Ictu oculi
di Lanfranco Caminiti
Forse, come dice Berlusconi – a cui piace ricorrere al suo repertorio di latino salesiano – parlando della crisi economica, non è evidente ictu oculi cosa fare. Ma a colpo d’occhio, la stravittoria elettorale di Berlusconi in Sardegna e la crisi apertasi nel Partito democratico con le dimissioni di Veltroni segnano il completamento di un processo e l’instaurazione di una nuova fase, di un nuovo periodo. Il berlusconismo – ormai è senso comune – è stato, è per sua costituzione e suoi strumenti invasivo e pervasivo, assoluto. Non è solo un partito, né solo una coalizione ma la progressiva costruzione di un regime intorno un uomo. Quest’uomo ha sinora stravinto e conquistato gli italiani. Ha stravinto nei periodi di vacche grasse, stravince nei periodi di vacche magre, quando, per paura, insicurezza sull’oggi e il domani e per mancanza di credibili alternative, gli si affolleranno intorno, come sempre accade, con consenso convinto o riluttante, delega assoluta o relativa, fede plaudente o ritrosa.
Berlusconi è il re dei nostri tempi, di una democrazia italiana ormai logorata. Lo era già prima in forma di immaginario sociale prevalente, maggioritario, di imitatio, lo è di più adesso in forma di consultazione elettorale e rappresentanza. Il bipolarismo rimane sulla carta, una velleità, in un processo di composizione e scomposizione continua di una opposizione impossibile. Non c’è mai stato in Italia, in tutta la storia del novecento – se si esclude il fascismo, che però era una dittatura con una lista uninominale –, un uomo con i suoi numeri parlamentari, con i suoi voti, dalle Alpi allo Stretto, e isole comprese. Quantunque la sua coalizione sia il risultato di una composizione di forze radicate diversamente in territori diversi, solo la sua persona ne è il collante indissolubile e la vera forza motrice.
La crisi del Partito democratico è sostanzialmente la forma propria in cui la crisi della rappresentanza si è espressa in Italia, una crisi della sinistra – la destra ne sembra immune. Forse anche perché è stata la forma propria in cui la democrazia parlamentare a suffragio universale si è instaurata in questo paese, contro la destra – la destra ha sempre coltivato tentazioni autoritarie, e fino a non molto tempo fa, anzi, operava in tal senso. O, per meglio dire: a sinistra si è più radicata convintamente che la democrazia parlamentare, rinvigorita o difesa a seconda dei momenti, fosse la strada della modernità, della buona gestione e del cambiamento: il Partito democratico, d’altronde, con la congiunzione delle due componenti fondative, «costituzionali» di questa democrazia, quella cattolica moderna e quella comunista riformata, rappresenta e conclude proprio visivamente questa storia. Rimane il convincimento, anche nelle sue componenti più estreme, cioè la forma e le parole, ma non c’è più la «forza», né di persuasione né di dissuasione.
Alla crisi della democrazia rappresentativa in Italia, già scoppiata con Tangentopoli, la destra si è fatta avanti con un nuovo progetto e un uomo nuovo, Berlusconi; la sinistra si è affidata in buona misura ai magistrati e comunque non è mai riuscita a mettere in campo un progetto credibile in grado di reggere e modificare i tempi. Veltroni conclude Martinazzoli.
La scomparsa di una pratica d’opposizione credibile parlamentare, di una vita democratica del parlamento e delle istituzioni, sotto i colpi del berlusconismo trionfante e della crisi della sinistra, configura una situazione davvero nuova. Che affonda nella nostra storia specifica, italiana, così come specifiche sono state e sono sempre le crisi e le risposte d’ogni nazione.
Berlusconi è un sovrano, e non il presidente di consiglio d’una democrazia parlamentare. Non esercita il potere come il presidente d’un consiglio d’amministrazione d’una azienda come la si immagina nei manuali di management, ma – come già in Mediaset, e come in buona parte e ovunque di questo tipo ‘particolare’ di industria della comunicazione – secondo i suoi umori, le sue intuizioni, i suoi capricci, le sue determinazioni. Un sovrano «costituzionale», che non si perita peraltro di esternare le sue scalpitazioni in tal senso.
La sua monarchia democratica si esercita attraverso alleanze con «piccoli regni» territoriali: la Lega lombarda di Bossi, il Mpa di Lombardo in Sicilia, principati e granducati qui e là. Il ciclo non è compiuto del tutto: resta, importante, la Campania – peraltro già governata come un protettorato locale, ma tutti gli indicatori lasciano credere che la conquisterà. E restano enclavi: Torino, Venezia, il triangolo economico e politico delle Cooperative rosse, tra l’Emilia-Romagna, la Toscana e l’Umbria. Isolate e circoscritte – e molto lascia pensare che loro stesse oggi preferiscano così –, come circondate da dazi doganali, possono anche sopravvivere come sono, o forse no, non è importante. Non cambia la situazione generale.
È una situazione geo-politica simile a quella precedente l’unità d’Italia, a personaggi e condizioni più «ammodernate». Ma, in più, c’è, eccome, un sovrano.
Che tutta la costituzionalità e la democrazia e la rappresentanza elettiva di questo paese possano gravare sulle spalle dell’attuale presidente della Repubblica, è davvero una «trincea» politica di nessuna consistenza: i suoi poteri sono limitati a dei rituali di «garanzia» – come d’altronde la costituzione redatta dai suoi padri fondatori si preoccupò di fare, dopo l’esperienza del fascismo, concentrandosi piuttosto sulle forme e le regole di una democrazia larga e partecipata. Ma quando i poteri sono indeterminati più che squilibrati, quali mai garanzie possono esercitarsi?
Berlusconi potrebbe già modificare la Costituzione, ne ha la forza e progressivamente ne potrebbe avere il sostegno di popolo; potrebbe già convocare ad horas il parlamento e cambiare l’inno nazionale, in qualcosa di più ottimista e meno cupo. Che so, sull’eco attuale di Sanremo, e dell’iniziativa rigorosamente bipartisan di annoverare tra i padri della patria anche Mina, potrebbe sostituire l’inno di Mameli con Le mille bolle blu, di sicuro più adatto ai tempi.
Per chi, come me, è convintamente repubblicano, e repubblicano di un nuovo repubblicanesimo a petto di una nuova monarchia, si prospettano non poche difficoltà. Un potere così «nudo e crudo», così dispiegantesi in una forma di vita nazional-popolare, è sconcertante.
Ecco, si potrebbe dire così, e di sicuro a Berlusconi piacerebbe: hoc opus, hic labor: questo il da fare, qui la fatica.
(Roma, 20 febbraio 2009)
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Ma il Berlusconi è effetto o causa? Il versus (perversus), ossia il solco, era già stato tracciato, e lui l’ha seminato a livello mediatico, oppure lui ha fatto da aratro, da buoi e da seminatore? Nella prima ipotesi (in cui credo), il fenomeno berlusconismo viene da lontano, e il filo rosso mi pare il craxismo, i cui “principi” e “valori” politici Berlusconi ha portato avanti, a suo modo certo, da imprenditore-politico e non già da politico “puro”. Ed è questo un altro elemento di novità, secondo me, ovvero che con la crisi della partitocrazia di fine Novecento (il Novecento è stato anche il secolo della forma-partito, del suo apogeo moderno e della sua crisi), e con il contemporaneo affermarsi della religio neoliberista e del mercato unico, al potere a livello mondiale sono andati (o sono stati scelti per andare) politici “impuri”, emissari diretti del capitale o comunque più coinvolti di prima nell’intreccio politica-finanza-economia (esempio massimo: Bush). E la crisi della democrazia rappresentativa (già serpeggiante nella seconda metà del Novecento come critica, vedi il ’68) ha avuto il suo culmine italiano sul finire della c.d. Prima Repubblica, dove il politico è diventato (solo) amministratore e gestore dell’esistente, privo di progettualità politica e di analisi (e ha accentuato più di prima il suo carattere populista: l’arricchitevi se potete di Craxi e, poi, di Berlusconi). Con la c.d. Seconda Repubblica le tessere del puzzle (o i cocci del vaso) sono state ricomposte in modo relativamente nuovo (entrata in scena della Lega, di Forza Italia, e non a caso sono state formazioni che non si sono definite “partito”), ma sempre a far da sfondo c’era e c’è la crisi della democrazia rappresentativa. In più c’è che oggi stiamo raschiando il fondo del barile politico, a livello “bipolare” intendo, e nel fondo ci sono anche le derive da regime e da repubblica presidenziale, che vedo come prossimo obiettivo dei berlusconidi.
Non bisogna trascurare il fatto che, oltre all’effetto mediatico, la crisi della democrazia, i richiami ai tempi arcaici con l’uomo forte, il populismo ecc ecc Berlusconi è l’emanazione di un blocco sociale abbastanza ben definito, che trova la sua espressione nel lavoro autonomo, di varia entità (artigiani, liberi professionisti ma anche grandi imprenditori) che chiedono una riduzione del carico fiscale, della spesa pubblica, e una redistribuzione delle risorse in loro favore, a scapito del lavoro dipendente, che viene spolpato. Questo blocco sociale ha caratteristiche eversive, di antistato, di evasione fiscale, per arrivare alle depenalizzioni dei reati fiscali e legati comunque alle gestioni aziendali e a una liberalizzazione del mercato del lavoro. E’ un blocco che ha preso il posto delle grandi famiglie del vecchio capitalismo, che si sgretola coi nuovi trend di globablizzazione. Berlusconi può rappresentare un aspetto in qualche modo folcloristico, populista, carnevalesco, ma porta con sé tutto il pericolo mortale di un attacco violento alla democrazia e alla tutela dei diritti.
Giusti e precisi, Macondo e Baldrati. Ma ora non si può parlare più di “crisi” della democrazia: in realtà siamo davanti al FALLIMENTO della democrazia. E non è questione di meccanismi rappresentativi più o meno efficienti, più o meno esatti: non è questione, insomma, né di legge elettorale né di forma di governo. E’ questione di un popolo che consapevolmente esprime un potere politico in cui si identifica in pieno: con tutte le sue negatività. E applica in pieno le dinamiche della democrazia formale. Ma ciò che appare come libertà formale si rivela schiavitù sostanziale: italiani schiavi della paura, dell’incultura, del disimpegno, della disinformazione, del semplicismo ostile a qualsiasi approfondimento. Insomma, una mutazione antropologica democraticamente evoluta in mutazione sociale. Ripeto: la democrazia è altro che un segno di croce quinquennale, così come il mondo può essere altro da quello che viene spacciato per l’unico possibile. Ma occorre pensare in grande. Altro che Franceschini…
“Berlusconi è l’emanazione di un blocco sociale abbastanza ben definito”.
Non sono d’accordo, non mi pare sia così, non vedo alcuna definizione, né alcun blocco sociale.
Quello citato è quello sempiterno ed endemico di ogni destra in ogni tempo e in ogni luogo del Novecento.
Tutte le volte che si è verificata una lesione seria dell’assetto democratico è accaduto sotto la spinta di un consenso di massa, che è andato ben oltre il blocco sociale che tradizionalmente è appannaggio della destra.
Oggi non parlerei più di blocchi sociali, ma piuttosto, ripetendomi sino al ridicolo, parlerei di grande ripieno, di una sterminata classe media intontita e inconsapevole di sé, politicamente inerte, cui apparteniamo TUTTI.
Questo, che definisco come Grande Ripieno Sociale è la piattaforma sterminata su cui poggia il potere berlusconiano.
Silvio parla il suo stesso linguaggio, se l’è allevato e plasmato con la televisione da 25 anni a questa parte senza nemmeno accorgersene, voglio dire senza volerlo e quando si è accorto di averlo non ha fatto altro che allungare la mano e prenderselo.
Sono convinto che se oggi Berlusconi volesse potrebbe operare un colpo di stato di stile sud-americano e nessuno muoverebbe un dito: se non fossimo in Europa l’avrebbe già fatto e forse, messo alle strette, lo farà.
Credo che se ancora non si è preso tutti e tutto è perché in senso al centro destra c’è qualcuno che non gradirebbe, tipo Fini e la Lega, cui paradossalmente dobbiamo i residui spazi democratisci che ci restano.
La colpa di quella che qualcuno qui chiama ancora sinistra è di sbavare appresso a quello stesso Grande Ripieno cercando di ottenerne il consenso senza possedere i mezzi e il linguaggio per farlo.
Il modello di Veltroni e di tutto il centro che si proclama a sinistra si vede benissimo che è Berlusconi, anche se adesso Franceschini fa finta di no per cercare di neutralizzare Di Pietro.
Gli stronzi al potere da noi durano vent’anni.
Tanto durerà Berlusconi, se ci va bene
Basta parlarne, occupiamoci d’altro, Berlusconi è ineluttabile.
Gli aspetti sottoculturali – o addirittura folkloristici – del berlusconicmo sono importanti, perché mettono in luce l’imbarbarimento italiano, il populismo, le presunte nostalgie per il regime ecc., ma non bisogna mai perdere d’occhio i blocchi sociali di riferimento. Ogni mutamento ha dietro di sé una spinta, sociale ed economica. Il nazismo è nato, è stato finanziato, sostenuto dal grande capitalismo monopolista che, dopo due guerre perdute, voleva tornare potente, voleva espandersi. Col nazismo ha rapinato materie prime dai paesi conquistati e ha ottenuto manodopora quasi gratuita – schiavi – che comprava dalle SS; ma il nazismo è stato anche popolare, perché il popolo tedesco, sotto il maglio della propaganda nazista, si è attaccato al capro espiatorio degli ebrei, e ha sostenuto il partito nazista che, finanziato dai supercapitalisti, è andato al potere con parole d’ordine anticapitaliste. Il fascismo italiano invece aveva come blocco di riferimento la piccola borghesia, che doveva fare uscire l’Italia dal sottosviluppo arcaico, papalino, latifondista. Senza un popolo piccolo borghese non ci sarebbe mai stato il consumo dei beni che stava iniziando a produrre. Ecco che il fascismo ha promulgato la legge urbanistica forse più avanzata di tutti i tempi, la 1142 del 1939, che di fatto è valida ancora oggi nei suoi principi fondamentali; ha introdotto le ferie, gli assegni familiari, l’assistenza. Ha servitio la piccola borghesia nelle sue mire e nel suo processo di espansione. E ha avuto un massiccio sostegno popolare. Ed è stato il regime che sappiamo, violento e cialtrone, vile e opportunista.
Così il berlusconismo, al di là della miseria culturale delle televisioni ecc. ha il suo blocco sociale, forse meno definito di quelli passati, ma che va studiato e capito. Chi paga è il lavoro dipendente, sulle cui spalle il regime attuale cerca di scaricare il peso maggiore della crisi. E’ un blocco eversivo, che punta a distruggere il più possibile i diritti del lavoro, le tutele, le garanzie. Un blocco di rapina che vuole anche disattivare i meccanismi di tutela della democrazia. Io non so quanto e se durerà, però mi sembra un trend senza futuro, senza uno sviluppo certo, autodistruttivo, perché a differenza del passato, le risorse cominciano a scarseggiare, e non sembra ancora possibile una nuova guerra mondiale per radere al suolo tutto e ripartire.
sono stanco e ho confuso i numeri: la legge urbanistica è naturalmente la 1150 del 1942 –
Tra le tessere “occulte” del mosaico Berlusconi ci metterei anche il programma della P2, cui era iscritto, che si sta realizzando e, tra quelle soggettive, il machismo. Ma, come diceva Gabel nella “Falsa coscienza”, come non si può spiegare la Storia con l’Ebreo, ma si deve spiegare l’Ebreo con la Storia, così non si può spiegare la storia italiana della c.d. Seconda Repubblica con Berlusconi, ma si deve spiegare Berlusconi con la storia italiana non solo della Seconda Repubblica, ma anche di quel passaggio “delicato” e intricato che è stato l’apogeo e la fine del craxismo, Mani Pulite e il rapporto capitale-politica di allora. Per cui più che di psicologismi soggettivi e comportamenti dell’Eroe (Negativo), bisogna partire dall’oggetto che ha provvisoriamente per oggi nome Berlusconi, ma che va al di là di lui perché è sintomo di altro, ossia del rapporto oggettivo capitale-lavoro.
@macondo
per quanto sia pienamente d’accordo sul fatto che berlusconi lo si possa narrare mediante la storia della seconda repubblica, temo che gli strumenti marxisti tradizionali, cioè quelli che puntano a restituire i rapporti di fondo, strutturali, “oggettivi”, dell’assetto economico e secoiale di un paese, eccetera, non bastino affatto.
la democrazia mediatica è una novità storica assoluta che punta ad agire direttamente sulle menti imponendo le narrazioni di chi dispone della maggioranza, non dei mezzi di produzione, ma dei mezzi di comunicazione.
in altre parole: non bisogna dimenticare che berlusconi è lì perché possiede questo tipo di maggioranza e ci rimarrà finché le cose staranno così.
Cercare di capire cosa ha dietro berlusconi, il blocco sociale dominante cui fa riferimento e di cui è espressione, è fondamentale per cercare una via d’uscita. Continuare a parlarne per sviscerarne i vezzi, la natura mediatica, denunciandone le ipocrisie, le sciatterie, il populismo ecc, se pure è importante, non fa che aumentare la sua statura di supereroe pop.
quello che a me premeva sottolineare nel breve articolo e porre alla riflessione è la “specificità” delle cose, dei regimi, delle crisi, delle forme di governo, delle iniziative di resistenza sociale.
leggere le cose per macroconcetti [la globalizzazione, a esempio, per quel che riguarda la crisi economica] mi sembra finisca per rendere ‘impersonali’ e quindi a-storiche le cose.
berlusconi è un fenomeno italiano – di cui si trovano tracce e similitudini in altri contesti sociali e storici – ma che nasce, si costituisce e si espande in forme proprie alla nostra storia nazionale.
e siccome la storia non è lineare, ma va avanti e indietro, di lato e di sotto, “radicare” il berlusconismo nella nostra patria storia – connettendola, ovviamente, con quel che altrove accade e è accaduto -, può aiutarci non solo e non tanto a capire ma anche a ragionare su come intravedere la luce.
la crisi economica, la crisi della democrazia rappresentativa, l’irruzione di un ceto finanziario-amministrativo che si impossessa privatamente del potere pubblico, l’espansione del ceto medio – lo si voglia chiamare lavoro autonomo, middle class o Grande Ripieno -, l’esuberanza di un nuovo populismo, l’intensificarsi di ‘piccole patrie’ nazionaliste e identitarie eccetera sono tutte cose vere e reali e dappertutto, che hanno assunto e assumono però “forme” diverse a seconda dei luoghi [delle composizioni di classe, della storia istituzionale, persino dei “sentimenti” e degli inni nazionali].
murdoch è come e più di berlusconi, ma non ha fondato forza italia; il partito fiammingo è come e più della lega nord ma non ha un risvolto di potere amministrativo della stessa consistenza; le bombe di atocha hanno ‘prodotto’ zapatero, da noi sarebbe andata ben diversamente; sarkozy esercita già i poteri presidenziali che ambirebbe esercitare berlusconi ma non ha lo stesso potere mediatico, e così via.
berlusconi è prodotto della nostra storia, della fragilità delle nostre istituzioni, della crisi specifica che ha assunto nel nostro paese tangentopoli [che c’è stato pure in spagna e in francia, ma è a tutti evidente l’importanza che avevano avuto da noi i grandi partiti e il loro radicamento sociale e territoriale], ma ne è nello stesso tempo soggettività che ‘produce’ riaggregazioni, identità, passioni.
provo a dirla più ‘semplicemente’: berlusconi incarna una storia nazionale [mi pare si chiamasse proprio così quel portfolio agiografico che mandò in tutte le case degli italiani].
l’istinto ‘storico’, aggiornato all’analisi del tempo, porta spesso a identificarlo con un ‘dittatore’ e il richiamo al fascismo viene quasi sovrappensiero.
in parte è così, e certo anche il fascismo è ‘storia nazionale’: alla crisi in germania si rispose con il terzo reich, negli stati uniti con il new deal, e anche qui pesarono le storie e le geopolitiche.
ma non è sufficiente evocare la ‘nostra’ dittatura – la grande guerra, le occupazioni di terre e fabbriche, un regime parlamentare debole: il nazismo, per dire, arrivò al potere con le elezioni, mica con un colpo di stato – e da noi si rispose con l’aventino al “bivacco dei manipoli”.
neanche aggiornandola alla nostra epoca, quella della comunicazione.
io credo che un nodo stia in quell’espressione che ho usato di “monarchia costituzionale”, di sicuro impropria e approssimativa. ma che rende conto, in parte, non solo di come si va configurando il berlusconismo, ma di come fragile sia la “resistenza costituzionale”.
e un altro nodo stia in quell’altra espressione che ho usato, poco più di una suggestione, di un quadro geo-politico italiano simile a quello precedente l’unità d’italia.
i savoia usarono un ‘prestigio’ e il fatto di essere gli unici a possedere un piccolo esercito – che erano i valori del tempo – per ‘riunificare’ un’italia fatta di lacerti e ‘composero’ monarchici e garibaldini, aristocratici terrieri e popolani, indipendentisti lombardi e siciliani, per arrivare a una monarchia come identità nazionale.
qui si parte da una monarchia.
per ora è tutto qui.