Se nulla era sbagliato
di Nadia Agustoni
“Ma che sarebbero i prodigi in mare e in cielo
senza averti compagno al mio pensiero?”
John Keats, Sonetti
L’hanno definita una delle intelligenze più critiche e lucide degli states, ma nei due libri in cui racconta la morte del marito John e della figlia Quintana, avvenute a breve distanza una dall’altra, Joan Didion di sè dice che per un pò è impazzita e impietosa ci mostra la sostanza del dolore.
Leggendo L’anno del pensiero magico 1 si prova simpatia per questa donna che combatte una battaglia contro la morte della figlia fino a quando le sembra fuori pericolo. Sapremo solo dopo qualche anno che le cose non sono andate a buon fine. La perdita improvvisa dei congiunti è ripercorsa di nuovo in un monologo con lo stesso titolo del primo libro: monologo serrato, dolente e asciutto, senza una sola parola che inviti a una facile pietas. 2
A Broadway è Vanessa Redgrave a interpretarlo. Le serate fanno il tutto esaurito. 3
La scrittrice americana ha qualcosa di tagliente nel raccontare quanto le è accaduto.
Ci ricorda che capiterà anche a noi e nello stesso tempo, in molte pagine, ci viene detto che ognuno vuole sentirsi al sicuro, ma questo non è possibile.
Prima o dopo, è solo questione di tempo, la morte e il dolore ci raggiungono.
E non avremo risposte.
Le pagine di Joan Didion raccontano l’amore prima della perdita e forse dicono qualcosa di cui non possiamo essere certi se non ne abbiamo fatto esperienza..
Quel che si legge, non detto esplicitamente, è che se l’amore non può fermare la morte, se non è un anestetico contro la sofferenza, può comunque far si che torni la vita e che torni proprio perché c’è stato quell’amore.
Il pensiero magico a cui Didion si affida dopo la morte del marito, lo scrittore John Gregory Dunne, nel monologo è sintetizzato così:
Pensiero magico è un’espressione che ho imparato quando studiavo antropologia.
Le culture primitive agiscono in base al pensiero magico. Il pensiero che colloca un “se “ all’inizio di ogni proposito.
Se sacrifichiamo una vergine la pioggia tornerà.
Se io tengo le sue scarpe… 4
Ma ovviamente lui non tornerà e lei solo dopo un po’ di tempo potrà accettare questa cosa..
Il pensiero magico la accompagnerà ad ogni tappa della malattia della figlia e ce lo descrive come un anatomo patologo compila il referto dell’autopsia.
Fu Didion, quasi a voler compiere un esorcismo, a chiedere l’autopsia sul corpo del marito.
Sapevo esattamente come vanno le cose, il volto scuoiato, il torace aperto come un pollo nella vetrina del macellaio.
Eppure continuai a volere l’autopsia.
Anzi, volevo essere presente quando l’avessero eseguita, ma non pensai di poterne fornire una spiegazione ragionevole e così non lo chiesi.
Ecco il mio ragionamento, che per qualche mese rimase oscuro persino a me: l’autopsia poteva dimostrare che quello che era andato storto non era altro che un blocco transitorio o un’aritmia.
In tal caso, concludeva il ragionamento, forse avrebbe ancora potuto aggiustare le cose. 5
In 79 pagine ci dà l’impressione di un evento che conosciamo e che ci domina..
Non è solo la morte, ci sono la paura e la capacità di sostenerla aggrappandosi ai rituali.
La paura è presente aldilà della morte.
Ci sovrasta.
Qualcuno, molti anni fa, mi ha detto che è sempre la paura della morte che genera le altre paure, perchè al fondo di noi c’è questo evento che dovrà avvenire. Penso sia quasi sempre vero, ma teniamo conto che altrettanta paura, in un mondo complesso, si produce da eventi che non possiamo controllare: pensiamo al suicidio di chi perde il lavoro e la sussistenza o di chi finisce in situazioni dolorose e senza uscita.
In tema di sofferenza non dobbiamo ne possiamo sottovalutare nulla.
Joan Didion a un certo punto parla di una elegia del 1806, Rose Aylmer, di Walter Savage Landor scritta per la morte della figlia di Lord Aylmer. Non solo se ne ripete i versi, pur avendola imparata molto tempo prima all’università, ma ricorda di averla sentita analizzare e che l’insegnante metteva in rilievo che all’elogio esagerato della defunta la voce degli ultimi suggerisce con saggezza che “il lutto ha il suo posto, ma anche i suoi limiti”. 6
Alla fine Didion accetta questi limiti e cerca di dire cosa significa questo accettare e quale sconvolgimento attraversano la mente e il corpo di chi subisce un lutto.
Cerca di dire e dice com’era la vista dalle finestre degli ospedali a New York e a Los Angeles dove la figlia era ricoverata. Parla della grotta marina dove lei e il marito facevano il bagno e in cui Joan non entrerà più dopo la nascita della bambina. E racconta del viaggio di ritorno dall’ospedale di Los Angeles con un piccolo aereo che atterra per il rifornimento in un campo di grano del Kansas. E il vestito e gli orecchini di Quintana regalati a un’amica d’infanzia della ragazza.
Quando si è perduto qualcuno che ci era molto vicino, un parente o un amico, quel che si prova è un sentimento lancinante di dolore che schiarendo i pensieri, o almeno schiarendoli dopo un po’, e portandoli a una nudità totale, ci fa capire l’assurdità delle nostre pretese che gli altri siano come noi. La morte restituendoci l’unicità dei volti e delle voci, i gesti e le parole e un certo modo di fare di chi ora non c’è più, sembra voglia dirci che nulla era sbagliato.
E’ l’unicità che la morte rivela.
Le parole non salvano.
Le parole sono tentativi, ma solo la vita salva la vita.
Solo quello che è stato è reale.
Nessuna parola può raccontare quello che non è stato.
La parola può soccorrere, ma quello che è stato non può più salvarlo: può allontanarlo e nella distanza lasciarlo andare.
Note
- Joan Didion; L’anno del pensiero magico, Il Saggiatore 2006.↩
- Joan Didion; L’anno del pensiero magico: monologo, Il Saggiatore 2007↩
- Mentre scrivevo questo articolo è arrivata la notizia della morte di Natasha Richardson figlia di Vanessa Redgrave.↩
- Joan Didion; L’anno del pensiero magico: monologo, pag. 33, Il Saggiatore↩
- Ibidem, pag. 34↩
- Ibidem, pag. 11 e 12↩
I commenti a questo post sono chiusi
Pezzo che incide la carne.
Mi va a genio, a sangue:
“Le parole non salvano.
Le parole sono tentativi, ma solo la vita salva la vita…”
Il pensiero magico è composto, prende atto sovente con parole, preghiere, offerte, elemosine, quelli che si chiamavano i fioretti,
per la paura della morte, talvolta, ci si butta a capofitto in un mare di altre sofferenze, con illusioni di rinascite, palingenesi etc.
E la morte resta lì,
o si sposta solo un po’ più in là.
MarioB.
secco ed essenziale, come sempre di fronte al dolore, V.
“può allontanarlo e nella distanza lasciarlo andare.”
bellissima recensione, nadia, e quante parole ci toglie di dosso
r
Un libro che ho molto amato. Un testo di austera bellezza, capace di schivare quei patetismi e quei languori che abbondano quando ci si trova a dover trattare una materia siffatta. piuttosto che un epinicio o una malinconica elegia in mortem, questo è uno studio sul come la felicità possa essere possibile, persino in una relazione coniugale.
Magnifico testo.
In luce transparente della morte,
la nudità e anche l’amore,
les parole non salvano,
ma danno l’illusione della vita,
del ricordo vivo,
il pensiero magico della scrittura,
il poeta scrive dentro il dolore,
per ritrovare una felcità assenta.
Grazie a Orsola e a Nadia Agustoni
per l’emozione delicata
in ogni cosa della realtà umana.
Vi ringrazio tutti e un saluto.
Come sempre grazie a Orsola e a Ni.
Molto lucida, impietosa a volte.
Mi piace molto come scrivi.
Francesco t.