Saramago. Appunti di lettura
di Massimo Rizzante
Le voci
Su Cecità di José Saramago
La storia di Cecità.
Un’epidemia sconosciuta rende ciechi tutti gli abitanti di una città sconosciuta. Un piccolo gruppo di uomini e donne viene posto in quarantena. Poi fugge ed erra attraverso un paesaggio di rovine e di morte. Guidato dalla moglie del medico – il solo personaggio del romanzo che non ha perso la vista –, il piccolo gruppo cercherà di ricostituire una comunità fondata sulla ragione e sull’amore.
Si tratta di una storia edificante? O dell’ennesima allegoria della notte etica nella quale homo videns sta precipitando?
Il titolo originale dell’opera, Ensaio sobre a cegueira (1995) , ci segnala che questo «saggio» (ensaio) è prima di tutto un romanzo, cioè uno studio sperimentale su un campione di umanità fittizia – i personaggi – che mostra le possibilità esistenziali di una ristretta comunità colta in una situazione specifica. Il titolo originale ci indica, inoltre, che il romanzo in questione, come ogni romanzo, è sempre un «saggio», cioè l’esplorazione di un tema che l’autore sonda attraverso i suoi personaggi. Il titolo originale, infine, ci offre la chiave dello stile di Saramago.
Lo stile del romanziere portoghese non è saggistico alla maniera di un Musil. Nell’Uomo senza qualità tutto diventa tema. E tutto perciò è degno di riflessione. Né si serve del saggio come una delle forme della composizione romanzesca (reportage, racconto, poesia) alla maniera di un Broch. Né a quella di Kundera, nei cui romanzi, ogni riflessione specificatamente romanzesca – ludica, irriverente, asistematica – ha la funzione di esplorare le situazioni e i codici esistenziali dei personaggi.
Il narratore di Cecità racconta utilizzando «un flusso verbale apparentemente senza regole» (ma che possiede una punteggiatura e una sintassi personali), come se raccontasse – sono parole dello stesso Saramago – «la vita di coloro che mi avevano raccontato la loro vita». Questa narrazione, erede della tradizione orale, è onnisciente e si fa portavoce di ciascun personaggio, ovvero di tutte le voci dell’autore, il quale sembra ogni volta sul punto di rimpiazzare il narratore, ma conserva sempre un margine di manovra, uno spazio di riflessione digressiva, colta e ironica. Cosa questa che mette in discussione lo stesso statuto dell’“autore”, come se Saramago volesse ripristinare quel magico e originario momento storico del romanzo in cui l’autore non si era ancora nascosto dietro la figura invisibile del narratore, ma si mostrava ai lettori, li intratteneva, li interpellava, li rendeva partecipi dei suoi umori e delle sue idee. Le voci dei personaggi, perciò, custodiscono lungo l’intero romanzo il loro timbro particolare, ma non possiedono una reale autonomia, in quanto tutte subiscono lo stesso trattamento retorico, lo stesso “stile”: il lettore, dietro a ciascuna di esse, è in grado di riconoscere la voce dell’autore.
I personaggi di Cecità non hanno nome. Il personaggio, ad esempio, che all’inizio del romanzo diventa cieco nella sua auto mentre sta attendendo che il semaforo passi al verde, sarà chiamato «il primo cieco». Allo stesso modo, il personaggio che lo accompagna a casa e che compiuta la buona azione gli ruberà l’auto, si chiamerà «il ladro dell’automobile». Tutti i personaggi sono chiamati in questo modo: «la moglie del primo cieco», «il medico», «la ragazza dagli occhiali scuri», «il ragazzino strabico», «il vecchio con una benda nera»…
Tutti i personaggi sono ciechi tranne uno, «la moglie del medico», la quale all’inizio del periodo di quarantena ci offre la sua spiegazione sull’assenza di nomi:
Siamo talmente lontani dal mondo che fra poco cominceremo a non saper più chi siamo, neanche abbiamo pensato a dirci come ci chiamiamo, e a che scopo, a cosa ci sarebbero serviti i nomi, nessun cane ne riconosce un altro, o si fa riconoscere, dal nome che gli hanno imposto, è dall’odore che si identifica o si fa identificare, noi, qui, siamo come un’altra razza di cani, ci conosciamo dal modo di abbaiare, di parlare, il resto, lineamenti, colore degli occhi, della pelle, dei capelli, non conta.
In un mondo di ciechi i personaggi si riconoscono attraverso la voce. Essi sono la loro voce.
Fin dall’inizio l’autore stabilisce un patto con il lettore: devi esercitare il tuo orecchio se vuoi distinguere i diversi modi di parlare, se vuoi riconoscerti nelle voci dei diversi personaggi. Di solito, come lettore, sei un testimone oculare. Ma qui devi trasformarti in un testimone auricolare.
È vero: il lettore può vedere quel che succede grazie alla presenza della «moglie del medico», o abbracciando la prospettiva della narrazione onnisciente. Tuttavia, entrambi i modi di vedere appartengono alla scena acustica creata dall’autore.
L’autore governa la scena acustica; il narratore onnisciente organizza le voci dialogando al contempo con il lettore; la «moglie del medico» cerca di orientare gli altri personaggi e il lettore.
L’ambiente in cui si svolge il romanzo non è descritto in modo dettagliato, realistico. Nemmeno i personaggi lo sono. Il loro passato e la loro psicologia sono irrilevanti.
La loro identificazione, perciò, passa attraverso il tema principale del romanzo: la cecità. Ciascun personaggio, infatti, è definito dalla sua specifica esperienza dei due tempi forti della malattia: il momento del contagio e il periodo di quarantena.
Rubata l’auto del «primo cieco», ad esempio, il personaggio chiamato «il ladro dell’automobile» percorre un breve tragitto alla fine del quale perderà la vista. Durante questo tempo il lettore viene a conoscenza dei dati essenziali della sua identità: si tratta di un ladro di mestiere, un’anima semplice, terrorizzato dalla polizia e dalla legge. Un altro personaggio, il medico oftalmologo, diventa improvvisamente cieco dopo una notte passata a studiare in ambulatorio un caso clinico eccezionale («il primo cieco»). Dal suo ritorno a casa fino al momento fatale, il lettore è già in grado di dire chi è: un uomo appassionato del suo lavoro, onesto e scrupoloso, molto innamorato di sua moglie. La «ragazza dagli occhiali scuri» diventa cieca dopo un orgasmo avuto con un amico occasionale in una camera d’albergo. Da quando esce dall’albergo all’istante in cui non vede più nulla scorre un tempo brevissimo durante il quale il lettore viene a sapere che la ragazza è una prostituta un po’ particolare: si concede per il proprio piacere. Ama infatti dare e ricevere gioie inattese agli uomini.
Ogni personaggio rivela i tratti essenziali del suo carattere in occasione del contagio ed è colpito dalla cecità in una situazione esemplare. Ciò offre al lettore la possibilità di interpretare le caratteristiche del personaggio e, inoltre, di gettare qualche luce sulla sua vita anteriore.
I personaggi si trovano riuniti in un manicomio durante il periodo di quarantena. Qui la loro vecchia identità perde progressivamente di importanza e la loro esistenza si trasforma in una continua interrogazione sul senso della loro cecità. Essi – come del resto il lettore – ne offrono numerose interpretazioni (aiutati in questo dal narratore, che interviene spesso) e, così facendo, imparano a esplorare quel vasto territorio senza nome che è ogni identità. Scoprono, inoltre, che quel territorio misterioso è il solo «spazio comune» di cui dispongono, il solo punto di partenza per riorganizzare la società.
In Cecità forma e tema coincidono. Voglio dire che la scena acustica, come ho chiamato lo spazio fittizio in cui la polifonia dei personaggi (le loro voci) si dispiega, insomma la forma-romanzo di Saramago (parlo di forma-romanzo perché tutti i romanzi dell’autore portoghese da Una terra chiamata Alentejo in poi sono costruiti in questo modo) trova nel presente romanzo, in questo romanzo sulla cecità, la sua piena e perfetta realizzazione.
Questo accade non perché i romanzi precedenti o successivi siano dal punto di vista formale meno riusciti, ma perché soltanto in un mondo di ciechi è possibile esplorare in modo radicale la dimensione vocale dei personaggi. Soltanto in un mondo di ciechi i personaggi sono le loro voci, rette da un’istanza narrativa onnisciente che le racconta e si racconta, la quale presuppone un testimone auricolare, il lettore, in ascolto di un racconto che come un poema aspira ad essere eseguito ad alta voce.
Soltanto in un mondo di ciechi la forma romanzesca adottata da Saramago rivela la sua umana aspirazione al dialogo: dove, se non in un mondo di ciechi, infatti, si può davvero mettersi in ascolto dell’altro?
In Cecità Saramago ha incontrato per la prima volta e per sempre il suo ideale estetico ed etico.
Molto interessante, questa lettura. Cecità è un romanzo straordinario.
E’ interessante la tesi sull’impronta orale della narrazione. Il flusso narrativo/verbale, privo di una punteggiatura conforme alle regole tradizionali, viaggia in perfetta simbiosi ritmica con l’evolversi degli eventi, con lo spalancarsi di nuove situazioni senza il clamore del colpo di scena. Privo di urla. Il terrore raccontato in modo pacato e inquieto insieme.
In più, c’è una presenza olfattiva, che imprime forza descrittiva ad alcune scene sia nel manicomio che per strada e per le case alla ricerca di cibo e riparo, rendendo loro corpo ed ai bisogni quotidiani dei protagonisti precipitati nella cecità cruda dimensione terrena. Saramago oltre che raccontare, annusa il loro buio e restituisce forma alle immagini.
Altro elemento che instilla interrogativa inquietudine è fornito a mio avviso dal laico senso di attesa della moglie del medico. Ignara se verrà colpita anch’essa dal misterioso morbo, ed allo stesso tempo, per lungo tempo, viene creduta cieca dagli altri (se non ricordo male). Un attesa che veste i panni di una tragedia alternativa all’altra. Dio non c’è e neanche il suo conforto, nemmeno nel caso rimanga davvero l’ultima degli umani dotata di vista.
Non so se qualcuno l’ha già detto, ma per quanto riguarda l’Ensaio di Saramago, io lo accosterei, ovviamente con le debite differenze di secolo e di cultura, all’Essai di Montaigne. I romanzi di Saramago in generale, e questo in particolare, sono una commistione di tre “linee” essenziali: Umanesimo (la fiducia di Saramago nell’uomo) – Barocco (il suo stile)-Illuminismo (la sua opzione per la ragione: come Rousseau era erede di Montaigne, Saramago mi sembra essere erede anche di Rousseau). E in ciò consiste la sua modernità, o meglio la tarda-modernità di questo scrittore
Comunque, prima di digerire Saramago, ci ho messo un po’ per accettare il suo stile, così dettagliato e minuzioso. Poi, però, mi ha letteralmente affascinato.
Sì, i personaggi di Saramago non hanno nome, personaggi di un mondo quotidiano e insieme prototipi di pulsioni archetipiche. Certamente la componente del saggio sul baratro che aspetta l’homo videns è ben presente. Grazie Max di questi quadri così chiari sui grandi autori che tratti.
Cecità, un grande libro, fa piacere sapere che avendone letto solo uno di Saramago ho scelto il migliore. E’ una parabola davvero notevole, che ho assimilato lentamente: mentre leggevo ero sì attratto ma un po’ mi infastidivo, – come ho scoperto poi, era più che altro per il contenuto degli accadimenti del romanzo -, poi però lasciando decantare la lettura, col tempo l’effetto su di me ha via via preso spessore. Solo il finale ha continuato a non convincermi, o a non entusiasmarmi.
@ Lorenzo,
prova anche a leggere “Ensaio sobre a Lucidez”, che viene a ruota di “Cecità” (ci sono gli stessi personaggi, e “la cecità di quei giorni è tornata sotto una nuova forma”). Un meraviglioso affresco sulla fine della democrazia rappresentativa (o di quel che ne resta, ai nostri giorni). Lì Saramago dà il meglio di sé, a livello di immaginazione politica. Di colpo la gente, nel corso di elezioni amministrative di routine, si mette a votare scheda bianca, spontaneamente, senza mettersi prima d’accordo. Questo piccolo gesto manda in crisi il Potere, che arriva a organizzare attentati pur di riportare le cose alla “normalità” democratica di sempre. Due brani, come exemplum, sulle silenziose schede bianche: “Quello che mi sgomenta è che non si senta un grido, un evviva, un a morte, una parola d’ordine che esprima ciò che la gente vuole, solo questo silenzio minaccioso che ti fa venire i brividi alla schiena … in fin dei conti le persone si sono solo stancate delle parole”. “Quelle schede bianche… sono venute a sferrare un colpo brutale contro la normalità democratica in cui trascorreva la nostra vita personale e collettiva”.
A livello di immaginazione politica, io preferisco questo “Saggio sulla lucidità” a “Cecità”.
PS.: Dell’uomo Saramago, poi, vorrei sottolineare questo aspetto: “Quando si è stati in Chiapas, non se ne esce più”. E credo proprio che il Chiapas abbia ispirato a Saramago “Lucidità”.