Clan a Montesanto

agguato_04

di Maurizio Braucci

Petru Birladeandu, il suonatore ambulante rumeno, è stato commemorato giovedì scorso da un presidio di associazioni e collettivi che si è tenuto nello stesso quartiere Montesanto dove il 33enne è stato ucciso dai killer della camorra il 26 maggio. E’ morto con ancora addosso la sua fisarmonica, per alcune ore si è pensato che fosse lui l’obiettivo del raid, Petru invece era uno che si guadagnava da vivere suonando insieme alla moglie per i vicoli del centro di Napoli. Il rumeno è l’ennesima vittima innocente di una sparatoria di camorra, la cui dinamica, tuttavia, se ricostruita, racconta di una morte assai più che incidentale: col suo aspetto dimesso Petru potrebbe essere stato subito identificato dai killer, furiosamente impegnati in una rappresaglia in territorio nemico, come un morto che non si paga, un disgraziato su cui si può sparare per creare ancora più clamore. Quella sera infatti, 6 esponenti del clan Ricci-Sarno, tra cui alcuni a volto scoperto, a bordo di tre scooter hanno attraversato i Quartieri Spagnoli seminando il terrore e sparando presso alcune basi di spaccio per intimare loro di non osare cambiare fornitori di droga. Nell’ultima tappa, i killer hanno ucciso Petru e ferito un 14enne che cercava riparo dall’improvvisa pioggia di proiettili caduta su una piazza come sempre affollata di gente. L’azione si inserisce all’interno dello strisciante conflitto del clan Ricci contro i Mariano, e che vede i primi alleati con la potente famiglia Sarno che dalla periferia est di Ponticelli domina varie zone dell’hinterland napoletano, un conflitto, questo, destinato a non placarsi. I killer sono arrivati in piazza Montesanto, nel territorio di appartenenza dei loro avversari, sparando all’impazzata per ribadire che il quartiere deve ubbidire a loro e dando l’ennesimo avviso ai Mariano dopo la recente scarcerazione di uno dei loro leader storici, Marco Mariano, intorno al quale temono che il clan possa ritrovare il prestigio dei primi anni ‘90. Questo sebbene, un mese fa, “Marcuccio” abbia fatto pubblicare una forbita e sorprendente lettera sul quotidiano “Il Giornale di Napoli” in cui afferma che i Quartieri Spagnoli non gli interessano. La dinamica dell’azione del 26 maggio è stata da far west, dopo i primi colpi sparati in aria i killer si sono aggirati in moto tra la gente che fuggiva, urlando che stavano cercando i guappi del quartiere. “Quelli a volto scoperto avranno avuto al massimo 20 anni e si capiva da come erano esaltati che erano fatti di coca” racconta uno degli involontari testimoni “ Io credo che intendessero dare un avviso anche agli abitanti di Montesanto, soprattutto ai giovani, affinché non sostengano il clan locale, come se poi la camorra fosse un esercito di leva regolare”. Strategia della deterrenza, applicata ad un quartiere socialmente misto del centro, e che poteva facilmente diventare una strage. Petru Birladeandu ha avuto la sola colpa di non essersi accorto della sparatoria, ritrovandosi di fronte ai killer che quindi gli hanno sparato, forse allarmati dalla sua incauta traiettoria, forse perché “fare un morto”avrebbe dato più lustro alla loro operazione militare, ma questo non lo sapremo mai. Napoli trema ancora per la sua catastrofe più distruttiva, la camorra, proprio mentre molti lamentano che il fenomeno Gomorra abbia reso un’immagine distorta della città. Le forze dell’ordine hanno risposto a questa tragica sparatoria con una maxi retata di ben 64 esponenti del clan Sarno, nella notte successiva al 26 maggio, accelerando i risultati dell’inchiesta che viene dal primo pentito del clan, Nunzio Boccia. Ma gli scontri non si sono fermati, lunedì notte, ai Quartieri Spagnoli, un transessuale è stato ferito durante un’altra sparatoria tra camorristi. Oltre alla contesa del territorio e al timore dei Ricci per una riorganizzazione dei Mariano, la guerra è dovuta anche al recente blitz contro il clan dei narcotrafficanti di Scampia, gli Amato-Pagato, che con la loro corsia preferenziale dal Sudamerica attraverso la Spagna rifornivano di droga la città e la provincia napoletana. Gli arresti dei narcos, infatti, stretti alleati dei Sarno, hanno infranto una condizione di monopolio e aperto altri scenari, scompigliando gli equilibri e le forniture delle piazze di spaccio. Tutto ciò avviene sull’inquietante sfondo che vede i boss, data la morsa della magistratura e l’inasprirsi delle pene, ricorrere ad una manovalanza sempre più giovane, ragazzi armati e mandati ad uccidere, desiderosi di fama e denaro, esaltati dalla coca e dalla fiducia dei loro capi. Giovani, corrotti dagli adulti, che sparano ad altri giovani rinforzando l’inevitabile binomio tra criminalità organizzata e disagio giovanile che solo le istituzioni ormai sembrano trascurare e contro cui la sola repressione è insufficiente. Forse, se non verranno arrestati, quei giovanissimi killer di Petru che hanno agito incautamente a volto scoperto, ormai troppo scomodi, moriranno per mano dei loro mandatari.
Intanto, la faida di Scampia del 2004-2005 ha creato un nuovo parametro di azione per la criminalità organizzata: attaccare il consenso territoriale degli avversari, distruggerne l’economia, esercitare una violenza che incuta terrore e impedisca il normale svolgimento di ogni attività quotidiana lì dove i nemici sono arroccati. Una logica da guerriglia di cui bisogna prendere atto, dove ormai le vittime innocenti possono fare gioco alle strategie militari dei clan che difendono i loro monopoli milionari di droga. Narcotraffico internazionale, strategie del terrore, sfruttamento della marginalità giovanile, sono queste tre chiavi di lettura del presente delle criminalità organizzate, l’altra faccia di quello sviluppo senza progresso, del neoliberismo selvaggio e di un’ignorata emergenza giovanile che caratterizzano i nostri tempi. Eppure, già il magistrato Alessandro Pennasilico, componente del pool anticamorra, aveva di recente lanciato un appello alle istituzioni affinché agiscano con delle politiche sociali ed economiche nei territori in mano alla camorra, riconoscendo che la sola azione giudiziaria non basta. L’omicidio dell’innocente Birladeandu, che deve far riflettere le nostre coscienze, non ha avuto nessuna eco sui media nazionali. Alla base di tanta indifferenza ci sarà il tentativo di proteggere l’immagine turistica della città, l’investimento politico del governo Berlusconi su una Napoli “riportata in occidente” oppure la nostra assuefazione all’orrore che ci circonda?

pubblicato su “Repubblica”, Napoli, 6.6.2009.

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10 Commenti

  1. Ottimo e agghiacciante.Mi ricorda un passaggio decisivo di Felipe Benitez Reyes(lo sposo del mondo)nel quale al protagonista Walter,che non è certo un santo(forse),viene commissionato l’omicidio di un mariachi.Dopo essere stato divorato dal dubbio relativo al fatto che l’azione che stava per compiere equivalesse a sparare un angelo crolla in un mare di lacrime lasciando andare il musicante e giocandosi la vita per essersi rifiutato di eseguire un ordine superiore.Certi scrupoli esistono solo sulla carta,purtroppo

  2. Morire di solitudine, eppure in mezzo a una folla in panico.
    Morire di solitudine, innocente, vittime di una guerra criminale.
    Essere solo con la ferita mortale. Quella fu l’ultima visione di Petru Bilardeandu? Il volto di un giovinissimo assassino? Il sorriso della sua moglie? La sua fisarmonica? Quello fu l’ultimo suono della sua vita? Gridi? aria di una canzone di infanzia, dall’altro paese?

    L’articolo fa venire un ultimo raggio per accarezzare una vittima di troppo. Denuncia lo stato delle cose (criminalità, indifferenza,) ma anche rende omaggio a un musicante, venuto dare a Napoli una parte della sua sensibilità, aggiungere un colore, una musica.

    Qualcuno camminando sentirà la mancanza della figura del musicante, qualcuno sentirà il silenzio strano, una musica e un sorriso scomparsi.
    Un po’ di umanità della città napoletana sporcata di sangue.

  3. “disagio giovanile che solo le istituzioni ormai sembrano trascurare e contro cui la sola repressione è insufficiente”…amara verità.
    Invece si perde tempo prezioso ad attaccare chi cerca di far affiorare il problema per come lo sa fare. Confido in Napolitano e chi si spende da anni, davvero, per la causa..

  4. Rendiamoci conto di una cosa.
    La morte di Annalisa Durante, com’era giusto, ha rappresentato per molti l’apice dell’orrore provocato dall’intrusione della camorra nelle nostre vite.
    Cortei, incontri, dibattiti, accorati appelli.
    Ebbene, niente di tutto questo è accaduto ed accadrà per Petru.
    Eppure Petru è stato ucciso nella stessa identica maniera di Annalisa. Se non peggio, cioe’ tra l’indifferenza agghiacciante dei passanti.

    Cosa ci spiega questo? Che forse non c’è più nulla da dire, non c’è più nemmeno il potere, per chi scrive, di rappresentare questo ulteriore scivolamento verso il basso, verso un orrore ancora più intollerabile…

  5. questa sera è passato in video la ripresa di questa barbarissima esecuzione
    il contrasto tra la luce della città e la penombra del lugo della morte con le persone che scivolano via silenziose mi ha spinto a chiudere gli occhi
    ciao petru
    e scusa
    c.

  6. Ci hanno lavorato per decenni con l’arma dell’idiozia televisiva a creare una popolazione cretina, cattiva, egoista, meschina, spaventata, senz’anima, senza morale, senza autenticità. Ci sono riusciti. I conti tornano, agghiaccianti. (Parlo delle riprese di quel poveraccio che mentre moriva tutti si scansavano). Poco da dire. Plebe adatta ai padroni che si tiene, padroni adatti alla plebe che li vuole.

  7. questa notizia e del 26 maggio, capite, e questa la cosa grave, nessuno fino a ieri ne parlava, eppure come e scadalosa oggi lo era penso anche il mese scorso? o no?!? ma solo dopo che il video ippazza su You tube, solo quando fa hodiens, solo allora ne vale la pena parlarne, perchè altrimenti chi se ne frega, è un problema loro, e solo uno dei tanti, passa pure la notizia che era anche innocente, mamma mia che strano un rumeno innocente, generalmente vengono descritti come feccia come rifiuti della nostra soceta, ma stovolta no, dicono ucciso per errore, nell’idifferenza della gente, che non ne voleva proprio sapere di aiutare quell’uomo e sua moglie, oggi tutti indignati. ma scusate e le televisioni e i giornali di quella di indifferernza, non la notata nessuno??? questo e triste, troppo triste…

  8. Io veramente l’ho visto ieri al telegiornale. Ovvio che questo non cambia di una virgola la questione, ma tanto per essere precisi.

  9. my namme mio is Trocu)

    me hanno sparatu
    tre colpe d’e pistula
    e accussì,
    confuso,
    ancora co la musica
    nelle dita
    d’e canzune
    ‘talieneapolitane
    dinto li recchie,
    circavo cu ll’uocchie di scapparu
    cu la fisarmonica
    d’e mea musica tzitana,

    (my namme mio is Trocu)

    due guaglioni cu la maglie
    de la squadre de pallone
    d’o Napoles
    me hanno ‘nfelato,
    currennemo addereto,

    e,
    sparanno
    acca e a llà

    ca me venuta lo fiato gruosso,

    è trasuta
    na cortella
    sopra
    lo fianco
    dentro dentro
    arriavando
    comme viento frisco
    diritto ne’ lo core

    ca meco stavo
    svermenato di paura

    (my namme mio is Trocu)

    e,
    lo core mio,
    criaturo e guaglione,
    come un orologio
    s’è fermato,

    comme nu giocattolo
    s’è scamazzato

    comme ‘na machina
    fusa
    s’è squagliata
    comme la pece

    ca de lo sangue mio
    sentivo ll’addore,
    e, isso,

    guappo, strunzo e assassino

    traseva dinto ‘o naso

    il sangue
    surgeva
    sbucava
    russo russo
    ‘a ‘na strada
    ‘nu viculu
    ‘nu funnacu
    ‘na chiazza

    e lu corpo mio
    ca nun me rispunneva

    si è fatto bianco janco
    e, attuorno attuorno jancu biancu

    le voci de lo popolo
    luntane luntane

    (my namme mio is Trocu)

    li mamme ‘e Montesanto aggradavano
    cu li facce janche: – Lu figlio mio carnale –
    Li pparole migranti d’emigranti azzannanti.

    ninte cchiù, nianco ‘na nticchia,
    nimmanco e nippure

    e cchiù cchiù
    – ‘o criaturo s’è magnato tutt’o pappone –
    nulla di più
    a-blì-blò-o la-lince-la-lance
    tanti sciori ci stanno ‘n Francia

    terra in dove fui sgravato

    ma di sangue
    luntano sono
    de lo mi sangue

    nasciuti

    luntana è la terra mia
    de lo mi sangue,

    e,
    comme diceno ccà,

    ‘nzieme a mme
    è muorto lo mio sciato,

    no cchiù,
    mai cchiù arrisciatato.

    ‘na lacrima di sangue
    ca io stevo di casa
    a vico Lepre Ventaglieri
    nummero…e pagavo
    pe’ nu vascio
    di una sola stanza
    quattrociento
    si quattrociento euro
    a lu mese

    e,
    sunanno pe li strade
    chin’e munnezza
    e pagando
    li quattucientos turnese

    io pure,

    zingaro di merda,

    nu poco ‘e bbene
    l’aggio dato.

    pavato.

    (my namme mio is Trocu).
    Quattucient’anni songo passati
    Ca aggio malepatuto ‘a morte.

    PS: questo “pezzo” è stato postato,
    sempre in Nazione indiana, qualche
    giorno dopo “l’agguato” mortale
    del 26 maggio scorso.
    C’è gente che discute ancora se
    Gomorra è un libro che offende la
    città. E se sia stato scritto bene
    e se le virgole sono state messe
    secondo le rgole della sintassi
    e la grammatica della lingia italiana.
    Bella la bella scrittura. Conforta.
    Come confortano le carte dei burocrati
    e poi semmai palazzi, ospedali e tribunali
    crollano cu nu sciuscio ‘e viento.
    Ma chillu guaglione è muorto.
    E se sape che ce stanne muorte
    importante pecchè in vita erano
    ggente importante. Po’ ce stanne
    muorte ‘e mmerda. Eppure ‘na vota
    si diceva ca si ive a Milano e a Torino
    e mò pure a Bologna si pe’ caso na
    persona va ‘nterra nisciuno se ne fotte.
    Si invece ‘na perzona careva nterra dinto
    ‘e viche ‘e sta città, pure nu viecchio
    ‘e uttantanne cecate e cu ‘o bbastone,
    curreva e ll’aiutava. Coppole ‘e cazze.
    Pure ll’empatia d’a sofferenza e d’a morte
    l’hanno rutto ‘e ccosce: ‘a solidarietà
    ta mietto ‘nculo. I luoghi comuni.
    ‘A ggente d’o nord e chella d’o Sudd.

    PS: Giusto quel che evidenzia Clara.
    Siamo immersi nel brodo di coltura
    della munnezza. Non solo quella che
    tutti additano nella criminalità. Il punto
    è: Perchè attorno si tace. Non è solo
    una questione delle istituzioni, ma chi
    nelle istituzioni, e parlo anche dei
    sindacati maggiormente rappresentativi,
    è mafia, camorra, ‘ndrangheta, corona unita
    eccetera, si comporta “come se” difendese
    piccoli orticelli di gestione clienteklare e qundi
    criminale.

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Helena Janeczek è nata na Monaco di Baviera in una famiglia ebreo-polacca, vive in Italia da trentacinque anni. Dopo aver esordito con un libro di poesie edito da Suhrkamp, ha scelto l’italiano come lingua letteraria per opere di narrativa che spesso indagano il rapporto con la memoria storica del secolo passato. È autrice di Lezioni di tenebra (Mondadori, 1997, Guanda, 2011), Cibo (Mondadori, 2002), Le rondini di Montecassino (Guanda, 2010), che hanno vinto numerosi premi come il Premio Bagutta Opera Prima e il Premio Napoli. Co-organizza il festival letterario “SI-Scrittrici Insieme” a Somma Lombardo (VA). Il suo ultimo romanzo, La ragazza con la Leica (2017, Guanda) è stato finalista al Premio Campiello e ha vinto il Premio Bagutta e il Premio Strega 2018. Sin dalla nascita del blog, fa parte di Nazione Indiana.
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