Il tappeto di porpora
[Voglio farvi conoscere questo breve saggio, che mi ha sempre molto colpito, tratto dal volume Alla ricerca del senso perduto, di Anita Seppilli (Sellerio, Palermo 1986, pp. 108-110). Vedi in fondo per altre notizie sull’autrice. a.s.]
Gli han dato un letto di porpora e d’or,
e le catene son fatte di fior
[da qui]
Ed ora arriviamo ai nostri giorni. Con fatale frequenza, ad ogni arrivo di grandi personaggi del mondo politico in visita diplomatica dall’estero la televisione ce ne ammannisce la messa in scena. Come il famoso sketch di Charlot nel film Il grande Dittatore rappresentò l’arrivo di Hitler nel 1938 a Roma, 1 così anche oggi — non più alle antiquate stazioni ferroviarie, ma ai modernissimi aeroporti — assistiamo ai più o meno storici incontri: un lungo tappeto-corsia, simbolo di protocollo, attende e guida i passi. degli arrivanti.
Certo, fra aerei che volano a centinaia di chilometri all’ora, e tappeto disteso ad accogliere i Grandi della Terra per quei pochi metri, pare che due stili di vita, distanti di secoli, si incontrino per errore.
A che cosa risale lo spiegamento protocollare del tappeto-guida? Che cosa significa, o, meglio, significò? Evidentemente non ne siamo più coscienti; ma pure vi fu sottesa una funzione ben precisa: per un uomo carico di sacralità porre il piede direttamente sul suolo, istituire un contatto diretto con la terra, significava infrangere un tabu, e l’infrazione comportava conseguenze gravissime. In tale contesto il tappeto rappresentava il duplice segno: riconoscimento di sacralità per l’uomo, difesa dalla carica di sacralità per la terra, altrimenti venuta a contatto con quel piede. Tappeto, lettiga, trono: hanno e manifestano una funzione. Una funzione ancor riscontrabile in Africa, e riscontrata nell’America precolombiana al tempo della conquista. Esprimono un codice di valori, che accompagna il presentarsi di un uomo-dio, di un santone, di un re consacrato.
Ed è a questo precedente, implicito nei Vangeli, 2 che si ispirano gli affreschi medievali, fino a tutto il Trecento, che rappresentano l’ingresso di Gesù in Gerusalemme: fanciulli e uomini chini stendono i drappi a terra sotto le zampe dell’asino che porta Cristo a Gerusalemme; così per esempio in un dipinto di Duccio da Boninsegna, 3 in un affresco di un seguace di Pietro Lorenzetti in Assisi, in Francia nella chiesa di San Martin de Vic. 4 Nel ciclo degli affreschi di Giotto ad Assisi 5 vediamo «l’omaggio dell’uomo semplice» che si prosterna e stende un drappo davanti al piede di San Francesco, destinato alla canonizzazione, che sta per entrare nella chiesa di Santa Maria degli Angeli.
Ma torniamo ora ad Eschilo per apprendere che cosa significa il porre il piede su un tappeto di porpora, che cosa comporta per un uomo, un semplice uomo, la prevaricazione di ruoli: essa è un’offesa, una sfida alla divinità. Lo sa Agamennone, e lo sa pure Clitennestra, che ordisce il tranello. Ecco la scena: 6
Agamennone torna da Troia; Clitennestra, che convive con Egisto, lo apprende dalle sentinelle poste a guardia a spiare, e va incontro ad Agamennone mentre giunge davanti alla sua reggia:
Clitennestra: « Ed ora, testa cara / scendi da questo carro / senza poggiare sulla terra / o Signore, il tuo piede che ha distrutto Troia. / Schiave, perché tardate? voi a cui avevo affidato la cura / di stendere dei tappeti sul suolo che deve calpestare? / Sorga presto un sentiero di porpora / verso il soggiorno al di là di ogni speranza cui Giustizia lo guida» (vv. 905-911).
[…]
Agamennone: «Non contornarmi come fossi una donna, di un fasto di splendore, / non accogliermi al modo di un barbaro in ginocchio urlando, / non stendere in terra drappi / per farmi un sentiero che desta l’invidia; / sono gli dèi che vanno così onorati. / Io, mortale, né alcun altro, può camminare su queste meraviglie variopinte, senza timore. / Voglio essere onorato come un uomo, non come un dio. / Corsie e tappeti variopinti son cose fra loro diverse, / lo dice anche il nome: / è il più grande dono degli dei, non pensare cose ingiuste […]: ripeto, non potrei farlo senza apprensione. […] » (vv. 918-957).
Clitennestra: « Se avesse vinto, non pensi che Priamo l’avrebbe fatto? ».
Agamennone: « Credo che avrebbe camminato su drappi tessuti ».
Clitennestra: «Allora tu temi il biasimo degli uomini? ».
Agamennone: «Della voce del mio popolo grande è la potenza » (vv. 935-938).
Ma di fronte a Clitennestra che proditoriamente insiste, Agamennone capitolerà.
Agamennone: « E sia, se così pensi; orsù, qualcuno dei servi mi sleghi il sandalo / dal piede che lo calza / e che in tal momento / nessuno sguardo invidioso da lontano cada su di me » (vv. 944-947).
Clitennestra insiste ancora.
Agamennone: « Orsù, poiché mi son lasciato vincere dalle tue parole, / rientrerò nel mio palazzo camminando sulla porpora » [πορφύρας πατῶν] (vv. 956-957).
Agamennone è destinato a morire!
Tappeti, corsie, e proprio color « di porpora » si stendono ancora; e noi crediamo di vivere nell’oggi: ma l’oggi è nulla, o quasi, nulla di fronte alla potenza di un remotissimo passato, che ci attanaglia e domina i nostri pensieri, che coinvolge i nostri sentimenti, dei cui valori segnici abbiamo perduto la conoscenza: eppure sono in noi e sopra di noi, e sarebbe follia volercene liberare, ignorando che cosa gettiamo e senza aver altro di elaborato in grado di sostituirli. Che cosa mai saremmo senza questa immensa — anche se a volte inutile o dannosa — eredità? Un nulla, dinanzi a cui continuerebbe a scorrere l’universo privo di ogni significato: nella necessità di interpretare le ragioni, il linguaggio del passato, sta il valore di ogni ricerca a sfondo storico, e storico-antropologico.
[Anita Seppilli, nata nel 1902 a Rijeka (Fiume) da famiglia triestina, laureata a Firenze, ha vissuto per molti anni in Brasile. Grande figura di studiosa di antropologia, una volta trasferitasi in Italia, si è dedicata sistematicamente a questa disciplina, fino alla morte, avvenuta nel 1992. Personalmente ho molto amato i suoi libri, tra i quali. oltre a quello citato da cui è tratto lo scritto qui riportato, ricordo: Poesia e magia (Einaudi, Torino 1962), Sacralità dell’acqua e sacrilegio dei ponti (Sellerio, Palermo 1990), Il mistero della Tomba dei Tori dell’etrusca Tarquinia (Sellerio, Palermo 1990). a.s.]
- Il jus murmurandi, infrenablle anche allora, gioì nel narrare che lo sportello del vagone di Hitler non si fermò proprio in linea col tappeto; e nello stesso istante in cui gli addetti ai lavori si precipitarono a spostarlo, anche il macchinista rimise in moto il treno: e di nuovo tappeto e sportello non si incontrarono. La scena del Grande Dittatore è dunque «storica»!↩
- Marco, XI, 8: «E molti stendevano i loro mantelli sulla via». Luca, XIX. 36: «E mentre egli andava innanzi, la gente stendeva i mantelli sulla via». Matteo. XXI, 8: «E la maggior parte della folla stese i mantelli sulla via».↩
- Siena, Museo dell’Opera del Duomo.↩
- Muro occidentale interno del Coro, seconda metà del XII secolo.↩
- Assisi, Chiesa Superiore di San Francesco.↩
- Eschilo, Agamennone, vv. 903-911; 918-931; 935-938; 944-947; 956-957.↩
gran bel post.
Post ricco di spunti e riflessioni da accostare tra loro, come si fa appunto qui, per rivedere l’oggi.Grzie.f.
lessere a mezz’aria, distanti dalla comune terra…ma qui è il *porpora*, il sangue che abbaglia e nell’abbagliare rivela ciò che copre, come ogni senhal, un abbraccio Sparz..V.