CONTRAFFORTE
di Stefano Raimondi
Io ti conosco e non ti conosco insieme:
tu vicino con me in altro
e altro in me ancora da capire.
I
Ci sono giorni dove nascere porta luce, battesimi
d’acqua: pazienze. Altri fanno rumore. Hanno
tagli e attese: portano lontano.
II
Cerchiamoci negli spazi gialli della primavera
nelle coordinate sbranate dal cuore.
Cerchiamoci fin dove si può arrivare
tu mano difficile, io muro appoggiato, di rovina.
III
Lo dicevi così il futuro: partendo
dal tuo vestito scuro, dal tuo
bavero voltato male. Avevi luce
inchiostrata nelle mani, come un contrabbando.
IV
Faceva rumore la tua voce, la tua
solitudine inventata a memoria.
Non c’era che questo interrompere
di ore e di frasi a fare di noi
un commando di poveri alleati
tu ed io e comunque soli.
V
Non so che cosa hanno di nostro
le parole, le frasi fatte per capirci.
Forse tengono ancora la pazienza in serbo
ancora quel loro modo di non capire
il sì e il no stretto dentro le sentenze.
VI
Ma le condanne fanno davvero
daccapo gli assassini?
E tu rimani con la parola mezza fuori
mezza dentro al cuore e non lo sai
chi ti perdona dopo, chi
ti sta davanti.
VII
Facciamo che riparta la stagione:
le sue nuvole, i suoi oscuramenti.
Lo saprò da qui – da questa parte rasoterra –
da qui dove fa chiaro presto, da qui
ora che tengo tutto in prospettiva
che ho fatto tutto in tempo, per non morire.
VIII
E nella restituzione della carne faccio
quaresime e timballi, mischio viola
e ocra insieme, tagliandomi fin dove
il silenzio s’impiglia con la noia
tra le cose lasciate in pace
e non per caso lasciate in dono.
Che la memoria sia una sola benedizione
un albero, una coccinella
rossa sopra i polsi.
IX
…e come dirti ancora “tu”, dirti
faccia, gambe, tronco, dirti
figlio, padre; dirti male
e bene insieme, dirti cosa fare
ancora e a chi dare fiducia, dare
queste parole messe in fila nell’appello
messe tra le cose tolte dalle vene?
X
Continua la luce dalla casa piccola
a spostare tutto per farti spazio, darti
una mano per girarti dove
ci sono io, dove ci sei tu qui
su un fianco a respirare.
XI
Fammi posto, allora, tra le dita, le carezze
come una continuazione, una certezza
come quando sopra un treno ci chiedono
il biglietto e lo sai per certo che hai pagato
che hai il posto, che vedi fuori e arrivi.
XII
È una luce sola che ci congiunge
nella curva, nel salto, nello spazio
di questo azzurro che ci tiene senza nomi
senza voce, liberi, quieti, terribilmente sereni.
XIII
…e adesso dimmelo ancora dove
diventare parola di marmo
sostenere e respingere l’appoggio
il minuto, l’infinito
il questo e il quello della lontananza.
Dimmelo in una notte se puoi
con la gentilezza del semplice
o con la furia di chi uccide per sempre
senza sprechi, con pudore, nella circostanza
di una confessione, nel silenzio bianco
di una franchezza distinta e senza pentimento.
Si fanno così brevi le notti a volte. Lente
come un bacio dato da chi è orto e
coltello insieme, da chi presto
verrà riconosciuto e diviso.
6 giugno 2009 20 giugno 2009
sono davvero B E L L I S S I M E
La poesia di Stefano Raimondi è bagnata di luce,
una luce che non dà l’assoluzione, ma porta la bellezza
nel seno della memoria, quella di un paradiso che ha perso
il suo azzurro, ma non la lingua dell’amore.
“Che la memoria sia una sola benedizione
un albero, una coccinella
rossa sopra i polsi.”
Di felicità non possiamo pretendere
“di questo azzurro che ci tiene senza nomi
senza voce, liberi, quieti,terribilmente sereni.”
Solo immaginare una felicità nella parola.
Bellissima poesia.
L’infanzia delle parole e la loro crescita: estranee a ogni pratica d’uso e di taglio: osservate con gli occhi stupiti della lingua che le ha partorite.
Semplicemente splendido.
Vostradamus
E’ tutto il complesso ad esser “luce / inchiostrata nelle mani, come un contrabbando”. Contrabbando il quale non si può non ammirare.
Complimenti, davvero.
Che meraviglia! Bellissima da leggere e riflettere.Marlene
Belle davvero. Da leggere e rileggere, rimeditare e scoprirne a poco a poco la musica prodotta da una struttura flessibile, leggera. Bravo Raimondi, complimenti.
i giorni che fanno rumore
il bavero voltato male
è come vederli. una meraviglia.
coordinate sbranate dal cuore
luce inchiostrata nelle mani
Facciamo che riparta la stagione
questo azzurro che ci tiene senza nomi
vedete un pò voi
Abbiamo visto, abbiamo visto…
E ciò che abbiamo visto ci soddisfa.
Un *pò*, tanto per gradire.
Ha tè nò?
Vostradamus
a) è una costante italiota suddividersi immediatamente in guelfi e ghibellini, persino nei blog, osannando o denigrando post che nella maggioranza dei casi, invece, sono ovviamente su di una linea mediana;
b) nel concreto, questa poesia mi sembra porsi consapevolmente in una lunga (e in Italia dominante) tradizione di genere elegiaca e stile neopetrarchico che da noi ha avuto l’ultimo, luminoso, rappresentante in Sereni;
c) la tecnica prosodica è molto buona assicurando un’alta musicalità del testo e la tenuta del tema *vicinanza/lontananza*; meno convincente e più scolastico il ricorso a raffigurazioni abbastanza convenzionali, e valga per tutti il “bavero voltato male” (vabbè non tutti possono essere Gogol o , su diverso piano, Renato Rascel).
Peraltro dall’alto delle sue centurie, Colendissimo, ella è liberissimo di profetizzare come Le aggrada, ivi incluse le datate scelte gergali
Certo, però ho anch’io molto da imparare, e da domani mi tufferò, senza frapporre indugio, in uno studio matto e disperatissimo dello *stile neopetrarchico*.
E’ una *laguna* che, proprio grazie a Lei, mi accorgo di non potermi assolutamente permettere, né perdonare.
Che lo spirito soave e leggero di Tersicore gliene renda merito.
Vostradamus
Ha ragione, il subsconscio volgeva a neopetrarcaico -); mi stia bene
micro-riflessione non polemica:
in Petrarca, come nella lunga tradizione di petrarchisti (non Sereni, nel senso che sto per dire) tutto è innanzitutto emblema psichico, distillato, “fiori erbe etc” e non, secondo l’altra grande linea, quella Dantesca, “merda, minugia etc.” L’apriori poetico di chi la realtà non ha nemmeno bisogno di guardarla. Nel novecento queste due linee, naturalmente in maniera non dogmatica, hanno avuto due grandi rappresentanti in Ungaretti da un lato, e Montale dall’altro (vedere la “balaustrata di brezza” di Ungà Vs. la “ròsa balaustrata” del giovane poeta di Riviere). Io, che sono un convinto sostenitore della seconda linea, dantesco-montaliana (Contini parlava di una diversa dislocazione lungo l’albero di Porfirio), non posso ad ogni modo non notare come il supposto petrarchismo dei testi qui sopra, sempre che di petrarchismo possa (ancora!) parlarsi, sia parecchio trasversale e abraso, ricomposto in distillato dopo l’immersione, e in questo trovi una fertilità che non avrebbe altrimenti.
Un caro saluto,
F.T.
E nella restituzione della carne faccio
quaresime e timballi, mischio viola
e ocra insieme, tagliandomi fin dove
il silenzio s’impiglia con la noia
tra le cose lasciate in pace
e non per caso lasciate in dono.
Che la memoria sia una sola benedizione
un albero, una coccinella
rossa sopra i polsi.
per me parlano i versi.
è una scrittura splendida nel senso, nella forma, nel suono, nell’immagine.
“tagliandomi / fin dove il silenzio s’impiglia con la noia”
i verbi: tagliare ed impigliare… se ne sente il dolore fisico.
sono versi di una potenza lacenrante.
*lacerante, sorry
@ marthagraham
Mi stia bene anche lei. :-)
E, mi raccomando, si tenga ben caro e stretto il suo subconscio, con tutto il suo carico neopetrarchico. Potendo, sceglierei anch’io una struttura del genere, visto che il mio è invariabilmente allineato al neozo(t)ico fisso.
Vostradamus
TUTTE le parole hanno una scansione ritmica PERFETTA.
Se ne sente la musica,con tutte le alterazioni.Diminuite..in progressione..spezzate.
Mi ricordano le variazioni di Glenn Gould e tanto altro ancora.
E se la poesia è musica SUONA! E arriva.
Grazie a Stefano Raimondi.
Mi sento più ricca ed ispirata anche sulle corde. Un abbraccio in..vibrato. MARLENE
sorry! Dimenticavo.Te lo dico con “la gentilezza del semplice” ed anche ti invito a riascoltare con la mente/per-che tu me l’hai evocata\ LA CAVATINA di Stanley Myers eseguita da John Williams alla chitarra virtuosa.
E’il Tema da IL CACCIATORE ricordi, nella notte?Ciao e ancora grazie.
Mi sembra una poesia che ha molto da dire. E’ un bene.
Dà il meglio di sè quando il linguaggio (la sua materialità fonica) diventa il luogo in cui cercare la verità, come se quello che c’è “ancora da capire” debba venire fuori involontariamente, aprés-coup, a posteriori.
“tu vicino con me in altro
e altro in me ancora da capire.”
Fortunatamente sono sporadici i momenti in cui il verso ha fretta e perde l’equilibrio, si appoggia a immagini poco originali o meno evocative di altre, la sintassi si fa banale, la parola inelegante.
Tuttavia rimangono testi interessanti anche se un po’ lontani dal mio gusto personale.
Non lascerò un commento tecnico, questo lo faranno i corragiosi e preparati zeloti della poesia. l’unica cosa che mi sembra importante nelle parole di Stefano è la volontà di un amore in movimento, forte, accanito e accecante, che di sicuro non risparmierà al cuore una corazza antica.