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CONFLITTI D’INTERESSI

di Giorgio Mascitelli

Per una volta tanto mi toccherà perfino parlare bene della televisione e ammettere a malincuore che a vederla talvolta si impara qualcosa di nuovo. Almeno a me è successo così quando ho appreso, assistendo la settimana scorsa all’intervista a Romano Prodi, che la Lehmann and brothers, la celebre banca d’affari fallita allo scoppio della crisi finanziaria questo autunno, godeva fino a poche ore prima del suo fallimento di un giudizio (rating) largamente positivo da parte delle società incaricate di esprimere una valutazione sui suoi prodotti finanziari.

Ma non è questo il primo caso di sbagli così clamorosi da parte delle società di rating (Moody’s, Fitch, Standard & Poor); per esempio anche nelle vicende di Swissair, Parmalat ed Enron si trovano errori di valutazione simili. La cosa è particolarmente inquietante perché la legge prevede che qualsiasi ente economico che intenda emettere prodotti finanziari derivati debba obbligatoriamente farsi rilasciare un rating sul proprio prodotto. Ciò significa che le società di rating dovrebbero svolgere una funzione di controllo sul mercato finanziario.

Queste sono società a capitale privato, spesso quotate in borsa o controllate da gruppi finanziari con vasti interessi borsistici, che vengono pagate per la loro attività di valutazione dagli stessi soggetti che devono essere valutati. In altri termini i mercati finanziari sono controllati da enti posseduti da gruppi privati che hanno enormi interessi negli stessi mercati e che per le loro attività di controllo si fanno pagare da coloro che dovrebbero controllare.

E’ lecito chiedersi quale controllo reale ci si possa aspettare da un simile sistema, che sembra essere stato inventato da un preside di una di quelle scuole private di bienni di recupero, in cui si entra con la terza media e nel giro di un paio d’anni si esce ingegneri nucleari. In realtà c’è poco da ridere, i giudizi sono emessi anche sui titoli di stato e orientano il mercato costituendo spesso un’arma di ricatto nei confronti delle politiche di vari governi con conseguenze disastrose, specie nel terzo e nell’ormai ex secondo mondo.

Sembra che il sistema liberista ami giudicare gli altri, ma quanto a se stesso preferisca giudicarsi da solo. Non è un caso che un altro importante cardine della globalizzazione liberista sia il tentativo di costituire un diritto privato internazionale sottraendo alla sovranità e alle leggi degli stati tutte quelle materie che potevano rientrare negli interessi dei grandi gruppi finanziari multinazionali. Il progetto, favorito dall’organizzazione mondiale del commercio, punta a sostituire alle legislazioni nazionali delle forme di arbitrato internazionale nel caso di controversie giudiziarie, che ovviamente favorirebbero i soggetti economicamente più forti.

In fondo si potrebbe riassumere tutto questo affermando che il sistema finanziario internazionale ha ignorato i propri conflitti d’interessi riuscendo addirittura a spacciare come standard di alta qualità le connivenze e le assenze di controlli, ha considerato il mondo degli affari come un ambito in cui tutto è lecito per fare profitto e ha cercato di costruirsi leggi su misura. Se fossi un girotondino, mi verrebbe da dire che i mercati internazionali hanno le stesse priorità di Silvio Berlusconi. E forse, aggiungerei, il provincialismo del folklore e degli scandali ci ha distratto, impedendoci di riconoscere che dietro le bandane non si nascondeva un ostacolo alla modernizzazione globalistica, ma al contrario la forma più casereccia e solo apparentemente più proterva di una modernizzazione che faceva del conflitto d’interessi e dell’elusione delle leggi degli stati alcuni dei propri cardini strategici.

Non a caso non sono state la moderna Milano e la sue istituzioni finanziarie e imprenditoriali a sollevare il tema del conflitto d’interessi, quello che secondo la formula giornalistica è incompatibile con una nazione moderna, ma cittadini qualsiasi spesso lontani geograficamente e socialmente dai luoghi, veri o presunti, della modernità di questo paese. Mai come oggi il conflitto d’interessi non mi sembra essere un’anomalia italiana, ma una forma tipica dei rapporti tra economia e politica nell’era del liberismo trionfante.

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3 Commenti

  1. non c’è conflitto se tutti concordano sul valore assoluto della voracità, che non può che essere privata. L’appello alla comunità, quella che sia, è secondario, e ha luogo solo se coincide con gli scopi dell’avidità privata

  2. Io invece non credo affatto al caso e all’eccezione:sono convinta che la crisi sia stata causata per arrivare a defalcare dagli interessi e dal profitto, oltre che secondo leggi anomale ma pensate al momento per poi restare permanenti, dei pesi che non si vogliono sostenere e creeranno sul mercato, per necessità, una massa tale di schiavi disponibili a qualunque tipo di schiavitù e a bassissimo prezzo,innescando fenomeni indotti di malavita come già in epoche passate si è visto spesso, in momenti come questi, non ultima la necessità di altre guerre per depredare e livellare ancora di più i bisogni primari e creare nuovi colonialismi. Democrazie? Ma dove?ferni

  3. il problema è che in larga scala questa situazione si ritrova dappertutto.
    Coloro che devono controllare i giusti andamenti finanziari delle banche vengono pagati dalle banche stesse e così facendo assume una forma di tangente legalizzata dal sistema economico europeo e penso mondiale;noi ci scandalizziamo,abbiamo paura,vedendo il diffondersi della crisi,dalla sua nascita al suo sviluppo,e loro….loro già sapevano tutto.=)
    Davvero un sistema,non solo economico perchè tutto questo accade anche sotto altri contesti,edilizio, etc etc,difficilmente concepibile dal punto di vista etico.Anche perchè oramai il conflitto d’interessi regna la scena mondiale.

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