Narra in quanto non può spiegare
Di lui si potrebbe dire quello che di Federigo Tozzi scriveva Giacomo Debenedetti: «Narra in quanto non può spiegare». E certo questa poetica in negativo è già all’origine degli equivoci. La dichiarazione per il mistero e l’oltranza di ogni realtà che la scrittura non può mettere in fila ma che deve comunque inseguire. Immaginazione dinamica dei misteriosi atti nostri, la sola estetica che lo può riguardare.
Antonio Moresco raccoglie per Mondadori l’edizione integrale di Canti del caos (pp. 1072, 25 euro). E dopo quindici anni di lavoro -la prima sezione dell’opera era stata pubblicata da Feltrinelli nel 2001, la seconda da Rizzoli nel 2003- al termine della nuova, terza parte di questo romanzo mondo, smisurato e ambizioso, ci si accorge che un tentativo d’interpretazione ancora manca.
Motivazioni?
Forse per via dell’inimicizia perenne che oppone l’autore alla neoavanguardia, ai maggiori esponenti dell’organizzazione culturale. Contrasto che ha finito, malgré lui, per connotare e appiattire Moresco sul suo personaggio. Forse perché le polemiche sul suo conto hanno creato solo opposte fazioni interessate. Così accade che se su queste pagine Edoardo Camurri qualche tempo fa lo definiva “programmaticamente non divertente”, oggi idealmente gli risponde sull’Espresso Carla Benedetti che lo definisce autore di “qualcosa di mai udito prima”.
Eppure non serve fare di Moresco un’icona da canone antilight per eccellenza, come dipingerlo campione di un travaglismo letterario che non gli rende giustizia. Andiamo al centro.
Che libro è questa narrazione monstre? E perché, come in un’allucinazione collettiva, non si ha il coraggio di applicarle categorie letterarie?
Metanarrazione che prende forma sotto gli occhi di un lettore sgomento, la prima parte di Canti del caos scaturisce da uno scambio acceso tra il Gatto e il Matto, personaggi che ritornano da Gli esordi, il primo, monumentale romanzo dell’autore. Rispettivamente, qui, i due giocano la parte dell’editore e dello scrittore che attendono in fieri alla costruzione di quest’impresa narrativa che si avvia, oltre ogni ironia, alla fine dei tempi. I due moltiplicano il loro racconto. E danno vita a personaggi che, in gemmazione, si inseguono e si superano, rivendicano per se la prima persona. Impongono svolte alla trama e forzano i confini dell’architettura narrativa. L’ambientazione, all’inizio, è quella del porno estremo. Corpi in sofferenza, violati. L’uomo dalla paresi masturbatoria, la Musa, la Ragazza con l’assorbente, la Principessa, i Cellophanatori. Tutti enunciano la loro condizione di vita e l’interazione -dentro il romanzo- con gli altri personaggi dei Canti. Il ricorso alla paratassi è ossessivo e la deformazione del linguaggio produce deviazioni oniriche che però non celano nessun segreto, solo una tragica assenza di senso.
Nella seconda parte, invece, è l’entrata in scena di Dio e di papa Elvis II a dettare l’accelerazione narrativa. Lo sfondo parossistico è quello di un’era depauperata, il contesto imbelle del libero mercato, votato sempre all’autosuperamento. Il pianeta è in vendita, il mercato stesso è tutto in vendita. Un moto irrazionale è alle porte. Un nuovo, terribile annuncio incombe sui personaggi -cresciuti a dismisura nel numero- a segnare un prima e un dopo. L’Investitore ha i guanti e si aggira nottetempo per periferie desolate. La Musa cambia nome. Il Matto getta la penna e entra direttamente nel flusso narrativo.
Come in una liquidazione del mondo si liquefanno gli ordinamenti, le strutture, le identità personali, tutte le sostanzialità. E così si arriva all’ultima e terza parte che segna l’entrata in scena di ambientazioni dominate dalla genetica e dall’hacking digitale.
Ora ci sono ombre che si inseguono. Non ci sono più i corpi. Copertina, un altro dei personaggi, è dentro un motel che crede vuoto ma che al contrario e abitato da impalpabili presenze. C’è un disastro che incombe dietro al progresso illimitato delle intelligenze artificiali? Prima dell’ultima, definitiva implosione, questa è la scena della tecnica con tutte le sue implicite pulsioni autodistruttive.
Ora, che di fronte a un’opera del genere le reazioni si riducano all’esaltazione o alla riprovazione pare alquanto ingeneroso.
Moresco, anche se non viene riconosciuto come tale, è un autore allegorico e benjaminiano. Seguendo la definizione che di allegoria offre Franco Petroni in Le parole di traverso, il suo splendido saggio dedicato a ideologia e linguaggio nella narrativa d’avanguardia del primo novecento.
E’ uno scrittore capace di mettere in scena la realtà per frammenti, dismisure accettate e sofferte nel corpo esibito dei suoi personaggi, lontani dalla sicurezza e dalle retoriche che implicano invece gli archetipi junghiani o hillmaniani. Gli esseri inquietanti, dal respiro animale, che dominano le sue pagine sono solo immagini che si accostano ad altre immagini, che nel loro disperato mettersi in scena privo di senso acquistano ancora di senso. Tutto il resto è inutile. Assurdo pensare a rappresentazioni formali e ordinate di una realtà che solo quando è rivelata nei suoi aspetti di oltranza diventa pulsante.
C’è dell’altro, certo. Da Federigo Tozzi siamo partiti e con Federigo Tozzi ci piace concludere. Dalla storia di esclusione di uno dei più strepitosi letterati italiani proviamo a trarre qualche lezione. E chissà che l’irrudicibilità di Moresco al nostro tempo e alla critica non passi proprio da quella stessa affezione alla profondità (al “profondismo” dicevano i critici di Tozzi, irridendolo) che significa poi un atteggiamento fieramente antipositivista, una predisposizione alla messa in scena di quello che non cade sotto la lente del verosimile e del razionale, ma del mistero. Parola forse fastidiosa che non certo può essere usata -per Moresco- in un orizzonte salvifico. Che però spiega comunque la sua passione irredenta per l’alterità che gli balena di continuo. Seguendo quella poetica negativa che lo allontana dai ragionieri del consumo e del cristallo letterario, definitivamente.
Caro Guerriero, non mi piace la recensione che hai scritto, ma, se mi consenti, non voglio qui commentarla, magari posso farlo in seguito. Invece, mi sembra molto più interessante l’altra che riporti sul tuo sito, uscita insieme alla tua sul FOGLIO, di Camurri, se non erro. Un modo di scrivere, e recensire, cioè parlare di libri, di una superficialità da far spavento, e da far ritirare qualsiasi lettore di buon senso dalla lettura di qualsiasi libro. E’ uno sile che definirei televisivo, che non analizza l’opera in questione, ma ne prende quello che più gli fa comodo per inscenare una mediocre – molto mediocre – stroncatura con meschini effettucci (la noia, etc.). Credo che quello di Camurri non sia un modo di scrivere isolato, nel panoroma odierno della cosiddetta critica. Per questo lritengo la sua recensione molto più interessante della tua, che invece mantiene un legame col passato (e qui sta ancora un defetto, se vuoi), che però almeno rende visibile un pensiero, un ragionamento, uno sforoz – e non sol oeffetti speciali di mezza tacca. Un saluto. Fez.
Qualunque cosa scriviate, in positivo o in negativo, restano i libri, resta l’opera: e quella di Moresco parla da sola: dalle labbra del suo valore e della sua grandezza: dall’orizzonte di anticipazioni che dischiude ad ogni pagina.
camurri, per come ha scritto del libro, sarebbe da interdire, o da picchiare due ore al giorno per due mesi con un battipanni bagnato.
su questa rece ho scritto a jacopo sul suo blog, che sponsorizzo a gran voce.
ma questa storia dell’esclusione è stucchevole, e se non lo era all’inizio lo è diventata
Si puo’ solamente dire che è noia mortale.
[…] Approfondimento fonte: Narra in quanto non può spiegare – Nazione Indiana […]
Questa storia dell’esclusione, a dir la verità, è ridicola, perché da che mondo è mondo CHI scrive viene escluso, e non si capisce perché Moresco debba fare eccezione, o solo per questo diventare un caso letterario. E’ vero che restano i libri, ma quelli, per dire se restano, non possiamo dirlo certo oggi. Quindi, per adesso, diciamo che resta la ridicolaggine di questa lamentela dell’esclusione, sulla quale non c’è dubbio che gran parte del Moresco sia stata costruita.
In realtà sa un po’ di mito romantico proprio la storia per cui CHI scrive viene sempre escluso, così come dice Fez.
Il punto di cui cercavo di dire è un altro. In Italia esistono molti scrittori (valenti!) che sono rimasti lontani dal canone. I motivi sono diversi.
Qualche esempio?
I vociani (tra gli altri Slataper, Boine) che, nonostante si fossero rivelati sperimentali, sono stati tenuti in sospetto scambio con poetiche trascorse dagli esponenti della neoavanguardia che li hanno depauperati nella ricezione critica. Neoavanguardisti che, per un altro verso, hanno anche ridotto a bella posta l’importanza di Tozzi.
Annullando il valore dell’ideologia nel suo lavoro letterario.
Nutrendo antipatia per il suo orgoglioso antipositivismo.
Misconoscendone il ruolo chiave per avvicinare la contemporaneità.
Più concretamente venendo a noi, infine:
mi sembra incredibile la somiglianza che avvicina la vicenda di Antonio a quella di Tozzi.
E, nonostante gli anni siano trascorsi, le cose, evidentemente, non sono cambiate. Può non essere sbagliato volere capire il perché.
Poi, certo, sono molto d’accordo con chi dice che i libri resteranno..
“da che mondo è mondo CHI scrive viene escluso” ??? escluso da che? dai blog letterari? dalle case editrici importanti? dalle trasmissioni radio e tv? dagli incontri e festival letterari? non mi paiono questi i casi in cui è incorso il Moresco (su cui o contro cui non ho nulla)
oppure; dal parlamento? dalla dirigenza di una banca? dal consiglio di amministrazione di una multinazionale? in questi casi può darsi, non so
Da qualche anno il mio padrepadrone legge tutte le mattine, tra le dieci e le dieci e un quarto(è metodico e sempre gravato da impegni) qualche paginetta de I Canti del Caos:i finesettimana li trascorriamo tutti insieme al mare (sia d’estate che d’inverno) a fare gli esercizi spirituali (dice lui,il mio padrepadrone).Ma io,in cuor mio spero che la casa editrice che ora ha pubblicato in versione corretta e ampliata i Canti,fallisca e che il mio padrepadrone (anela la quarta la quinta la sesta parte)muoia.Ma io sono ingenua e il mio padrepadrone è analfabeta.
Tozzi sarà anche fuori dal canone della neoavanguardia, (ma non è un po’ esagerato parlare di canone a ogni pie’ sospinto? andando avanti di questo passo bisognerà prima o poi stilare un canone dei canoni) ma il suo valore è riconosciuto.
Non vedo però il nesso con Moresco, in che cosa le due “vicende” sarebbero simili?
E allora la Prato? nessuno l’ha mai presa in considerazione, che io sappia. C’è qualcuno che l’ha letta, qui? Probabilmente perché è impossibile inserire la Prato in qualsiasi disegno di politica critica e culturale, che giustamente non ha mai coperto tutto perché non è nei suoi obiettivi.
C’è qualcosa di concentrazionario, se permettete, in questo bisogno di incasellare, mica si può fare con tutti e tutto, qualche margine di eccentricità grazie a dio c’è ancora.
Non mi sembra che Moresco “goda” di particolari esclusioni, né mi pare opportuno sentenziare che chi scrive è escluso. Al limite, chi scrive esclude, se proprio vogliamo restare sul pezzo.
Non ho letto I CANTI DEL CAOS, ho letto LETTERE A NESSUNO (e non mi è sembrato granchè); dunque su Moresco non posso pronunciarmi in modo attendibile. Quanto alla recensione di Guerriero, non l’ho ben capita; non ho capito da che parte sta e ciò non credo sia un buon segno per un pezzo critico. Io, che detesto gli schieramenti a prescindere, credo che un pezzo critico debba avere il coraggio, l’onere e l’onore di prendere una posizione il più possibile chiara, anche dinanzi all’opera più oscura. Altrimenti, dopo I CANTI DEL CAOS avremo anche LA CRITICA DEL CAOS. Se pure questo romanzo è incatalogabile ( e ripeto che non l’ho letto e non posso giudicarlo), il critico deve sforzarsi di gettarvi sopra luce, buona o cattiva ma comunque ermeneutica, comunque ostetrica, non un fumo un po’ vago, che lungi dall’incuriosire sottrae vigore all’interesse ancora vergine di chi nella critica s’imbatte.
Il libro è strepitoso, Moresco anche: ma a questo punto non è forse un bene, un dono di Dio, che la critica non trovi materiale o voglia per esercitarsi su Canti del Caos con le sue pippe? Ricordate il proverbio: “Non svegliare il can che dorme”… Perché invocare una roba vecchia dentro che una volta tanto non c’è? Perché, dato che se una ciofeca ha successo si dice “l’hanno decretato i lettori” e acquisisce una sua importanza, non si può lasciare a Canti del Caos la possibilità di diventare importante perché piace ai lettori ed è bellissimo?
@lamberti bocconi
E’ vero ciò che dici. Io ribadisco soltanto che il pezzo di Guerriero mi sembra un po’ fine a se stesso: non fa danni, ma nemmeno illumina. Poi, di schemi e gabbie canoniche non se ne può più. Può darsi, inoltre, che I CANTI DEL CAOS siano davvero al di là della portata di qualsiasi critico attuale, e persino di qualsiasi critico a venire: in ogni caso mi aspetto da un critico che vi si cimenta una fotografia un po’ meno sfocata, un po’ più coraggiosa. Per capirci, ed estremizzando un po’: preferisco una recensione che mi fa comprare un libro brutto a una che non mi sposta d’una virgola da come stavo prima di leggerla.
@alcor
Ti stanno sullo stomaco i canoni, ma hai reagito con sdegno o con fastidio ogniqualvolta ho citato nei miei interventi autori “canonici” (vedi Kafka, Conrad, Cèline, Bernhard, Dostoevskij ecc), adducendo da parte tua una supposta irraggiungibilità dei medesimi, uno status acquisito e mai più passibile d’essere messo in discussione (il tuo atteggiamento, nel difendere certi scrittori attuali, è stato: vabbé, se ci mettiamo di mezzo Kafka allora andiamocene tutti a casa, oppure: e tu, Diamante, che parli tanto, sei minimamente paragonabile ai grandi che citi? ecc) Non è, quel che tu fai, un sottile, inflessibile canonizzare? E non è giusto, IN LINEA DI PRINCIPIO, pretendere da qualunque scrittore una grandezza abbagliante? Non si rischia di creare un canone alla rovescia smettendo d’aspettarsi il meglio, prendendo per pazzo o esaltato chi adotta certi riferimenti, accontentandosi insomma?
ps: leggo di continuo e di tutto, sono di stomaco forte, affatto schizzinoso; sto parlando PER MASSIMI SISTEMI, o se vogliamo per ASSUNTI DI BASE.
La mia non è una recensione.
Se mi toccasse definire il pezzo direi: una riflessione (sintetica, all’indomani di un’opera importante) sui motivi per cui un autore preciso -Moresco- tende ad essere allontanato artificiosamente dal canone della narrativa novecentesca.
E’, questa, una storia con cui bisogna fare i conti per forza quando si affronta la sua opera.
E il canone, per inciso, è uno e uno solo: la linea Svevo-Pirandello (nella definizione di Barilli).
Della grandezza di Moresco io sono convinto.
Per usare un eufemismo:)
Ma non avrebbe avuto alcun senso, nella mia ottica, lanciarmi in apprezzamenti accorati.
Al contrario mi preme spiegare il perché (il parallelo con Tozzi è in questo senso) della sua esclusione.
I quindici e più anni di attesa cui è stato sottoposto prima della pubblicazione non hanno a che fare con la sua presa di posizione polemica nei confronti dell’establishment, dell’organizzazione culturale.
Ma è una questione di poetica, come invece non hanno spiegato i suoi critici/fans.
Più precisamente: di adesione a quella teoria..”dei misteriosi atti nostri” che in Italia è, inspiegabilmente, marginalizzata.
Non sposta niente prendere in giro Moresco.
Ma non sposta niente neanche acclamarlo e farne un feticcio polemico.
Insomma… ogni tanto, qualche puntualizzazione ci vuole:)
@diamante
ma non mi avevi detto che non volevi più parlarmi e meno ancora che io ti parlassi ?
cmq, solo perché interpellata, niente mi sta sullo stomaco (che orribile espressione, oppressiva), a parte i legnaioli, sai, quelli che digrezzano il legno e i ragionamenti a colpi d’ascia, il tuo stile di commentatore è ai miei occhi quello del legnaiolo, a quello ho reagito con fastidio, perciò forse potremmo restare al tuo antico proclama di inimicizia, mi pareva più sano, tu non hai niente da dire a me e io niente da dire a te.
che strano, io nel diamante non vedo colpi d’ascia.
casomai fine cesello, libero pensiero…
@guerriero
il canone del novecento è ancora mobile, Moresco scrive oggi, io il canone nel suo caso lo lascerei perdere
@stalker
non voglio convincere nessuno, W la libertà di pensiero
@alcor
Credevo che scambiarsi opinioni anche accese, e persino ringhiarsi, non equivalesse a una preclusione del dialogo (sai, le cose si dicono sul momento, ma poi si fa eccezione; chi non fa mai eccezione mi sa un po’ di nazista). Ma se è questo che vuoi, così sia. Ancora una volta non fai onore alla tua intelligenza e alla tua civiltà – che pure da qualche parte dovrebbero dimorare.
@stalker
Grazie. Io ci provo a esporre libero pensiero, anche quando è scomodo e viene scambiato per fare legna.
@Guerriero
Capisco il tuo punto di vista, e capisco anche la difficoltà critica con Moresco. Due cose però: dici che il canone è uno e uno solo: quale autorità te lo fa affermare in modo così perentorio? E quale sarebbe questo canone, nome per nome? Ancora: dici che Moresco è stato marginalizzato per una questione di poetica, ovvero? Non è stato capito artisticamente, oppure artisticamente dava fastidio? E se sì, perchè? Domande poste, sia chiaro, senza intenzioni polemiche bensì per pura curiosità.
@diamante
Naturalmente non sono io a stabilire il canone.
Mi riferivo, appunto, alla linea Svevo-Pirandello individuata e approfondita da Barilli e altri in diversi saggi.
Sono loro ad essere molto puntigliosi su chi inserire e chi no.
Non io.
Tornando a Moresco: certo, il fastidio che egli ingenera è tutto artistico.
Poetico. Sono molto felice che passi questa cosa..
Tutti (i fans e detrattori) gli hanno sempre appiccicato la qualifica di escluso in nome della polemica che lui ha sviluppato -v. Lettere a nessuno- nei confronti dell’organizzazione culturale.
Ma quello è uno schermo di facciata (non certo messo in piedi da Antonio che, anche in quel libro, è chiarissimo).
E’ lo scrivere allegorico, è la poetica “dei misteriosi atti nostri” che nel nostro paese passa come irricevibile. Per questo, sia sul quotidiano che sul mio blog (www.cantorecieco.blogspot.com), avevo intitolato il mio articolo “Perché la neoavanguardia non sopporta lo scrittore Antonio Moresco”.
Quello mi pareva il punto..
“Canti del Caos” è un libro sopravvalutato, pompato come capolavoro da una rete di ammiratori letteralmente invasati dalla figura di Moresco.
Tale santificazione in vita non è del resto comprensibile.
La scrittura di Moresco è piatta, costruita su facili giochi a effetto, priva di alcun tipo di spessore stilistico. La narrazione inoltre procede fastidiosamente a rilento, dal momento che l’autore altro non fa che reiterare all’infinito delle clausole, degli aggettivi, delle immagini: sempre, invariabilmente, identiche.
Per quanto riguarda la “struttura”, infine, il giochetto riesce ancor più facile: la metafigura di “sfondamento/apertura/taglio” giustifica la totale mancanza di conduzione della materia, lasciata libera di duplicarsi allo sbaraglio.
In sostanza, Moresco sarà anche apocalittico, ma è e rimane scrittore modesto.
che dire allora di busacchi?
come fu possibile che per così tanto tempo fossero ignorate pagine come le sue?
certo, non facili, ma dalla qualità indiscutibile: tuttavia nessuno, ma proprio nessuno fino a molto dopo la sua morte ebbe il coraggio, l’onestà intellettuale di dare alle stampe – nemmeno in edizione integrale, che rsta inedita per la pavidità dell’editore, comprensibilmente restio a pubblicare quaei quattro volumi di puro illuminante delirio.
di aneddoti se ne raccontano, eccome: busacchi fu contabile dell’azienda tramviaria di milano fino alla morte improvvisa, nel ’53. si dice fosse scrupolosissimo, che la sua giornata fosse scandita con precisione maniacale: dalle due e mezza del pomeriggio, quando usciva dal lavoro, alle quattro meno dieci, schacciava un sonnellino vestito, con un foglio di giornale sotto le scarpe e bassani che una volta andò a trovarlo proprio a quell’ora notò che era in giacca e cravatta, con i pantaloni prefettamente stirati.
lo stesso Bassani, che non ebbe poi il coraggio di battersi per dare alle stampe almeno il primo volume de Il fallimento dell’encausto.
anni dopo disse perfidamente a chi gli chiedeva di busacchi, morto da tempo e ancora inedito: busacchi chi?
Due cose – credo- terra terra e un saluto a Jacopo.
Per quel che ne so io, se uno scrive e ha una sua idea precisa del perché e per come, non è affatto normale che per quindici anni incassi rifiuti a destra e manca, con delle motivazioni del tipo “riconosciamo che lei è uno scrittore, ma quel che scrive, ahinoi, è impossibile”. In genere, se è possibile riconoscere nel dattiloscritto di tizio la mano di uno scrittore, si trova pure qualcuno che lo prende sotto le sue ali. Poi è ovvio che quello di Moresco non è e non sarà un caso unico e che sempre ci saranno pure degli scrittori che fanno fatica ad essere pubblicati e/o riconosciuti. E certo che non serve ergerlo a figura emblematica dello scrittore puro e solitario per avvicinarsi al problema più interessante che non è radicata nella vicenda personale di Moresco (e non è neppure quel che da valore a “Lettere a Nessuno”).
Il problema di Moresco sta nei libri di Moresco. Nella poetica che essi realizzano (in modo, tra l’altro, incredibilemente diverso da libro in libro) che non somiglia a nessuna delle modalità dominanti nella letteratura italiana degli ultimi decenni. Il problema è che i libri di Moresco sono andati in mano a persona anche stimabili che se li sono letti dicendo “che roba è questa qui?. Che hanno avuto delle reazione che oscillano fra la chiusura e ostilità di chi non vuole concepire la letteratura in modo diverso da quello che intende lui o di un meno virulento “non lo capisco” o “non fa per me”. E, dico per non essere fraintesa, a molti di questi non si può rimproverare di essere stati ottusi ecc. Pontiggia per esempio: come faceva entrare in sintonia con Moresco? O Fofi.
Ora io credo di poter continuare a nutrire stima nei confronti di questi intellettuali ed essere convinta che Moresco sia un autore importante.
@helena
…come sempre sono d’accordo con te:)
Non ho remore neppure “sul continuare a nutrire stima” nei confronti di quei critici o di quegli scrittori verso i quali, in termini di poetica, è opportuno rimarcare distanza. L’importante, ripeto ancora, è capire su che terreno impostare lo scontro.
Operazione non sempre così automatica..
Ti abbraccio, bello ritrovarti!
Miiihhhhhhhhhh il mio commento contiene un numero di refusi simili alle percentuali della Lega:-)))
@jacopo
Tutto chiaro, adesso, grazie. Harold Bloom, come saprai, si è lanciato persino in un Canone occidentale, scegliendo 26 autori “principali”. Trovo queste operazioni al limite fra l’utile e l’inutile, dunque in sostanza estremamente fragili e estremamente potenti.
@pecoraro
Nemmeno il tempo (non dirò i critici o i lettori) s’incarica alle volte di portare alla luce autori meritevoli, magari geniali. Perchè? Come accade ciò? Quali vie s’intrecciano al di sopra delle umane opere? Non credo vi sia una spiegazione scientifica; e io, che con la scienza non sono mai andato troppo d’accordo, per una volta forse la desidererei.
ps: penso al caso di Morselli: là non è mancato, a quanto pare, un certo suo masochismo, una sua ritrosia al limite con l’autolesionismo, un suo sabotarsi autoescludendosi sottilmente da ambienti che lo soffocavano. Insomma, homo faber fortunae suae?
@helena
Chiarissima. Si vede che conosci bene Moresco (io no, invece), e che lo ami.
Amare è una parola grossa, diamante. Diciamo che come scrittore lo stimo e lo ritengo importante (poi non tutte le sua cose mi convincono in egual misura, ma questo non cambia l’idea di base). E come persona gli voglio bene. Cosa che non dovrebbe c’entrare col giudizio letterario, per il quale potrei anche non conoscerlo o sapere che è uno stronzo. Ma quando hai del affetto per qualcuno di cui molti pensano che ci marcia a fare il genio incompreso e invece tu sai che è davvero stata dura per lui continuare per la sua strada, ti viene in qualche modo da dire anche questo.
La volgarità umana e intellettuale del commento di Edoardo Camurri si elimina da sé, ma che cos’è questa cosa di Tozzi, che bisogno c’è di una sponda così. Sembra un tic accademico, caro Guerriero, o un pour parler dopolavoristico.
Narra in quanto non può spiegare non è allla base di ogni narrazione?
Se si intende scrivere sui Canti si vuol cominciare finalmente a dire qualcosa?
@ francesco pecoraro,
molti anni fa feci una ricerca sul Busacchi per una rivista letteraria che nel frattempo chiuse i battenti travolta dai debiti col tipografo e non riuscì a pubblicare il mio articolo. I dati in mio possesso però mi portano a spostare in avanti di 20 minuti il termine del sonnellino che il contabile e scrittore di genio Busacchi schiacciava vestito di tutto punto con la regolarità di un cronometro svizzero dalle 14:30 alle 16:10, talvolta spingendosi a sonnecchiare fino alle 16:20 se la notte precedente ci aveva dato dentro più del solito sulle sudate carte.
Un altro aneddoto celebre che su di lui si racconta si riferisce al fatto che tutte le domeniche mattina alle 11 esatte, proprio quando i suoi concittadini azzimati a festa sciamavano dalle loro case per recarsi a messa, il Busacchi agguantava carta e penna e scriveva lettere fieramente anticlericali ai pochi conoscenti (ché amici veri e propri il Busacchi non aveva), firmandole con pseudonimi. Quello da lui preferito era tashtego.
Dio, in effetti il termine ‘esclusione’ (e tutto il giro metaforico, metapoetico, metascrittòrio, metacanonico che intorno gli giràndola) sembra un po’ eccessivo per Moresco: che pubblicano Mondadori, Einaudi, Rizzoli, Feltrinelli ecc. Al limite, si dirà che per quindici anni è stato escluso: e quindici anni non sono mica molti; anzi, sono brevi come una pisciatina di farfalla, soprattutto se si chiamano in causa il canone, le linee dominanti, le ideologie critiche, le classificazioni, le assiologie, e financo il secol tutto.
A Jacopo direi: guardi che la Linea Svevo-Pirandello ha smesso di far legge dodici minuti dopo che la princeps del volume berillesco era uscito dai torchi. Anzi, anche prima. Guardi, se la neoavanguardia sopporta o meno qualche scrittore d’oggi, è cosa di minima rilevanza (che lo si prenda per un segno negativo dei tempi o come la liberazione da una tirannia culturale, ognuno giudichi da par suo). Forse ha un po’ ragione Diamante a suggerire di lasciar da parte la questione canonica: è presto per farne discorso quanto a tutto il Novecento: figuriamoci per un autore che per soli quindici anni ha dovuto subire dei rifiuti.
La sua recensione ha molti motivi d’interesse, ma anche un punto vacuo di tutto rilievo: questo amore per l’esser contro, che suona davvero ribellismo, protesta piccolo-borghese, vaniloquio un po’ impervio e conterto dell’anima bella. Dico in Moresco, eh! Non in lei: ma in lei vedo riflesso questo stessa ansia: ciò che fa sì se la prende con qualcosa (un Barilli, nel caso specifico) che occupa una posizione qualunque, non quella regale che lei gli attribuisce. Così gli scrittori se la prendono con i critici, i critici dei giornali con quelli di estrazione universitaria, quelli di estrazione universitaria con i loro colleghi paludati e filologisti: il tutto in una parata allegra, ma abbastanza frivola.
Ecco, questa frase di Mimmo mi sembra avere un suo perchè: “Se si intende scrivere sui Canti si vuol cominciare finalmente a dire qualcosa?”
Non mi riferisco a Jacopo. La mia sensazione generale è che questo libro di Moresco l’abbiano letto molte meno persone di quelle che ne parlano.
@mimmo
Lei ha senz’altro ragione, nella sua critica, quando sostiene che è improprio parlare di un autore appoggiandosi ad un altro.
Però no, non vale per tutti il “narra in quanto non può spiegare”.
Vale per Tozzi senz’altro, come spiegava Debenedetti e come poi ha illustrato Franco Petroni.
E vale, dal mio punto di vista, anche per Moresco. Non perché lo circondi una (risibile) aura mistica -quella è un regalo dei suoi detrattori pret a porter.
Ma perché anche la sua poetica è tutta in negativo (da qui, tra l’altro, la difficoltà a…dire qualcosa sui Canti-tra i pochi che ci hanno provato davvero, come ha intuito Diamante, segnalo il bellissimo pezzo apparso su TTL a firma di Dario Voltolini).
Il legame tra i due autori -Tozzi & Moresco- sta qui: nella predisposizione a trattare una materia letteraria che non cade sotto la lente del verosimile e del razionale. E che, per quanti sforzi faccia il critico, resta sempre molto, molto difficile da definire.
Mistero?
Oltranza?
Sono termini probabilmente fastidiosi per chi ha una formazione laica. Ma con cui bisogna fare i conti -resto convinto- nel momento in cui si va ai ferri corti non solo con Tozzi ma anche con Moresco..
*****
Sul canone:
certo, hanno ragione Diamante e Stracuzzi a dire che è prematuro parlarne.
Tuttavia, caro Riccardo, è così sicuro che la mediazione della neoavanguardia sia stata storicamente così irrilevante? Lo dico senza un briciolo di polemica e con lo spirito di quanto già scriveva helena: non rinuncio ad avere stima intellettuale di figure di riferimento (una per tutte: Angelo Guglielmi) nonostante io stia di casa da un’altra parte.
Però la realtà mi sembra differente.
E qui il discorso si apre, non si chiude. Moresco è solo un esempio. Gli esempi, come hanno riportato molti che qui sono intervenuti, si possono moltiplicare.
Per continuare in scia: nell’analisi della marginalizzazione (provo a non usare esclusione:)) di un’intera corrente -i vociani- mi sembra indubitabile il ruolo della neoavanguardia..
Detto questo, però: prendo molto sul serio la critica proposta. Che il ribellismo sia sciocco è senz’altro vero. E il rischio di caderci dentro è sempre in agguato.
Grazie
‘a verità è che moresco è uno de borgata, e camurri invece è un pariolino. daje jacopo, daje a tutti
Il problema è molto semplice, almeno dal mio punto di vista: Moresco è uno di quegli autori (pochissimi) che costringe, ogni volta, a ridefinire statuti e strumenti critici: a prospettare la possibilità/necessità che, forse, sarebbe/è il caso di crearne di nuovi. E questo, è assodato, la critica prêt-à-porter non può farlo: se gli togli i quattro schemini canonizzati (sic!) ampiamente introiettati, rimane il nulla: di pensiero, di lettura, di analisi. Sarebbe come pretendere il coito da un eunuco.
La storia dell’esclusione, poi, non c’entra una beata fava: è l’alibi rimestato fino alla nausea da chi non l’ha mai letto, da una parte, e da chi non osa denunciare la propria impotentia critica, dall’altra. Trattasi, molto spesso, della stessa miseranda categoria umana e intellettuale (sic!).
Dott. G. Baud
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Uso esterno
Avvertenze
Tenere fuori dalla portata dei bambini, non applicare durante la lettura,
evitare il contatto con gli occhi e con la mente.
Modalità di impiego
Applicare la Crema GIBAUD sulla parte interessata frizionando fino a completo ottundimento.
Tu non ne hai bisogno, sei già completamente cogliona di tuo…
Dottor G. Baud
Dottor GiBaud,
provi con la classica camomilla
Subcomandante Macondo,
provi a passare l’invito alla sua amica
@ Dottor GiBaud
“Donare”coglioni e coglione;quanta fiducia nella chirurgia plastica andrologica ricostruttiva e riparativa,quanta attenzione alle mutilazioni genitali femminili,quanta generosità(dimmi caro,è dolorosa l’evirazione?suppongo non sia da te qualsiasi forma di anestesia),quanto coraggio che co(r)leone,Dottor sei nè Super Balano nè Zefirino.
Ah, ho capito, eccheccàvolo, bastava dirlo subito: non era la crema che abbisognava, ma lo spalmatore…
Niente paura, la nuova confezione da domani sul mercato ha proprio lo spalmatore in-corporato: se l’essenza non serve, via il flacone e…
Credo, comunque, che prima di crema e spalmatore, ci sia bisogno di un corso accelerato di lessico, grammatica e sintassi. Eppeffòzza che poi annòi Moresco non ci piasce: scrive in itagliano…
Non capisco perchè su NI, quando il dibattito si fa interessante, arriva qualcuno a buttarla gratuitamente in gazzarra, o peggio. Ma perchè? Dico a Jacopo che il suo discorso si è man mano chiarito, e chiarito in bene; e a Baudo che sono d’accordo con lui quando afferma che, oggi, gran parte della critica italiana appare impotente; più impotente che supponente.
Sul narrare in quanto non si può spiegare: non credo valga per tutti gli autori (alla radice sì, ma qua cerchiamo di arrivare ai rami, o quanto meno alla luce del sole); molti autori narrano, semplicemente (ciò che non vuol dire affatto sminuirli). Vale per alcuni autori; mi vengono in mente, in ordine sparso e su due piedi, Bernhard, Kafka, Conrad, Gadda, Dostoevskij, certo Hemingway dei 49 racconti, Faulkner, Flannery O’Connor, David Foster Wallace, Beckett, anche Graham Greene a tratti. Su Tozzi ho qualche dubbio. Ecco subito un mio personalissimo mini-canone, dunque; ed eleggerei a opera eponima CUORE DI TENEBRA: uno scacco perfetto, un’impossibilità di dire quel che si vorrebbe e dovrebbe dire, un circonvallare il fatto all’infinito, pur in una narrazione relativamente breve. Conrad non avrebbe mai chiarito la tenebra, nemmeno in duemila pagine, nemmeno in duecentomila. Questo mi sembra un buon esempio di non saper spiegare, pur nell’utilizzo di uno stile perfetto, e quindi prescindendo dal fattore formale, che in Moresco mi sembra invece basilare. Ne deduco (non che qualcuno abbia affermato il contrario) che il non saper spiegare va ben oltre il fatto estetico: è un problema cognitivo, una forma del carattere e della conoscenza.
fuori da ogni canone, era un po’ che cercavo in mezzo al casino – chiamarla libreria sarebbe irrispettoso – CUORE DI TENEBRE, son passati forse dieci anni dall’ultima volta, l’ho finalmente ritrovato ieri e vado…
piccola sintonia col diamante armato d’accetta
per fortuna non ho bisogno di cinture e spalmatori parafarmaceutici per leggere e poi dormire e sognare e risvegliarmi
…nei tempi morti magari pensare, basta che non sia troppo impegnativo, non ne sono all’altezza.
Stalker,
se tu esprimi il tuo pensiero in un commento e io, putacaso, non sono d’accordo, l’ultima cosa che farei, ma proprio l’ultima, è quella di mettermi a fare dell’ironia becera su quello che dici, sull’effetto che mi fa. Se proprio ho qualcosa da obiettare, entro nel merito di quello che hai scritto e provo a sviluppare, se ci riesco, un pensiero, o un abbozzo di pensiero, diverso.
Nello specifico: se io dico che Moresco è un grande scrittore e che la critica (certa critica) non è in grado di capire ciò che scrive, per astio personale, in qualche caso, ma soprattutto perché non ne ha gli strumenti, mi aspetto, al massimo, che qualcuno mi dica, e mi spieghi magari, che mi sbaglio e che la mia affermazione è falsa.
Se ciò non avviene e, al contrario, qualcuno, tirandomi per i capelli, cerca anche di prendermi per il culo, ammetterai, lo spero, che io possa anche rispondere a tono.
Tutto questo sproloquio per dirti, molto semplicemente, che la tua difesa, nemmeno tanto velata, d’ufficio e “di genere”, è assolutamente fuori luogo, in questo caso. A meno che tu non creda che tra le donne non possano esserci delle coglione con la matricola. E’ vero, la sproporzione con l’analoga categoria maschile è ancora abissalmente marcata (a tutto “vantaggio” del maschile), ma anche tra le donne non si scherza.
Buona notte.
@ Diamante
Sulla deriva delle discussioni in rete, hai perfettamente ragione.
Per quanto riguarda Moresco, mi permetto di consigliarti una lettura “da palombaro” (do you remember?) dei “Canti del caos”. Se ho capito, stando almeno a quello che scrivi nei commenti, o a quello che posso intuire, qual è il tuo “bisogno”, sono certo che, in quella lettura, troverai parecchie centinaia di pagine “per i tuoi denti”.
Saluti.
Dott. G. Baud
E’ difficile che la critica possa risolvere Moresco, perche’ tale e’ la massa linguistica, emotiva e anche di pensiero che sta nelle pagine dei Canti, che servirebbe altrettanta massa per reggerne il peso. Non ho dubbi che esista qualcuno in Italia capace di tanto, il problema e’ che la densita’ nei Canti e’ tale, che i quindici anni impiegati a scrivere e informare (come dice M.) dovrebbero richiederne almeno altrettanti per provare a dissezionarlo con gli strumenti della critica. Non e’ un libro adatto ad articolini da stampa generalista e nemmeno a letture da rivista specializzata. Non e’ un libro sapienziale, come la Commedia o la Bibbia, ma nemmeno un romanzetto da NIE o da premio Strega nell’anno buono. E’ qualcosa che somiglia all’Odissea omerica, per stare nelle comparazioni fra densita’ di materia.
Allora, quando si dice che Moresco non fa canone perche’ sta nel presente, in realta’ si dovrebbe dire che non fa canone perche’ l’esplosione e’ troppo recente… quindici anni per scriverlo, 6 anni che e’ uscita la prima parte, 4 anni la seconda e solo qualche mese che e’ uscito il tomo rivisto e completo della terza parte.
Ma il problema principale di chi legge Moresco e’ che, senza la struttura ossea (di autostima, di centraggio nel mondo, di percezione della propria essenza umana e anche letteraria, se si hanno ambizioni del tipo), il macigno immediatamente ne nanifica il linguaggio e la grana emotiva, inglobandoli e rendendoli miserabili. Questo, in epoca presente di eghi ed eghetti molto attivi, quando ancora non si fa il bilancio che si fa sui morti, e’ il muro piu’ ottuso e respingente.
I Canti del Caos non hanno bisogno di profeti, ne’ di prefiche… basta un lettore coltivato e desideroso di esperire la grandezza di un classico in divenire. Ed e’ un piccolo miracolo che infine Mondadori abbia licenziato l’opera, cosi’ dandole visibilita’ contro il suo stesso tempo presente e contro la sua stessa essenza commerciale, visto che ho molti dubbi sul fatto che questo buco nero a massa infinita sia commestibile al mercato, non essendolo neppure ai suoi demiurghi professionali (critici compresi).
Non ho capito bene il punto. Lei afferma: ” Moresco, anche se non viene riconosciuto come tale, è un autore allegorico e benjaminiano”, ” E’ uno scrittore capace di mettere in scena la realtà per frammenti “. Salvo ammettere allo stesso tempo : ” l’irrudicibilità di Moresco al nostro tempo e alla critica ” . Lo trova geniale? Mi domando, ma in che senso ? Poi giustifica: ” Di lui si potrebbe dire quello che di Federigo Tozzi scriveva Giacomo Debenedetti: «Narra in quanto non può spiegare» “. Dunque ci prova lei : ” lontani dalla sicurezza “, ” immagini che si accostano ad altre immagini, che nel loro disperato mettersi in scena privo di senso acquistano ancora di senso”. Concludendo :” Assurdo pensare a rappresentazioni formali e ordinate di una realtà che solo quando è rivelata nei suoi aspetti di oltranza diventa pulsante “. Insomma, la poetica dell’ allegoria. E così salta presto alla conclusione : ” significa poi un atteggiamento fieramente antipositivista, una predisposizione alla messa in scena di quello che non cade sotto la lente del verosimile e del razionale, ma del mistero “. ” Parola forse fastidiosa ” . Fastidiosissima,lo ammetto. Ma non perchè non ci sia Mistero nelle opere e nelle cose ( l allegoria barocca era infatti misteriosa come l universo di giordano bruno, profonda, nera e molteplice; o come la malinconia dei pazzi ; esempi che in un periodo in cui si frequentavano più luminose allegorie, non facevano certo una bella fine ), ma non è quel mistero a cui vuole subito farci giungere lei. E neppure, credo, quella stessa allegoria di cui parla. Ci dice che : ” un tentativo d’interpretazione ancora manca “.
Che ” non si ha il coraggio di applicarle categorie letterarie” ; per farlo poi stranamente lei ; applicando una categoria critica non proprio innovativa, ma soprattutto tradendola perchè la svuota , la riduce a un puro significante a cui appiccicare il proprio significato ; un pò come racconta Barthes si fa coi miti oggi. Non si ha il coraggio di applicarle categorie letterarie? “; guarda caso ne ho trovato una…! : ” Forse per via dell’inimicizia perenne che oppone l’autore alla neoavanguardia, ai maggiori esponenti dell’organizzazione culturale ” . Mi suona un discorso già sentito, di recente e soprattutto in tv.
Dovrò leggere questi CANTI DEL CAOS, come mi suggerisce Baudo. Una considerazione però: se è vero che le grandi opere sovente trascendono la critica del proprio tempo, credo però che non debbano rendersi irreperibili, irraggiungibili al lettore (naturalmente parlo d’un buon lettore, non di una capra). Non c’è bisogno d’incasellare, ma di capire almeno qualcosa sì; non di schedare, ma di comunicare il nuovo, un nuovo che arricchisca e non getti ombra. Mi auguro che Moresco non abbia scritto insomma – e con tutto il rispetto per Joyce – una VEGLIA DI FINNEGAN.
Moresco si legge tranquillamente, Diamante, non preoccuparti. Non è mica Horcynus Orca (libro che io ho amato follemente, non ostante la fatica fisica che ho fatto leggendolo). Non è la sua lingua che lascia attoniti (è una lingua persino “di servizio” spesse volte) è la sua visione. Moresco è uno scrittore che vede oltre lo sbrego. Ovviamente non è mica detto che i suoi panorami possano interessarti, ma questo fa parte del gioco.
OT x il doctor
dottor gibaud, quella mia cazzatella non meritava tanto impegno e dispiego di forze nel rispondermi, la ringrazio, troppo onore, ma il tempo è prezioso, non lo sprechi con la sottoscritta, che cazzeggia ma non è capace di cattiverie in assenza di veri avversari all’orizzonte, conservi le munizioni per ben più importanti questioni ;-)
sul tema passo, lascio a voi dotti la lana caprina!
Uff, quanta lana, sempre troppa ce n’è!
Io sono Marco Palasciano e mi inchino dinanzi alla grandezza di Antonio Moresco. Mi pare che con questo ho detto tutto.
Vi lascia attoniti I Canti del Caos?
Non avete mai *visionato* un hentai!!