In fuga dalla scuola e verso il mondo
Leggere un libro sulla scuola, all’inizio, desta un minimo di scetticismo. Il tema ha un suo valore in termini di puro marketing editoriale, di libri sulla scuola ne vengono sfornati continuamente, più o meno tutti molto simile fra di loro. Un po’ di paternalismo nel raccontare il mondo dei giovani, un po’ di folklore, qualche aneddoto divertente; la ricetta è piuttosto semplice e ben sperimentata. Molto più difficile è invece incentrare un romanzo sulla figura di un adolescente cercando di non renderlo una caricatura o una macchietta o, peggio, l’epigono dei “giovani d’oggi”. Costruire un personaggio che, anche se è un adolescente e fa delle cose da adolescenti – andare male a scuola, innamorarsi, scappare di casa – sia anche qualche cosa di più; un personaggio unico, che ha qualcosa da dire e che racconta la sua storia, non il discorsetto sociologico su come cambiano le generazioni e su quanto fanno tenerezza gli adolescenti.
Il pregio del libro di Simone Consorti, In fuga dalla scuola e verso il mondo (Hacca, 2009), uscito recentemente per le edizioni Hacca è proprio questo; prendere la storia di un ragazzo che va male a scuola, si innamora e scappa di casa e scegliere di costruirci attorno un romanzo in cui il parlare di scuola e di adolescenza non è che l’ambientazione, il pretesto. Il punto è la costruzione di un personaggio che si scontra con il mondo perché, evidentemente, il mondo che si trova intorno non è credibile, è un mondo grottesco in cui tutti non fanno che recitare la parte che gli è stata assegnata. In primis, ovviamente, i professori o gli adulti, ma anche i suoi stessi compagni. E il risultato naturale per Valerio, il protagonista del romanzo, è la fuga.
Valerio afferma che uno dei quattro romanzi che ha letto in vita sua è Tom Sawyer. Alcune delle pagine di ambientazione scolastica potrebbero trovarsi anche nel Giovane Holden, che del libro di Twain è, a sua volta, una riscrittura. Ma il primo riferimento che mi è venuto in mente è quello di Antoine Doinel, il protagonista dei 400 colpi di François Truffaut. A ricordare Truffaut ci sono molte cose nel libro: lo stesso sguardo verso l’adolescenza partecipato ma non paternalistico, lo stesso spirito radicalmente libertario del protagonista, e la stessa tonalità emotiva, fra malinconia e sarcasmo. Con la differenza che, a differenza di Antoine, Valerio vede dell’autorità più che l’aspetto repressivo l’aspetto ridicolo e grottesco, le mille nevrosi che agitano i personaggi che si muovono nella scuola intorno a lui, le mille preoccupazioni dei professori, le loro piccole meschinità e ipocrisie. Così Valerio, ascoltando un professore che non fa che ripetere ai suoi studenti che sono tutti uguali, nota che anche loro si vestono tutti con la stessa giacca e gli stessi pantaloni. Osserva la professoressa che si gratifica dell’ammirazione del bidello. Ovunque, esercita i suoi sensi per cogliere l’aspetto ridicolo delle cose, la vuotezza dei personaggi che gli stanno accanto o, semplicemente, l’inutilità delle loro azioni.
E’ proprio questo tipo di sguardo verso il mondo che costituisce il pregio maggiore del libro di Consorti. E questo tipo di sguardo funziona grazie soprattutto alla scelta di far raccontare la storia in prima persona dal protagonista stesso, con una lingua semplice e lineare ma non per questo poco efficace o piatta. Nello scegliere il registro stilistico, Consorti non cerca di imitare il linguaggio dei giovani, né di sostituire la sua voce a quella di un adolescente. Cerca piuttosto di approssimarsi alla tonalità emotiva della lingua di un adolescente, di immaginare il modo in cui Valerio racconterebbe la sua storia e poi tradurla in un tipo di scrittura veloce e lineare, ma anche molto curata e piena di invenzioni linguistiche.
ho letto il libro di simone consorti, trovandolo autentico e pieno di invenzioni. un libro notevole per come e’ scritto, intriso di rabbia e nostalgia, con un finale sospeso e sentimentale.