Ex vuoto: Franco Arminio # Pasquale Vitagliano
Franco Arminio
Non c’è via d’uscita
da nessuna parte.
il reale è un muro di cemento
l’irreale è un muro di piombo.
così è adesso
nella prigione del mondo.
Pasquale Vitagliano
Getto un cretto di bava
sulle faglie di un corpo di cava,
per coprire le murate glauche,
per seppellire i fondachi di seppia.
Non è una opera imperitura sul corpo,
non è lucore quello che si vede dall’alto,
se ci stai dentro, un dedalo appare, un greto
cieco che non saprà mai dirti perché il dolore.
Franco Arminio
al mio paese si parla male di tutti
ci sono poche vacche e il grano
è avvelenato dai concimi.
la piazza è in mano ai meschini
manca la gioia
la noia è tanta.
al mio paese si è vivi fino a sei anni
e dopo gli ottanta
Pasquale Vitagliano
Notte, è notte, è notte,
pietra contro pietra,
foglio su foglio,
mattone dopo mattone,
ho spolpato la mia colpa
di essere – come dici tu –
perfettamente senza costrutto;
un talento inutile
riverso sul letto come un addio scordato,
secreto da una sagoma di carta
che esecra un duttile congedo
che chiama morte la più infantile
posa della vita, siero di sangue,
succo d’anima e spiga di mistero.
Segreta è la lettura di questa vita apocrifa
che non tramanda la propria
verità palese, ma resta pensile
in una docile rete che pure
i denti non taglia.
Sa di fame il morso delle mie parole.
I commenti a questo post sono chiusi
effeffe: stupore e meraviglia!
mi pare proprio un colpo azzeccato, questo
*
solo a sentirli un poco
(per mia sfortuna)
questi suoni strani
tramati d’incanti
e di venti e di noia
di piazze, di greti e di corpi
che danno al reale un codice solo
: dolore e concime di gioia.
Mi sono davvero piaciute tutte.
Di Vitagliano ho apprezzato la forza dell’espressione, la potenza di ogni singola parola, nel suono e nell’immagine:
“Getto un cretto di bava
sulle faglie di un corpo di cava,
per coprire le murate glauche,
per seppellire i fondachi di seppia …”
ma quella che trovo oltremodo fotograficamente geniale è questa di Arminio:
“al mio paese si parla male di tutti
ci sono poche vacche e il grano
è avvelenato dai concimi.
la piazza è in mano ai meschini
manca la gioia
la noia è tanta.
al mio paese si è vivi fino a sei anni
e dopo gli ottanta”
grazie, alla poesia si dice “grazie”
Concordo con Natàlia. E al bicchiere mezzo vuoto associo più i versi di Arminio, per l’acutezza sconsolata dello sguardo; piuttosto che quelli di Pasquale, tesi a un effetto di eufonia ed evocatività
Saluto Effe, e gli autori.
Ecco un plastico esempio di buona parte della discussione fatta nel post precedente. Da una parte Arminio, scarno,semplie, essenziale, ma fulminante e forte nel “significato”; dall’altra Vitagliano, elegante, attento alla forma, al suono dei “significanti”. Il primo che ha “naturalmente ” incorporata la (esile) forma in corpo al testo, il secondo che lavora “ex post” di cesello. L’uno (arminio) pittore l’altro (vitagliano) scultore. In entrambi i casi ( e non mi sbaglio) parliamo di “poesia”: due modalità di fare poesia, entrembe “funzionanti”. Allora ( e rilanciando) “dov’è il trucco’?”
Il trucco penso che sia nella scelta di quelle parole e non di altre,nell’averle accostate in quel modo e non in un altro : frutto di sapiente labor limae o di un impulso,comunque penso che sia questo ,più che il trucco ,il segreto della poesia .
la rete è piena di poesie, ma il mondo è sempre più impoetico…..
bisogna fare quacosa di rivoluzionario, bisogna farlo subito….
Premesso che concordo con D’Angelo sul fatto che l’uno è pittore e l’altro scultore, stavolta mi schiero dalla parte di Arminio. Di Vitagliano mi sono piaciuti soltanto gli ultimi sei versi del secondo componimento, splendidamente, tristemente precipiti. Il resto è un eccesso di tecnica e di sfoggio, che soffoca l’idea iniziale sin quasi a seppellirla. La poesia è un equilibrio miracoloso fra ciò che si dice e come lo si dice; il “come” in Vitagliano uccide il “ciò”.
Arminio mi è piaciuto più d’altre volte; forse la sua dimensione ideale è questa via di mezzo fra intimismo e provincialismo (uso il termine senza nessuna sfumatura spregiativa o negativa), nella quale la sua célérité folgora, e “apre” senso inedito, benché quotidiano.
sono un paesologo caro diamante, non lo dimentichi.
le consiglio di leggere almeno uno de miei due libri di paesologia:
viaggio nel cratere, sironi
vento forte tra lacedonia e candela, laterza
l’uno pittore, l’altro scultore, d’accordo. A me non dispiacciono affatto le due opzioni… anche perché in entrambi i casi si tratta e si pratica un autentico artigianato della parola… Mi convince l’abilità tecnica di Vitagliano come in egual misura mi convince l’abilità nel simulare e dissimulare la tecne di Arminio. Molto bravi… spero di potervi apprezzare entrambi senza rischiare d’essere tacciato di qualunquismo critico. :-)
Post 1
Ringrazio FF per questo lusinghiero abbinamento. Ho apprezzato molto la Paesologia di Arminio,
per questo gli dedico questa poesia su Craco, paese lucano fantasma, abbandonato dopo il terremoto. Sarebbe trovarci là e conoscersi di persona magari per un reading “dislocato” sui terremoti delle cose e dell’anima.
Noumeno
(Requiem)
Chi mai vide la miseria?
L’occhio di Mozart
non vide
Craco,
invisibile piaga della terra.
Terra
desolata e abbandonata,
voragine
tra tufo e pietra,
ora sotto un lenzuolo,
ora bruciata e accecata.
L’anima è questo:
ciò che resta
Quando tutto è finito.
La voce
dopo il silenzio,
La parola
prima dello sguardo.
(Melodie-Western-Di-Morricone)
Craco,
sul tuo
terreno
piantiamo una bandiera,
Jolly Roger
della nostra
anima.
post 2
Grazie a tutti per i giudizi, anche quelli critici. In particolare, l’apprezzamento di soldato blu esalta la serenità di un suo giudizio critico su un mio racconto di molti post fa.
Adeguati i riferimenti alla pittura ed alla scrittura.
Ho scritto cretto di bava di getto, senza tecnicismi, ma pensando al cretto di Burri, alla sua pittura-scultura-paese. A Gibellina, al terromoto, ai terremoti. Per Diamante: non è sfoggio (ma mi va l’obiezione), è metafisica. La parola non riproduce il dolore. Lo trasfigura.
Grazie a FF per le sue scelte “risonanti”. A Gianni. Ad Arminio, felice di essergli stato accanto.
Pasquale Vitagliano
@vitagliano
Non metto in dubbio le tue intenzioni, nè i miei limiti d’interprete. Però gli ultimi sei versi del tuo secondo componimento mi sembrano sciogliersi, correre, addirittura galoppare rispetto ai precedenti, come se, liberi dall’incantesimo coatto della cifra stilistica, respirino in un nuovo e più puro cielo.
caro pasquale ovviamente conoscono craco, penso di tornarci presto, il prossimo libro paesologico, uscirà a fine 2010, parlerà molto della lucania.
@ Pasquale Vitagliano
ero appena arrivato in Nazione Indiana e non conoscevo nessuno.
Oggi non ricordavo niente, tanto che ho dovuto fare una ricerca, per leggere quello che avevi scritto e quello che avevo scritto io.
Sinceramente, oggi riscriverei la stessa cosa su ciò che avevi scritto tu, ma non so se ne sarei ancora capace.
Quanto ha ragione Arminio!
“dio non c’è quando siamo gentili
quando siamo pazienti
quando crediamo agli altri”
Pensavo di assistere a un remake di Clay VS Liston… invece…
ragazzi, scusate, ma io mi devo rifare
quando avevo la vostra età – più o meno – niente blog
così sono stato a menarmela da solo
il riferimento a Burri di Pasquale lo condanna a una dedica postuma di un inedito dell”87:
BREAKFEAST
a Pasquale Vitagliano
(sospeso)
tra fontana e burri
non trovo le parole
per sapere dove sono
un suono scordato
che scorda le parole
in burri pane
trova denti
per un fiorir d’aut
unno senza pace
che rimastica l’uso
della peste
fontana malato d’agonia
gola profonda taglia
: le parole
Caro Soldato,
la dedica non è una condanna, ma un piccolo onore.
Grazie.
La poesia è bella. La sento persino familiare per la scelta delle Parole.
Come la scrittura fa una breccia, una schiarata.
Il poeta, il paesologo si urta contro il muro di cemento,
la prigione, contro il peso del paese, il nodo, l’àfa.
Si soffoca come in una familia tragica.
La tragedia del paese trova la parte sacra della poesia,
antica, fatta della disperazione dell’uomo in un luogo,
con voglia di bellezza ( che mi sembra un filo tra il post di Davide Vargas e Andrea Bottalico): cercare la malinconia del littoral, l’ombra prima nella pineta, il flusso di luce che bagna il sud, come un veleno o la bevenda divina.
Continuando il discorso del topic precedente su Arminio, petrarchismo e bellettrismo: una definizione strutturalista di poesia non ha meno cittadinanza della parola terapeutica, come sgorga dal cuor, o di quella barocca. Ne’ il solo criterio di valore puo’ essere l’aderenza al moto empatico trasmesso in ritmo e respiro da un testo, come nella lirica.
In un momento storico in Occidente come questo, di pax ormai sessantennale e di dominio della tecnica scientista-capitalista, non governato dunque dall’emergenza che fa tanta poesia popolare del passato (quanto piuttosto dall’inedia della massificazione consumista), il lavoro freddo e programmatico sui linguaggi ha la sua dignita’, anche se giocoforza minore stampa, minore consenso e ancora minore pubblico.
un vero thread d’union
e mi piace
come disse il cepollaro ad una tavolata
ridondanza del bene
effeffe
E’ incredibile come, in questo come in qualsiasi altro caso si pubblichi un qualche verso, la poesia attiri poesia. Praticamente sempre, su qualsiasi blog vogliate fare esperimento, la pubblicazione di versi poetici “induce” quasi automaticamente i commentatori a citarne altri, spesso di propria composizione, o comunque a fare esegesi. Questa constatazione mi sembra faccia bene il paio con l’annoso dato di fatto sulla poeticità dell’italica razza: siamo un “popolo di poeti” più che altro – vista l’enorme produzione di libri-libroni-libretti in versi, il pullulare di premi di poesia, l’ingorgo di blog poetici ecc. – molto più poeti che prosatori (nel doppio significato di produttori e di lettori di prosa). Cosa vorrà dire questo?
mauro
p.s. tralascio, ovviamente, ogni considerazione sul “pregio”, il “valore” delle poesie che, così, piovono quotidianamente a gragnuole sui nostri occhi. Non tralascio invece di salutare Franco, che conosco, e Pasquale che (ancora…) non conosco, e le loro belle poesie!
Anche le osservazioni di Mauro Pianesi mi sembrano serene e lucide, e dunque da prendere in considerazione.
Pur condividendole, direi che questo oggi è il mondo nel quale viviamo. Sarebbe come continuare a prendersela con la Tv.
Per quanto mi riguarda, tengo a dire che la poesia più che scriverla, la vivo ogni istante. Come il giovane poeta di Rilke, ogni giorno mi domando: posso vivere senza? La risposta è sempre NO. Naturalmente, la poesia letta, viene prima, maternamente, di quella scritta.
Ad ogni modo, leggere e scrivere appartengono alla stessa dimensione. Altro è l’apparire, anche su un blog, che della “mostruosità” della vita poetica non possiede nulla.