Loca II: Le città sottili. 3. Armilla

©,\\’ Orsola Puecher

 
   di Italo Calvino
 
   Se Armilla sia così perché incompiuta o perché demolita, se ci sia dietro un incantesimo o solo un capriccio, io lo ignoro. Fatto sta che non ha muri, né soffitti, né pavimenti: non ha nulla che la faccia sembrare una città. Eccetto le tubature dell’acqua, che salgono verticali dove dovrebbero esserci le case e si diramano dove dovrebbero esserci i piani: una foresta di tubi che finiscono in rubinetti, docce, sifoni, troppopieni. Contro il cielo biancheggia qualche lavabo o vasca da bagno o altra maiolica, come frutti tardivi rimasti appesi ai rami. Si direbbe che gli idraulici abbiano compiuto il loro lavoro e se ne siano andati prima dell’arrivo dei muratori; oppure che i loro impianti, indistruttibili, abbiano resistito a una catastrofe, terremoto o corrosione di termiti.
   Abbandonata prima o dopo esser stata abitata, Armilla non può dirsi deserta. A qualsiasi ora, alzando gli occhi tra le tubature, non è raro scorgere una o molte giovani donne, snelle, non alte di statura, che si crogiolano nelle vasche da bagno, che si inarcano sotto le docce sospese nel vuoto, che fanno abluzioni, o che s’asciugano, o che si profumano, o che si pettinano i lunghi capelli allo specchio. Nel sole brillano i fili d’acqua sventagliati dalle docce, i getti dei rubinetti, gli zampilli, gli schizzi, la schiuma delle spugne.
   La spiegazione cui sono arrivato è questa: dei corsi d’acqua incanalati nelle tubature di’Armilla sono rimaste padrone ninfe e naiadi. Abituate a risalire le vene sotterranee, è stato loro facile inoltrarsi nel nuovo regno acquatico, sgorgare da fonti moltiplicate, trovare nuovi specchi, nuovi giochi, nuovi modi di godere dell’acqua. Può darsi che la loro invasione abbia scacciato gli uomini, o può darsi che Armilla sia stata costruita dagli uomini come un dono votivo per ingraziarsi le ninfe offese per la manomissione delle acque. Comunque, adesso sembrano contente, queste donnine: al mattino si sentono cantare.
 

Italo Calvino
[ Santiago de Las Vegas, 15 ottobre 1923 – Siena, 19 settembre 1985 ]
da Le città invisibili
1972
Giulio Einaudi Editore

 
 
[ a volte conforta e cura rileggere uno sguardo fantastico – légger leggéro di piccoli aghi d’acqua – pulito come quelle donnine svelte e snelle e canterine – niente parole in sovrappeso – nessun obbligo o missione di inseguire l’attualità – légger léggero oscillando con Viola D’Ondariva – la ragazzina vista a dodici anni sull’altalena il primo giorno che passò sull’albero che ad arco si avvicina e si allontana da Cosimo – in bilico sul suo ramo – ché le cose hanno sempre movimento e due prospettive – almeno – légger léggero dondolandosi su quel dubbio – così piacevole – se una frase – o un verso – o una trama sia tale – come Armilla – perché incompiuta o perché demolita – o se la mancanza o la sottrazione di eccesso di laterizi e malte sia un punto d’arrivo o un punto di partenza – o il fulcro di un equilibrio fluido e mutevole ]
 
 
Loca I: Poschinger strasse,1 di Giorgio Zampa
 

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75 Commenti

  1. dai, finalmente un autore meritevole, nuovo, controcorrente… se ne sentiva la mancanza….

    (puecher, niente di personale, ma calvino lo danno anche in televisione e piuttosto spesso, porca troia…)

  2. Bella prosa, gizzante, fluida, fresca, zampillante come una letteratura.

    p.s.: sono stato cacciato dal blog della Lipperini, una vera operatrice inculturale ed intollerante. Mi sono ripromesso di presenziare a tutte le sue apparizioni pubbliche per dire ad alta voce quanto la signora “lipperatura” sia lontana dalla cultura e dalla letteratura.

  3. non capisco cosa voglia dire che Calvino lo danno spesso in televisione, certo io la guardo poco ma magari ne dessero invece del liquame usuale. Non ho neanche capito perché non si debba parlare di uno scrittore del passato, io ho parlato di Mann, di Novalis e di molti altri e non mi sento colpevolmente arretrato per questo. Cos’è. è male? Bisogna parlare solo del contemporaneo? La periodica rivisitazione dei classici per me resta sempre un obbligo assoluto.
    Questo mi sembra un flash bellissimo, come sempre quelli di Orsola, mi piacerebbe anche sapere che musica è quella suonata durante il video. Grazie.

  4. è solo una questione di posa
    Calvino?
    ce ne fossero qui di Calvino

    Sig.ra Orsola “non ti curar di loro…” ci sono dieci panne

  5. [ eheheheh…. mi chiedevo – e aspettavo con alto numero di probabilità – chi sarebbe stato il primo a sfornare la prevedibile – lapalissiana – illuminazione – nel caso anche impreziosita da volgare imprecazione d’ordinanza ( che, si sa, fa molto controcorrente) – che Calvino non è nuovo e controcorrente e – tac – ecco qua – cosi ci siamo tolti subito il pensiero – la controcorrenza qui non c’entra un acca – è un lavoro sottile e particolare – anche assai lungo e divertente da realizzare – certo che nel panorama di new italian polpettoni – autofiction e poesia timballata di metafore ed esagerazioni retoriche e del solito piagnisteo esistenziale – Calvino – alla fine – è di fatto controcorrente con la sua scrittura pulita e visionaria ]

    grazie chi come al solito
    è tridiletteratura

    dinosauro il refuso gizzante e assai simpatico, frizza e gezza (sul posto da dove è stato cacciato non so nulla: non frequento i blog letterari… eheheheh)

    sparz grazie
    mi pare ovvio che non ci sia nulla di male a pubblicare Calvino
    mi starei attrezzando per Omero nel caso
    la musica e del contemporaneo del Bardo, William Byrd, Earl of Salisbury Pavane… c’e scritto alla fine… in realtà

    *** non scrivo quei tre numeri per principio e scaramanzia… ma direi che in Calvino è essenzialmente questione di prosa ed egregia

    ,\\’

  6. Orsola se mi permetti io amo il calvino autofiction e poesia timballata di metafore ed esagerazioni retoriche
    effeffe

  7. Jeannette grazie, ma non penso che continuerò.
    Armilla mi ha colpito per il suo essere sottratta.

  8. si possono amare entrambe le cose: Calvino e la poesia ricca di metafore e magari di scarpette.

    I lavori di Orsola sono ricerca, tempo, studio, passione, magia, arte …
    lei sa fondere musica, immagini e parole … al di là di quello che va a proporre c’è del suo, il suo sudore, la sua arte ad avvolgere tutto, a metterlo in luce, indicandone la lettura.

    ma la poesia “timballata” di metafore ha il sangue di chi la scrive, non tutta (sarei ipocrita) ma molta, moltissima di quella letta in questa settimana di ferragosto.

    ho detto la mia, spero di non aver offeso nessuno.

    natàlia

  9. visto che di dichiarazioni d’amore si parla.
    io non amo Calvino sopra ogni altra cosa.
    e nemmeno in integrale.
    e non so neppure se preferisco le sue divagazioni retoriche o i suoi nidi di ragno. pero’ di Calvino mi diverte sempre la spensieratezza costruita, la leggerezza artificiosa, e un certo gusto per la speranza enigmistica delle parole. tutte le parole. e questo.
    chi

  10. Mah… io nemmeno Chiara… in verità.

    Nelle cose pubblicate metto sempre distanza e puntiglio formale.

    E poi Natalia vorrei rassicurarla: tutta questa esagerazione, questo spargimento di sudore, lacrime e sangue in realtà non lo vedo. C’è un bon ton anche nello scriver sofferente, e poi, andiamo, come si può sempre far passare la scrittura solo per una mera espressione viscerale e corporale, per un grande reality in diretta del “corpo sciolto” e del sentimento ingigantito? Nella scrittura c’è anche razionalità, idea, rigore, pudore, lima e gomma, verticalità, gerarchia di momenti, struttura dell’opera. Non credo che il fine di scrivere sia solo la scrittura stessa. Narcisiticamente sempre e solo l’espressione di un io non filtrato da nessun canone. Almeno per me, ovviamente.

  11. … per dirla tutta, dopo poco più di un anno di permanenza qui, non credo poi nemmeno molto alla trascendentale importanza e rilevanza di pubblicare in rete e al valore delle discussioni, tranne in rari casi, che poi ne scaturiscono: gli amici si fanno i commenti complimento, c’è un notevole sgomitare per mettersi in bella evidenza, c’è chi ci piace tutto e chi niente, qualcuno esprime confusamente sentimenti avversi che per solito derivano dai suoi pregiudizi e idiosincrasie personali, giustamente inestirpabili. Se uno dice bello ha il lasciapassare per non motivare, se uno dice brutto invece deve fare la critica costruttiva. Insomma ne deriva una specie di pari e patta. Forse la speranza e la consolazione sono non nel 5 per cento circa dei commentatori, ma nel restante 95 che passa legge e tace?

  12. “trascendentale importanza e rilevanza di pubblicare in rete”

    scrivi tu ma forse bisognerebbe dire pubblicare tout court.
    allora sì, non v’è nulla di trascendentale e credo che una vita abbia più di un senso a prescindere dal “pubblicare”. E non solo la vita. Se ci pensi anche la scrittura può farne a meno. Non ci sono regole, mi sembra e quello che vale per gli uni non conta per gli altri. Sulla questione commenti sono sempre sorpreso quando un autore ti manifesta la delusione di non aver ricevuto abbastanza commenti. A prescindere dal consenso ottenuto. Credo che i lettori non commentatori siano fondamentali, ovvero è fondamentale sapere che esistano a prescindere dalla pubblicazione dei commenti. Altro è quando si pubblica un dossier come quello curato da Francesca Matteoni, Material Girls, e ti rendi conto che solo poche decine di lettori (questo qualche tempo fa) lo hanno scaricato. Ti chiedi dove si sia sbagliato, che cosa non andava. E non riesci a darti una risposta. Un po’ ti brucia.
    effeffe

  13. Orsola, mi creda, le rassicurazioni sono superflue almeno quanto dire che ci vuole “bon ton” anche nello scrivere il dolore.
    quello che ho detto lei lo ha compreso bene ed era proprio e semplicemente quello, senza aggiungere altro.
    buon lavoro a lei e tutti.

  14. Forse non mi sono spiegata… io non ho detto che ci vuole bon ton… ma che di fatto c’è e ricorre di solito nel far piangere, rantolare e piovere qualsiasi cosa o elemento dell’imperturbabile paesaggio.
    Si crede molto poetico attribuire alla materia anima e core.
    Va da se che l’unico sommo, inimitabile, maestro in questo resta Hans Christian Andersen.

  15. Quoto il commento di orsola puecher del 17 agosto, ore 9,17. Perfetto. Poi dico la mia su Calvino: scrittore a mio avviso sopravvalutato, ingiustamente conosciuto all’estero molto più di altri italiani migliori di lui (Bloom l’ha inserito nel suo famigerato Canone); è un favolista e un razionale, ma gli manca, come quasi sempre accade in Italia, il gusto del narrare che contraddistingue tedeschi, inglesi, francesi, russi e americani soprattutto. Più leggo la narrativa italiana più mi convinco che siamo scrittori un po’ infantilmente vanesi, protesi a mostrare quanto scriviamo bene; e allora o sei Gadda, ovvero un mostro del linguaggio, oppure il tutto si riduce a mera estetica. Un esempio che forse farà storcere il naso a parecchi: IL PARTIGIANO JHONNY, “libro sacro” che ho detestato, dove il virtuosismo linguistico soffoca la storia, anziché rafforzarla. Riguardo la “polemica” sul presentare autori più o meno noti, non vedo dove stia il problema. Di Calvino, perlomeno, se ne può parlare, e a iosa.

  16. Calvino è un must.
    Dico della prosa italiana anni ’70 o dintorni.
    Lo sguardo saturniano e la disciplina.
    La precisione e l’entomologia.
    Poeta a modo suo.
    E grande poeta.
    Basta vedere il modo in cui dispone delle parole.
    Diciamo che se le gioca in tasca.
    Quelle poche o molte in his disposal.
    Mi ricorda “Centuria” del pivello di Alda Merini (adesso non mi sovviene il nome… magari dopo).
    Lo stesso spreco inutile di immaginazione.
    Tutti quanti discendenti dal signor F. Kafka.
    Insieme a Beckett, Jonesco, Pinter etc.
    Per tacere di Buzzati.
    (Camilleri, Ceronetti?)
    O forse Gambarotta (so che c’è una somiglianza), quelo (cuelo) della TV di Stato.
    Direi scrittori grandi ma inutili nella loro special way.
    Non c’è un rivolo di vita che scorra, neanche per errore, in tante pagine che ho letto di Calvino.
    Almeno nella pubblicità delle macchine lanciate verso il niente, nell’asfalto scorgi scorci di lucertole che si spostano.
    Una volta ho avuto l’ardire di scrivere a A.Busi.
    Mi ha persino risposto.
    Anni fa.
    Gli era piaciuto il confronto con una salma conclamata ufficialmente come quella di Calvino.
    Tessevo le sue lodi (dico di Busi).
    Nella sua imperfezione, nella sua doppia diversità, uno come Busi a mio parere è una persona vera che scrive o produce le proprie polluzioni.
    Ma Calvino?
    Certo: scrive bene, anzi benissimo e precisissimo… ma l’anima dove si pone? (ahahah).
    Tondelli (cazzarola, i migliori scrittori ultimi che ho letto da questa parte dell’Italia pare siano tutti – o siano stati – gay conclamati).
    Un’altro è Del Giudice (e un altro ancora è Mannuzzu, dovreste leggerlo).
    Tutto il resto è poco meno che niente.
    (Minchia: non è che fosse Giorgio Manganelli? vedi che mi è tornato).
    Però riconosco l’intento didattico di questo post (non il mio).
    C’è gente ignorante che crede di stare inventando la letteratura italiana vita natural durante.
    Potrei fare tutti i nomi, ma ve li risparmio per pietà o carità di patria (e dire che c’è gente sconosciuta che scrive da Dio in questo stivale – e lo sta facendo da anni, e continuerà a farlo – senza il minimo riconoscimento ufficiale).
    Scurati, Scarpa, Ammanniti, Camilleri, Wu-MIng, quello dei numeri primi (qui non faccio nemmeno lo sforzo), Camilla P., Moccia etc…
    Diciamo il meglio della letteratura italiana contemporanea.
    Insomma:una serie di nullità letterarie regolarmente postate e pubblicate.
    Questa pare essere la letteratura ufficiale nostrana.
    A parte il sottoscritto, naturalmente.
    Just garbage loro, non io).
    (Ce ne sarebbe pure per gli stranieri invasori, ma questo pare non sia un sito con le palle vere per andare controtendenza: merito di chi scrive qui, I suppose, i chierichetti sempre allineati al niente, a parte le proprie inutili polluzioni).

  17. .. sto leggendo “I demoni” di Dostoevskij..

    mi conviene proseguire nella lettura.. o fa schifo anche lui ? °__°

  18. prosegui-); anche se ho un dubbio : ma del giudice non era (è) considerato un allievo di calvino??

  19. con chengoboro ce n’è per tutti!!!

    io personalmente non sono allineata ad alcunché cmq

    m’interrogo sulla scrittura post dopo post, miei e altrui

    Insomma:una serie di nullità letterarie regolarmente postate e pubblicate.
    Questa pare essere la letteratura ufficiale nostrana.
    A parte il sottoscritto, naturalmente.
    Just garbage loro, non io

    beh a questo punto son curiosa di leggere quello che scrive…

    ,\\’

  20. La città sottile mi attraea nella sua fluidità,
    nel fantasma acquatico, la sensualità dell’acqua:

    “Nel sole brillano i fili d’acqua sventagliati dalle docce, i getti dei rubinetti, gli zampilli, gli schizzi, la schiuma delle spugne”

    Una città dove il piacere carnale è l’acqua
    un delizio nel centro della scrittura.

    Orsola, grazie per questo dono,
    aprire gli occhi vicino all’acqua,
    dentro zampilli e musica limpida.

  21. trovo non utile il commento puecheriano in parentesi quadra ai piedi del testo calviniano, certe volte, anzi sempre, meglio non chiosare, soprattutto chi scrive, anzi chi è capace di immaginare, come calvino.
    non mi consento giudizi pro/contro calvino, perché francamente lo trovo ridicolo: appena si parla di calvino subito c’è qualcuno che si sente in dovere di essere pro o contro.
    il testo calviniano mi piace fino all’ultimo paragrafo, quello della spiegazione, che invece mi sembra inutile, anzi dannoso, rispetto alla pura sostanza fantastica della visione di una città di cui resta solo il sistema vascolare ((di cui peraltro approfittano “giovani donne” per bagnarsi, i cui spruzzi brillano in alto, controluce…).
    sui procedimenti immaginativi di calvino penso sia stato scritto molto, meglio non azzardare letture scrause et maldestre: mi limito a dire che a me sembra abbiano sempre un sostrato che direi filosofico, se non fosse innanzi tutto poetico: allora qui è l’immagine che mi colpisce e mi trascina: la foresta tridimensionale di tubi, le giovani donne che si bagnano, che fanno la doccia sospese nello spazio…

  22. @pecoraro
    Non capisco perchè sia ridicolo esprimere giudizi pro o contro Calvino – o pro o contro chiunque altro. Se me lo spieghi, mi fai cosa grata.

  23. Non si può pubblicare Calvino.
    Non si può dirsi pro o contro.
    Si può pubblicare Calvino ma non si posson fare i commenti e le chiose.
    Cose da pazzi….
    I redattori pubblicano e chiosano quel che a loro pare e chiunque può esprimersi pro o contro qualsiasi cosa e ampiamente. Si vedano le diverse discussioni in corso in giro per il sito.
    Questo è uno dei pochi spazi web che lascia aperti i commenti e liberamente a chiunque passi e seguirli non è cosa da poco. Lo si fa con attenzione e serietà.
    Cerchiamo di non esagerare nei diktat e nelle intimidazioni.

    La mia piccola chiosa, nel caso, inoltre, non era una “spiegazione” e non riguardava affatto “i procedimenti immaginativi di Calvino” e la sua “sostanza fantastica”, ma era solo un’osservazione generale sullo stile della scrittura: il parallelo era fra la sottrazione di eccessi retorici, fra i mezzi sobri per descrivere e la sottrazione o la costruzione futura della struttura muraria della città.

    Inoltre, non riesco a non dirlo, il termine romanesco scrauso, che vuol dire, credo, sciocco, brutto, scadente, ma contenendo in sè quel tot di disprezzo e arroganza in più, molto mi irrita.

    ,\\’

  24. Pecoraro mi deve scusare, non ho motivo di irritarmi: dopo un breve surfing fra tutti i commenti su nazione indiana, noto con divertimento che solo nei suoi ricorre questo scrauso [anche nella variante scrausetta/o], insieme a liceale, a proposito di qualsiasi cosa, con monotonia allarmante. Il concetto di scrausità, insieme a quello di licealità sono i fondamenti, i must del suo metodo critico. Una vera corrente di pensiero critico: dopo lo strutturalismo, l’appendismo, il sorpresismo e il nascondismo del grande Tonino Mutandari, l’infrangismo di Fulvio Tantoarchilo, il riparismo e il pecettismo del Fragolari, lo scrausismo e il licealismo del Pecoraro.

  25. Aggiungo con la mia piccola voce che il commento di Orsola al testo, l’invenzione poetica mi fa sognare, porta la mia visione al di là, dà un orrizzonte all’orizzonte del testo…

  26. scrauso è parola italiana.
    naturalmente anche fosse parola romesca, e non lo è, sarebbe usabile lo stesso, non trovi orsola puecher?
    mi limitavo poi a non particolarmente apprezzare la tua chiosa.
    non pensavo certo di censurarla e nemmno mi pare di essere entrato nel merito.
    credo che pubblicare a commenti aperti comporti una certa disponibilità et tolleranza ad accogliere obiezioni e critiche.

    dicevo del pro/contro calvino: mi pare sia diventato un luogo per così dire comune quello di pronunciarsi pro o contro calvino, come se fosse obbligatorio, come se calvino costituisse uno spartiacque, una discriminante, invece di grande, prezioso scrittore.
    naturalmente mi riferivo ad alcuni commenti, non al contenuto delle parentesi quadre tue, oh ursula, che continuo a considerare inutile, forse leggermente vanesio.
    “…légger leggéro di piccoli aghi d’acqua – pulito come quelle donnine svelte e snelle e canterine – niente parole in sovrappeso – nessun obbligo o missione di inseguire l’attualità – légger léggero oscillando con Viola D’Ondariva…”
    maddai.
    in fine: cosa cazzo c’entra il licealismo?
    non mi pare di averti dato della liceale.
    prendi fuego facile, tu.

  27. ma, sai, son mesi che si pubblica un poeta e tu gli dai del liceale, un’altro idem… poi scrausismo a iosa… non è questione di prender fuoco, è noia e si ha l’impressione che sia un po’ tanto al chilo il tuo modo di intervenire.

    la propria scrittura non deve essere necessariamente e sempre metro di quella altrui

    non si ha cmq una percezione simpaticissima di come ti poni

    che tu consideri inutile o meno quel che sta fra le quadre non è che mi interessi poi molto
    ognuno ha il suo stile
    la vanità non c’entra

    ,\\’

  28. Non vorrei entrare in una cosa che non è la mia, ma quando leggo:
    “prendi fuego facile, tu .” non mi sembra in niente armonizzata alla natura
    di Orsola,

    e “vanosio” è ancora più inadeguato.

    In questo momento certi personagi in preda alla noia sperano farsi notare
    con lezioni sentenziose…

    Trovo triste che post bellissimi siano denigrati.

  29. Francesco Pecoraro sembra un comandamento il tuo…

    “certe volte, anzi sempre, meglio non chiosare, soprattutto chi scrive, anzi chi è capace di immaginare, come calvino. ”

    si chiosi a iosa per me
    invece

    che poi Calvino per qualcuno sia uno spartiacque, un termine di confronto, non mi pare così negativo e che ne intacchi la grandezza
    anzi

    mah… modi diversi di intendere le cose
    inutile scontrarsi

    ,\\’

  30. oggi Véronique sei in forma :-)))

    la denigrazione si maschera facilmente da critica qui
    ma non poi tanto
    ormai si potrebbero mettere in busta chiusa prima certi commenti e vincere scommesse

    ,\\’

  31. Questo sito ha davvero cose bellissime e diverse.
    Il video è da stare a bocca aperta.
    Grazie
    Consiglierei di leggere la famosa conferenza sulla leggerezza delle lezioni americane di Calvino.
    La nota fra parentesi è perfetta, altro che vanesia, che poi è un giudizio moralistico inutile, sotto il modo poetico e ironico ci sta un principio fondante della filosofia di Calvino:
    “Dopo quarant’anni che scrivo fiction, dopo aver esplorato varie strade e compiuto esperimenti diversi, è venuta l’ora che io cerchi una definizione complessiva per il mio lavoro; proporrei questa: la mia operazione è stata il più delle volte una sottrazione di peso; ho cercato di togliere peso ora alle figure umane, ora ai corpi celesti, ora alle città; soprattutto ho cercato di togliere peso alla struttura del racconto e al linguaggio. ”
    Grazie.

  32. @pecoraro
    Forse proprio perchè Calvino ha finito per diventare uno spartiacque, è più soggetto di altri scrittori a un vaglio continuo. Lo trovo cosa buona e giusta. A mio avviso egli occupa nella considerazione generale (e anche sugli scaffali delle librerie) una posizione che non merita; la sua fantasia razionale, se mi è permesso l’ossimoro, la trovo alla lunga soffocante, a tratti stucchevole. Secondo me ha scritto un capolavoro sui generis (LE CITTA’ INVISIBILI), e ha fornito un contributo importante alla conoscenza della letteratura (LEZIONI AMERICANE, attività editoriale e critica, carta stampata eccetera). Resta però profondamente italiano (nel senso deteriore del termine) quel suo non saper dare aria alla trama, quel suo raccontare senza respiro, in asfissia, quasi per tema che la narrazione gli esploda fra le mani, una sorta d’illuminista post litteram, un piccolo Voltaire che ha paura di togliersi i guanti. La sua penna è affilata e quasi mai falla, ma non può bastare; e invece in Italia sembra che ciò da solo troppo spesso basti. In Calvino forma e contenuto aderiscono alla perfezione (il che è comunque molto, ce ne fossero), ma la sua è una perfezione piccola, e dopo un po’ ci si muore dentro.

  33. non mi resta che riconoscere una volta ancora quanto sia soggettivo — e lo dico proprio pacificamente — il giudizio in letteratura, come in chissà quanti altri campi (spesso anche in fisica, del resto); io ho riletto Il cavaliere inesistente un tot di volte e ne sono sempre rimasto incantato; il “dopo un po’ ci si muore dentro” non mi è mai successo.

  34. Grazie a speranza c.
    E’ questo infatti e trovo che in Armilla si incarni a puntino.
    Precisare cose lapalissiane è la fatica di star qui, spesso.

    La formuletta del supposto morire dentro, forse, sarà, per caso, ehm… diciamo… “ripresa” da qui:

    Petrolio
    Pasolini-Calvino. Requiem per il libro.
    di Federico De Melis
    [dal “manifesto” del 22 gennaio 1998]

    Solo così poteva esprimersi un postumo come lui [ Pasolini ], non nutrendo l’ambizione ad essere “inattuale”. La carne viva gli era troppo cara, seppure amara, per divenire oggetto filosofico. Mentre Calvino si allontanava in mongolfiera: il mondo si assottigliava, spariva entro categorie e tassonomie e combinazioni lucidissime. Ha ragione la Benedetti: gli era connaturale da lassù mantenersi integro “dentro” la società letteraria. Si ritraeva marcando presenza. Il suo personale genio gli permetteva di mimetizzarsi, volare con un fascio di bozze in mano da correggere in fretta, perché sentiva i loro giorni contati. E’ vero: lui moriva “dentro” il libro, Pasolini no. Nella notte di Ostia non aveva libri in mano, ma forse solo visioni di una vita nuova, che non gli apparteneva però.

    [ en passant – che supposizioni di pessimo gusto ]

    La polemica era stata innescata da un libro della Benedetti, Pasolini contro Calvino, Bollati-Boringhieri, non lo lessi, ma pare contrapponesse le ipotetiche “storie di carta e d’inchiostro” di Calvino e le ancor più ipotetiche “storie di carne e di sangue” di Pasolini, incasellandoli entrambi senza sfumature.
    Una macelleria filologica quasi.

    [ questa dell’impegno e del disimpegno come misura critica di un’opera o di un autore è – per me – una totale aberrazione – molto datata – ma purtroppo sempre attuale ]

    Un discrime tagliato giu con la mannaia dell’ideologia, sia per Pasolini, tirato per la giacca da una parte sola, che per Calvino di cui si dimentica l’impegno politico nel PCI e la coraggiosa posizione critica verso la mancanza di liberta d’espressione in Unione Sovietica. Esce dal PCI dopo l’invasione dell’Ungheria. Si legga il suo articolo sulla morte dell’amico Che Guevara, che uscì censurato in Italia. Ma, a parte questo, basterebbe rileggersi, che ne so La giornata di uno scrutatore o Marcovaldo per vedere, non poi tanto in filigrana, la sua posizione contro un certo tipo di ideologia e di società.

    Personalmento amo molto, anche perchè sono stati i primi libri che ho letto e il primo libro non si scorda mai, La trilogia degli antenati, ne Il sentiero dei nidi di ragno come la cronaca si mescoli con il sogno, della cosiddeta fase combinatoria Le città invisibili.. Altri meno.

    Ah… questa italianità di Calvino che consisterebbe nel non dar aria alla trama mi pare un’osservazione generalizzante: in certe sue opere, non da aria alla trama per scelta stilistica, metanarrazione, iperromanzo ecc ecc,

    ,\\’

  35. @orsola puecher
    Giuro che non conoscevo l’articolo che riporti, e che le parole che ho usato sono mie e soltanto mie. Dopo di che, mi appioppi una serie di dichiarazioni che non ho fatto. In primis tiri dentro Pasolini, che per me come scrittore vale meno di Calvino e che, per come la vedo io, muore anche lui dentro l’opera, ma per tutt’altro verso: ovvero in Pasolini, lungi dall’esserci un eccesso di geometria, c’è un eccesso di sentimento – il che non è affatto di per sé una cosa positiva, specie se non si è Arthur Rimbaud, Friedrich Nietszche o Fedor Dostoevskij, tanto per citare qualche nome recente e chiarificante.
    Poi, sull’impegno o il disimpegno, ho una teoria tutta mia (non mi serve dunque la Benedetti per averla): la vera arte non è mai ideologica, infatti Calvino e Pasolini, ideologhi (e nel precedente post avevo sottolineato l’impegno civile e culturale di Calvino), ne pagano il dazio. La vera arte è idea, il che non impedisce, ma anzi paradossalmente esige, ch’essa con urgenza s’incarni nel vissuto individuale e sociale. Un esempio magnifico di quanto asserisco è Flannery O’Connor, scrittrice imbevuta di ideologia cattolica che quando scrive ribalta sistematicamente quel che ci attenderemmo da un narratore che crede con fermezza nella Grazia. Nel suo caso, l’arte sconfigge l’ideologia e si fa idea. Ma in generale, tranne rarissime eccezioni, proprio non mi viene in mente alcun grande scrittore ideologico.
    Infine: Calvino non arieggia la trama non per scelta, ma per natura. Un passero non cerca l’acqua, un pesce non vola, e via andando. Non ne faccio una questione di colpa, ma di natura. La natura di Calvino è geometrica, illuministica; e non capisco perchè se uno analizza, debba essere tacciato di categorizzatore. Vero è che ci sono grandezze artistiche non categorizzabili: non mi sembra il caso di Calvino.
    Non ho poi detto che in Italia nessuno dia aria alla trama, ho detto che è raro. Un esempio di rarità? I VICERE’. Ma non se lo filano in molti, pur valendo di più, in quanto a forza narrativa, di tutto Calvino sommato.

  36. Diamante non ti appioppai nulla.
    Partii dal tuo commento per dire anche un po’ d’altro.
    Mi capitò di legger quell’articolo qualche giorno prima e notai la similitudine delle espressioni.
    Mi stupì e la riportati.

    Il tuo dar aria alla trama a questo punto mi pare oscuro, credo che noi s’intenda due cose diverse.
    Se mi spieghi sono contenta.
    Qui capita di rado, fra lo sgrandeggiamento degli ego, che si divide equamente fra lodi dolciastre e colpi bassi, di far discussioni letterarie.

    In realtà non ho pubblicato questo pezzo di Calvino per perder tempo a difenderlo e farne una bandiera, ma perchè dopo numerose letture di romanzi italici grondanti nel linguaggio, e carenti nella struttura narrativa, soprattutto cadenti nei finali, mi chiedevo se un po’ di canone non facesse bene alla salute…

    ohi martha, vedaremo!

    qui c’è una tale invasione di voi poeti esagitati che tocca creare un nucleo di resistenza carbonara :-)))

    ,\\’

  37. @orsola
    Anch’io sono lieto di discutere di letteratura, e (ri)vado al dunque. La carenza di Calvino è a mio avviso la mancanza di vita, di vitalità delle sue storie. Sono storie geometricamente perfette, conchiuse, autentiche conchiglie narrative, ma fredde, oppure sentimentali (il che, in fondo, è lo stesso). Calvino non mi procura un allargamento di coscienza, non mi rende più ricco, non mi emoziona; al massimo stimola la mia immaginazione, ma più a mo’ di rebus che di pathos. La sua lingua è un bisturi, scrive molto bene, e come tu giustamente fai notare non sgronda per mascherare la mancanza d’idee – un malvezzo assai diffuso. Insomma è un ottimo scrittore, ha una mente per alcuni versi geniale, ma io preferisco, come dicevo nel post precedente, le storie calde, avvolgenti, entropiche e sterminate, storie in cui si possa entrare e, volendo, non uscire mai più. A tal proposito, posso citare facilmente GUERRA E PACE o I FRATELLI KARAMAZOV, INFINITE JEST e la RECHERCE, MOBY DICK o I DEMONI, RE LEAR o AMLETO, ma anche I VICERE’ e I PROMESSI SPOSI, per dare all’Italia quel che si merita. Poi ci sono pure storie brevi o brevissime che edificano mondi eccezionalmente vivi, e faccio qualche esempio: UOMINI E TOPI, molti dei 49 RACCONTI di Hemingway (COLLINE COME ELEFANTI BIANCHI, LA BREVE VITA FELICE DI FRANCIS MACOMBER, UN POSTO PULITO, ILLUMINATO BENE, LE NEVI DEL KILIMANGIARO, I SICARI, VECCHIO AL PONTE solamente per citarne alcuni), gli ancor più straordinari racconti di Flannery O’Connor come UN BRAV’UOMO E’ DIFFICILE DA TROVARE, LA VEDUTA DEL BOSCO, BRAVA GENTE DI CAMPAGNA, GLI STORPI ENTRERANNO PER PRIMI, o ancora le perle di Cechov; e potrei dilungarmi; ciò per dire che la lunghezza è relativa, se dentro c’è vita. In Calvino l’elemento predominante è quello aereo, sottile, pulviscolare delle sue CITTA’ INVISIBILI (che ribadisco essere a modo suo un capolavoro); ma questa vita e vitalità terragne e spirituali che io agogno quando leggo non ce le trovo; credo fosse troppo scettico, troppo razionale e illuminista, troppo poco “pazzo” per regalarci qualcosa di veramente grande. Dopo di che so benissimo che tu non hai nessun bisogno né alcuna intenzione di difendere Calvino, il quale non ne ha fra l’altro bisogno; e ho trovato il tuo post ben impostato e stimolante.

  38. @diamante
    «La sua penna è affilata e quasi mai falla, ma non può bastare; e invece in Italia sembra che ciò da solo troppo spesso basti».
    Non sono molto addentro le questioni critiche riguardanti Calvino, né alcun altro scrittore, per questo mi colpisce molto questo problema che chiamerei delle determinazione del valore, anzi della costruzione di una scala di valori al cui vertice mettere «il più grande» e poi via via gli altri e quindi poi le polemiche tra chi debba occupare il vertice e chi arriva secondo e terzo eccetera.
    Una volta lessi un giudizio di Edmund Wilson (a proposito di Hemingway) che distingueva tra GRANDEZZA, intesa come valore estetico assoluto, e IMPORTANZA, intesa come forza e capacità di influenzare il proprio tempo e la disciplina di appartenenza (secondo Wilson Hemingway pur non essendo il più grande scrittore di lingua inglese della prima metà del Novecento è sicuramente il più importante).
    Qualche volta le due caratteristiche coincidono, ma non sempre.
    Personalmente, pur non essendo innamorato di Calvino, mi accodo a quelli che lo ritengono uno scrittore importante e di questo mi sembra si siano accorti all’estero più che da noi: è importante proprio per le caratteristiche che tu gli attribuisci e che reputi negative e che, se proprio devo entrare nel merito, non sono affatto «italiane», come tu affermi: ammesso che abbia capito cosa intendi per «italiano».
    Quello che mi colpisce, ogni volta che si cita o si parla di Calvino, è una reazione molto frequente di svalutazione, che viene prima di ogni discorso: insomma molte persone mettono subito le mani avanti per dire «a me Calvino non piace», oppure è sopra-valutato.
    Questo non accade a molti altri scrittori (forse a Pasolini, ma in misura minore): non a Moravia, non a Bassani, non a Pavese, non a Parise, non a Gadda, non Manganelli, non a Fenoglio, eccetera: eppure per molti di loro varrebbero obiezioni simili a quelle che tu poni a Calvino.
    Mi domando perché.

  39. Confermo la Puecher, le cui perplessità non fanno che confermare il trasgressivo giacobinismo culturale del Biondillo, oltretutto già ampiamente confermato, più e più volte, in questo blog.

    Siamo alla sovversione, non ce n’è.

    Vostradamus

  40. @pecoraro
    Ma io non ho detto – e per l’ennesima volta lo ripeto – che Calvino non mi piace o che non sia importante; ho addirittura definito per ben due volte LE CITTA’ INVISIBILI capolavoro. Da qui però a non avere riserve ce ne corre. Il discorso di Wilson su Hemingway credo sia dovuto essenzialmente a un fatto: Heminway possiede (anzi inventa) uno stile straordinario, che purtroppo molti in America e poi nel mondo hanno voluto imitare, con ovvio insuccesso. E’ lo stile che rende Hemingway più influente di autori a lui coevi grandi come e più di lui. Nel caso di Calvino, a me non pare che questa influenza si sia determinata; si è determinato invece, a un certo punto, l’apriori critico di considerarlo il più importante scrittore italiano degli ultimi 30/40 anni. La sua popolarità all’estero è dovuta in larga parte proprio allo stile, che però non è affatto eccezionale: è solamente facile da tradurre (molto più di tanti altri scrittori italiani). E a proposito di scrittori italiani, ne mescoli di diverse grandezze: Gadda a mio avviso sta nettamente sopra tutti, poi Fenoglio (che detesto, ma di cui non posso negare il genio linguistico), Parise (un grande), Manganelli, Pavese e Pasolini, Moravia, Bassani. Questo è il mio ordine. E quanto alle graduatorie, come ho già prima affermato: davanti a certe grandezze esse s’arrestano, per fortuna; ma qua si sta parlando di scrittori che non sfondano o riedificano (Gadda e in parte Fenoglio rappresentando le eccezioni) alcun limite o confine. Un’ultima volta infine ripeto qual è il difetto italiano che ho messo in risalto, grossolanamente e coi dovuti approfondimenti la sciati da parte: tanta scrittura, tanto cerebralismo, poca narrazione.

  41. In seguito Calvino è stato uno scrittore concettuale.
    All’inizio c’era stata la lezione realista dei racconti di “Ultimo viene il corvo”.
    Ma non bastava. Non bastava a lui.
    Successivamente si era innamorato del fiabesco, o della fiaba intesa come capace di determinare miti o suscitare (e resuscitare) archetipi.
    Calvino cercava l’assoluto e la possibilità facile di durare (come scrittore) inventando favole per il nuovo mondo.
    A tavolino.
    Il barone rampante, il visconte dimezzato etc.
    Deve essersi accorto dell’errore.
    Ovvero che non basta arrivarci con la testa per toccare il cuore il fondo anima sublime dell’uomo bestia.
    Aldilà dei significati preimpostati e/o precostituiti.
    Stiamo arrivando al “concettuale”.
    Tutti noi sappiamo cosa sia stata e cosa si intenda per “arte concettuale”.
    Definizione di evidente derivazione pittorica se prestata, come in questo caso, alle robe della scrittura.
    Ovvero: cago merda d’artista e la metto in scatola (ovvero: l’arte è fatta dalla merda degli uomini, tanto vale certificarla, e dunque santificarla e sublimarla a priori: il sublime come scarto riconosciuto dalla nostra vera essenza di imperfetti coglionazzi, miscredenti e privi di qualsiasi religione: insomma: la fotografia di questo e dell’altro mondo, mediatico o metafisico che sia.
    Ovvero: spacco una tela bianca bene tesa con la lama affilata di uno Stanley, resuscitando ombre di sessi femminili sigillati e sempre da aprire come mai con un gesto impulso o una dichiarazione netta di violenza e di possesso.
    E tutto il resto a cui si è poi prestato il concettuale.
    Calvino, per tornare a noi, ha fatto questo calcolo.
    La scrittura è dietro.
    E’ secoli dietro.
    I pittori lo fanno con i loro materiali, io posso farlo con i miei.
    E lui l’ha fatto.
    Con inesausta disciplina e con dolore.
    Ricordo questa sua risposta in una intervista a chi gli chiedeva se lo scrivere gli desse piacere:
    “Non è lo scrivere che dà piacere, ma è l’avere scritto”.
    Insomma, sentiva anche lui di essere uno scrittore postumo.
    Vita (sua) natural durante.
    Una specie di cadavere ante litteram (in tutti i sensi).
    Ciò non toglie che la sua arte astratta e concettuale abbia toccato vertici di inumanità difficili da raggiungere per gli altri (scrittori ancora imperfettamente vivi).
    Questo ha creato la sua fortuna all’estero.
    La sua rigidità morale e stilistica.
    Insomma, il suo essere poco o niente italiano.
    Il suo essere uno scienziato della prosa.
    (Palomar, Se una notte d’inverno un viaggiatore, Sotto un sole giaguaro – questo è un titolo che vale una letteratura – sono cose ancora aldilà della nostra comprensione).
    Per fortuna.

  42. Devo continuare?
    Su Edmund Wilson (La ferita e l’arco: sta qua dietro dentro assiderato lo scaffale insieme a molti altri subissato in polvere – non mi sembra il caso in mano di riprenderlo)?
    Hemingway?
    Vogliamo metterci Fitzgerald, Dos Passos o i sottoprodotti della nascente industria pseudoculturale e mediatica americanadegli anni 20/30?
    “Appuntamento a Samarra” di John O’hara vale da solo tutto Fitzgerald e tutto Dos Passos.
    Steinbeck era una specie di Verga in ritardo in versione americana. I malavoglia se lo mangiano (però quel libro è buono, Uomini e topi, il resto piange e non si riesce a leggerlo).
    “Sabato sera, domenica mattina” di Sillitoe (non americano, questo) è ancora più vivo e vegeto di tutto Dos Passos e Fitzgerald e ancora ci dice qualcosa sinceramente intorno alle famiglie operaie di una certa società inglese e delle mogli troie, ma tranquille, che rispondono al semplice input della vita così come ci è stata animalescamente imposta: ovvero fottere e riprodursi, con il migliore esemplare possibile della specie reperibile (deperibile?).
    Tutto questo, Darwin a parte, in un romanzo a cui non daresti due centesimi di credito (e nemmeno io glieli ho dati, anche dopo averlo letto, se non che non riesco a perderne ancora la memoria: qualcosa vorrà dire, o no?)
    Vogliamo parlare di Carver?
    Parliamone.
    Chi lo capisce veramente, a parte il sottoscritto?
    C’è qualcuno che conosce “after the denim” (dopo i jeans, in traduzione italiana)?
    Questo racconto innocuo che non dice niente, a parte tutto il resto?
    Vabbe’, niente analisi del racconto (mica mi pagano per questo, sono mica baricco, anche se sono più bellino e molto meglio come scrittore sincero).
    Sappiate solo, se mai vi capiterà di rileggerlo, che tra questi due anziani lei ha un male incurabile, vanno alla tombola del sabato o della domenica, non trovano parcheggio perché c’è un furgone pieno di scritte alternative, quando entrano in sala c’è l’immagine “casuale” di un naufrago che si sbraccia in cerca di aiuto sopra una barca capovolta. poi c’è la tombola e questi due giovani che barano con le schede o i numeri giocando in mezzo ai pensionati etc. Insomma: la consapevolezza malata dei vecchi che arrivano al termine di contro alla sbruffoneria giovanile di chi può, o crede, di permettersi tutto. I vecchi truffati e malati e disillusi se ne vanno schifati dentro la propria dignità. Lui torna a casa, mette a letto la moglie, se ne va in studio (è un ex commercialista in pensione) e cosa fa? prende il tamburello e l’ago e il filo e li introduce a ricamare chissà cosa. Bello, no?
    Per tacere di “Conservazione”.
    Avrò il tatto di risparmiarvelo.
    Nel caso leggetevelo.
    Fitzgerald non aveva la pietà.
    Dos Passos men che meno.
    Hemingway l’aveva imparata dai libri (Nada nostro che sei nel nada e la preghiera di Santiago sono perfette dichiarazioni di ateismo – o nichilismo).
    Miller non è mai esistito.
    Roth… chi?
    Carver è uno che conosce “il coso” e ci ha provato.
    Qui si parla di “pietà” tra virgolette.
    O di comprensione umana per i nostri dissimili vicini prossimi venturi di casa o di viaggio.
    C’è qualcuno di voi che ne abbia un briciolo da vendere o da scrivere o postare?
    Se l’avete, siete grandi.
    Sennò, ritenta.
    Sarai più fortunato.

  43. Avere o non avere la pietà?
    Avere o non avere calore e anima?

    queste son classificazioni che da estetiche addirittura diventano estetico/etiche
    come se nella musica si pretendesse il non esistere della dissonanza
    o lo svilupparsi di essa, o il suo alternarsi o meno

    ,\\’

  44. @pecoraro
    Non so se esista una tale modalità critica, ma non me lo auguro; la cosa che più mi spaventa in quest’epoca di barbarie culturale è l’indifferenziato: non vorrai anche tu che tra pochi anni Moccia valga Gadda?
    @orsola
    D’accordo con te: chengoboro è andato troppo in là. Ma l’intervista di Calvino che hai postato mi conferma nella mia analisi: ascolto e vedo un uomo sin troppo trattenuto, che geometrizza cautamente la propria idea di letteratura; e questo al di là d’un certo naturale pudore o d’una ritrosia. Un uomo che, azzardo, per la sua forma mentis “scientifica” ha in parte sprecato l’enorme bagaglio di sensibilità che possedeva.
    @chengoboro
    In fondo su Calvino diciamo le stesse cose, ma le interpretiamo in modo diverso. Quella che io prendo per una ristrettezza immaginativa tu la interpreti, se non vado errato, per un’apocalittica capacità profetica, ancora di là da esser compresa. Staremo a vedere.
    Hai ragione a mio avviso su Fitzgerald e Dos Passos, meno su Steinbeck, del quale considero un grande libro anche FURORE – bastano l’incipit e il finale, assolutamente memorabili, a renderlo tale. Hemingway era un nichilista/vitalista, e ciò ha finito alla lunga per stroncarlo; a suo proposito, io cito le parole di Harold Bloom: “un piccolo romanziere con un grande stile.” E ribadisco che è stato pressoché inarrivabile nell’arte del racconto breve.
    Anche su Miller e Roth concordo sostanzialmente con te.
    Sulla pietà in letteratura andrei cauto. Non la ritengo un elemento d’alcuna utilità; la letteratura non deve redimere; ma anche sulla disumanità andrei altrettanto cauto; non mi sembrano categorie applicabili a un uomo in quanto scrittore. Si può altresì affermare che alcuni scrittori non si pongono scrupoli nello scendere sin nei più biu scantinati dell’animo umano: Dostoevskij con Stavrogin, Karamazov padre, Verchovenskij o Svidrigailov ne è un esempio sublime (anche se poi, guarda caso, reimmette la pietà per altri versi, specie attraverso figure femminili o religiose). Poi c’è Céline, o Bernhard, Wallace, Shakespeare, Dante, Kafka, e così via, che sanno essere terribili oltre ogni limite, spietati nell’analizzare la condizione umana e l’essere umano. Ma la disumanità, a mio avviso, quando l’opera è così grande, può tramutarsi in pietas, non foss’altro che per aristotelica catarsi. O in un umano, più umano, troppo umano.

  45. @diamante
    “non vorrai anche tu che tra pochi anni Moccia valga Gadda?”
    diciamo che è la parola “valere” che nell’epoca in cui la scrittura diventa diciamo un gigantesco flusso incessante in cui il concetto stesso di “opera”, come l’abbiamo concepita sin qui, annega, è la parola “valore” che mi sembra inadeguata.
    ma è solo una sensazione che non sono in grado di precisare compiutamente.
    dico solo che se tutti hanno accesso alla scrittura sia come fruitori che come produttori, la scrittura (la letteratura?) non può uscirne indenne e che quelli che scrivono come Gadda non sono paragonabili ai Moccia e viceversa: il gioco si è fatto molto complicato: non esiste più quella che una volta si chiamava la mediazione critica: o meglio esiste, ma la maggior parte dei lettori non ne sa nulla oppure se ne sbatte le palle…

  46. @pecoraro
    La prima parte del tuo discorso l’ho seguita, la seconda meno: è vero che la mediazione critica per diversi motivi non ha l’autorità di prima, ma perchè Gadda e Moccia restano NON paragonabili (cosa che mi auguro)? E il fatto che restino NON paragonabili, per te è un bene o un male?

  47. @diamante
    (per me bene & male non esistono).
    mi verrebbe da dire che la mediazione critica è venuta a mancare alla stregua di tutto ciò che culturalmente era appannaggio direzione indicazione imposizione delle classi dirigenti novecentesche su tutte le altre.
    finita l’egemonia culturale finisce il concetto di valore dell’opera e finisce anche l’opera: tutto per così dire si resetta, moccia convive con la scrittura considerata alta, con michele mari (il primo esempio che mi viene in mente perché mi sta deliziando in questi giorni: Tu sanguinosa infanzia), ma anche con la scrittura poliziesca et gialla et criminale, ma anche con le saghe familiari, con i blog, tutto sta con tutto, tanto è vero che chi ancora crede nelle scale valoriali si affanna a formulare vane contro classifiche, inutili punteggi di amburgo: ma i buoi sono scappati da tempo dalla stalla: si coltivi pure il gusto del buon vino senza paragonarlo al tavernello: chi gli basta il tavernello non legge wine spectator (mi scuso per l’esecranda metafora).

  48. @pecoraro
    Quel che affermi è ahimé vero. Ciò che non condivido è accondiscendere a questa deriva. Nel mio piccolo, con i miei strumenti e il mio senso critico, tento di conservare una visione il più possibile lucida della letteratura – così come della società, della politica ecccetera. Se in molti lo facessimo, come andrebbero le cose? E Moccia verrebbe confuso con Mari? Voglio aggiungere, a scanso di qualunque equivoco, che sono favorevole al multiculturalismo, alla fusione delle civiltà che si sta dolorsamente realizzando, che sono felice di ciò. Direi anzi che dirmi favorevole o felice è una banalità: tutto ciò, volenti o nolenti, sta ineluttabilmente accadendo, anche se parecchi in Italia, specie al nord, fanno finta di non accorgersene (oppure non sono in grado).

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orsola puecher
orsola puecherhttps://www.nazioneindiana.com/author/orsola-puecher/
,\\' Nasce [ in un giorno di rose e bandiere ] Scrive. [ con molta calma ] Nulla ha maggior fascino dei documenti antichi sepolti per centinaia d’anni negli archivi. Nella corrispondenza epistolare, negli scritti vergati tanto tempo addietro, forse, sono le sole voci che da evi lontani possono tornare a farsi vive, a parlare, più di ogni altra cosa, più di ogni racconto. Perché ciò ch’era in loro, la sostanza segreta e cristallina dell’umano è anche e ancora profondamente sepolta in noi nell’oggi. E nulla più della verità agogna alla finzione dell’immaginazione, all’intuizione, che ne estragga frammenti di visioni. Il pensiero cammina a ritroso lungo le parole scritte nel momento in cui i fatti avvenivano, accendendosi di supposizioni, di scene probabilmente accadute. Le immagini traboccano di suggestioni sempre diverse, di particolari inquieti che accendono percorsi non lineari, come se nel passato ci fossero scordati sprazzi di futuro anteriore ancora da decodificare, ansiosi di essere narrati. Cosa avrà provato… che cosa avrà detto… avrà sofferto… pensato. Si affollano fatti ancora in cerca di un palcoscenico, di dialoghi, luoghi e personaggi che tornano in rilievo dalla carta muta, miracolosamente, per piccoli indizi e molliche di Pollicino nel bosco.
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