Estratti: Ade Zeno
Ade Zeno. Argomenti per l’inferno,2009, No Reply (collana Velvet)
Ho buone ragioni per credere che l’inferno sia qui,e non altrove. Dispongo di argomenti validi,convinzioni radicate,e il fatto che attorno alle ossa mi sia cresciuto questo corpo fiacco e utile a niente non vuol dire che la testa abbia agito di conseguenza. Ne farei a meno, se solo potessi, l’intelligenza vale quanto un tappo di sughero se abbinata a carni marcescenti. Darei metà dei giorni che mi restano da vivere, forse molto di più, per ottenere in cambio i muscoli che mi mancano e l’equilibrio di un ballerino. Sacrificherei l’olfatto, l’udito, la capacità di percepire le superfici sulla pelle, e anche la voce, di quella posso fare tranquillamente a meno. Preferisco mille idioti danzanti a un genio in gabbia. Ma gli argomenti dell’inferno sono altri, e la materia che li fa vivere e proliferare è di una pasta immobile,immutabile,pesante e rigida come cemento. Io sono fatto di questa materia, plasmato dai capelli alle unghie dei piedi, non c’è chimica che possa stravolgere l’ordine delle cose.
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Mia madre non avrebbe saputo fare di meglio,non è per colpa sua che sono così. Si è volatilizzata in un attimo,mi ha impedito di trattenere anche solo un’ombra del suo odore, ha fatto tutto in fretta, di corsa, mi ha lasciato uscire all’aria aperta e un istante dopo non c’era più. Se fosse rimasta con me avrei odiato anche lei. L’avrei guardata a lungo,giorno dopo giorno,avrei cercato di individuare le sue imperfezioni, i suoi tarli,avrei imparato presto a coltivare un’invidia smodata per la sua bellezza, per la sconfinata disarmante beatitudine del suo corpo di femmina. E infine l’avrei amata di un amore terribile e buio, l’unico che io abbia mai conosciuto.
Quando non trovo di meglio per procurargli una qualche dose di dolore, gli chiedo di lei. Non la prendo alla larga, non ci giro attorno, vado dritto al punto, subito a segno, già solo questo dovrebbe insospettirlo: se davvero mi interessasse l’argomento farei con più calma, userei tatto, delicatezza. Lui ci casca di continuo in trappole come questa, si lascia sopraffare con semplicioneria, con rassegnato dolore; prova a combattere, a fingere di essere lui il più forte,l’irremovibile,ma sono tentativi pietosi, è un debole,per certe cose il coraggio è davvero l’unica soluzione, e il coraggio non si inventa, non si improvvisa, mai.
«Hai preso la medicina?» prova a cambiare discorso. Mi fa ridere, è stupido, una stupidità dolce e ingenua che consente ogni genere di sopruso.
«Ma possibile che non si trovi più, che non ci sia un modo per scovarla da qualche parte?»
«Di chi stai parlando?
«Lo sai.»
«No che non lo so.»
«Sto parlando di mia madre.»
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Ho tentato di figurarmi un’immagine del mio nemico. Ha un’aria stranita e livida, un aspetto stanco che si serve di occhi dolci e arrendevoli, quasi senza vita, a metà strada fra lo sguardo di un animale umiliato e i movimenti di una marionetta sganciata dai fili. Il mio nemico è un essere incapace di scaltrezze e mosse studiate a tavolino,non sa che farsene della propria autorità,non conosce l’odio e sostituisce senza accorgersene la rabbia con uno sconforto degno del mendicante più povero e dimenticato. Il mio nemico è l’uomo più inutile del creato. Non provo compassione per lui, né l’invidia che ho sempre creduto meritassero gli avversari più ostili. Lui mi ama, mi adora, e riesce a regalarmi tutte le attenzioni del caso. Non lo perdonerò mai per questo, per tutto il conforto che sa spedire alle mie orecchie e alla mia voce. Se io esisto è solo perché qualcuno ha deciso al mio posto. È sempre così, non c’è nulla di strano,ma avrei preferito lo stesso essere consegnato al niente, piuttosto che a un corpo che anche il più ottuso tra i mostri rifiuterebbe senza esitare. Se io esisto è per colpa sua, una ragione sufficiente a confondermi e a impedirmi di essergli eternamente grato.
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La nostra casa è piccola, insignificante, vuota. L’ho già detto, ma a volte ripetere è utile,lo faccio di continuo, mi esercito a giocare con le stesse idee, con gli stessi parametri, sempre identici, uguali. La nostra casa è la mia prigione, né più né meno, una cella confortevole al punto giusto, ma pur sempre l’inferno in cui sono nato e cresciuto,il mio spazio vitale. Le pareti sono ossa, i soffitti le appendici di uno scheletro semplice e ben congegnato; le tubature che invisibilmente attraversano i muri sono vene silenziose e enormi, trasportano scarti – i miei, i suoi – a volte singhiozzano producendo rumori oscuri, poi tornano a imbalsamarsi, a sorprendersi ferme. Io sono l’organo interno di questa casa senza respiro. Sono il suo sangue, e i suoi polmoni, e sono la sua bocca che parla a piacimento per dire cose che nessuno può ascoltare. Io sono una parte essenziale di questo corpo senza vita, e sono corpo a mia volta ,e aspetto con impazienza il momento di andarmene via,di scappare. Fuggire, è questo che vuoi? E dove vai, dove te ne scappi, Franz? Davvero credi che in un altrove qualsiasi ci sarà un mondo in grado di accoglierti? Sto dormendo,sì,adesso dormo, respiro piano,provo a sognare abbandonando tutto, tutti, lui. Faccio sonni improbabili, e nei sonni sogno,e nel sogno volo,mi incammino,prendo il via alla ricerca di strade impossibili. Ecco, avanzo, sposto una gamba, l’altra, sono movimenti faticosi, ma riesco, sì, riesco: le dita dei piedi vivono, provano a disegnare scatti, giocano a immaginarsi simili a teste, occhi, si guardano attorno.
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Mi giro sulla pancia, sento il freddo del pavimento comprimermi l’ombelico,apro gli occhi. Il tavolo, un frigo,le scatole di mio padre che spuntano da dietro il divano, ancora il tavolo, eccomi, ti sto raggiungendo, arrivo, aspetta un secondo. Nel mio sogno mi sto trasformando,rintraccio le forze ,consento ai muscoli di contrarsi,di spartirsi potenza. Mi aggrappo alle gambe del tavolo, mi tiro su, resto fermo qualche istante, sorrido, eh sì, sorrido. Muovo un primo passo, un altro, oscillo come un equilibrista lungo cavi sottili. Piedepiedino,stammi vicino,fammi scappare da dentro il camino; gambagambetta, lasciami andare, da questa gabbietta fammi volare; a spasso nel buio, nel buio infinito, salto in silenzio,insetto impazzito; piedepiedino, accompagna il bambino, un passo alla volta comincia il cammino.
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Giovedì 12 marzo ore 18
Libreria Archivi del ‘900,
via Montevideo, 9
Milano con Raul Montanari.
www.noreply.it
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Ecco, e finalmente!, una bella scrittura. La parola è pregna, esprime emozioni, appena controllate dall’ incedere narrativo.
Complimenti
Carlo Capone
Davvero, splendida scrittura, bravo Ade e bravo anche Leonardo.
Si può individure in questo bel testo di Ade Zeno una interessante variante della teoria di de Saussure, secondo la quale il nome dell’autore, più o meno mascherato, appare, sempre, all’inizio di ogni opera letteraria.
Questa volta, infatti, si tratta di pseudonimo.
Sarebbe interessante, sapendolo, se e sotto quale forma compare il nome vero.
[JEAN STAROBINSKY, Le parole sotto le parole, Gli anagrammi di Ferdinand de Saussure, Il melangolo, 1982.]
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