Articolo precedente
Articolo successivo

Enne

di Giuseppe Rizza

Te l’avevo già detto
non puoi certo averlo
dimenticato, era metà
agosto, io e te nudi su
un letto a due piazze
improvvisato per l’occasione
un’ora dopo il mio arrivo
all’aeroporto Bellini ex Fontanarossa
Catania fuori le mura e il suo
scirocco provenienza Maghreb
in arabo shulùq vento del mezzogiorno
e con il contorno tremolante
delle tue iridi nocciola
Non posso prometterlo
hai aggiunto e io ho avuto paura
di aver sbagliato tutto
timore che mi trascino ancora
e ti ho pianto in faccia
sillabandoti parole che
avresti dovuto rimuovere:
mio padre batteva i pugni
schiacciava insetti invisibili
partoriti dalla mia malattia
per scacciare le vertigini
della mia mente attratta
dal balcone di casa
la mia inquietudine era
un magnete in espansione
avanzava un millimetro al giorno
dentro il cervello
cancerogeno m’ingoiava.
Avevo diciotto anni.
Passeggiavo dentro una tela di
Munch e come un segugio intaccato
da una violenta polmonite
fiutavo l’odore della morte
trascorrendo pomeriggi sui tetti
alla Barona in un ex centro commerciale
allora magazzino di merce importata
made in taiwan made in china
scritte urlate in maiuscolo
su plastica scadente di colori sgargianti
improbabili oggetti da vendere
su marciapiedi sporchi di piscio
il suonatore di tamburi in miniatura
gnomi barbuti dalle gote accese
api in uniforme giallo-nera
io e Francesca la mia amica paraplegica
sotto una tettoia a fungo che
alle infuocate luci del tramonto
assumeva eloquenti
suggestioni apocalittiche
passammo in successione
giornate angoscianti
da cui tentai invano di
riprendermi negli anni
sollecitandone la catarsi
tu ne sai qualcosa
dipingendo su tela
polsi infettati da lamette
e scie di sangue.
Io che non dovrei
neppure essere qui
figlia non desiderata
mia madre come un presagio
non voleva che io nascessi
finita com’ero nelle visioni
di una amica di famiglia
esperta di tarocchi:
la figlia che hai dentro le predisse
soffrirà di una strana inquietudine
chissà cosa avrà visto:
il bagatto il diavolo l’eremita
o una valle di lacrime
ma alla fine convinta
dal testardo volermi di mio padre
sono qui da ventotto anni
tentando di guarirmi
ammalandoti d’amore.
Ho una sorella più grande
sposata e separata da un uomo
bastardo come solo
gli uomini sanno essere
con cui ha avuto un bambino
che spesso corre per casa
ieri ad esempio ha
scovato una mia tela
due mani che soffocano uno stomaco
mamma cos’è questo
si tratta di un uomo che
suona una cornamusa ha risposto
sai di quelle che abbiamo visto
nel documentario alla tv
sugli usi e costumi dei lapponi,
e tutti e tre una volta
a settimana andiamo in piscina
dove io fisso il vuoto
con le caviglie che si toccano
calcolando con lo sguardo
la distanza che corre
tra il trampolino e il cloro
e quando lei è lontana
mi manda messaggi con su scritto
questa volta sento che
è davvero l’uomo giusto.
Mio padre operaio
in una fabbrica di vernici
ormai in pensione
il suo colore preferito è
il lillà perché non lo ordinava nessuno
quando osservo sue vecchie foto color seppia
mi ritrovo nella sua bellezza
amplificata dalla barba
e dai maglioni anni ‘70
figlio di contadini veneti
a cui la terra era entrata indelebile
in silenzio fin sotto le unghie
incontrò mia madre ai Giardini
lei era di Porta Vittoria
e abitava in una casa di ringhiera
dotata di bagno autonomo
e doccia ad angolo
sempre stata casalinga
ogni venerdì sera invitava
in casa le amiche
ad immancabili tornei di ramino
in solaio conserva una
collezione sterminata di
anacronistici fotoromanzi
chissà in quali personaggi
fissi s’immedesimava.
La mia geografia è questa:
ho casa a due passi dalla Bovisa
in una via dal nome
rubato ad un racconto di
Edgar Allan Poe
il cuore rivelatore
e alle volte vado in bici fin sull’Adda
mi piacerebbe invitarti
questo non lo nego
però forse non ora
i giorni vissuti a
Siracusa Caltagirone
Taormina Marzamemi
sono ancora anguille
appena pescate
aragoste che muovono le chele
Milano non s’inghiotte
è un brodo da rimestare
il fondo riserva sorprese
bisogna avere occhi
buoni per saperla apprezzare
il mio ufficio è
nei pressi di Piazzale Cadorna
e da qualche giorno
la mia mansione è
accumulare polizze assicurative
mentre al Parco Lambro
ho imparato a guidare la moto
pur procurandomi una cicatrice
ben visibile al ginocchio
mamma me lo ripeteva sempre
quando ero bambina
non andarci lì
che ci sono le siringhe
la mia massima aspirazione allora
era di uscire dal centro Schuster
da una piramide di cartone
che solo nella mia testa
si trasformava in stella
ora invece cerco consolazione
disegnando uomini
in giacche di tweed
e pantaloni in filo di Scozia
ma dalle teste di coniglio,
alcuni di questi
li ho anche esposti
in uno di quei
padiglioni aziendali
fuori mano
fuori Milano
ma neppure dipingere
è servito da contravveleno.
A sedici anni
prima di ammalarmi
di male oscuro
condividevo tutto con Ylenia
trascorrevamo i pomeriggi
chiusi in stanza
le pareti ricoperte di poster
parlavamo di sesso immaginandolo
qualcuno insinuò perfino
che ci amavamo
tanto che sua madre
telefonò alla mia
l’ordine era forte e chiaro
tagliare i ponti
non voglio fare di
mia figlia una lesbica
ma il ricordo più bello che mi rimane
di questa vita menzognera
te lo dico perdonami
mentre sfiorisco una michetta
la mangio sempre a fine pasto
da sola come fosse dessert
togliendo un petalo alla volta
è mio padre in cucina
e le sue ricette di pesce
io sei anni
e il mio mento sul braccio
mio padre che pulisce
il persico si gira e mi sorride
e io rispondo mostrando
i miei denti ancora instabili
lo fisso ammaliata
come fai a cucinare
così bene, papi
e lui, con struggente accento veneto
perché ci metto un poco d’amor,
è un ricordo confuso
ma un’immagine chiara.
Alla fine sopravvivo
galleggio e prendo acqua
in un mare infestato
di meduse
ho perfino
tentato di amarti
ma ho ottenuto scarsi risultati.

Print Friendly, PDF & Email

68 Commenti

  1. Carico… un bel pugno, dritto dritto al centro… no, alla bocca dello stomaco.

    “sono qui da ventotto anni
    tentando di guarirmi
    ammalandoti d’amore”

    E ora le michette avranno un altro sapore. E io uno sguardo diverso per loro. :)

  2. franz, i pugni dentro una storia arrivano più deboli e lenti, ma vanno dritti e precisi al bersaglio

  3. Grazie a Silvia e a Giovanni.
    Franz, sembri usare il termine “canzone” quasi in senso spregiativo.
    Per me invece è un complimento.

  4. @ Giuseppe. Mi fa piacere.

    @Silvia. Non ho capito, o forse ho capito ma non sono d’accordo e non ho voglia di spiegare perchè, se non dicendo che un pugno, essendo un pugno, non è mai lento; un pugno se per caso è lento è un tentativo di scapaccione. Se un pugno è un pugno, arriva veloce ed efficace. Efficace perchè veloce. E se è veloce fa male. Qui non si sente niente.

  5. ..bello ENNE!
    le cose che scrive Giuseppe mi ricordano gli odori che restano in una casa dopo una cena tra amici veri: in cucina rimane l’odore del cous-cous, si sentono tracce di verdure passate in padella, delle braciole fatte alla piastra, della cannella usata per la torta, del caffè..persino dell’amaro versato sulla tovaglia…bello!

  6. L’ultima riga, “ho ottenuto scarsi risultati”, è il commento più adeguato a questo testo. Perchè è stato scritto? Impossibile capirlo. Perchè qualcuno lo trova emozionante, bello, un pugno (positivamente inteso) nello stomaco? Ciò mi rimane ancora più impossibile da capire, e mi rinnova la sensazione (angosciosa) che oggi quasi nessuno più legga – e dunque sappia gustare – la poesia.

  7. tu ne sai qualcosa
    dipingendo su tela
    polsi infettati da lamette
    e scie di sangue.

    tutti ne sanno qualcosa… Bel poemetto, Beppe

  8. concordo con franz. un pugno arriva quando tu non te ne accorgi, quando non sei pronto e ti colpisce dritto e forte.
    e invece questo è effettivamente uno sbrodolamento. sembrano tutte immagini appicicate le une alle altre senza mai riuscire a creare e quindi a trasmettere emozioni.

  9. ahahahaha, a me si rinnovano sensazioni angosciose quando una persona che, suppongo, legga e sappia gustare la Poesia, proponga quesiti come <>
    C’è un perché quando si scrive?
    ….quasi nessuno legge e sa gustare poesia :-O
    non ti pare un tantino supponente?
    Comunque non discuto sui gusti, ma Giuseppe di poesia ne legge eccome.
    Non sono un avvocato eh?

  10. @ Franz, sono stata probabilmente imprecisa nell’esprimermi, provo a chiarire: un pugno in una storia arriva forte e fa male, SI CARICA lentamente di quella forza che fa (ancora più) male (proprio per la lentezza dentro cui cresce).

    @ Diamante, io che ho sentito il pugno leggo poesia. Non avrò il palato raffinato di un intenditore, sono una modesta, disattenta, sovraccarica lettrice. Se mi emoziono, però, so riconoscerlo anche nella mia sovraccarica disattenzione.

  11. @Anto P.
    Come ho già detto altrove su NI, sempre dopo aver criticato testi che non mi sembravano essere poesia (mi pare di Arminio): la vera poesia per me è costruzione di senso. Dunque sì, c’è un perchè, un perchè d’importanza ESIZIALE, quando si scrive. Ma quando si scrive, appunto. Poi, questo discorso dei gusti mi ha un po’ stufato. Tutto vale tutto, in nome del gusto? Un gatto vale un topo? Una mela un’arancia? Un ferro di cavallo il ponte di Brooklyn? Poi, ancora: non ho detto che Giuseppe Rizza non legge poesia, ho detto che non la sa scrivere (o che perlomeno non ha saputo scriverla in tale occasione).
    @silvia
    Non ho detto che sei disattenta, ma che mi stupisce tu possa trovare il testo di Rizza altamente emozionante. Se invece sei disattenta (te lo dici da sola, in forma di ipotesi), cerca di non esserlo: l’atto di lettura comporta quasi altrettanta responsabilità di quello di scrittura.
    Per finire, non sono saccente; ma davvero oggi, annegati dalla profluvie di testi cartacei o sul web, risucchiati in questa galleria del vento di presunta letteratura, fra libri, riviste, recensioni allegre, superlativi e fallaci entusiasmi, rischiamo di perdere l’orientamento, e di dequalificare una delle fonti più profonde e misteriose dell’umano: la poiesis appunto, la creazione.

  12. “Poi, questo discorso dei gusti mi ha un po’ stufato. Tutto vale tutto, in nome del gusto? Un gatto vale un topo? Una mela un’arancia? Un ferro di cavallo il ponte di Brooklyn?”

    Un diamante vale lo sterco?

    Io sono andato a leggermi anche altro di ciò che ha pubblicato Giuseppe Rizza, perchè mi piace davvero come fa poesia.

    E a chi invece ha la spudoratezza di lasciare intendere che chi non condivide i suoi gusti non capisce la poesia, direi di lasciare perdere le menate sulla poiesis, perchè, nel suo caso, la fonte più profonda e misteriosa del suo essere umano, non c’è dubbio, è la presunzione.

  13. Bella pagina di diario, che può muovere all’emozione chi sente simile, chi simile ha visto, esperito. Ma il punto è forse proprio l’emozione. Che non è certo attributo qualificante. E questa dovrebbe essere un’ovvietà. La ragione e la produzione di senso di un testo poetico non possono che informarsi – tenore figurale a parte, in tempi di precariato poietico – anche e propriamente nella versificazione. Cosa che qui, non vorrei sbagliare, mi sembra non avvenga che in pochi tratti.
    D’accordo con Diamante e Franz, in qualche modo.

  14. @soldato
    Innanzi tutto debbo congratularmi con te per avermi accostato allo sterco: mi mancava. Sei, evidentemente, un maestro della suggestione e della finezza. Che fare con te? Risulti tanto prevedibile da spiazzare, una specie di Gattuso che d’improvviso sboccia in Maradona! Una sorta di LETTERA RUBATA (l’hai letto vero?) vivente! Una piatta, scontata meraviglia! Penso: no, stavolta non tirerà fuori la storia trita del mio snobismo, anzi dello snobismo in generale di chi giudica…e invece no, imprevedibilmente sei prevedibile all’ennesima potenza, oltre ogni prevedibilità (im)prevedibile. Niente conta, tutto conta, soffi inferocito dalle tue caustiche, laviche righe. Eppure ti parla un relativista assoluto, caro soldato. Ma insomma: se questo testo ti piace, perchè offenderti tanto del mio dissenso, e del mio non piacermi che il testo ti piaccia? E poi, dare dello snob a una persona che esprime giudizi netti e ripararsi dietro questa comodità, è molto facile e diffuso; un po’ più difficile, infatti non ci riesci mai, è controbattere fattivamente. Perchè a te piace moltissimo il testo? Dov’è la poesia nel/del testo? Oppure non importa, te lo sei scordato, nemmeno tu lo sai, il diamante vale lo sterco, e soldato blu vale soldato rosa, e tutto vale tutto, basta che nessuno venga a tirar fuori “menate” che provino a fare chiarezza? Non è importante, ma snob a tuo avviso, tentare di stabilire su un sito di letteratura ciò che è letteratura e ciò che non lo è? Perlomeno, ciò che può esserlo, e ciò che può non esserlo? In definitiva, non è importante confrontarsi su cosa sia questa dannata letteratura, se la medesima beninteso esiste, e non è mera e misera questione di gusto? Perchè se è mera e misera questione di gusto, da non motivare, da non discutere, da non offendere, allora vai dal gelataio, che ha tutti i gusti che vuoi. E buon pro ti faccia.
    @Teti
    Io trincio, se sono sicuro di ciò che dico (il che non vuol dire che abbia ragione); poi ognuno fa quello che vuole.

  15. @Diamante, mi sono ben guardata dal dire che l’aggettivo “disattenta” lo avessi pronunciato tu, tento sempre di assumere su di me la responsabilità di quel che sono io a dire. :)
    Il perchè io lo abbia trovato bello (e su tale concetto, a proposito di relativismo, potremmo aprire una parentesi che sarebbe ben difficile chiudere in tempi accettabili…) è nelle righe di Fabio: vicinanza di vissuti.
    Il perchè si scriva poesia… se c’è un perchè assoluto sono stata parecchio disattenta negli ultimi trent’anni della mia vita… :)))

  16. di questo poemetto mi piace:

    il tono melò, il coraggio di essere intenso a costo di apparire sentimentale, il fatto che peppe si sia immedesimato in un personaggio non del suo stesso sesso, senza nessuno stereotipo.

    secondo me diamante va fuori tema: come quegli individui che alle presentazioni dei libri, invece di fare una domanda fanno lunghi e narcisistici interventi.

    penso che N, come tutte le altre cose che ho letto di giuseppe, sia un risultato in assoluto.

    bravo ancora e spero di leggere altre tue cose.

  17. è un poemetto in presa diretta: questo, oltre al mescolarsi di voce maschile e femminile, come in una telefonata, con lo stesso tono concitato, è uno degli elementi più interessanti. un flusso apparentemente caotico, come può esserlo una simile registrazione di voci, dove il senso sta proprio nello smarrirsi nelle storie, nel vissuto e nell’incapacità autentica di comunicarsi fino in fondo. sebbene capisca il discorso di Fabio Teti sul diario, non vedo in questo testo l’ingenuità che c’è spesso in un pezzo diaristico ad uso personale: piuttosto l’emotività, forte, sta tutta nel constatare il fallimento intrinseco della parola (qui nel caso di due amanti mancati), incapace di consegnarci all’altro, di andare di pari passo con il desiderio. e questo è quanto. mancherò nei prossimi giorni, ma spero di riuscire a seguire a distanza.

  18. Io ne approfitto – auspicando che questa discussione non diventi terreno di diatribe personali assai poco interessanti – per ringraziare chi ha compreso lo spirito e l’essenza di Enne, e su tutti Francesca Matteoni anche – e non solo – perche è riuscita a spiegare in modo perfetto che impronta volevo dare al poemetto, e Franci Genti per la stima e l’affetto che ci lega. Lei sa.

  19. Ho trovato molto interessante il commento di Francesca Matteoni. Purtroppo pur apprezzando le intenzioni ma dovendo giudicare il risultato, e avendo in altre occasioni apprezzato Rizza, qui devo dire l’ho trovato meno convincente. Come se questa volta l’urgenza comunicativa avesse impedito una giusta lenta decantazione delle parole.
    In alcuni punti (le merci al magazzino alla Barona, la “mia geografia”) il procedere per accumulo di immagini mi pare poco funzionale alla creazione di senso, mi sembra anzi che allenti eccessivamente il ritmo e disperda l’attenzione rischiando di annoiare e facendo perdere incisività al testo.
    Ma il rischio più grande, a mio parere, è che l’autore ottenga il contrario dell’effetto desiderato: insetti invisibili, la mia malattia, la tela di Munch, polsi infettati da lamette… se non sapessi che ci si riferisce a persona reale direi “pure l’amica paraplegica!”. Mi pare che tutto ciò non si stacchi da un’immagine di adolescenza disperata divenuta quasi stereotipo.
    Insomma i pugni non li sento, e avrei tanto voluto.
    Però il bell’inizio con lo shuluq e la michetta sfiorita, sola come dessert, mi fanno pensare che non è tutto perduto e che verranno altre prove…
    Lavorare lavorare lavorare: è un augurio, più che una critica.
    n.

  20. Parlo sempre con rispetto verso l’Autore; qui mi riferisco a questo suo lavoro, dunque vorrei che Rizza (e Silvia) capissero che non trincio giudizi sul lavoro di Rizza ma su questo lavoro, e ci vado pesante. Perchè la poesia deve essere capita, a mio modesto avviso, al primo colpo; e nell’opera le intenzioni dell’autore. Che debba intervenire Matteoni a spiegarci l’arcano la dice lunga.

    A Genti: il melò colpisce, qui abbiamo un pugno allungato su una sedia.

    Se il pugno si carica lentamente dovrebbe però avanzare nella forza; a mio modo di leggere a metà composizione subentra una gran voglia di farla finita: nel senso di interrompere.

    Capire la poesia: chi ha parlato di questo ha buttato lì una brutta frase. E’ nel suo diritto, ma Rizza, comunque, ha tentato di solcare strade diverse dal solito poetese liricheggiante che ha sfiancato i coglioni a me e a circa 14.500 amici miei tutti regolarmente censiti.

    Dunque un conto è il giudizio sull’effetto estetico (per me poca cosa), un altro è comunque la considerazione – giusta – che si dà a un autore quando tenta strade indubbiamente difficili. E nei giudizi secondo me bisognerebbe sempre basarsi su queste due “fasi”, altrimenti si rischia di essere volgarmente tranchant.

    Io spero – e lo dico col cuore – che Rizza parta da questo per arrivare ad altro, per emozionarci davvero. Per farci dentro col “punch”. Lo puo’ fare, se non si siede davanti ai clap clap degli amici e sodali.

  21. @silvia
    “Silvia rimenbri ancora…” ah no, mi sono sbagliato! Scherzi a parte, lo so che l’aggettivo disattenta l’hai pronunciato tu, e di questo ti rimproveravo. Io non mi permetterei. Riguardo alle ragioni della poesia, uhm! Io dico che dev’esserci un’urgenza, che qua non vedo e non sento nemmeno un po’. Un’urgenza cambiare il mondo, ad ampliare la nostra coscienza e percezione del mondo, se mi spiego. Un fuoco. Il che si può ottenere anche con l’intimismo (pensiamo a quello apocalittico della Dickinson), ma non con questo intimismo.
    @francesca genti
    Perchè uno che esprime un’opinione forte e decisa è narcisista? Non può essere, semplicemente, che possegga un’opinione forte e decisa? Io non ho analizzato il testo in questione perchè, esponendo ciò che a mio avviso è poesia, automaticamente (a buon intenditor poche parole…) lo giudicavo. Dunque non sono andato fuori tema. Per me, va fuori tema chi esalta come poesia ciò che non lo è. Mi spiace, e senza voler offendere; ma chi pubblica, sa a cosa può andare incontro, nel bene e nel male.
    @franz
    Se la brutta frase era la mia, mi discolpo; non ho pronunciato alcuna brutta frase. Sul tentare strade difficili (e poi quali sarebbero? Ne esistono? E ne esistono di facili che siano anche produttive?): non è un merito a prescindere: se peso 200 chili e vado a scalare il K2, è un merito?

  22. l’ insostenibile vissuto a cascata che si fa confessional se si scrive per sostenersi, io credo di si. ho letto ad alta voce e l’ osmosi anche ritmica tra parola e parola che sfiamma in alcune immagini è potente alternandosi anche a momenti sonori e evocativi un po’ meno pregnanti ed efficaci. mi è piaciuto questo viaggio in alcuni luoghi più a portata di altri e altri più intimi ma ugualmenti fatti per essere “comuni”
    il dolore come non luogo, rende tutti partecipi.

    solo una cosa mi spiace ed è che il signor Rizza [ che è la prima volta che leggo] che ha scritto i versi permetta ad altri di spiegarli, come avessero bisogno di protesi per farsi “vedere”. si vedono da soli, a mio sentire e si sentono da soli a mio vedere.
    un saluto
    paola

  23. Esistono infiniti modi di fare poesia (ed infiniti modi di non farne…).

    Chi ha opinione troppo forti e decise mi lascia sempre perplesso…non il fatto che le esponga con forza e decisione (questo lo apprezzo molto) ma non capisco come si faccia ad avere un’opinione forte e decisa senza coglierne le contraddizioni, la relatività, la data di scadenza… e nello stesso momento in cui scrivo queste cose ne sento le contraddizioni e capisco di non esserne un portatore sano. E per questo rischio di essere frainteso.

    La mia non vuole essere un’apologia del qualunquismo ma uno spunto di riflessione su quanto sarebbe auspicabile che fosse il GUSTO a guidare le nostre opinioni sulla poesia e non altri strumenti di giudizio. Questo potrebbe restituire dignità ad una poesia che di volta in volta viene stroncata o acclamata da quel giro di conoscenze o da quell’altro.

    Certo il GUSTO sottintende la condivisione di parametri estetici (che possono essere più o meno in linea con lo spirito dei tempi) ed è influenzato da fattori collaterali (la cultura, la vicinanza di vissuti).

    In base alla nostra sensibilità e gusto personale potremmo giudicare la Poesia sulla base dei parametri delle Lezioni Americane di Calvino (leggerezza, rapidità, esattezza, visibilità e molteplicità) oppure misurarne l’originalità sia a livello contenutistico-tematico che a livello stilistico-formale o, ancora, rintracciarne l’ironia e l’arguzia, apprezzarne le citazioni volontarie o involontarie, quantificare l’emozione che ci suscita la lettura dell’intero testo (letto di corsa, magari in pausa pranzo) o frammentarlo con livello di dettaglio crescente per giudicare se l’autore ha lavorato sul testo, se le metafore sono banali, se le immagini sono belle, brutte, scontate e prevedibili o geniali, se ha contato le sillabe, studiato gli accenti come su un pentagramma o se ha suonato ad orecchio. Se ha raggiunto l’effetto, un qualche effetto. E in che percentuale.

    Poi comunque dovremo scrivere se ci piace o non ci piace. Con tutte le contraddizioni che ne conseguono.

  24. nella piena consapevolezza della contraddizione, mi sono piaciuti questi versi sciolti. credo perché raccontano un’esperienza intima e seppur non vera, verosimile, ritmica, evocativa.
    da non critico non so dir di più.
    cristiano prakash dorigo

  25. C’è certo un filo intenso, che però non regge nel verso. Non si comprende per quale motivo si vada a capo. Nell’intenzione sarebbe poesia “de genere”, che gira e rigira nelle pastoie di spicciola identità, con fumi psicanalitici, mentre credo che il passo prosastico gioverebbe all’autore, lo distenderebbe, gli darebbe fiato, lo porterebbe a fare pulizia.

  26. @franz
    Mi spieghi perchè offendi? Mi spieghi perchè io dovrei sperare di farla franca? Da chi, di grazia? Da chi insulta come te? Bah.
    ps: il coraggio, quando non si hanno le forze per sostenere quel che esige, è stupidità. Meriti assoluti non esistono, affermazioni in assoluto sciocche – come la tua – sì.
    @giovanni
    Hai ragione. Ma ciò non significa che se una poesia suona debole non lo si possa sostenere, senza che per questo saltino su inferocite tante offesissime voci a dirti che sei un idiota. Riguardo il gusto, il canone, i parametri, nutro nei confronti di tali aggeggi una certa insofferenza – e il discorso sarebbe lungo, lunghissimo. Ma ancor più ne nutro verso il qualunquismo (non mi riferiscco a te), di chi taccia di superficialità chi questa superficialità prova a intaccarla, mettendoci passione e sudore, e ricavandone motivo di insulti da teppistelli.

  27. ah ecco, adesso chi ti ha attaccato è diventato qualunquista, prima siamo stati i Nessuno che sa gustare o che legge, poi la poesia esiziale, il fuoco, la poesia che cambierà il mondo….io non riesco a trovare un minimo di coerenza. Sei tu il primo ad aver detto ‘Non capisco come si possa provare emozione leggendo questo testo’ e poi ti crei l’aria del martire se qualcuno ti attacca.
    Sei insofferente verso i discorsi sul ‘gusto’, su quello che ‘piace o no’, sui ‘parametri’, però poi affermi che la poesia deve avere un fuoco, un’urgenza (non sono questi tuoi-parametri, tuo-gusto, tuo-canone?)
    Ma questo fuoco del quale parli, secondo te è proprio impossibile che qualcuno di noi miserini lo abbia sentito in questo poemetto? O che forse in alcun passaggi sia stata possibile una sempre miserina emozione?
    Oh scusa probabilmente anche la parola -emozione- è molto molto banalequalunquista.
    Io non penso che tu sia superficiale, però non riesco a trovare linearità in quello che affermi. Più di tutto non capisco la tua incapacità ad accettare pareri opposti ai tuoi ergendoti a colui che detiene l’assoluto potere di capire se una poesia è più o meno buona.

  28. Io e volevo solo ringraziare la persona che gli ha cancellato i’ mi’ commento in cui e dicevo che conosco uno che si sarebbe vergognato di pubblicare questi versi.

  29. A volte mi capita, per Sud, la mia rivista
    che dei testi mi arrivino in un formato strano
    di Pi Di Effe che nel passaggio all’atto
    della parola, Word, così si dice
    di colpo perdano tutto, pure gli a capo
    e si incolonnano come non dovrebbe

    allora passo il tempo a ricucire
    una riga dopo l’altra fino a rifarne un testo
    di prosa come il suo autore lo aveva immaginato.

    ecco cosa ho pensato quando ho letto Enne
    che qualcosa mi fosse sfuggito, nel passaggio
    ed una buona prosa è diventata – a un tratto
    una non poesia.

    effeffe

  30. @franz
    Ho discusso talora in modo acceso con Giorgio Bocca, Corrado Augias, Alfonso Berardinelli, Gabriele Bertozzi, Angelo Guglielmi, Pietro Citati e molti altri con tanto di mio nome, mio cognome e mio rischio; e se qua, “dialogando” con te, voglio usare Diamante lo uso. Non mi va di buttare il mio nome “alla cazzo”, please.
    @Anto
    Non esiste, naturalmente, una verità assoluta; in arte si può dire tutto di tutto (è la terribile magnificenza del logos); ma ciò non significa che non si possano fare tentativi per avvicinarvisi. Non ho peccato di mancanza di linearità, ma di mancanza di diplomazia. Ho anzi sostenuto sempre la stessa cosa: il brano in questione è molto brutto, ed è allarmante la mancanza di gusto (di olfatto, di senso) di alcuni commenti. Ciò ha provocato reazioni come quella di soldato blu (forse immemore della bellezza del personaggio da cui ha preso il nome), oppure l’accusa di dire le cose “alla cazzo”, noblesse oblige. Dopo di che, io non pretendo che la mancanza di gusto da me denunciata sia reale (anche se lo penso eccome); pretendo però che mi venga dimostrata la tesi opposta, senza rifugiarsi dietro la terribile mediocrità (oggi di moda ovunque oramai, da Ballarò a NI) del: sono gusti e come tali vanno rispettati tout court, la mia verità è uguale e contraria alla tua verità, l’evasione fiscale è di tot milioni di euro e invece no, l’evasione fiscale non c’è affatto; e andando di questo passo Moccia vale Dostoevskij, I Cesaroni valgono Lost, e chi sostiene che Aldo Nove non è paragonabile a Easton Ellis e che Scurati non vale metà della metà di DeLillo è un poveretto prigioniero dei propri schemi mentali, di qualche vizio a metà fra snobismo e atrofia intellettuale (io poi non ho affatto simpatia per gli intellettuali). Ok, il brano ti ha emozionata, e non devi mica vergognarti di ciò. Anch’io quando vedo una bella partita di Champions League mi emoziono, e non me ne vergogno affatto. Ma qui si parla di qualcosa d’altro. Se davvero la faccenda fosse così democratica, così semplicistica, così conseguenziale (mi è piaciuta, ergo è poesia, l’equivalente degli stimoli ai cani di Pavlov) sarebbe una vera tragedia. Ed è una vera tragedia in verità il fatto che prendere sul serio la poesia, come io faccio, interrogarla in profondità e non maneggiarla come puro intrattenimento, cibo da fast food, ennesima fantasmagoria pubblicitaria dopo cui andare rapidamente oltre, è una tragedia che tutto ciò venga scambiato per prendere sul serio se stessi (che è un discorso assai diverso: “Io è un Altro” e “Se l’ottone si sveglia tromba, non è affatto colpa sua” scriveva Rimbaud). Eppure occorre che qualcuno dica che un testo poetico brutto è un testo poetico brutto; e se un franz sbucherà fuori coi suoi fulminanti aforismi di acuto ed elegante rimbrotto, pazienza. Rizza continuerà a pubblicare, e Diamante a criticarlo se lo riterrà opportuno, a elogiarlo se lo riterrà opportuno.

  31. “Non mi va di buttare il mio nome “alla cazzo”, please.” scrive lui/lei
    La persona per bene pensa che sono sempre i migliori a cadere. Anche lo stile.
    effeffe

    ps
    Ma capita a tutti, ci mancherebbe, perfino a Bocca…
    ppss
    Eppure avrei sottoscritto tutta la seconda parte a costo di usare il mio nick (inventandolo apposta)

  32. Oh Diamante, ma guarda! Giorgio Bocca, Augias. Ci piscio sopra, fratello. Capito l’antifona?
    A parte che uno che spara ‘ste bordate da quattro soldi a me puzza di mitomane…

    Dai, vedi di andare, fatti una passeggiata per Viale Mazzini e prenditi un caffè con Corrado e una pasterella con Maurizio Costanzo.

  33. povero Diamante… (chi era costui?) dal salotto buono finito sulla panchina alla piazzuola di sosta!

  34. quanto pagherei per avere quel cognome. Cohen. Nome Leonardo (à l’italienne)
    detto questo mi piacerebbe leggere altre cose di Giuseppe.
    effeffe

  35. vorrei leggere anch’io altre cose di Giuseppe… effettivamente da un singolo testo si possono cogliere alcuni aspetti, ma la valutazione ne risulta limitativa … inoltre Franz K. pone alcune perplessità non secondarie…

    grazie effeeffe, colgo una certa simpatia nelle tue parole (anche se il libro di Rovelli non mi è arrivato…era una bufala? :-) … e comunque, a volte, quel nome è una eredità pesante …ma anche tu non scherzi, caro c.a.f. (che poi è proprio delle mie parti!)

  36. @franz
    Quanto astio! Un vero tarantolato! Molti di quei nomi che ho fatto non li stimo, e alcuni che stimo non li stimo del tutto; ma credo abbiano comunque più titoli di te per incutermi un certo timore, o no? Poi magari tu sarai molto più intelligente e colto di loro, di tutti loro, ma loro sono “potenti”, una brutta parola che nel mondo delle umane lettere italiane conta assai, però. Come vedi, che tu ci pisci sopra o no, a me non interessa punto; era un modo per giustificare il mio nick (ma ho sbagliato: non devo giustificarmi di nulla finché non mi comporto male). Tu invece l’hai inteso come un modo per vantarmi: forse perchè tali atteggiamenti sono abituali a te, dato che io non mi sono vantato affatto. Franz, sei abbastanza fragile di nervi: possibile basti così poco a farti dimenticare le più elementari regole di civiltà? Eppure, dovresti essere un umanista. Ma forse sei un umanista “maledetto”, un Carmelo Bene, un Lord Byron post-litteram. Beh, sei poco originale. E piuttosto volgare.
    @francesco forlani
    Non penso che sono i migliori a cadere, dato che a cadere è stato franz, il quale non mi sembra esattamente un modello di eccellenza…
    @manuel cohen
    Odio i salotti buoni, amo le panchine, mi annoiano le piazzuole di sosta.
    @tutti
    Trascinati dall’odio personale, avete ancora una volta dimenticato che l’oggetto della diatriba non sono le mie frequentazioni o la mia boria o il mio nick, ma il testo poetico di Rizza. Io avrei voluto continuare a degnarlo della mia attenzione (benché negativa), voi non avete voluto degnarlo della vostra (benché positiva).

  37. @diamante
    brilli brilli un casino ( di luce riflessa) :-)

    Spero che Franz K. non ceda alle tue grossolane provocazioni…

  38. @ diamante

    qui il problema non è più il testo poetico di Rizza: è che quando ci sei tu, ci sei tu.

  39. Fragile di nervi? Fragile di nervi sarà lei, che per dire quello che pensa sui “potenti” (bravo, gran classe nel ricordarcelo) e ai non potenti (il sottoscritto, che, è vero, ha l’intelligenza ma non l’astio, bensì il carattere) deve usare un nomignolo falso come il falso denaro (o diamante).

    Fragile di nervi? Io ti porto avanti di commento in commento fino a notte inoltrata, se ce la fai. Ma non ce la fai.

  40. Poi dimmi un po’ dove sta l’odio personale. Sei un cretino, amico dei potenti ma sempre un cretin o. Non hai il fegato di firmarti. E se non ti firmi – sparando come fai, tirando in ballo i “potenti”- qui non vali un cazzo.

  41. Ah, ultima cosa: tu sei un imbecille, mentre a me non piace essere “catalogato” da nessuno, meno che meno da uno come te. Ragion per cui risparmiaci nel futuro paragoni ironici con Bene, Byron e compagnia bella. Io qui sto menando pugni bendato, mentre tu davanti agli occhi hai il mio nome.

  42. Con un testo di questo genere, siamo alle solite: poesia – non poesia, poetese – canzonettese, prosa lineare – prosa spezzata, ma fondamentalmente siamo ancora al giovane – adulto.

    Un adulto che si fa poeta non puo’ non tenere in conto, seriamente, la tradizione letteraria da cui proviene. E ci sono vari modelli (non solo il poetichese liricizzante) che tengono comunque il verso nei limiti di un verso (una strofa nei limiti di una strofa, un poemetto nei limiti di un poemetto) e di cio’ che un verso e’ stato storicamente, senza per questo rinunciare al brivido del nuovo che oggi e’ il pop, assieme alla pretesa di buttare a mare l’autorita’ costituita (alla Aldo Nove?). Ogni giudizio negativo viene oggi rimosso con un “e’ solo la tua opinione, io mi tengo la mia”, eliminando la trasmissione generazionale delle radici comunitarie; se questo dipenda da un eccesso di autostima o da un grande senso di spaesamento e sperdizione, ognuno valuti in base al proprio interiore. Certo che toni, atmosfere ed istanze come quelle di questo testo, sono ancora rappresentate al meglio da Giovanni Giudici, Elio Pagliarani e Giovanni Raboni (invece che da Elio e le Storie Tese).

  43. @GiusCo
    La tradizione che citi tu la conosco, e la apprezzo moltissimo.
    La ragazza Carla, è uno dei miei libri preferiti.
    Riguardo l’autostima, chi mi conosce sa che è a quote bassissime.

  44. @franz
    Grazie del “cretino”, “non vali un cazzo”, “imbecille” ecc. ecc.; ognuno può giudicare la differenza tra me e te, tra la mia e la tua tolleranza, tra il mio e il tuo rispetto verso gli altri. Non sono affatto “amico dei potenti”, anzi non ne conosco nessuno; ho solo avuto il fegato di confrontarmici, quando se ne è data l’opportunità, senza nessun timore. Se tu non sei “potente” (e ribadisco che neanch’io lo sono) come le persone da me citate, ciò non vuol dire che tu valga meno di loro, anzi; ma ti assicuro che nessuno di loro ha avuto le tue reazioni scomposte e avvilenti. Quanto al mio nick: ribadisco che qua non conta la forma, ma la sostanza, non chi dice, ma quel che si dice; in altre occasioni ho usato il mio nome, su NI per adesso non voglio, e magari domani vorrò; e perchè poi dovrei dire il mio nome a uno che non fa altro che insultarmi? Puoi darmi della testa di cazzo sia che mi chiami rossi, o verdi o diamante. Sempre una persona stai insultando, e ciò dovrebbe bastare ad appagare la tua sensibilità.
    @soldato blu
    Quando ci sono io, potreste esserci anche voi: se invece di insultare vi limitaste a controbattere.
    @GiusCo
    Hai ragione, concordo con te su tutto, specie su Raboni (meno su Giudici), e ti rispondo che a mio avviso la causa è lo spaesamento, altro che autostima ai massimi. Non sappiamo dove siamo, nè dove stiamo andando. Prova ne siano le rabbiose, astiose parole di cui sono fatto oggetto ogniqualvolta esprimo opinioni e idee che mettano in ballo la grandezza dell’arte; quasi che parlare dell’arte come di una cosa seria e addirittura vitale sia diventato peccato, quasi che si vogliano rimuovere la ragioni intimamente legate all’umano che ci spingono a fare arte e a parlarne. L’imbarbarimento e l’appiattimento sono al livello di guardia, anche su un sito come NI che dovrebbe garantire un livello di civiltà assai più elevato di quello dei talk show televisivi e dei dibattiti sommari.
    @rizza
    Mi dispiace che i miei commenti negativi sul tuo pezzo abbiano scatenato questo mare di volgarità; riguardo la tua autostima, credo che ogni artista che prenda seriamente il proprio lavoro soffra di crisi di coscienza; un artista appagato, che artista è?

  45. Non è vero che il nome non conta. E’ retorica. Il nome conta eccome, sia che si tratti di “potenti” che di “imbecilli”. Il nome ti mette in gioco davvero. Ma quale forma? La sostanza sta anche nel nome. Anche. Nella firma che si mette a un documento. Che sia la patente o un post di Nazione Indiana.

    Tirare in ballo la quota di tolleranza è il solito modo per farsi un bel pianto simulato ad uso “pubblico”. E senza “buttare il tuo nome alla cazzo”, come hai scritto tu.

  46. @ Francesca Matteoni

    Certamente. Ma scrivendo diario non c’intrudevo alcun sintomo di ingenuità. Intendevo il diario anzitutto come forma conoscitiva (del resto non si può ignorare in Enne lo scarto tra Autore e Personaggio, molto interessante questo, applicato in poesia) – forma, quella diaristica, con determinate conseguenze di scansione, di pronuncia, di struttura, inevitabilmente: conseguenze che mi hanno portato a dubitare della riuscita del testo in quanto ‘poesia’ banalmente intesa, in quanto sistema versale, organismo di ‘a capo’. Qui mi sembra che gli a capo impoveriscano il tutto. Mentre resto convinto – e lo dico a scanso di equivoci e di fantasmi identitari da bagarre letteraria: è il relativissimo parere di un ventitreenne – che le mie impressioni, in accordo con Ghisalberto (comm. 32) e Forlani (comm. 36), sarebbero state assai diverse se Enne l’avessi letta come pagina di prosa. Nulla toglie, naturalmente, che questo non possa essere un mio limite interpretativo. Non avevo mai letto Rizza prima d’ora, cercherò adesso altre sue cose.

    @ Diamante

    Su un piano generale, disinteressandomi cioè della rixa in corso, sottoscrivo parola per parola il punto 2 del commento 37.

    @ Giuseppe Rizza

    Per chiarezza. Mi scuso per la superficialità dei miei commenti, ossia di non aver fornito esempi concreti di quelle quattro cazzate che ho detto: irrilevanti poi, se non fosse che sono andate ad inserirsi in un ‘dibattito’ che ha evidentemente perso di vista il suo oggetto. Quello che mi è parso di non trovare in Enne è quel principio di sintesi, di tensione e di tenore figurale che normalmente io, me medesimo, me myself and I, uso ricercare in una poesia. Qui sta appunto anche la relatività della posizione: ossia, in questo caso, un approccio parziale, visto che ho letto a partire da una mia prefigurazione intellettuale. L’etica della lettura potrebbe essere diversa, me ne rendo conto. Accorgersene è già un passo in questo senso, suppongo.

  47. @ Francesca Matteoni

    Certamente. Ma scrivendo ”diario” non c’intrudevo alcun sintomo di ingenuità. Intendevo il diario anzitutto come forma ri-conoscitiva (del resto non si può ignorare in Enne lo scarto tra Autore e Personaggio, molto interessante questo, applicato in poesia) – forma, quella diaristica, con determinate conseguenze di scansione, di pronuncia, di struttura, inevitabilmente: conseguenze che mi hanno portato a dubitare della riuscita del testo in quanto ‘poesia’ banalmente intesa, in quanto sistema versale, organismo di ‘a capo’. Qui mi sembra che gli a capo impoveriscano il tutto. Mentre resto convinto – e lo dico a scanso di equivoci e di fantasmi identitari da bagarre letteraria: è il relativissimo parere di un ventitreenne – che le mie impressioni, in accordo con Ghisalberto (comm. 32) e Forlani (comm. 36), sarebbero state assai diverse se Enne l’avessi letta come pagina di prosa. Nulla toglie, naturalmente, che questo non possa essere un mio limite interpretativo. Non avevo mai letto Rizza prima d’ora, cercherò adesso altre sue cose.

    @ Diamante

    Su un piano generale, disinteressandomi cioè della rixa in corso, sottoscrivo parola per parola il punto 2 del commento 37.

    @ Giuseppe Rizza

    Per chiarezza. Mi scuso per la superficialità dei miei commenti, ossia di non aver fornito esempi concreti di quelle quattro cazzate che ho detto: irrilevanti poi, se non fosse che sono andate ad inserirsi in un ‘dibattito’ che ha evidentemente perso di vista il suo oggetto. Quello che mi è parso di non trovare in Enne è quel principio di sintesi, di tensione e di tenore figurale che normalmente io, me medesimo, me myself and I, uso ricercare in una poesia. Qui sta appunto anche la relatività della posizione: ossia, in questo caso, un approccio parziale, visto che ho letto a partire da una mia prefigurazione intellettuale. L’etica della lettura potrebbe essere diversa, me ne rendo conto. Accorgersene è già un passo in questo senso, suppongo.

  48. E son tanto infelice… Perché io e un n’ho mai visto nessuno in vita mia che e battesse i pugni schiacciando insetti invisibili partoriti dalla malattia di quarcun altro per scacciare le vertigini dalla su’ mente attratta da i’ balcone di hasa con l’inquietudine che gli era, beninteso, un magnete in espansione che avanzava un millimetro a i’ giorno dentro i’ cervello cancerogeno che l’ingoiava.
    D’artra parte gli aveva diciott’anni e passeggiava dentro a una tela di i’ Munch e come un segugio intaccato da una violenta pormonite e fiutava l’odore della morte trascorrendo pomeriggi sui tetti e con Francesca la su’ amica paraplegica sotto una tettoia a fungo che alle infuocate luci del tramonto gli
    assumeva eloquenti suggestioni apocalittiche e
    passarono in successione giornate angoscianti
    da cui tentò invano di riprendessi negli anni
    sollecitandone la catarsi quarcuno ne sa qualcosa
    dipingendo su tela polsi infettati da lamette
    e scie di sangue. Gli ha una sorella più grande
    sposata e separata da un uomo bastardo come solo
    e gli uomini e ci manherebbe e sanno essere
    con cui gli ha avuto un bambino che spesso e ci manherebbe e corre per hasa. A sei anni e i’ su’ mento su i’ braccio i su’ babbo e puliva i’ persico si gira e le sorride e lei e gli risponde mostrando i su’ denti ancora instabili lo fissa ammaliata come fai a cucinare così bene, papi e lui, con struggente accento veneto
    perché ci metto un poco d’amor, e gli è un ricordo confuso ma beninteso un’immagine chiara. Alla fine sopravvive galleggia e prende acqua aria no e ci manherebbe sennò un si è originali in un mare infestato di meduse gli ha perfino tentato di amarlo
    ma gli ha ottenuto scarsi risultati.

  49. @franz
    Conta che le opere di Shakespeare le abbia scritte una persona chiamata William Shakespeare, o che una persona le abbia scritte?
    Inoltre: se davvero il nome conta così tanto, perchè debbo darlo in pasto a chi non mostra il benché minimo rispetto verso di me, come te?
    Ancora: qui non siamo in un commissariato della polizia, né delle idee, per fortuna. Continuo a ribadire che, finché non insulto o diffamo nessuno (cosa che non ho mai fatto né mai farò), non importa la targhetta, ma quel che dico.
    Ancora: mi concedo una civetteria alla Conte di Montecristo, o è vietato? Ora sono l’abate Busoni, ora Lord Wilmore, ora Edmond Dantés (che meraviglioso romanzo!); che problema c’è? Se tu sei a posto con la coscienza, lo sono anch’io, e tanto ti basti.
    Ancora: non amo la retorica, ma è un fatto che ti sei dimostrato, in questa nostra conversazione, intollerante e offensivo. Un fatto incontrovertibile.
    @fabio teti
    Grazie dell’apprezzamento. Penso che nel punto che tu hai opportunamente indicato ci sia qualcosa di più interessante del mio nome e del mio nick.

  50. Beh, ancora una volta fai il furbo. E vabbè, sei in linea con l’umore (nero) della Nazione…

    Cosa c’entra Shakespeare e la sua arte con i commenti di un blog? Nulla. Esattamente nulla.

    La firma non conta? Vallo a chiedere ai “potenti” di cui ti riempi la bocca.

    Vallo a chiedere a Baricco, vallo a chiedere a Giorgio Armani, vallo a chiedere a Luca Barbareschi.

    Scusami se ti sono parso offensivo, ma me la prendevo con quello che scrivevi, non con te che, firmandoti Diamante, non sei nessuno.

    No?…:-)

  51. @franz
    Shakespeare era un esempio, certo che non c’entra col blog, per sua fortuna :-)
    Io non sono un potente, e se lo fossi mi dimetterei: odio il potere. Mi sono riempito la bocca di gente che generalmente non mi si fila, come non si fila quasi nessuno, ma che occasionalmente ha incrociato il dibattito con me. Certo che conta la firma, quando ci sono di mezzo soldi, contratti, eccetera. Ma qua, di mezzo ci siamo io e te, franz e diamante. Un giorno, davanti a un bicchiere di birra (o vino, scegli tu: per me è birra d’estate e vino d’inverno) ce ne diremmo di santa ragione pure de visu, se lo ritenessimo opportuno, altro che nomi. Riguardo Armani e Barbareschi, il primo sentimento che nutro nei loro confronti è (non è bello ammetterlo) disprezzo. Nei riguardi di Baricco invece (escluso il romanziere, che a mio avviso è pari a zero) una certa rabbia, mista a disillusione.
    ps: sono maschio; almeno questo!…………

  52. (Francesca Genti)
    Lei gli ha ragione, un gran successo. Successo n’i senso che co’ i’ minimo sforzo gli ho riso (d’artra parte, prima e gli ero stata male…): e m’è bastato hopincollare alcune hose che gli aveva scritto i’ Giuseppe Rizza.

I commenti a questo post sono chiusi

articoli correlati

La regina del fuoco

di Maria Gaia Belli
Molto molto tempo fa, quando il cielo era più alto della dorsale, la bambina Pauni viveva in un villaggio sulla montagna. Suo padre cacciava nei boschi per la lunga estate, portava a casa carne e pellicce in abbondanza.

Pietre da taglio

di Anna Franceschini
Il quartiere si dipana in cortili interni portoni d’entrata   numeri civici i fili da stendere senza fiducia corde antiche che non servono a nulla Con le amiche ci si nascondeva si andava un po’ fuori di casa erano deserti di persone Avevo un’amica senza colpa   e senza casa

La società degli uomini barbagianni

di Emanuele Kraushaar
Io sono A. Una volta ho chiesto a mia madre perché mi avesse chiamato così. Non ha detto niente ed è scoppiata a ridere. Ricordo la sua bocca che si apriva e i suoi denti bianchissimi.

Il Mondo è Queer. Festival dei Diritti

Il Mondo è bizzarro, imprevedibile, queer. Le sue stranezze ne costituiscono la ricchezza. Con queste iniziative vogliamo tenere vivo il dialogo sull’idea di persona, collettività e famiglia planetaria, promuovendo attenzione e consapevolezza verso questioni di genere, fragilità invisibili e il nostro rapporto con il pianeta in un momento critico degli equilibri conosciuti.

Morire, un anno dopo

di Rebecca Molea
Mi sono chiesta a lungo cosa sarebbe successo: come avrei reagito alla notizia – piangendo? con sollievo? –, come sarebbe stato il dopo – un senso di solitudine perpetua o, a un certo punto, un’abitudine? – e, sopra ogni altra cosa, che significato avrebbe avuto, per me, per noi, per tutti, la morte.

Reincarnazioni

Spalancò la porta di metallo sbatacchiandola senza riguardo; la lucetta della sauna che aureolava Samstag sembrava accecante vista dal fondo del corridoio angusto e buio; lo chiamano effetto Brocken: così che appena emerso dalla nuvola di vapore,
francesca matteoni
francesca matteonihttp://orso-polare.blogspot.com
Sono nata nel 1975. Curo laboratori di tarocchi intuitivi e poesia e racconto fiabe. Fra i miei libri di poesia: Artico (Crocetti 2005), Tam Lin e altre poesie (Transeuropa 2010), Acquabuia (Aragno 2014). Ho pubblicato un romanzo, Tutti gli altri (Tunué, 2014). Come ricercatrice in storia ho pubblicato questi libri: Il famiglio della strega. Sangue e stregoneria nell’Inghilterra moderna (Aras 2014) e, con il professor Owen Davies, Executing Magic in the Modern Era: Criminal Bodies and the Gallows in Popular Medicine (Palgrave, 2017). I miei ultimi libri sono il saggio Dal Matto al Mondo. Viaggio poetico nei tarocchi (effequ, 2019), il testo di poesia Libro di Hor con immagini di Ginevra Ballati (Vydia, 2019), e un mio saggio nel libro La scommessa psichedelica (Quodlibet 2020) a cura di Federico di Vita. Il mio ripostiglio si trova qui: http://orso-polare.blogspot.com/
%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: