La Luna
di Franz Krauspenhaar
Fa caldo, in questo luglio del 2009. L’aria condizionata è tenuta al minimo, temo per la mia salute ormai già stecchita. Mangio le mie verdure bollite, guardo la televisione. Ricorre il quarantennale del primo sbarco sulla luna. Immagini in bianco e nero nello studio televisivo della RAI, il giornalista Tito Stagno, biondo e con gli occhiali, viso simpatico e ben fatto, abbassa le mani… “Ha toccato”, esclama. Ruggero Orlando, da Houston, smentisce con la sua ben nota voce gracchiante. Potrebbe scoppiare una polemica, invece tutto si aggiusta. Io sono a casa di amici, in Viale Premuda, a godermi lo spettacolo del primo uomo sulla luna. C’è attorno un vociare entusiasta, esaltato, come quello che ronzerà attorno ai mondiali di calcio di Messico 70, giusto un anno dopo. Il nostro è un tifo espresso a bocca semiaperta, però, colonna sonora di un’emozione nuova; sentiamo di essere finiti con la realtà nelle maglie larghe della fantascienza. Le immagini sfocate di Neil Armstrong che passeggia rimbalzando sul suolo lunare sottolineano il sogno ad occhi aperti che si squaderna violento come realtà. È l’apice – falsato – d’ogni sforzo progressivo del ‘900, il secolo delle carneficine e della tecnologia e appunto della sfida allo spazio, all’altro da noi, verso l’incommensurabile. Abbiamo tutti la sensazione che da qui in poi la storia dell’uomo prenderà una deviazione decisa, potente, senza ritorno. Abbiamo navigato tutti i mari, abbiamo creato oggetti volanti entro l’atmosfera terreste, le nostre strade sono sempre più preda di un’invasione globalizzata di auto, prolungamenti carrozzati e veloci del nostro stesso essere umani. Ora il salto di qualità, fatto dalla terra alla luna, è stato compiuto. Verne riposi in pace, ha aperto strade alla luna nella fantasia. Ora l’uomo, con modalità del tutto diverse, ha compiuto il miracolo fatto di studi e di numeri, di applicazione e di coraggio. È la nuova frontiera, quella che non ha spazi, perché non c’è delimitazione, perché i confini sono nell’altrove dell’altrove. Dalla luna si passerà a Marte, e poi chissà, questo è un inizio. Cosa è possibile trovare sul quel suolo scarno, grigiastro, che stacca la sua enorme macchia sul cielo fermo in una notte senza fine, non si sa di preciso. Si spera in reperti antichi, in tracce di passaggio di altre civiltà, si spera in mille cose, come se la luna, rubata una buona volta ai canti lontani dei poeti, si sia ora affrancata da ogni metafora e sia divenuta un organismo che vive e pensa e pulsa e si illumina dall’interno, come una lampada quando la guardiamo a pochi centimetri dalla sua lampadina innestata. È l’estrema illusione del ‘900, l’ultimo baluardo di vero progresso condiviso dal mondo intero attraverso le antenne della televisione. È come se i Lumiére avessero montato all’arrivo del treno varie telecamere televisive per una ripresa in diretta dell’avvenimento con collegamento via satellite, è come se ci fossero state decine e decine di telecamere a Waterloo, alla disfatta di Napoleone. È come se la tragedia Hiroshima fosse stata trasmessa in diretta, e improvvisamente il collegamento si fosse interrotto, al colpo americano fatale. Guardare Armstrong e poi i suoi compagni mi dà una sensazione di profonda estraneità. Non sembrano uomini, ma fantasmi dell’umano, così ridotti dall’atterraggio in quel suolo straziante che non rende giustizia al mito della luna. Ballonzolano su quella terra arida fino all’inverosimile senza un vero perché, come se passeggiassero sull’ignoto a scopo dimostrativo. La mia emozione dell’inizio, mano a mano che passano i minuti, si contiene sempre più. Esco in anticipo, e sulla strada, completamente vuota, mentre ascolto la voce di Tito Stagno provenire dalle finestre, ho la netta sensazione di una farsa, di una prova di forza senza vero senso. La luna è quello che è, un simbolo in mezzo al cielo, una sfera che vediamo piatta e che per me, da stasera, ha sempre minore significato. Ora che l’uomo ci è atterrato, sento che la luna per me non esiste più.
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Bellissimo Franz,
“Ora che l’uomo ci è atterrato, sento che la luna per me non esiste più.”
Il sogno raggiunge luoghi senza soglia, sospesi nella realtà, celesti.
Vediamo meglio la pianeta da fuori, fuggitiva, colorata dei paesaggi
della nostra immaginazione. La luna si copre di mari di sale, con stelle,
fa luce e ombra in colline silenziose. Il paesaggio della luna non si vede.
Il passo gigantesco dell’uomo viene cancellare la terra sabbia fantastica
del sogno.
E’ strano il giorno dopo che l’uomo è sbarcato sulla luna ( 2o juillet 69)
avevo due anni, e credo nel mio ricordo allontanato che ero con i genitori
nella casa della nonna in un piccolo paese de l’Aude, e tutti aspettavano
la notizia, la prima immagine. Ma non so se è immaginazione dalla mia parte o no.
Colori nero e bianco, come storia di altro tempo.
io rimango dell’idea che gli unici ad aver varcato quella soglia siano Astolfo e Cyrano
Peccato che la nasa abbia perso i filmati originali dello sbarco! Comunque il pezzo mi piace!
Io non ero ancora, quando s’inventarono questo nuovo passo, del tutto superfluo, per l’umanità. Almeno avessimo trovato civiltà migliori della nostra, lassù, tra le onde di polvere che grigie sono, piuttosto che gialle come ogni notte dalla nostra nascita ci siamo convinti.
Anche se tutto è sembrato così patetico e posticcio, tanto da indurci a maliziare, dopo “Capricorn One” e il sospetto di carrellate kubrickiane. E ci siamo persi lo stupore di un oltre che non può essere esplorato, pena la cancellazione dal dizionario del sostantivo fantasia. La fantasia è qualcosa che deve rimanere irrealizzabile, altrimenti la sazietà rischia di strozzarci.
Con i miei, che allora c’erano, non abbiamo mai parlato di allunaggi, ché loro amano stare coi piedi per terra. E credo che questo sia ereditario.
mdp
Fu un grande giorno, feci l’orale dell’esame di maturità, traducendo e commentando 30 versi dell’Antigone di Sofocle che ci portarono a discutere del rapporto fra cittadino e potere, magnificamente chiosando il saggio di Fichte La missione del dotto e infine approdando alle equazioni trigonometriche.
Tornai a casa e mio padre stabilì:
1) che adesso potevo fumare dinanzi a lui
2) che avrei avuto un mazzo di chiavi di casa tutto mio.
la sera telefonai a Marta. “Allora ci vieni ad Alghero con me?” “Sì, vengono pure Marisa, Lucio e Robby. Arrabbiato?”
Me la baciai 17 giorni dopo a Capo Caccia, una sera che Marisa aveva le cose e Robby e Lucio: ci vai tu?, no vacci tu, ma vado sempre io?
noi c’eravamo nascosti in spiaggia dietro la giostrina di quel coglione di lupo Ezekiele e per la prima volta Marta bevve vernaccia.
Ho ricordi molto vaghi del momento, ero troppo piccola, ma più che altro erano gli adulti, il loro senso di attesa e di importanza a sorprendermi.
Un saluto
Quarantanni dal giorno in cui, andando in bici, ha suonato per la prima volta sulla Luna un trombettista jazz.
Ciao Franz.
questo è il motivo per cui frequento Nazione Indiana, per poter leggere pezzi come questo (poi mi faccio prendere la mano e scrivo sciocchezze).
lucia
“È l’apice – falsato – d’ogni sforzo progressivo del ‘900, il secolo delle carneficine e della tecnologia e appunto della sfida allo spazio, all’altro da noi, verso l’incommensurabile.”
segnare il vertice è come desiderare con precisione matematica la caduta, il salto verso il basso. la disfatta. l’oggi.
un saluto caro a tutti e in particolare (mi si consenta) a véronique, persona di grande dolcezza e sensibilità che ricordo con affetto vero.
Un abbraccio a te, Franz,
Il ricordo dell’altro estate è nel mio cuore,
prima di tornare nell’anno a Milano,
spero bella lettura di te su NI.
véronique