“RUMENI” di Anna Lamberti-Bocconi
STORIE CHE HANNO UN NOME
di Nadia Agustoni
Un romanzo di storie così il sottotitolo di Rumeni di Anna Lamberti-Bocconi (Stampa Alternativa, 2009; pag. 114), libro che si legge con una certa sorpresa per le figure e le voci che sembrano venirci incontro dai nostri stessi giorni: dalla fermata dell’autobus al treno, dal bar a uno dei tanti luoghi delle città in cui viviamo. Ma per Anna Lamberti-Bocconi la città è Milano. In quasi tutte le storie sono le sue strade che incontriamo, il loro animarsi ed essere parte di un rito o di un carosello dove i volti sono singolarità e non maschere e i sorrisi pieni di luce.
Ogni racconto ha un nome di persona: Violeta, Cristina, Gigio, Marja e altri e ogni storia ha il respiro corale di un mondo che si dà in modo integro, ma per un attimo solo e con una verità che è passione, presa in giro, gioco e tragedia.
La scrittura di Anna Lamberti-Bocconi è nitida. Sapiente nel costruire i dialoghi, pulita nel restituire realtà alla memoria personale, sia questa un ricordo affettivo che diventa traccia, come in Tiberiu, di una genealogia raccontata con leggerezza e un’ironia pungente, o che è come in Madalina, una nostalgia improvvisa davanti al mistero della morte, alla sofferenza che balza da dentro nel rammentare la perdita della madre.
Le voci del romanzo, perché di romanzo si tratta, per l’unità che la narrazione mantiene e per l’io narrante che non cambia e si mette costantemente in gioco, sono di un’umanità che ci appare timida o intimidita e un momento dopo strafottente Un’umanità varia e confusa, persa in una rabbia che è debolezza e che può esprimersi solo contro chi è più debole ancora. E’ per questo che la voce di chi racconta è voce di parte ed è sguardo che sa riconoscere il dolore di chi ha davanti e ne impara le parole che scappano via, lontano, anche quando aggrediscono.
Gli sradicati del libro di Anna Lamberti-Bocconi è come se cercassero, nel loro essere in transito, un esserci nel desiderio dell’altro. Questo è particolarmente evidente in Mario, Gheorghe, Cesar, dove l’incontro casuale in treno con l’io narrante donna, rivela il loro immaginario costruito tra arcaismi e pornografia e nello stesso tempo mostra la mancanza di autostima di cui uno solo di loro sembra consapevole. La mancanza di significato della loro violenza si ripercuote sulle loro stesse vite. Li lascia vuoti di presente e di futuro. Così il ciao finale è anche il segno dell’impotenza a un vero confronto. Un ciao in cui la simpatia che affiora è subito sommersa. E la stazione in cui si lasciano è quasi il simbolo del vuoto pieno di cose in cui si muovono e ci muoviamo tutti.
Nell’ultima storia Cristina è il viaggio in Romania a dirci la solitudine di chi non ha più abitudini, ma solo giorni e notti in cui sopravvivere e a cui strappare qualcosa. E’ il tempo dell’ingiustizia che ci viene incontro, la nudità dell’ingiuria sui corpi dei bambini affamati che come cani si contendono il cibo e aspettano neanche la salvezza, ma solo un riparo, uno spazio in cui racchiudere la sofferenza, un crepuscolo infinito. Eppure, proprio in queste pagine, è come se ognuno fosse affidato solo alla luce. E’ il sorriso della bambina a ricordarci che l’innocenza è l’impotenza assoluta. L’esistere senza potere e avere la forza di chi: ruba vita al sole, sfugge al branco e domina le traiettorie della sua città. La città crepuscolare, in cui l’abbandono, il vuoto e l’affollarsi sembrano uguali, è la città provvisoria in cui ci si muove senza sonno, ma come nei sogni. E’ la città dove violenza e modernità si incrociano e si misurano nella cifra di un tempo che è assedio. Ed è la città dove una bambina a cui si chiede dove abita risponde semplicemente: qui.
In Rumeni c’è un senso di comunione, che ci lascia rabbiosi, un po’ delusi dall’impossibile gesto, che aspettiamo e immaginiamo, di salvare, di trarre in salvo. Questo ci ricorda la capacità grande di amore e il limite di ogni vita a non avere risposte. Sembra ormai che noi tutti siamo incapaci anche di domande, di esigere una severità da noi stessi che ci porti lungo la linea di questa frontiera italiana a interrogare, a chiedere conto dei morti e dei vivi, a dare alle nostre parole quella verità che la richiesta di libertà, uguaglianza, fraternità aveva in origine.
Due racconti da “Rumeni”
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Grazie della segnalazione.
Ho letto i due racconti tratti da “Rumeni” nel thread di Inglese del giugno di quest’anno: https://www.nazioneindiana.com/2009/06/16/da-rumeni/
Molto belli. Freschi. Veloci. Profondi. Precisi. Con delle autentiche chicche di poesia (certe frasi).
Questa scrittrice meriterebbe una casa editrice di nome.
Questo, anche, conferma la mia opinione che la vera letteratura italiana bisogna andare a cercarsela dappertutto, tranne che nei cataloghi dei Grandi Editori Nazionali.
Speriamo nel passaparola.
Un grande in bocca al lupo.
P.S.
anna sa quanto io sia entusiasta del suo libro…lo consiglio vivamente
Non voglio giudicare il libro perchè non l’ ho ancora letto. Mi auguro solo che la signora lamberti bocconi conosca la lingua rumena: io non scriverei mai un libro intitolato “Italiani” ,dedicato agli italiani che risiedono stabilmente in Romania (solo a timisoara ce ne sono circa diecimila…) se non sapessi nemmeno comunicare nella loro lingua madre.
Magari leggere un romanzo di Marin Preda o Lucian Blaga sarebbe più utile, per comprendere meglio gli abitanti del mio paese e il loro “suflet”
Tanto più che noi rumeni non siamo nemmeno molto d’ attualità, oggigiorno: sulla lista nera dei seguaci del sultano del berlusconistan mi pare ci siano gli omosessuali, ultimamente.
Che nesso c’e’ con la lingua?
..evidentemente le storie raccolte, sono di rumeni che conoscono bene l’italiano.. e chi ti dice che la scrittrice non si sia fatta accompagnare da un buon traduttore?..
..si comunque papisco la tua pretesa, se qualcuno vuole srivere mi “me”, come minimo deve aver desiderato di entrare in comunicazione con me.. e quale veicolo migliore se non il linguaggio.. il “mio”.
La parola comunque non è l’unico mezzo di comunicazione.
.. mmh.. quello che mi piace poco è la foto di copertina, come se i rumeni avessero una faccia identificamile e solo quella… va bè e’ un dettaglio.. ma un po’ mi ha infastidito.
Avevo letto Kostel, all’impiedi, alla Mondadori, da un vol. collettaneo.
Anche io ho letto i due racconti postati in giugno, e li ho trovati molto tesi e promettenti. Viene voglia di leggere tutto il libro, ed è quello che farò.
francesco t.
W anche Baraghini!
Qualcuno/a mi spiega se si scrive Rumeni o Romeni? È lo stesso o no? Grazie.
Gran bel libro! confermo :-)
complimenti a Nadia Augustoni per la recensione.
un abbraccio a vele piene, cara Anna…
nat
Nadia coglie molto bene uno degli elementi fondamentali del libro: quel senso di *vicinanza/lontananza*, di empatia ma nel contempo di inevitabile distanza che ricorre in ognuno degli incontri; in questa dislocazione emerge, forse, un punto nodale della nostra attuale,difficile,convivenza e non solo con i migranti. Più in generale il libro di Anna ha davvero una capacità affabulatoria notevole e una ricchezza di registri poco comune nell’odierna narrativa italiana, Viola
Grazie, Nadia ma grazie Anna soprattutto:
questa faccenda del potere essere solo, o a partire del desiderio dell’altro, per vivere il proprio mi inquieta, ma è vera. E’ detta molto bene nelle storie-racconti.
I non luoghi, la non identità, anche. L’azzeramento dei diritti e delle definizioni base occidentali etc. (Dei citoyens..)
Attenzione però, l’etica dello sguardo è quella che dà posto e sensi, a tutto questo; dunque ci serve e va posta in alto.Non amo il nichilismo e infatti non ce n’è, sperando i lettori siano di buono stomaco e mente..
Maria Pia Quintavalla
Visto che si parla di voci rumene, suggerirei di ascoltare quella di Emil Cioran. Sul mio blog ci sono due post dedicati al sommo pensatore rumeno.
Sono solo io a non vederli, i commenti?
Ecco, è bastato postare un semplice riferimento alla mia cecità di lettore, per vederli e leggerli finalmente. Ma se torno in HP?
“ci ricorda la capacità grande di amore e il limite di ogni vita a non avere risposte. Sembra ormai che noi tutti siamo incapaci anche di domande, di esigere una severità da noi stessi che ci porti lungo la linea di questa frontiera italiana a interrogare, a chiedere conto dei morti e dei vivi”
Abbiamo tutti un grande bisogno di leggere dentro le storie degli esseri umani che scelgono, da un altrove dove anche la semplice sussistenza è un’impresa, di venire “qui”.
Fortunato chi incontra le parole di qualcuno che, come te e l’autrice del libro, riesce a raccontarci le loro vite con parole e cura sincere.
Parole differenti da quelle che ogni giorno i media nostrani usano con il deliberato e cosciente intento di alimentare una paura per lo straniero, o il diverso, che in un mondo globalizzato come il nostro non solo non hanno alcun senso, ma ci ingabbiano.
Grazie della segnalazione,
Paola
è un libro bello, importante, da far leggere a tanti – ciao
.
Grazie a tutti.
@Catalin: guarda che non è un saggio sui Rumeni in Italia. E’ un romanzo di storie. Se ti capiterà di leggerlo, mi piacerebbe sentire la tua opinione!
@Ares: idem. La foto di copertina è un ideale ritratto di un personaggio-tipo del libro, cioè un ragazzo giovane e bello.
Per inciso sulla questione della lingua: i personaggi rumeni del mio libro sanno tutti benssimo l’italiano.
Ciao carissimi lettori.
Grazie Nadia per questa recensione precisa e sensibile che tocca tutti i punti di questo bellissimo romanzo di Anna.
Rumeni, si può ben dire, che “l’ho visto nascere” e crescere.
Tra tutti i possibili riferimenti a scrittori del passato Anna, in questo libro, mi fa venire in mente la scrittura e la poetica di Kerouac, soprattutto per l’approccio malinconico e spirituale.
W QUESTO LIBRO, COMPRATELO E LEGGETELO!
Anch’io per riuscire a leggere i commenti devo farne uno? (Domanda retorica).
PS: ora lo sai… :-)
ordinato!
ciao anna
c.