Dei romanzi italiani che ho letto negli ultimi anni – e ne ho letti parecchi – IL TEMPO MATERIALE mi è sembrato il migliore, anche se la prima parte non è all’altezza della seconda. Nel romanzo ciò che prevale brutalmente su tutto il resto è la scrittura: densa, materica, intagliata. Forse perchè nel ’78 ero troppo piccolo per ricordare qualcosa, la narrazione non ha avuto per me un respiro storico, e nemmeno sociale; ha avuto un respiro metafisico, attualissimo e drammatico, un metafisico materiale che, nel suo paradosso, spiazza, avvince e addolora.
Vasta è uno dei 2-3 migliori in circolazione. Da tenerlo d’occhio per il futuro. Il suo lavoro sul linguaggio è encomiabile. Non si vedeva roba del genere da anni.
@Sulromanzo. In che cosa consiste nello specifico “il suo lavoro sul linguaggio”?
(da mesi lo vedo scrivere a ripetizione manco fosse un mantra)
Isak: immagino che lei abbia letto il romanzo. Bene. Io credo che abbia due aspetti notevoli:
1- Le giustapposizioni sintattiche non sono quasi mai banali, sempre ricercate, come se una virgola o una congiunzione fosse stata pensata più e più volte, in maniera ossessiva.
2- Il linguaggio dei protagonisti è splendido: azzeccato e originale.
Io non so quale mantra lei abbia osservato su Vasta, certo è che a me il romanzo è davvero piaciuto.
ottimo lavoro Biondillo, grazie, V.
Intendevo dire che avrò letto decine di volte, riferita a Vasta, l’espressione *il suo lavoro sul linguaggio*. Senza mai capire bene cosa si intendesse. Che il lavoro sui dialoghi fosse originale mi pareva chiaro, ma con il lavoro sul linguaggio proprio non mi riusciva di capire che cosa si intendesse di preciso. La sintassi del libro non mi pare così rivoluzionaria come sembra di desumere da certi commenti al riguardo. E che una virgola o una congiunzione siano state pensate più e più volte, in maniera più o meno ossessiva, credo sia il requisito minimo. Insomma, il concetto mi rimane vago.
Isak: io non ho parlato di rivoluzione sintattica. E forse il concetto continuerà a rimanerle vago, nel senso che non saranno alcuni commenti su un blog a far emergere verità illuminate. Il requisito minimo che citi è una speranza o un obiettivo, ma raggiunto da pochi – almeno a mio parere -. Si tende sempre più a scrivere come si parla, Vasta non è di questa corrente.
Forse Giorgio Vasta è uno scrittore a cui il destino ha consegnato una certa visibilità. O forse era arrivato solo il suo momento. Spero che possa portare avanti negli anni e con successo la sua idea di scrittura. Spero che riesca a ritagliarsi uno spazio critico tutto suo, capace di incidere sul dibattito circa le sorti della letteratura. Intanto abbiamo non solo Vasta ma anche Giuseppe Genna. E la Minimun Fax. Non siamo messi poi così male…
Mi piacciono molto le interviste di Gianni Biondillo. Ha il garbo e la stazza di Mollica, senza essere mollicoso. Vuole essere un complimento. Per Biondillo.
AMA, spero solo che qualcuno mi abbatta prima che mi trasformi davvero nel Mollica di questi ultimi anni… ;-)
Veramente bravi, entrambi. Non me lo immaginavo così forte, Biondillo, adesso mi vedo anche le altre sue interviste.
vorrei solo fare una notazione sulla sintassi. ho notato che Vasta è ossesisonato dal doppio, ossia nella maggior parte dei suoi periodi utilizza sempre due aggettivi, due specificazioni, due predicati come se un solo termine non bastasse mai ad essere incisivo. in più mi chiedevo perchè proprio in prima persona ed al presente. questa scelta comporta una minore seduttività rispetto ad una terza persona. Al di là di questo, il romamzo mi è piaciuto molto.
certo che a prima vista è inquietante, messer Vasta.
E, a parte questo, è bravo, molto molto molto bravo.
Non sono d’accordo con Rachele: per come è impostato, il romanzo sarebbe stato molto più debole con una narrazione in terza persona.
Riguardo al “lavoro sulla lingua”, mi pare sia stato detto abbastanza…
di Gianni Biondillo
Innanzitutto: non è una banlieue. Smettiamola di usare parole a sproposito, non aiuta a capire di cosa stiamo parlando. E, a ben vedere, non è neppure più una periferia. Dal Corvetto a Duomo ci vuole un quarto d'ora di metropolitana, siamo ormai nel cuore della metropoli lombarda.
di Romano A. Fiocchi
Sono trascorsi molti anni ma mi ricorderò sempre di quel giorno gelido di fine gennaio in cui lo incontrai. Lavoravo come fotoreporter da circa tre mesi, mi aveva assunto in prova l’agenzia Immaginazione.
di Luca Alerci
Vincenzo Consolo lo incontrai, viandante, nei miei paesi sui contrafforti dell’Appennino siciliano. Andava alla ricerca della Sicilia fredda, austera e progressista del Gran Lombardo, sulle tracce di quel mito rivoluzionario del Vittorini di "Conversazione in Sicilia".
di Alessandro Gorza
Era stata una giornata particolarmente faticosa, il tribunale di Pavia l’aveva chiamata per una consulenza su un brutto caso. Non aveva più voglia di quegli incontri la dottoressa Statuto, psicologa infantile: la bambina abusata coi suoi giochi, i disegni, gli assistenti sociali e il PM, tutti assieme ad aspettare che lei confermasse quello che già si sapeva.
Gianni Biondillo intervista Mario Desiati
Leggevo "Spatriati" e pensavo al dittico di Boccioni: "Quelli che vanno", "Quelli che restano". Il tuo è un romanzo di stati d'animo?
Gianni Biondillo intervista Mattia Corrente
Mi affascinava la vecchiaia, per antonomasia considerata il tramonto della vita, un tempo governato da reminiscenze, nostalgie e rimorsi. E se invece diventasse un momento di riscatto?
GIANNI BIONDILLO (Milano, 1966), camminatore, scrittore e architetto pubblica per Guanda dal 2004. Come autore e saggista s’è occupato di narrativa di genere, psicogeografia, architettura, viaggi, eros, fiabe. Ha vinto il Premio Scerbanenco (2011), il Premio Bergamo (2018) e il Premio Bagutta (2024). Scrive per il cinema, il teatro e la televisione. È tradotto in varie lingue europee.
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Grande Vasta…
Dei romanzi italiani che ho letto negli ultimi anni – e ne ho letti parecchi – IL TEMPO MATERIALE mi è sembrato il migliore, anche se la prima parte non è all’altezza della seconda. Nel romanzo ciò che prevale brutalmente su tutto il resto è la scrittura: densa, materica, intagliata. Forse perchè nel ’78 ero troppo piccolo per ricordare qualcosa, la narrazione non ha avuto per me un respiro storico, e nemmeno sociale; ha avuto un respiro metafisico, attualissimo e drammatico, un metafisico materiale che, nel suo paradosso, spiazza, avvince e addolora.
Vasta è uno dei 2-3 migliori in circolazione. Da tenerlo d’occhio per il futuro. Il suo lavoro sul linguaggio è encomiabile. Non si vedeva roba del genere da anni.
@Sulromanzo. In che cosa consiste nello specifico “il suo lavoro sul linguaggio”?
(da mesi lo vedo scrivere a ripetizione manco fosse un mantra)
Isak: immagino che lei abbia letto il romanzo. Bene. Io credo che abbia due aspetti notevoli:
1- Le giustapposizioni sintattiche non sono quasi mai banali, sempre ricercate, come se una virgola o una congiunzione fosse stata pensata più e più volte, in maniera ossessiva.
2- Il linguaggio dei protagonisti è splendido: azzeccato e originale.
Io non so quale mantra lei abbia osservato su Vasta, certo è che a me il romanzo è davvero piaciuto.
ottimo lavoro Biondillo, grazie, V.
Intendevo dire che avrò letto decine di volte, riferita a Vasta, l’espressione *il suo lavoro sul linguaggio*. Senza mai capire bene cosa si intendesse. Che il lavoro sui dialoghi fosse originale mi pareva chiaro, ma con il lavoro sul linguaggio proprio non mi riusciva di capire che cosa si intendesse di preciso. La sintassi del libro non mi pare così rivoluzionaria come sembra di desumere da certi commenti al riguardo. E che una virgola o una congiunzione siano state pensate più e più volte, in maniera più o meno ossessiva, credo sia il requisito minimo. Insomma, il concetto mi rimane vago.
Isak: io non ho parlato di rivoluzione sintattica. E forse il concetto continuerà a rimanerle vago, nel senso che non saranno alcuni commenti su un blog a far emergere verità illuminate. Il requisito minimo che citi è una speranza o un obiettivo, ma raggiunto da pochi – almeno a mio parere -. Si tende sempre più a scrivere come si parla, Vasta non è di questa corrente.
Forse Giorgio Vasta è uno scrittore a cui il destino ha consegnato una certa visibilità. O forse era arrivato solo il suo momento. Spero che possa portare avanti negli anni e con successo la sua idea di scrittura. Spero che riesca a ritagliarsi uno spazio critico tutto suo, capace di incidere sul dibattito circa le sorti della letteratura. Intanto abbiamo non solo Vasta ma anche Giuseppe Genna. E la Minimun Fax. Non siamo messi poi così male…
Mi piacciono molto le interviste di Gianni Biondillo. Ha il garbo e la stazza di Mollica, senza essere mollicoso. Vuole essere un complimento. Per Biondillo.
AMA, spero solo che qualcuno mi abbatta prima che mi trasformi davvero nel Mollica di questi ultimi anni… ;-)
Veramente bravi, entrambi. Non me lo immaginavo così forte, Biondillo, adesso mi vedo anche le altre sue interviste.
vorrei solo fare una notazione sulla sintassi. ho notato che Vasta è ossesisonato dal doppio, ossia nella maggior parte dei suoi periodi utilizza sempre due aggettivi, due specificazioni, due predicati come se un solo termine non bastasse mai ad essere incisivo. in più mi chiedevo perchè proprio in prima persona ed al presente. questa scelta comporta una minore seduttività rispetto ad una terza persona. Al di là di questo, il romamzo mi è piaciuto molto.
certo che a prima vista è inquietante, messer Vasta.
E, a parte questo, è bravo, molto molto molto bravo.
Non sono d’accordo con Rachele: per come è impostato, il romanzo sarebbe stato molto più debole con una narrazione in terza persona.
Riguardo al “lavoro sulla lingua”, mi pare sia stato detto abbastanza…