Simmetria, che dolce parola
dalle Coefore a Lorenzo Ghiberti
di Antonio Sparzani
You boil it in sawdust: you salt it in glue:
You condense it with locusts and tape:
Still keeping one principal object in view –
To preserve its symmetrical shape.
(Lewis Carroll, The Hunting of the Snark, Fit the fifth)
Questi versi già erano l’esergo di un capitolo di un testo di base di teoria quantistica dei campi (nella quale, come in tutta la fisica, la simmetria riveste un ruolo essenziale), assai celebre all’inizio degli anni sessanta. È lì che ho appreso, tra le altre cose, l’esistenza di questa piccola meraviglia – ritmicamente incalzante di giambi e anapesti – che è la caccia allo snark, di Lewis Carroll (pseudonimo del reverendo Charles Lutwidge Dodgson), che lo scrisse negli anni 1874-75. 1. Sono state fatte varie traduzioni italiane, io trovo che tenga molto bene il ritmo quella di Lucio Mazzi, La caccia allo Snark, Moby Dick, Faenza 1992), che ad esempio traduce così i versi citati (p. 62): «Puoi farlo bollire nella segatura / puoi farlo salato in colla assai pura / puoi farlo anche in brodo con nastri e con grilli / purché non dimentichi ch’è basilare / la sua simmetria poter conservare».
Da corrispondenza emotiva a categoria estetica a perfezione geometrica, si muove il termine simmetria nelle trame della lingua naturale, per invadere una rete di significati dai contorni sfumati. Perfino il contesto formalizzato delle scienze cosiddette esatte non è sufficiente a dare al termine quella cristallina rigidezza che ideologicamente si sarebbe invogliati ad immaginare.
Simmetria e relatività son parole con una bella parentela di fondo; non la si vede a prima vista, ma la si scopre non appena si pensa che l’etimo di simmetria – voce dotta dal greco syn-métron, con-misura – indica il misurare due cose insieme, vicine; non lontano quindi da quello, di cui più volte ho detto, di relatività – il guardare una cosa sullo sfondo di un’altra, mettendole, almeno sullo schermo del pensiero, vicine. Nell’idea sottostante alla parola simmetria vi è però una connotazione fondamentale in più, ed è che da questo ‘misurare insieme’ debba risultare una qualche rilevante analogia – talvolta addirittura eguaglianza – tra le cose misurate. Tale forte analogia – o eguaglianza – è spesso carica, o indicatrice, di altri significati.
Sono sempre convinto che il significato più autentico di una parola si colga nel dispiegamento dei contesti nei quali tale parola gioca, e ha giocato nel corso della sua storia, passando di lingua in lingua, di civiltà in civiltà, un’intensa presenza, e ve ne offro qui alcuni che mi son sembrati particolarmente importanti. 2
Intenso e commosso è uno dei primi luoghi nei quali – nella tragedia antica – il termine viene usato: è quello in cui si compie il riconoscimento di Oreste da parte della sorella Elettra nelle Coefore di Eschilo. Oreste, tornato ad Argo per vendicare la morte – per mano della madre Clitennestra (o Clitemnestra, nell’originale Klytaimestra) 3 e del suo complice Egisto – del padre Agamennone, reduce vittorioso dalla guerra di Troia, visita la sua tomba e vi depone un ricciolo, che si recide dai capelli.
Quando Elettra giunge sulla tomba, insieme con le portatrici di sacre libagioni (choēphóroi) per placare l’ombra del padre, trova il ricciolo e ne sospetta, senza volerlo ammettere, la provenienza. Oreste è nei pressi e subito le si mostra (eccoli qua) per farsi riconoscere. All’incredulità della sorella (che non lo vede da molti anni) oppone come prova, tra l’altro, quel ricciolo così simile a quelli di lei:
Ecco mi vedi e fatichi a riconoscermi; appena fissato
lo sguardo verso questi capelli tagliati per rito luttuoso,
sulle ali della speranza eri convinta di vedermi,
e del pari quando scrutavi l’orme dei miei piedi.
Il ricciolo dei capelli di tuo fratello,
il cui capo è del tutto conforme al tuo, ponilo là dove è stato
reciso e osserva. Guarda poi questo tessuto, opra della tua mano,
e i colpi della stecca che vi hanno impressa una scena di caccia. Torna
in te stessa: per la gioia non esser stordita nella tua mente: io so
che i più stretti parenti sono contro noi due inaspriti.
(Eschilo, Orestea, Bompiani, Milano 1994, trad. it. di Mario Untersteiner, vv. 225-234)
l’aggettivo usato da Eschilo per suggerire la somiglianza forte (qui reso con “conforme” da Untersteiner) tra il capo di Oreste e quello di Elettra è sýmmetros: misurati, guardati vicini, essi si somigliano molto.
Voi capite subito che la cosa mi interessa molto perché la stessa parola, usata con simile significato in molti luoghi della tragedia, è poi utilizzata in contesti del tutto più razionali, diciamo “scientifici”, ad esempio da Platone e Aristotele, per denotare eguaglianza o un qualche tipo di somiglianza di misura, o anche, il che è forse più interessante per comprendere meglio la somiglianza implicata da sýmmetros, per indicare quel che non vi è di comune: ad esempio tra la diagonale e il lato del quadrato. C’è un passo nei Primi analitici, trattato di logica sillogistica di Aristotele, nel quale un discorso sulle dimostrazioni per assurdo si conclude così:
Una dimostrazione di questo tipo, ad esempio, è quella che stabilisce l’incommensurabilità della diagonale, fondandosi sul fatto che quando viene supposta la sua commensurabilità, i numeri dispari risultano uguali ai numeri pari.
(An. pr., I, 41a23-30, trad. it. di Giorgio Colli)
Quel che purtroppo va perso completamente in questa traduzione, è la comparsa dei termini asýmmetros e sýmmetros nella stessa frase; l’incommensurabilità della diagonale (s’intende di un quadrato, rispetto al suo lato) è resa dicendo che la diagonale è asýmmetros, e nella conclusione assurda che i numeri dispari risultino uguali ai numeri pari, quel “uguali” è reso con sýmmetros. Questo dà certamente un’idea dell’importanza e del ruolo del termine nella scienza antica.
Assai più scarsa fortuna possiede la parola nel latino classico; essa riveste però un ruolo centrale nel De Architectura di Vitruvio 4 che ne dà all’inizio dell’opera la seguente definizione:
La simmetria a sua volta consiste nell’accordo armonico delle parti dell’opera stessa fra loro e nella corrispondenza fra ciascuna parte singolarmente e la configurazione complessiva sulla base di una parte calcolata come modulo.
(Vitruvio, De Architectura, a c. di P. Gros, trad. e comm. di A. Corso e E. Romano, Einaudi, Torino, 1997, pp. 26-27).
Non a caso, per ritrovare la simmetria nell’italiano letterario occorre arrivare a chi Vitruvio l’aveva attentamente studiato e largamente citato, così come aveva studiato Plinio il Vecchio, e cioè Lorenzo Ghiberti, fiorentino, vissuto tra il 1372 e il 1456: nei suoi Commentarii, opera nella quale appunto commenta e descrive più o meno sommariamente opere di scultori e pittori dalla classicità ai giorni suoi, se stesso abbondantemente compreso, la parola appare in alcuni passi, con grafia ancora oscillante tra sismetria, semetria e simetria: ecco qua, a titolo di esempio, quanto dice a proposito di Lisippo (questo il suo apoxyómenos, l’uomo che si deterge il sudore, copia romana):
Questo Lisyppo fu doctissimo in tutta l’arte et universale […] Faceva maraviglose e perfecte opere, capellature, faceva le teste un poco minori che gl’altri antichi statuarii, faceva i corpi un poco più gentili accioché la belleza delle membra meglo apparissono. Costui diligentissimamente osservò le sismetrie, le misure. In ogni minima cosa usava grandissima diligentia et arte.
(Lorenzo Ghiberti, I commentarii, introd. e cura di L. Bartoli, Giunti, Firenze 1998,
pp. 59-60)
La molteplicità di connotazioni che possono essere puntigliosamente elencate per la parola simmetria nella lingua italiana, è documentata dal dizionario del Battaglia che ne elenca dieci accezioni distinte, distinguendo – per alcune accezioni – diverse sfumature.
A me interessa l’idea base che dovrebbe sottendere tutte le diverse accezioni e che dovrebbe occupare l’area semantica che contiene le idee di misura, armonia, ordine.
Della simmetria nella storia moderna parliamo la prossima volta.
- Lewis Carroll, The Hunting of the Snark, an agony in eight fits, introduction by M. Gardner, Penguin Classics, London, 1995. È la storia di una vera surrealistica caccia a un mitico animale, lo snark, probabile incrocio linguistico di snake, shark e snail. Il commento di Martin Gardner è assolutamente illuminante. È stato anche rappresentato, vedi qui.↩
- Ineguagliabili sono a questo proposito le prime pagine, e non solo le prime, del celebre libro di Hermann Weyl, Symmetry, Princeton Univ. Press, Princeton, N.J. 1952 (trad. it. di Gigliola Lopez, La simmetria, Feltrinelli, Milano 1962/75), libro nel quale aspetti anche molto diversi del termine simmetria vengono esaminati, con citazioni di fonti classiche e bellissime scelte iconografiche.↩
- non tutti ricorderanno che questa Clitennestra non era esattamente un’educanda: l’Agamennone che sposò, e che quindi uccise, era infatti l’assassino del suo primo marito Tantalo (non quello del supplizio), per dirne una.↩
- M. Vitruvio Pollione, scrisse il suo ponderoso manuale nell’ultimo quarto del I° secolo a. C., in dieci volumi: in esso veniva compendiato tutto il sapere dell’epoca, compreso quello ereditato dalla Grecia, in tema di costruzioni. Il manuale rivestì per i secoli a venire un’importanza straordinaria, e costituì, dal Rinascimento all’epoca neoclassica, un testo di riferimento fondamentale.↩
I commenti a questo post sono chiusi
…scienze simmetriche e non scienze esatte…
…il theatron greco nella sua simmetria semicircolare che armonicamente distribuisce le onde sonore…
…(il doppio il gemello)…
.ma poi ecco la compulsione inconscia della logica simmetrica e del principio di generalizzazione e ecco speculo\specchio sulla simmetria dello specchio: cioè cosa è la simmetria rispetto allo specchio e non alla sua immagine?
.sì insomma e senza dubbio è il fil rouge che inanella i tutti di questa parte di uni-diverso e questo mi piace in fine nel post la sua cioè sottesa semplicissima complessità che dovrebbe riguardare fin dalla fine la nostra vita conoscitiva: i con-testi dei con-cetti.
!breve bibliografia mnemonica:
1. l’inconscio come insiemi infiniti, matte-blanco.
2. storia del teatro, carlson.
3. la sfida della complessità, bocchi\cerutti.
4. logica del senso, deleuze.
(NB.
il riferimento alla quaterna bibliografica è casualmente simmetrica alla tua [tua di antonio sparzani].)
ehi, qui c’è qualcuno che anticipa..ma sullo snark sicuramente il 4…-); bel post Sparz, Viola
Sì, dolce cosa la simmetria, ma non dimentichiamoci che un poeta la definì “fearful”…
Ma non voglio anticipare (solo un rimando: G. Bateson, “Mind and Nature: A Necessary Unit”: le prime pagine dell’introduzione).
>Quel che purtroppo va perso completamente in questa traduzione, è la >comparsa dei termini asýmmetros e sýmmetros nella stessa frase; >l’incommensurabilità della diagonale
D’altra parte “commensurabile” è proprio la traduzione alla lettera di syn-metron
Dello stesso Vitruvio ho trovato questa traduzione:
la composizione del tempio si basa sulla simmetria […] che ha origine dalla proporzione[…]e la proporzione è la commisurabilità,
Quello che da ignorante non riesco a capire è questo: visto che proprio in direzione dell’armonia delle forme si dava tanto risalto alla commisurabilità, termine che applicato alle lunghezze indicava anche quella che oggi chiameremmo la razionalità, cioè l’esprimibilità come rapporto, come è stato possibile che il numero simbolo dell’armonia sia diventato la sezione aurea, numero irrazionale, sì che il rettangolo con lati in questo rapporto, che ci dicono essere “perfetto” e base di molti studi di armonia, è, di fatto, incommensurabile?
bella domanda caro chik67, evidentemente il cortocircuito armonia / commensurabilità nel senso della razionalità non tiene: l’occhio umano apprezza rapporti di lunghezze anche irrazionali. Ma d’altra parte, va detto che vicino quanto si vuole ad ogni numero irrazionale ci sono infiniti numeri razionali, e, se si va abbastanza vicino, certo l’occhio umano non apprezza la differenza. Ovvero se il rapporto tra i due lati del rettangolo che tu dici, invece di essere esattamente quel numero irrazionale che è la sezione aurea e che vale 0,618033988….. ecc., non periodico, è semplicemente 0,618, è certo che nessun occhio percepisce la differenza, e 0,618 è un bel numero razionale!
e sti mumeri me li gioco all’enalotto!
grazie sparz
detto da uno che ha una basetta si e l’altra no
effeffe
Che ad occhio l’incommensurabilità non si apprezzi d’accordo, sparz.
Però non è un caso che a loro piacesse proprio quel numero lì. Perché lo si costruisce in molti modi diversi e tutti molto eleganti, perché lo si costruisce con riga e compasso (e che questo tipo di operazioni potesse produrre numeri irrazionali ai greci dava fastidio assai), perché era legato al pentagramma che affascinava i pitagorici.
Insomma ho l’impressione, forse, che da un lato apprezzassero l’eleganza geometrica dall’altro si dannassero sulla complicazione algebrica.
Pezzo molto bello, scordavo. Aspetto con curiosità il seguito.
Grazie della consueta isola di senso e bellezza.
Asimmetrica a quell’antico Oreste che cercava la simmetria del ricciolo, la mezza mela mancante, la parte per completare un’armonia ideale, qualche millennio dopo in Elektra di Hoffmannsthal – Richard Strauss, viene sottolineata, invece, letterariamente prima e musicalmente poi l’asimmetria: l’Elettra furente cupa, creatura di un sottosuolo di sofferenze, ingrigita nella bella chioma della gioventù radiosa dall’odio, si sente talmente asimmetrica all’idea che il fratello aveva di lei che si sottrae, vorrebbe fuggire, si vergogna e soffre di questa asimmetria.
L’asimmetria è forse davvero il segno del ‘900, così la dissonanza in musica, il mutarsi dell’arte in astrazione e deformazione, l’appannarsi della realtà fotografica, il trasformarsi, qui, dell’Aria lirica tradizionale in qualcosa di non omogeneo e simmetrico nelle sue parti, dove le profondità del sentimento sono affidate quasi solo alla musica, dopo il riconoscimento con l’urlo agghiacciato “Oreste!…” più che alle parole, ai suoni nel loro flusso turbato, oscillanti fra lirico e drammatico, il compito, nel lungo inciso strumentale, di accennare l’indicibile.
ELETTRA
(colpita dal tono della sua voce)
Deh, chi sei tu?Chi sei?
Mi trema il cuore!
(Il vecchio servo da la oscura faccia, seguito da tre altri suoi compagni, viene, correndo in silenzio, dalla Corte, cade a ginocchi d’innanzi ad Oreste e gli bacia i piedi, mentre gli altri schiavi baciano le mani ed i lembi della tunica di Oreste.)
(Elettra incapace, quasi, di dominarsi)
Ah… dimmi, orsù… Chi sei?
ORESTE
(dolcemente)
I cani della corte mi ravvisano
e tu sorella mia, non mi ravvisi?
ELETTRA
(con un grido)
Oreste!… Niuno muove. Oh lascia dunque,
lascia ch’io vegga, alfine gli occhi tuoi!
O tenue Forma che ne dona il Sogno,
cara, soave illusion de l’Alma!
O, sacra, inafferrabile, ammiranda
sublime Visione, o resta meco!
Dissolverti non dci nel Nulla eterno,
evanescente Forma, alato Spirito;
e dovess’ io morire a te d’innanzi,
e tu qui fossi giunto, Annunciatore
di Morte, per condurmi alfin con te.
Piu dolce è un tal morir che il viver mio!
Oreste!… Oh, tu,… fratello!
(Oreste si china verso Elettra per abbracciarla.)
(Elettra, violenta)
Non vo’ che tu m’abbracci! Sta lontano!
Di le vergogna sento! Ma che cosa
pensi di me tu, dunque?
Il frale io sono ormai di tua sorella,
fanciullo mio! Ben sento ch’io ti faccio
rabbrividire; e pure, un tempo, figlia
di Re gia fui. Se ben ricordo bella
ero in quei di. Quando spegneyo il lume
a lo specchio d’innanzi, castamente
in me rabbrividire io mi sentivo.
Sentivo de la luna il mite raggio
bagnar nel nudo virginal mio corpo,
se come in un vivajo. E tali chiome
m’avevo allora che in vederle, solo,
tremar doveano i maschi. Ed ora vili
son fatte, e scompigliate, e miserande!
Intendi, fratel mio? Dovetti, allora,
quanto gia m’era sacro, abbandonare.
Ed il Pudore, anco immolai, ch’è certo
piu dolce al cuor d’ogni altro umano bene
che a mo’ de lieve argenteo velo, quasi
blando fulgor di Luna, avvolge l’Anima
d’ogni mortale donna; ed i Fantasimi
perversi d’empieta da lei tien lungi.
Fratel m’intendi? Questi dolci sensi
al Padre mio sagrificar dovetti.
Pensi, che mentre mie beltà miravo,
i fiochi suoi sospiri e i suoi lamenti
gia non udissi? Son gelosi i morti;
ed Egli m’inviò l’Odio, a che fosse,
l’Atroce sposo mio la notte e il giorno.
Sol Profetessa fui: null’ altro, certo;
nè trassi fuor da me, che disperato
pianto ed amaro fiele; e dal mio cuore
non trassi che bestemmie e folli grida.
Perchè ti volgi pauroso, in torno?
Parla, o fratello! In ogni vena tremi!
ORESTE
Deh, lasciami tremare!
Ch’io so bene qual via seguire io debba!
(traduzione Ottone Schanzer
da Narrazioni e poesie
Mondadori, I meridiani)
da Elettra [1904]
libretto di Hugo Von Hoffmannsthal
musica di Richard Strauss [ 1909]
,\\’
grazie orsola di questa altra chicca. Quasi un post nel commento.
[…] Qui la prima puntata della simmetria, che dolce parola. Ernst H. J. Gombrich, Moment and Movement in Art, Journ. Warburg and Courtauld Inst., vol. 27, pp.293-306 (1964), Gombrich fu direttore del Warburg Institute nella sua sede londinese dal 1959 al 1976; l’Istituto si era trasferito a Londra da Amburgo nel 1933: dato l’anno è facile capire i motivi del trasferimento. [↩]Magnus Enquist & Anthony Arak, Symmetry, beauty and evolution, Nature, vol. 372, pp. 169-172 (10 Nov. 1994). [↩]Rufus A. Johnstone, Female preference for symmetrical males as a by-product of selection for mate recognition, Nature, vol. 372, pp.172-175 (10 Nov. 1994). [↩] Questo articolo è stato scritto da antonio sparzani, e pubblicato il 25 Settembre 2009 alle 07:00, archiviato in vasicomunicantie contrassegnato Antonio Sparzani, Ernst H. Gombrich, simmetria, Warburg Institute. Salva nei segnalibri il permalink. Seguine i commenti qui con il feed RSS di questo articolo. Scrivi un commento o lascia un trackback: Indirizzo per il trackback. « si parla italiano […]