
non andrò a vedere il film.
perché non mi piace già da qui.
tornatore, lo dice il suo nomen, è l’eterna merdina che ritorna: lo sguardo su di sé pre-occupato solo di aderire al cliché, perché fuori dal cliché non si è in grado di pensarsi, di pensare, di rappresentare…
gli oscar, fateci caso, li vincono gli autori che dipingono gli italiani come gli americani si aspettano di vedere…
non penso che fellini abbia vinto l’oscar per il motivo da te addotto sugli italiani. di certo è vero che gli americani vanno matti per il ‘pittoresco’.
però smettiamola con sta storia del nome e delle merdine. non ha molto senso
infatti: apprendo dal tg che baaria è uffcialmente candidato all’oscar.
antonello: se analizzi gli oscar italiani, quelli di fellini compresi anche se non tutti, scoprirai l’eterna modalità pittoresca in cui amano che gli venga presentato il nostro paese (ricordi il postino?).
modalità alla quale gli italiani aderiscono in toto, perché altrimenti resterebbero senza punti di riferimento: albertosordi serve, è una boa, un faro nella notte.
in ogni caso: di chi è la casa produttrice del film che va a los angeles?
di berlusconi, come tutto il resto.
Ma “La sconosciuta” non era male, nonostante anch’esso forse un po’ tronfio e gonfio. però mi è piaciuto: una storia crudele che finisce a nordest ed inizia a sud, con due laidi (Haber e Placido) in discreta forma.
oppure
con chi ha pubblicato i raccontini tash
e i romanzi l’indianina…..?
con berlusconi come (quasi) tutti/o………
Non sono siciliana e non ho nemmeno visto il film. Ma credo di poter dire una cosa. Rappresentare un paese della Sicilia è più difficile che rappresentarne uno di un’altra parte di Italia. Perché la Sicilia ha prodotto una lunghissima tradizione di rappresentazioni di se stessa. Di uso del dialetto. Di immaginario, soprattutto. E tale immaginario di sicilianità è talmente forte che coinvogle, come in un moto circolare, la percezione che i siciliani hanno di sé stessi. Per cui non mi stupisce che qualcuno pensi di primo acchito che Evelina non sia di lì, perché altrimenti anche lei percepirebbe che la luce e le voci sono proprio quelle giuste, quelle autentiche. Può sembrare una cosa saccente detta così ma davvero non vuole esserlo. Anch’io mi sento legata a una cultura che spesso degenera in folclore o in kitsch eppure qualcosa se fatto bene, “suggestivo”, può avere il potere di commuovermi. Ma sono io che ci metto dentro – o mi lascio- tirare fuori qualcosa di mio che forse, quello sì, può dirsi autentico.
Francamente non ho ricordo di qualche film di tornatore che dopo un po’, dopo che magari ti ha portato e trascinato, ti lasci qualcosa che resti. Poi sì, d’accordo, è bravo visivamente.
Ricordo invece un’altro, girato da un regista non siciliano, ma calabrese che contiene una scena dove in una sola parola detta a voce normalissima è rappreso per me – oltre a tante altre cose- un senso di sicilianità fortissimo. Si tratta di Porte Aperte di Gianni Amelio, tratto dal libro di Sciascia. La storia è quella di un giudice che negli anni trenta si batte per far commutare in ergastolo la condanna a morte che spetta a un pluriassassino reo confesso e violentissimo (che ritiene giusto pagare il sangue col sangue). Il giudice è interpretato da Gian Maria Volonté e la scena che ricordo – il film l’ho visto tanti anni fa- non c’entra niente con la questione principale. C’è una bambina, credo la figlia del giudice, cui questo tornando a casa, la testa piena d’altro e con molta reticenza maschile, a voce normalissima chiede: “mangiasti?”.
anche se è vero che gli stranieri adorano il pittoresco, pizza mafia mandolino, non sono d’accordo. non puoi dirmi anche fellini. il buon matto fellini i luoghi comuni li ha creati! ha creato egli stesso nuovi miti, un nuovo tipo di pittoresco all’italiana. basti pensare al mito intramontabile della dolce vita che, suo malgrado, si è venuto a creare dopo il successo del film.
e poi otto e mezzo, fuori da ogni possibile riduzione e classificazione.
e de sica del neorealismo? e bertolucci?
alberto sordi è anche il borghese piccolo piccolo…non sono d’accordo con te francesco
quanto alla questione della casa di produzione, mi sembra stiamo mettendo troppa carne al fuoco.
comunque, non si sfugge al SUO strapotere economico. vogliamo parlar male anche di saviano che ha pubblicato con mondadori? non mi sembra il caso. evitiamo di prendere questo discorso
“comunque, non si sfugge al SUO strapotere economico. vogliamo parlar male anche di saviano che ha pubblicato con mondadori? non mi sembra il caso. evitiamo di prendere questo discorso”
Stadio IV
@antonello
pure io ho pubblicato con mondadori, come ricorda il commentatore nomato “a me mi”.
tuttavia questa pervasività del premier è diventata davvero eccessiva e richiederebbe una reazione organizzata degli autori (che non arriverà mai): esistono ancora case editrici non dipendenti della presidenza del consiglio.
tutto il neorealismo negli usa viene percepito sì come grande cinema, ma anche come riconferma dell’immagine corrente dell’italiano.
anche dei film di fellini che hanno vinto l’oscar l’unico che sfugge a questa modalità è otto e mezzo.
non che sia poi così importante.
ma amelio è su un altro piano, è un grande regista. tornatore è un bravo intrattenitore, secondo me.
e allora distinguiamo l’arte dal marketing
scusi “a me mi” che vuol dire Stadio IV?
Mettere a confronto Porte Aperte di Gianni Amelio, che è un bel film, con Baarìa di Tornatore è confondere le intenzioni. Qui Tornatore ha fatto un film sulla sua memoria. E’ un film che registra una memoria e ovviamente il modo di rappresentare quella memoria è il solo discrimine per dire se è un’opera d’arte oppure no. Un giudizio estetico. Il suo peccato – che le critiche cattive esercitano – è di non volersi omologare a un modo di fare cinema che se non diviene sociologia e messaggio non supera l’approvazione. La Sicilia che Tornatore ricorda – è il caso di dirlo – c’è stata e, nonostante i mutamenti, c’è ancora, e la rappresenta con precisione millimetrica, delineando morfologicamente i caratteri.
Ai siciliani moderni, alla sicilia della contemporaneità – che ha la memoria corta, la rimozione non fa proprio bene – quindi, trasversalmente risulta istruttivo, sebbene non abbia queste ambizioni.
concordo con luminamenti, la sua è un impressione diffusa tra molti spettatori che hanno vissuto realmente quelle esperienze. La sicilia è stata questo, e la visione di tornatore riesce a farsi comune per moltissimi siciliani.
Tornatore grande raccontatore, grande tecnico, grande cineasta..?
Mi chiedo quanti film abbiate visto in vita vostra.
Io ci sono cascato (tornato?) più volte sul cinema di T. ogni volta mi sono salvato dall’indignazione (pensando ai veri talenti ignorati) grazie alle risate che involontarialemte mi procurava. Non era masochismo, sistematicamente c’era qualche commento favorevole e vincevo la mia prevenzione. Da ultimo ho visto recentemente “Una pura formalità” che sembrava rifuggire da quelle epiche scorregge tipo “Pianista ecc.” o “Malena” ma anche qui, nonostante i pezzi da novanta di Depardieu e Polanski, desolante incapacità di montare la storia, dialoghi agghiaccianti nella loro stupidità e inverosimiglianza, morale evanescente, ambientazioni implacabilmente “ad effetto”…
Non vedrò dunque Baaaaaria, ne ho avuto abbastanza, segnalo solo su questo film che filmare l’uccisione di un animale, quantomeno se a scopo di entertainment, è giudicato un crimine dalle leggi vigenti, oltrechè assolutamente oltraggioso per chiunque abbia sensibilità bastante a non tollerare atti inutilmente cruenti spacciati per finzione.
Cara Evelina, a me pare che qui i soli luoghi comuni sulla sicilia siano i suoi, quella certa resistenza con quel pò di radical e quel pochissimo di chic che fa della critica preventiva un’opera d’arte – ma questo post d’arte del racconto se ne intende poco. Questo film mi ha raccontato il Sud, la mia terra, piccole storie di una società che si connettono come minuscoli frammenti in una sola storia – e le assicuro che non trovo a mia memoria un linguaggio cinematographico capace di narrare una realtà, un intero contesto, una società, un modus di vita. Forse lei è infastidita da certi ‘stereotipi’ che io amo, forse a lei non va proprio giù il sentirsi parte di una storia così memorabile come quella del folklore, che è ovvio che dentro l’occhio della telecamera diventa più marcato. Io per parte mia sono rimasta delusa solo dal finale, dalla mosca e dall’orecchino, forzature d’alta classe di chi sa creare magia e immagini – però non ci si aspetta il neorealismo dove non dovrebbe esserci. Se proprio non le piace vada pure a vedere storie di precariato moderno, magari le sembrano più verosimili nonchè asfissianti.
Non voglio neanche commentare chi parla di quel demente del nostro premier anche quando va a vedere un film – finirete a boicottare i cessi quando silvio comprerà qualche società di wc?! Basta parlarne anche quando si ha a che fare col cinema cazzo!
COMMENTO PER CHI SI RIFIUTA DI GUARDARLO A PRESCINDERE E SI FIDA DI EVELINA – conoscere non fa mai male prima di parlare
Ho visto Baarìa in un cineclub; ultimo spettacolo, sala quasi piena, pubblico tra i venticinque e i sessant’anni, molte donne, audience cinefila, partecipe, puntuali risate alle battute dalle sequenze bozzettistiche, tensione emotiva per quelle dalle sequenze “matarazziane”; insomma, i “trucchi” del cinema di Tornatore che funzionano anche con un pubblico “smaliziato”; alla fine facce di chi comunque non è stato sorpreso, ma se ne va con la certezza di non aver buttato i soldi del biglietto. Questa la cronaca.
Trovo comprensibile e a tratti condivisibile la delusione della Santangelo: la sua critica è fondata , corretta. Tuttavia questo è il “cinema” di Tornatore, un cinema della memoria e della “citazione” (nei suoi film ogni sequenza, direi ogni inquadratura, è una “citazione”), dell’ibridamento tra cifra d’autore e cifra popolare alla Raffaello Matarazzo; un cinema fatto di humour , bozzetto e mélo, che non ha nelle sue corde la tensione civile e il ritmo inesorabile di un Elio Petri o del Gianni Amelio di Porte Aperte, ed è un peccato perchè, come ex assistente di Giuseppe Ferrara , ci si sarebbe aspettati di più (fanno eccezione Il Camorrista e per altri versanti Stanno tutti bene ); lo ha già segnalato Gianni Biondillo: Tornatore difetta nella “scrittura”; lo si era visto in Nuovo Cinema Paradiso, ne L’Uomo delle Stelle e, più di tutti, ne La Leggenda del pianista sull’Oceano: film squilibrati nel ritmo e nella “misura” per quel difetto di origine. Aspettarsi da Tornatore un cinema alla Matteo Garrone o Paolo Sorrentino (bravissimi, ma siamo su un altro versante) è come aspettarsi che , tornati in vita, Fellini faccia Antonioni e viceversa.
E tuttavia ciò che sostiene “luminamenti” mi sembra giusto e altrettanto condivisibile, soprattutto quando dice che “ai siciliani moderni, alla Sicilia della contemporaneità – che ha la memoria corta, la rimozione non fa proprio bene – quindi, trasversalmente (il film) risulta istruttivo, sebbene non abbia queste ambizioni.” Ed è proprio quanto si discuteva con un amico al termine della proiezione: non solo ai siciliani, ma a noi tutti, agli italiani dalla memoria corta . Il problema è che i difetti di scrittura rischiano di far vanificare questo effetto.
Ripeto, siamo all’interno di un cinema particolare (quello della memoria, in chiave epica e con tutti i rischi del caso), dunque non ci si aspetti un’analisi approfondita della storia e dei suoi accadimenti, al più essi sono puro pretesto per “scandire” quella memoria, situarla in un tempo ( dal 1930 al 1981, anno di uscita di Tre Fratelli di Rosi, come “segnala” la sequenza della stazione nel sottofinale): allora rievocare un passato, “quel” passato, ci sta, ci può e ci deve stare. Qui dissento da Evelina Santangelo: Tornatore lo fa con precisione e accuratezza (alla sua maniera, citando da John Houston, Pasolini, Eisenstein per quanto riguarda i “volti” e Griffith, per quanto riguarda le “masse”), con momenti di autentico grande cinema , specie il finale, con la corsa incrociata tra padre e figlio, il vagare del piccolo Peppino tra il caos e il traffico della Bagheria di oggi, la sequenza della trottola che si spacca e si apre, dando alla luce la “mosca” (altra citazione, Bertolucci, Il Grande Imperatore) e, paradossalmente, con l’acme proprio nell’inserto documentaristico su cui scorrono i titoli di coda, una delle cose più toccanti. Insomma, se avesse tagliato almeno una buona mezzora, qualche ripetizione, col sottofinale un po’ forzato, sarebbe stato meglio.
Caro Liviobo, non è un obbligo essere sempre d’accordo, però hai equivocato non le mie parole, ma quelle di Gianni Biondillo: il cinema di Tornatore non è affatto “visionario” , ma è cinema della “visione”, intesa come “occhio cinematografico”; e Tornatore ne ha da vendere, assieme a una cinéfilia debordante, che, a mio parere, è anche sua croce e delizia.
Insomma, Baarìa non aggiunge e non toglie nulla a quanto già si sapeva di lui. Ma ha anche il merito di rendere omaggio ad attori e caratteristi del cinema italiano dell’ultimo trentennio e di restituire al presente po’ di senso della memoria su cose che quelli della mia generazione hanno vissuto e fatto in tempo a vedere . E che sono proprio così: la “sputazzata” in terra, lo “strummolo”, le urla, il chiasso nelle strade, quelle facce ironiche…tutto vero. Vissuto.
va da sè che si tratta de L’Ultimo Imperatore,non il Grande Imperatore.
@ Evelina Santangelo
Ho capito benissimo cosa intende dire e lo condivido. Aggiungo una mia riflessione …
Sempre più italiani si identificano con il loro grottesco stereotipo. Forse è strenua difesa di una nostalgica rappresentazione di sè in piena crisi identitaria.
Inutile sottolineare che questo film Tornatore l’ha già girato in precedenza un paio di volte. Già visto dunque. Non ha senso per me quindi andare a (ri)vederlo. Non mi sono ancora sclerotizzato. A differenza di altri …
Cara desaparecida, a te il film è piacuto molto, benissimo, e ne spieghi pure le ragioni. Capisco anche la tua irritazione nei confronti di quelli che tirano fuori la produzione berlusconiana col quale politicamente non simpatizzi. Quel che mi inquieta invece è il modo in cui liquidi il pezzo di Evelina, o forse più l’autrice stessa. Lei, la molto radical e poco chic, che per troppa spocchia non in grado di essere in sintonia col sentimento popolare che emana dal film di Tornatore, mentre tu sì. Quel che il Berlusca e i suoi hanno alimentato in tutti questi anni è il disprezzo per questi quattro gatti sfigati che non pur non facendo un lavoro serio, si credono chissà chi. Per gli intellettuali che sono poi quasi sempre “intellettuali di sinistra”. E questo modo di pensare, lo ritrovo, facendo la tara sulla tua incazzatura legittima, nel tuo commento. Nessuna intenzione di fare quella “ue’, gente, portate rispetto a noi che abbiam studiato”, ma vorrei farti capire- visto che della tua passione sincera non dubito- che così, a furia di avere in testa pregiudizi, diventa difficile parlarsi e capirsi veramente.
E, scusa, se su certe questioni provo a risponderti io da una posizione ancora più radica-chic, dato che il film non l’ho visto e manco mi viene voglia non avendo amato nemmeno in modo particolare “Nuovo Cinema Paradiso”. Ma è possibile fare un ragionamento a prescindere, farlo onestamente, credimi. Il problema non sono né gli stereotipi in sé, né il folkore, anzi è evidente che per un film di questo tipo si ricorra a quelli. E’ solo il modo in cui li si sa adoperare. Non è detto che il folklore debba per forza diventare folkloristico e dei personaggi tipici sembrar macchiette, nemmeno in un filmone pensato come un’epopea popolare in tutti sensi. E tantomeno è detto che l’alternativa a Tornatore debba essere un filmetto tristanzuolo sul precariato o il cinema d’autore sudcoreano con sottotitoli in francese. Dei grandi film epici veramente belli, averne! Parlo per me, ovviamente.
tornatore è un bozzettista. il suo grottesco è involontario, quindi. voglio dire, sono stati a loro modo più efficaci il genovese Germi di Matrimonio all’italiana e il milanese Lattuada di Mafioso spingendo sul pedale del grottesco, che è ben altra cosa. tornatore non racconta la sicilia, mette in scene bozzetti sulla sicilia.
altro cinema?
altro cinema.
Sì, ciò che a noi risulta grottesco, nella sua accezione originaria, a molta gente sembra invece rappresentazione naturale. Anche al suo regista. Suppongo …
Quale ingenuità poi credere che debbano essere i siciliani a dirci come sono o sono stati!
perchè confondere l’esercizio dell’arte con il marketing della diplomazia internazionale?
qualche volta ci fanno vincere i mondiali, altre gli oscar e altre i nobel.
Questioni di equilibri.
Analisi lucida e per quanto mo riguarda, completamente condivisibile.
Guido
Sono contento di aver letto l’articolo e la relativa discussione solo dopo aver visto il film – da approssimativo fruitore del cinema quale sono mi ci butto in genere a capofitto abbassando il volume della ragione e lasciandomi attraversare (per quanto possibile) dalle sole “affezioni”. Se poi la cosa riguarda la Sicilia, metto il livello razionale sullo zero. E io in tutte quelle facce, storie, epiche gesta, macchiette, caricature, lacrime e sangue, visioni, luce e quant’altro, da siciliano mi ci sono integralmente ritrovato.
Certo, uscito dal cinema ho anche il bisogno di ragionarci, e allora magari le cose cambiano.
Potrei provare a rivederlo – magari al posto di chi con un tantino di posa dichiara di non volerlo fare a priori – e a quel punto, chissà, magari finirei per concordare con tutti i critici e sottrattori.
Sul fatto che ci sia un difetto di narrazione posso concordare, ma in genere – sempre da fruitore poco critico e di bocca buona del cinema quale sono – è una cosa di cui mi preoccupo poco. Anche perché non mi pare così essenziale.
Mi trovo molto d’accordo con quanto scrive Salvatore D’Angelo, a proposito di epica e di memoria.
La narrazione è l’anima dell’arte, bisogna preoccuparsene.. eccome!!.
Vi sono scelte narrative volutamente spiazzanti e magari volutamente incompiute, ma l’autore dev’esserne consapevole, almeno in seconda lettura.
@md
“magari al posto di chi con un tantino di posa dichiara di non volerlo fare a priori”.
per quanto mi riguarda lo dichiaro a posteriori, dopo cioè aver visto altri suoi film che non mi sono piaciuti.
tu, se leggi un libro che non ti piace ti precipiti a comprare il successivo dello stesso autore?
oppure non ci pensi nemmeno?
ecco, io, a prescindere dalle vostre emozioni sicule che vi ci siete ritrovati un sacco, non ci penso nemmeno a vedere Baaria.
e anche perché vi ci siete “ritrovati”.
in generale, non penso che “ritrovarsi” in un’opera sia una buona cosa.
ma forse su questo sbaglio.
Ma si Francesco l’estetica cinematografica di Tornatore è abbastanza apprezzabile, non si puo’ dire che non lo sia – anche se talvolta è fintroppo artefatta – e riconoscersi nelle scelte esteriche , ritrovarsi cioè nelle [..]macchiette, caricature, lacrime e sangue, visioni, luce[..], non è qualcosa che mi porta a dire che il regista ha voluto lusingarmi, ha voluto piacermi.
La capacità di “erretire” di un autore, non è cosa deprecapile. Il problema è: quando mi hai irretito, che mi dici?, la mia è un’ubriacatura di suggestioni, che hanno provocato in me il “riconoscimento” o c’e’ dell’altro?. Se c’e’ dell’altro sono davanti a un capolavoro. altrimenti, no.
Pensa se non ci fosse stato nemmeno il riconoscimento..
@francesco pecoraro: quel “ritrovarsi” va anche inteso come un “non piacersi”, ovviamente
sulla “narrazione” non saprei, forse a volte si trasferisce un po’ troppo meccanicamente quella letteraria (che pure è plurale) a quella cinematografica, ma del resto non sono esperto né dell’una né dell’altra, sono solo un lettore assiduo e un… non trovo il corrispettivo per il film, di cui sono però molto meno assiduo
il “tantino di posa” è solo perché mi risulta più complicato discutere di qualcosa di cui non ho una conoscenza sufficiente – anche se in realtà è un’attività che esercitiamo di continuo (e naturalmente mi ci metto)
ciao a tutti,
proprio ieri sera ho visto “baaria”. devo dire che come spettatore ho dato del mio meglio: ho riso nei punti giusti, mi sono lasciato guidare dalla lingua del dialetto, sono rimasto meravigliato dagli stacchi di montaggio improvvisi, ho provato stupore per i movimenti di macchina, sono saltato sulla sedia per i colpi di scena, ho goduto di alcuni stereotipi (perchè sì, riconoscersi negli stereotipi fa parte del modo in cui gli esseri umani percepiscono se stessi), ho seguito le linee narrative fino alla conclusione, ho riempito i vuoti del film – il cinema è l’arte della condensazione – con il pieno della mia esperienza e della mia memoria.
poi, all’uscita dalla sala, una volta sceso dalla giostra delle immagini, nonostante il divertimento offerto dal film, ho cercato di mettere in fila i punti deboli, punti deboli parecchio in sintonia con quelli qui elencati: confezione troppo leccata, sentimentalismo patinato, mancanza di scavo psicologico dei personaggi (che non per forza è un difetto, per me i film che restituiscono davvero fondamenti e dispersione della psicologia umana sono per esempio quelli di lynch o di kubrick, cioè film antipsicologici o superpsicologici, il resto è interiorità rivelata come gancio per giustificare sequenze narrative e colpi di scena), impossibilità di immedesimazione, bozzettismo e stereotipie, eccessiva frammentazione del quadro narrativo, colpi di scena para-pubblicitari se non kitsch (per es., il ritrovamento dell’orecchino alla fine del film, con tanto di sbrilluccichio, uno spettro completo di raggi dorati e simmetrici…)
e però: il cinema è molto di più di quello che si vede. il cinema è soprattutto dispiegamento di linguaggio: per comprendere i film non basta affidarsi alle percezioni superficiali, bisogna anche andare a vedere in che modo e con che figure linguistiche il film è stato costituito (secondo me questa è una cosa che vale anche e soprattutto per la letteratura, ma di questo se ne riparlerà prima o poi, spero).
viene da chiedersi allora come mai un film di memorie – almeno questo ha sostenuto tornatore – non solo di memorie personali, ma anche di memorie collettive, di memorie del cinema (il film è costellato di una miriade di citazioni, da “il padrino” a “c’era una volta l’america”, all’intervista a lattuada alla vera e propria messa in scena del titolo del film di rosi, “le mani sulla città”), sia poi affidato ad un racconto per scene madri brevi se non brevissime, ad un montaggio serratissimo e veloce che non ti permette l’immedesimazione con i personaggi, di carrelli vorticosi, di ripetutissime dissolvenze a nero, un ritornello visivo del film, un gioco di continua frammentazione e dispersione.
incomincio a pensare che non sia un film sulla memoria, ma piuttosto un film su come si interiorizza e si ricorda la memoria. provo per un attimo a pensare alla mia vita, e la sensazione che ne ricavo è quello del ricordo di scene slegate, di situazioni, di personaggi, di eventi pieni di significato o banalissimi, che poi per una ragione o per un’altra riesco a far confluire, con sommo rischio di una falsificazione di quella memoria, in una storia unica e lineare.
cioè il film, nel dispiegamento del suo linguaggio, non mi sta tanto dicendo qualcosa sulla sicilia, o sulla disperazione e l’allegria di vivere e respirare una particolare regione del sud italia – la sua bellezza e la sua barbarie – piuttosto da un verso rispecchia la formazione e l’ermersione della memoria umana, e per l’altro verso fornisce un modello di costituzione della memoria fino a farmi credere che quello sia il modo migliore e sincretico di fare memoria.
c’è una delle scene più belle del film, quando parte della famiglia protagonista entra in una chiesa, alza lo sguardo sopra l’altare cercando un affresco – soprattutto le facce che costituivano quell’affresco, dato che guttuso aveva dipinto usando gli abitanti stessi di bagheria come modelli del dipinto – solo che l’affresco non c’è più, il soffitto è imbiancato. a quel punto, dentro un film di memorie, un insieme di personaggi dà fondo alla propria memoria per ricostruire l’affresco, e disporlo di nuovo sul soffitto, come per vederlo ancora. in quella scena è racchiuso il tentivo di tornatore di inventare e rimettere in forma la sua memoria, quanto il nostro tentativo di spettatori che all’uscita del film proviamo a ricordare e dare un senso a quanto abbiamo appena visto, al film, ma forse anche alla nostra esistenza.
a presto
giuseppe
Non si tratta di ritrovarsi o di non ritrovarsi. Ma perchè, quando uno legge una pagina di storia è questo il problema principale? Tornatore registra bene un momento della storia, che corrisponde a una realtà, in parte ancora presente. Basta girare i migliaia di paesini che ci sono in Sicilia.
Complimenti a giuseppe zucco per le interessanti ( e condivisibili) riflessioni proposte .Mi sembra che si vada approfondendo nel modo giusto un dibattito su un film e su un autore che può piacere o meno, ma che di certo è un talento della “visione” cinematografica.
Credo che il “ritrovarsi” sia centrale in questo film.
Tornatore è un talento della visione cinematografica per gli spot del Mulino Bianco, dove peraltro dev’essere bravo il fotografo, il tecnico delle luci, valido il commento sonoro… Ne ho visti migliaia di film con ottima fotografia, belle carrellate… avete presente Barry Lindon? Il Colonnello Redl? Drowning by Numbers? eccetera.
Scusate ma posso anche capire la magia dell’epifania dell’infanzia rivissuta, dei ricordi risuscitati ma credo che un film debba anche andare oltre gli “effetti speciali”, altrimenti meglio andare a vedersi Space Wars.
Il cinema deve “affascinare”, catturare lo sguardo, ma deve altrettanto saper raccontare, specie se vuole raccontare: perchè si possono fare ottimi film buoni per la pura visione, onirici, fantasmagorici, evocativi.
Invece se hai la presenzione di raccontare una storia devi possedere senso del ritmo, equilibrio fra pieni e vuoti, spiazzare lo spettatore impedendogli di indovinare la scena o la battuta esattamente un attimo prima del suo puntuale accadere. Eviti le citazioni a valanga che fanno tanto sfoggio di cultura nonchè la patinatura mod. deluxe per ruffianare subliminalmente l’occhio acritico. Sai caratterizzarre i personaggi della tua storia dandogli uno spessore di credibilità, facendoli dialogare senza enfatizzarne le parole e i significati simbolici a ogni fiato…
Tornatore dopo molti film, molti mezzi economici, molti bravi attori (scelti male per i ruoli da interpretare) non è riuscito ad andare oltre la “bella confezione” presumendo invece di aver conquistato l’autorità del maestro, dicendo tra l’altro grosse sciocchezze non sul cinema ma addirittura sul futuro dell’Italia. Ma questo è un’altro discorso.
Zucco parla della costruzione della competenza autobiografica.
In questo ci aiutano le relazioni privilegiate infantili, l-esperienza, conoscenza, e tutto quello che per rientrare nella funzione dell-oggetto transizionale funge da ponte tra noi e la mondanita’.La cultura e’ sopratutto questo, il gioco con funzione guida.
prendiamo il teatro e il cinema per esempio. Se nel teatro la presenza fisica e quindi l’azione dell’attore e la reazione dello spettatore e l-unicita’ della rappresentazione ogni sera diversa conducono a dinamiche dove lo spettatore e’ l’oggetto della rappresentazione, nel cinema, lo spettatore e’ speculare all’attore e diventa soggetto della cinesi.E’ un viaggio in solitaria. e’ un percorso incredibilmente visionario e autarchico.
Un regista che sappia rispondere a questi requisiti e’ inconfondibile e facilmente riconoscibile perche’ provoca metamorfosi nello spettatore/attore e crea esperienza mutuata attraverso l’aleatorieta’.
Magistrale in questo e’ stato Kubrick, per esempio.
Ora Tornatore e’ adatto agli spot pubblicitari di grande respiro, e questo pare appunto uno spot pubblicitario dell’azienda Italia, identificata con l’azienda mediaset.
Io e volevo solo dire no… Che e son di morto d’accordo con la Signora Desaparecida: home la hapisco, un’asfissia questi firme moderni sui prehari… I’ firme di Tornatore un l’ho visto, ma e mi pare d’ave’ capito che sia di morto meglio i’ toro ammazzato, più divertente. Più antiho.
Non ho capito la questione soggetto/oggetto, teatro/cinema, la tridimensionalità non cambia di molto le percezioni e i processi d’identificazione; va da se che l’attore teatrale dev’essere piu’ bravo di quello cinematografico, perché il mezzo teatrale ha espedienti diversi e piu’ complessi che richiedono un alta professionalità per attivarsi ed essere efficaci. La grandezza e unicità del teatro è anche questa: saper rendere oggetto e soggetto lo spettatore a suo piacimento.
bella riflessione, giuseppe…mi hai fatto quasi venir voglia di sottomettermi a baaria…
Pur capendo perfettamente la rilevanza storica e culturale della Sicilia nel contesto nazionale, non capisco l’enfasi su autori e prodotti di rilevanza -questa volta- puramente regionale, come Tornatore. Non capisco nemmeno perche’, a questo punto, non si parli con altrettanta enfasi di un’epica molisana, di una lotta valdostana, del melange umbro; materiale che invece giunge all’attenzione nazionale solo in casi di cronaca nera. E poi il consueto refrain di identita’ lesa, vilipesa, autoassolutoria proprio di ogni spirito regionale che non cerca nemmeno di avere respiro piu’ ampio. Con le questioni politiche del dialetto/lingua, dello “statuto speciale” e dei vanagloriosi propositi di autonomia completa o di contributo “di sangue” (non avendo altro) alla comunita’ nazionale.
Penso invece alla vivacita’ culturale, sociale e addirittura imprenditoriale della Basilicata. E’ scomparsa di recente la notevole poetessa in vernacolo Assunta Finiguerra, ma siamo qui a bearci tritamente di Sicilia, sicilitudine e sicilianeria (e di Calabria, e di Campania, e prima ancora di Milano… cento citta’ e cento gonfaloni, ma nessun discorso di sintesi).
Non so… almeno partissimo da Cipri’ e Maresco, che pur godendo di un’attenzione minore ma non meno chic di quella dedicata a Tornatore, hanno il merito di scartavetrare l’immagine da cartolina tanto cara al folklore locale. Voglio dire: la recensione e i commenti stanno sull’onda di un populismo nostalgico che e’ espressione edulcorata dell’ immaginario del tanto odiato sultano dominante da trent’anni. Dove sta l’alternativa? Dove il modello culturale interrogante che dovrebbe opporglisi?
in compenso quando l’Italia frana e viene sommersa dal fango è piuttosto unita e solidale…
Stiamo parlando della Sicilia e di Tornatore forse perchè il Siciliano Tornatore ha fatto un Film che parla della sua terra e non solo, e il suo film s’intitola Baarìa.. hem.. e il titolo di questo post è, appunto, Baarìa (ovvero, il tempo dei sorvolatori).
Se vuoi parlare della Calabria ci sono altri post, altrettanto interessanti.
Ares il distinguo fatto precedentemente parte dalla premessa delle notevoli diversità tra la rappresentazione teatrale e quella cinematografica.
Storiche….strumentali….ambientali…ma quello a cui mi riferisco sono quelle psicologiche, particolarmente neurologiche.
La fisicità messa in gioco dalla teatralità non è fatta di pixell o di pellicole impresse ma di un corpo che posto nell’etere produce suoni, vibrazioni, in una parola, emozioni a cui gli altri corpi sono geneticamente e etologicamente predisposti, tant’è che ad ogni azione fisica prodotta, come il parlare o il gesticolare, cantare, o persino il tacere produce nello spettatore una reazione corrispondente data appunto dall’impianto neurofisiologico di cui siamo dotati. In questo senso quando l’attore in scena agisce lo spettatore è portato a sentirsi il destinatario di quell’azione, cioè il complemento oggetto dal punto di vista logico-analitico.E’ la fisicità del teatro che pone questo rapporto che infatti riproduce il rapporto soggetto oggetto delle dinamiche quotidiane.
Nel cinema credo che succeda invece qualcosa di molto simile a ciò che i napoletani rappresentano nel presepe: il sogno di gesù bambino.
Infatti il cinema è un delirio, un’opera dell’inconscio sviluppato per immagini e le immagini non sudano, non puzzano, non emettono vibrazioni nell’aria si depositano nell’archivio simbolico e parlano il linguaggio, per immagini appunto, degli stessi sogni.
@giuseppe zucco scrive un discorso ben articolato e sopratutto si comprende come a differenza di altri non sia fazioso, figlio dell’ideologia.
La memoria, non quella storica, ma quella individuale, non è come un mero deposito di informazioni, che vanno recuperate, ricordate, messe in sequenza e legate da un filo narrativo.
Ma, questa, appunto, non è la memoria individuale. Insisto sull’incomprensione. Questo è un film d’autore, dell’autore. E poeticamente riuscito, perchè ciò che fotografa è impressione passiva e per nulla nostalgia, piuttosto mancata liberazione di “quella” sicilianità
d’accordo con luminamenti, ma sottolineo tutti i difetti di “scrittura” del film. Capisco perfettamente coloro a cui non piace la “poetica” di Tornatore. Tuttavia, non mi pare che faccia sempre lo stesso film; credo si confonda (per alcuni non so se in buona o cattiva fede, ma l’equivoco in cui incorrono – o che propagano è lo stesso), dicevo credo si confonda la cifra stilistica – che in un autore permane comunque, quale che sia il genere con cui si cimenta- e dunque gli stilemi e tutto quel che ne consegue, con i temi. I temi di Baarìa di sicuro non sono quelli di Stanno Tutti bene, del Camorrista,o di Nuovo Cinema Paradiso o de L’uomo delle Stelle ( tralascio i film in cui T. rivisita – alla sua maniera- alcuni generi, il poliziesco, il thriller (iUna pura formalità, il Cane blu, La Sconosciuta). Io credo che i modi e le forme dell’arte della narrazione, dell’espressione, per immagini, parole, segni pittorici eccetera- sono molteplici, e molteplici gli stili e le forme. Dunque, a che serve la pura denigrazione? o voler leggere un autore con le lenti del proprio gusto (operazione doverosa e legittima), ma senza minimamente oggettivizzarne la chiave di lettura? La stroncatura è una forma di recensione bella e feconda ( e, a scanso di equivoci , dico subito che Evelina Santangelo la usa con stile e misura), ma deve entrare dentro il codice di una narrazione e mostrarne i difetti , le ridondanze, le ripetizioni eccetera…Ora, e posso sbagliarmi, Evelina individua ” a pelle” dei difetti di baarìa, si pone e ci pone delle domande sul senso di questo film, ma poi ho la sensazione che lasci tutto a mezz’aria, non entra nel merito, oppure – e mi ripeto- si aspetta da Tornatore un cinema che non è nelle sue corde. Può darsi che abbia giudicato superfluo approfondire, stimando molto più intelligenti i lettori, più intelligenti di quanto sia io (e lo dico senza ironia, con assoluto candore- ma liberi di non crederci), tuttavia credo che un blog di questo tipo abbia un senso se diviene palestra di confronto, di battaglia di idee, anche accesa, ma con il comune intento di far crescere il livello dei temi che si propongono, contribuendo così a combattere questa sorta di autismo corale o di malattia narcisistica che ci prende un po’ tutti e ci consuma in una assurda voglia del “partito preso”, del parlarsi addosso senza minimamente ascoltare, magari con l’orecchio teso alle doppiezze e pronti agli agguati.Che senso ha? E questa è un notazione di carattere generale, che va al di là di questo post. Chiusa questa lunga parentesi buonista/moralistica – e me ne scuso- vorrei concludere dicendo che di certo il cinema di Tornatore non ha forme innovative, ma è comunque un cinema “positivo”, che ha diritto di cittadinanza , e che chi si candida ad elaborare forme nuove, originali di espessione, non fa male a tenerne conto: c’è sempre da imparare qualcosa da tutti. Inoltre, e non sembri un paradosso, non c’è tanta lontananza tra il cinema di Tornatore e quello di Tarantino: entrambi usano all’ennesima potenza la tecnica della “citazione”, dell’ibridamento; Tornatore all’interno di una lettura “autoriale” , con forme e ritmi un po’ d’altri tempi ( e magari anche un po’ paludate/i questo è sicuro), Tarantino completamente affascinato dai codici di “genere”, con un ritmo travolgente e un amore sviscerato per “i generi”: ecco, se Tornatore mutuasse da Tarantino la bravura nello scrivere” se ne gioverebbe molto …ma entrambi fanno la stessa operazione “citazionista”, ossessiva e pervasiva, e rendono lo stesso omaggio a quell’arte meraviglosa che è il cinema.
Magda allora avevo capito, e ripeto che il teatro è ingrado di fare quel che vuole, ci sono tecniche squisitamente teatrali, che bisogna conoscere, che in mano a un buon regista, un buon autore e un buon attore, sanno condizionare la fruizione da parte del pubblico.
Due esempi: uno spettacolo di Eugenio Barba(lo cito solo perchè è vivente, ma ha dei predecessori illustri) porta a sentirsi il destinatario privilegiato dell’azione scenica che è fatta di sudore, stridori e addirittura suggestioni incosce provate degli attori, che ti investono senza che tu lo voglia e fai tue; sempre che la predisposizione all’ascolto sia di buon livello.
Poi ci sono i Momix(i ballerini acrobati, anche se sono l’esempio più banale), che l’anno scorso o due anni fa non ricordo, hanno posto un diaframma in tela acrilica semi trasparente(completamente invisibile ad un occhio poco attento), tra l’azione sceniche e il pubblico, a volte sembrava di essere difronte a una proiezione, e invece dietro a quella bariera di luce colori e petrolio vi erano ballerini-acrobati in carne ed ossa.
Questi sono due esempi estremi di quel può fare il teatro, poi in mezzo c’e’ tutta una schiera di registi, autori, e attori sommersi che agiscono sul compromesso o sperimentano tecniche che provano ad indagare strade diverse; alcuni provano addirittura a ragionare sul condizionamento delle reti neurali, attraverso la stimolazione uditiva e visiva.
Comunque qui si stava parlando di Baaìa, che è un film che non ha altri scopi che vincere l’oscar ed ottenere un buon ritorno economico.
E forse, speriamo, d’immagine per l’Italia.
Non ho avuto modo di seguire il dibattito nei giorni scorsi e mi scuso.
Adesso, leggendo gli interventi, di Salvatore D’Angelo, di Helena, di Franz, di Ama, di Magda, di Giuseppe Zucco, di Francesco Pecoraro… e di quanti hanno portato il loro contributo alla mia riflessione iniziale sul film di Tornatore (senza cedere al pregiudizio), non posso che sentirmi confortata.
C’è ancora spazio per un confronto serio e serrato, senza che si debba cadere nell’offesa (pregiudiziale).
La mia riflessione si concentrava su uno degli aspetti (a mio parere macroscopici) di Baarìa, la sproporzione tra i mezzi, le intenzioni, le ambizioni e gli esiti. E per questo ho cercato di argomentare in modo circostanziato il senso di disagio che ho provato uscendo dal cinema, senza mettere in campo questioni che qualcuno mi ha attribuito, e che, a mio parere, sarebbero del tutto fuorvianti.
A me non interessa, in termini assoluti, quanta analisi sociologica, quanta analisi storica o psicologica ci sia in un’opera o in quest’opera, né credo sia questo il modo più fruttuoso per giudicare qualsiasi opera, anzi!
A me non interessa il «messaggio» in sé, che sento parola pericolosissima, se brandita come una spada, né interessa (in assoluto) chi ha prodotto quell’opera e con quanti soldi (perché tutto ciò avrebbe a che fare con un altro genere di riflessioni e un altro genere di problemi, rilevanti, ma di natura diversa. Problemi, per inciso, che mi riguardano, certo, e mi toccano personalmente, avendo pubblicato anche io con Einaudi gran parte dei miei libri).
Quel che ho cercato di sottolineare, con quel mio intervento (e ho cercato di argomentare), è un aspetto che ha a che vedere con il farsi stesso di un’opera non concepita puramente con intenti (e alchimie) commerciali, e cioè: quanta avventura umana, intellettuale, affettiva, artistica, visiva… c’è in Baarìa? E quel che c’è trova davvero la sua misura nelle scelte espressive compiute? O c’è piuttosto una terribile sproporzione… al punto che, a volte, si ha addirittura l’impressione di contemplare semplicemente uno splendido abito, fastoso, magnifico?
Il che, ripeto, andrebbe benissimo! Come mi andrebbero benissimo persino i cliché e le macchiette… se non fosse che di continuo si ha la sensazione di esser chiamati a più «alti fini» (non dalle proprie aspettative) ma dal film stesso, dalla sua epicità… dalla quantità di mondo che sembra voler toccare o evocare…
Era (ed è ancora) questo il mio interrogativo. E su questo ho cercato di concentrare la mia riflessione.
Ringrazio tutti coloro che, partendo da lì, hanno sviluppato altre riflessioni su altri aspetti non meno rilevanti (l’idea di memoria, l’idea di cinema evocati…) o su certe tentazioni cui si concede un po’ troppo (come il modo facile di confezionare alcune emozioni, sottolineato da Magda, mi sembra).
Credo che sia merito di tutti costoro se questo mio post si sia trasformato in un’occasione di riflessione e dialogo di più ampio respiro, ben al di là delle mie intenzioni iniziali e ben al di là del film di Tornatore.
[…] , domina con queste parole (tratte da un intervento a chiusura di questo post su Nazione Indiana, https://www.nazioneindiana.com/2009/09/28/baaria-ovvero-il-tempo-dei-sorvolatori/#comments) la […]
[…] possibile quell’incanto, sia sui contenuti (in buona parte vi ha contribuito un bell’articolo comparso su Nazione Indiana, molto critico in verità, con il dibattito che ne è seguito). Devo […]
Totalmente d’accordo con Evelina Santangelo. “Baaria” è uno sfilacciato armarcord in cui manca il raccordo unificante, chiarificatore, di uno sguardo infantile intriso di stupore e di senso dell’avventura. E, nello stesso tempo, è una narrazione corale, collettiva, desolatamente povera di èpos: forse perché per fare “epica” occorrerebbe una condivisione profonda dei valori della collettività di cui si azzarda la descrizione. Cosa pressochè impossibile per un intellettuale di sinistra del profondo sud maturato negli anni della speculazione edilizia e della proliferazione mafiosa…Già la militanza politica, di per sé, si frappone come un diafaramma invalicabile tra il soggetto e l’oggetto della narrazione, e di politica ce n’è fin troppa in questa pellicola di lunghezza sesquipedale! L’altro elemento davvero insopportabile, dal mio punto di vista, è l’assordante silenzio di una corda tragica convinta a stemperare il susseguirsi frenetico delle situazioni comediche e delle gag, neanche eccessivamente originali. L’elemento più interessante del film, la dialettica tra passato e presente, è solo lasciato intuire nel titolo e nella scena finale (la catabasi del protagonista-bambino scaraventato di colpo nel presente). Tornatore ha avuto tra le mani una materia incandescente, interessantissima. Ma il suo peccato originale è stato quello di essere Tornatore, e di non chiamarsi Fellini, o Kusturica, o Bertolucci, o vattelapesca.
Questo Vattelapesca mi sfugge.. che film ha fatto?
Moby Dick, Il vecchio e il mare e Un pesce di nome Wanda.