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Quattro poesie

di Franco Arminio

stavo al sole
dalla panchina dell’edicola
guardavo la domenica
della gente.
mi chiamano per dirmi
di uno che è morto
e torno spugna
legna topo
niente.

***

comincio a baciarti
e vedo che le stelle
si spostano nel cielo
e tutto il cielo diventa un lenzuolo scuro
su cui luccica il tuo corpo.
ti bacio ancora
ti bacio la bocca
le braccia
ti bacio le mani che escono dal letto
fuori nell’aria chiarissima
dove tu noi sei.

***

a roberto saviano

oggi a napoli mi hanno rubato il portafogli.
era successo molti anni fa, quasi allo stesso posto.
mentre il carabiniere scriveva svogliatamente la denuncia
ho pensato al tuo libro
e alle cose che nella pancia dell’animale
restano sempre uguali.
ieri pioveva e girava per la città
un’umanità annerita.
da solo non puoi fare di più, ma in tanti
bisogna spalancare
la bocca all’animale e farlo vomitare,
deve vomitare tutto quello che ha mangiato
tutti i morti ammazzati, tutti i derubati,
i minacciati,
tutti gli imbroglioni incravattati,
i politicanti prezzolati,
deve vomitare pure
i professoroni e gli impiegatucci, la terra
rubata alle colline, la libertà concessa
ai farabutti.è come fare un raschiamento uterino.
bisogna raschiare bene, bisogna raschiare tutto.

***

conversare con una donna
baciarla
può bastare
per arrivare nel profondo
nel deserto di ogni mio secondo.
ma insisto in questa fuga
verso il nulla, voglio arrivare
al deserto che c’era
prima che dio facesse il mondo.

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79 Commenti

  1. Franco Arminio si tiene alla sua terra; la sua terra diventa mia.
    Non sono nata sotto cielo Irpinio, Napoletano, Capuano, Casertano,
    ma vedo il cielo venire davanti agli mio occhi,
    ho strappato leggendo la lingua disperata di Franco Arminio
    l’inverno in piazza, l’edicola, gli amici,
    la rosa di sale, il sale sul corpo
    la lotta contro l’ombra criminale,
    la malattia, la fitta del paese
    lungo pomeriggio
    di noia, di paura.
    Tanto amore per il paese
    e di dolore
    cifrate
    in dialetto
    mi fà aprire gli occhi
    in grande per assobire
    il tempo delle colline,
    della stazione centrale in Napule,
    il tempo del mare
    sempre più eterno
    alla caccia del paradiso terrestro
    illusione di blu e di palma
    inveci camminano le ombre
    sulla terra violentata
    al deserto del più deserto.

    Per Maria V, Effeffe, Salvatore, Teqnofobico, Franco Arminio, Viola, Rosaria C (del Mattino), Roberto Saviano e tutti che hanno con questa terra un vincolo d’amore.

  2. Caro Arminio, voglio essere sincera come sempre: una volta le tue poesie non mi piacevano, ora sì e molto. Pensi di essere cambiato tu (cioè, la tua scrittura)? O sono cambiata io? Complimenti.

  3. grazie a piero e grazie a voi.
    la poesia dedicata a saviano in mezzo a due poesie d’amore non sta male.
    armin

  4. non direi che è cambiata la scrittura di franco, che leggo da 20 anni…è certo cambiato chi le legge… o ne è cambiato il valore, perchè le parole, resistendo al tempo, acquistano valore

  5. IN QUESTO MOMENTO SULLE RETE CI SONO MILIONI DI POESIE….
    come si farà alla fine di questo secolo a indicare i quattro, cinque poeti che può dare un secolo?

  6. ovviamente questo secolo avrà i suoi 5/6 poeti validi, forse qualcuno in più tra la marmaglia che – fortunatamente – sono consapevole – almeno io – di rappresentare.
    tutto sommato si potrà però anche dire che ci sono stati tanti, forse troppi “poeti” e di molti – forse – si potranno salvare 5/6 poesie…. ma foss’anche una, meglio una voce spesa bene che il silenzio della coscienza.

    grazie.

  7. Non credo ci sia più poesia di un tempo, se ne ha solo più l’evidenza.E poi perché mai tormentarsi su chi meriterà di essere fra quei 5/6 che resisteranno al tempo. Ognuno in fondo sceglie i propri eletti almeno fino a quando non si tradiranno l’uno con l’altro.

    lisa

  8. non so se il problema è salvare 5-6 poeti… non abbiano bisogno di geni, personalità o miti… la cosa interssante sarebbe capire quale parole saranno salvate.. cosa svelerà il tempo dietro certe parole.. quale parole si riveleranno, o diventeranno vere

  9. borriello che però non ha risposto alla tua domanda: “come si farà alla fine di questo secolo a indicare i quattro, cinque poeti che può dare un secolo?”

    ma forse non era una domanda

  10. sempre per Roberto.
    *******

    Pagheremo con la ferocia
    questo nostro lungo ballare
    attorno al tavolo da gioco.

    Azzardo sulla pelle degli uomini
    che abbiamo svestito, smangiato,
    respinto alle loro capanne caparbie
    ossa e miserie sul fondo del mare.

    Lo strazio d’inermi urla dal fondo tubo catodico
    trasmuta in grasse risa, isteriche e metalliche.

    Ci strapperanno via la pelle
    e a morsi la carne dal viso.

    Sarà la morte maschera
    per noi attori a teatro,
    muti spettatori di crudeltà
    spettacolo

    Perché non tremi poeta?

    Perché ho scavato
    nelle parole, sempre,
    scovando la verità.

    E sapevo.

    ***********
    ps:
    ilproblema è forse non salvare 5 o 6 poeti ma sperare che ne nasca qualche milione.
    ciao a tutti

  11. non so voi, ma ormia è come se per le vita fosse una sostanza tossica un fungo avvelenato.
    la poesia è una lavanda gastrica, è il tentativo di svuotarsi dal veleno.

    quanto alla questione della quantità di poeti è chiaro che c’è una fuga nella consolazione estetica e nel sesso.
    scriviamo e pensiamo a sedurre…..
    ormai sono due attività predominanti

  12. (avevo già postato questo commento ma non lo vedo, spero di non annoiarvi con una ripetizione…. in caso anticipo le mie scuse.)

    “la poesia è una lavanda gastrica, è il tentativo di svuotarsi dal veleno.” qui mi trova visceralmente d’accordo

    un po’ meno qui, quando dice: “quanto alla questione della quantità di poeti è chiaro che c’è una fuga nella consolazione estetica e nel sesso.
    scriviamo e pensiamo a sedurre…..
    ormai sono due attività predominanti”.
    Eviterei questa generalizzazione, in uno stesso scrittore (nel senso di persona atta allo scrivere) si possono trovare più generi, momenti diversi, sperimentazione, ricerca, ma anche rifiuto della ricerca, espressione pura, impegno, contenuto….

    Del resto, non si dice nulla di nuovo, Neruda ad esempio ha scritto cose formalmente ricercate e seduttive come la famosa “Canción del macho y de la hembra”, ma ha scritto anche “il muro”… purtroppo di lui si tente a ricordare la prima.

    Il muratore
    dispose
    i mattoni.

    Mescolò la calce, lavorò
    con la sabbia.

    Senza fretta, senza parole,
    fece i suoi movimenti
    erigendo la scala …

    Lento andava e veniva,
    e dalla sua mano
    il muro
    cresceva.

    Pablo Neruda – (1904-1973)

  13. Bè già Montale diceva che forse la poesia è diventata indistruttibille per ragioni di quantità,perchè ce n’è troppa. Comunque sarà pure indistruttibile ma certo certissimo è che se ne legge poca (alla Feltrinelli vicino casa mia da qualche mese la poesia l’hanno trasferita in scaffali bassi che per cercare un libro devi stare accucciato!) soprattutto mi sembra tra i giovani che cominciano a scrivere “d’istinto”…
    Io Franco Arminio lo conoscevo di nome ma confesso che avevo letto poco e di sfuggita le sue cose poi su rebstein c’è stato l’incontro fatidico con la sua poesia (che conto di approfondire) che apprezzo davvero per la forza e la leggerezza. Un caro saluto, Lucianna Argentino

  14. cara natalia
    concordo. è chiara che qui si dicono cose senza badare alla precisione chirurgica…
    l’importante è esprimere delle tensioni ed è importante la voglia di coglierle….

  15. e del resto un poeta che non trema sarebbe un controsenso…

    trovo questi versi decisi, maschili ma tremanti come la voce del poeta che mi figuro nelle orecchie:

    conversare con una donna
    baciarla
    può bastare
    per arrivare nel profondo
    nel deserto di ogni mio secondo.
    ma insisto in questa fuga
    verso il nulla, voglio arrivare
    al deserto che c’era
    prima che dio facesse il mondo.

    ma è solo la mia lettura.

  16. e infatti abbiamo un sacco di poeti che non tremano. poeti inerti come manici di scopa. alcuni sono anche piuttosto conosciuti.

  17. Non sono poesie, ma riflessioni. Che poi siano disposte in versi, non cambia. Mi spiace, ma non è poesia.

  18. @diamante
    Rispetto la tua opinione. Tuttavia vorrei capire la base su cu te la sei formata. Puoi illustrare il tuo concetto di poesia? Cioè, cos’è poesia per te? Se vuoi, naturalmente. Chiesto senza alcuno spirito polemico da parte mia.

  19. sorrido… ma cos’è allora la poesia?
    un insieme di rime, enjambements, figure retoriche, endecasillabi, esametri…?
    la tecnica e la metrica fanno la poesia?
    sarebbe come dire disconoscere un secolo e mezzo di letteratura e rivoluzione della scrittura.
    la poesia è la più grande disillusione della percezione.

    questa di Arminio, che non è un amico e sconosco (mea culpa et ignorantia!), è poesia.

    poi in giro si leggono cose davvero deprimenti, ma non è assolutamente questo il caso.

    Ma davvero senza polemica, mi farebbe piacere sapere cosa per Diamante è “poesia”, oltre le brume sul mare s’intende.

    grazie se vorrà rispondermi.

  20. Volevo essere presente al Diavolo Rosso ad Asti alla presentazione di un suo libro.. Inizio a pentirmi di non esserci andato..
    Sarà per la prossima volta..

    Ivan

  21. Poiché ripeterei più o meno le stesse cose che ho detto a proposito delle liriche di Roberto Bugliani in un altro post, opero un selvaggio copia e incolla, variando naturalmente soltanto i testi.
    Ecco dunque perchè, a mio avviso, non stiamo parlando di poesia. Spero che l’autore non la prenda a male, e che la mia sincerità e passione vengano apprezzate a onta della mia crudezza. Copio e incollo, ma senza l’a capo, il primo brano:

    “stavo al sole dalla panchina dell’edicola guardavo la domenica della gente. mi chiamano per dirmi di uno che è morto e torno spugna
    legna topo niente.”

    Secondo brano:

    “comincio a baciarti e vedo che le stelle si spostano nel cielo e tutto il cielo diventa un lenzuolo scuro su cui luccica il tuo corpo. ti bacio ancora ti bacio la bocca le braccia ti bacio le mani che escono dal letto fuori nell’aria chiarissima dove tu noi sei.”

    Mancano solo le virgole, per ottenere un brano in prosa costellato d’immagini un po’ straniate (neanche troppo), la qual cosa non sarebbe originale ma avrebbe pur sempre una ragion d’essere. Cioè abbiamo (avremmo, dato che adesso m’avventuro in un discorso che si discosta dalle poesie in questione, poiché cerco di spiegarmi per circonvoluzioni) una prosa in qualche modo originale, benché di un’originalità che non porta da nessuna parte. E dove avrebbe da portarci?, chiederete. Rispondo: a un senso che sta oltre una certa quotidiana banalità. Per me, poesia vera è costruzione di senso. Il poeta edifica senso per sè e per la collettività, tiene in qualche modo un diario spirituale per l’umanità, è medico dell’umano nel senso metafisico del termine. E sono profondamente convinto che l’arte, l’arte vera, sia e sia stata indispensabile alla sopravvivenza dell’umano come e più della scienza. L’uomo ha bisogno di fabulare, di raccontare e di creare. Se crea verità (la quale sta nella bellezza, ma pure in una bruttezza esteticamente “bella”, se mi spiego: penso a Bernhard, tanto per citarne uno), l’uomo starà meglio, perchè sarà più prossimo a se stesso. Ma se crea menzogna (e quel che non è vera poesia e vera arte è menzogna), l’uomo starà male, perchè s’allontanerà dalla verità, ovvero dal se stesso di cui è da sempre (dalla famigerata Caduta) in cerca.
    Dunque l’uomo non ha bisogno del “chiacchiericcio”, della gerede, della parola inflazionata, della galleria del vento del pettegolezzo, dell’autoreferenzialità che non prova (o non riesce) a spingersi oltre una comunicazione puntuale di stati d’animo personali e circostanziali, nonché circostanziati. Non si scrive tanto per, si scrive sotto la pressione d’un’urgenza ontologica, la quale chiama a sè necessariamente un’urgenza de-ontologica. Scrivo perchè ho qualcosa da dire, non perchè so scrivere. E benché non a tutti possa venire in mente che “il cielo diventa un lenzuolo scuro su cui luccica il tuo corpo”, oppure che baciando una donna s’arrivi “nel deserto di ogni mio secondo”, ciò non autorizza a metterlo su carta pretendendo di fare poesia. Già nel 1872-1874 Rimbaud inventava, con le ILLUMINAZIONI, una prosa “altra”, apparentemente gratuita, in cui gli oggetti e i concetti più lontani erano accostati con fulminea subitaneità. Ma in quel caso (a parte l’altezza somma del risultato estetico), la grandezza consisteva nell’esplorazione di nuovo senso, in una novità che ancora oggi, a distanza di 140 anni, è tale. Oggi, anno 2009, abbiamo bisogno di nuove idee, o di tacere, in attesa d’una più vera ispirazione. Come cantava Celan, “Tu giaci sporgendoti fuori/sopra di te,/in fuori, sopra di te,/ giace il tuo destino”.
    Occorre sporgersi, non stare alla finestra, i gomiti sul davanzale dell’ovvio, gli occhi puntati su di un paesaggio che tutti (dico tutti) possono vedere.
    Spero d’essermi spiegato a sufficienza. Altrimenti sono qua.
    Un cordiale saluto.

  22. devo dire che ho letto con molto piacere la tua spiegazione.
    D’accordo sull’urgenza e d’accordo con quel senso “deontologico” dell’arte in genere direi, che spinge alla comunicazione in senso vasto ed universale…. ma, perdonami, se così fosse anche tanta “poesia” riconosciuta rischierebbe di non entrare nella sfera di ciò che è poesia.

    comunque …. un bel “pezzo” di commento!

  23. Cara Natalia, credo infatti che molta della poesia conosciuta (e in particolar modo della poesia oggi pubblicata nelle antologie italiane), non sia vera poesia.
    Grazie poi per la segnalazione del tuo link; ho visto però che è pieno di cose interessanti, e che quindi va approfondito con calma e parecchio tempo.
    A presto dunque.

  24. mi è piaciuta moltissimo l’ultima poesia. condivido l’aspirazione. questa pulsione al nulla (insisto in questa fuga/verso il nulla) è una radice di molta grande poesia anche italiana. è tutt’altra cosa dal nichilismo intellettualistico e ludico molto diffuso, che tiene il “nulla” come acquisito, invece che come concetto limite, come oggetto della volizione. la pulsione nichilista di questa poesia d’arminio invece è piena di metafisica e di teologia, è morale, vicina alla tensione al nulla dei mistici, l’inversione di rotta per arrivare al principio (voglio arrivare/al deserto che c’era/prima che dio facesse il mondo.).

    saluti,
    lorenzo

  25. @diamante
    Dissento . hai enunciato un concetto generale di arte su cui si è d’accordo, ma queste poesie hanno a che fare proprio con quel concetto e (parere personale) ne costituiscono la prova che ne convalidano i contenuti. Ma in senso favorevole ad Arminio.
    Dov’è (secondo me ) l’ errore?. Applichi a un testo poetico (che ha una forma “specifica”) una tecnica di analisi “decostruzionista” che s’addice a un testo in prosa. E questo ti porta fuori strada, perché ti fa perdere le coordinate per individuare gli elementi specifici (contenuto, forma, stile) che “connotano” la poesia dei quattro testi. Se utilizzi questa tecnica per dimostrare che essi sono “riflessioni”, operi una mera “tautologia”. Lo sono già “riflessioni”, per come si mostrano. Chiunque se ne avvede, non c’è bisogno di tirar fuori Derrida per ribadirlo. Tuttavia, dove sta scritto che in un testo “riflessivo” non può esservi poesia?.
    L’analisi va fatta con un altro codice e su tre livelli: contenuto, forma, senso.
    Sul piano dei contenuti i testi presentati sono paradigmatici. Vale qui ciò che ha ben individuato Lorenzo Carlucci, a proposito del n.4 laddove afferma “questa pulsione al nulla (insisto in questa fuga/verso il nulla) è una radice di molta grande poesia anche italiana, è tutt’altra cosa dal nichilismo intellettualistico e ludico molto diffuso, che tiene il “nulla” come acquisito, invece che come concetto limite, come oggetto della volizione; la pulsione nichilista di questa poesia invece è piena di metafisica e di teologia, è morale, vicina alla tensione al nulla dei mistici, l’inversione di rotta per arrivare al principio (voglio arrivare/al deserto che c’era/prima che dio facesse il mondo.)” E io completo il concetto aggiungendo che lo smarrimento, il sentimento del nulla che c’è nel testo n.1, prodotto dalla notizia di una morte – nel mondo di FA- viene vissuto con vero e proprio sentimento panico : “e torno spugna/legno topo/niente”. Esattamente la tensione al nulla dei mistici (Meister Eckhart, “bisogna dissolvere l’io nelle cose, farsi “assorbire dalle cose” eccetera). A cui fa da contrappunto il semplice e intenso sentimento di identificazione dell’ io in quel “tu” femminile che si fa “noi” (il corpo della donna come ritorno inconscio al corpo della madre terra, acceso temporaneamente dal sentimento d’amore per la propria compagna, altro non è –in positivo – che quell’ “arrivare/ al deserto che c’era/ prima che dio facesse il mondo”. Qui insomma il sentimento “orgasmico” dell’amore vissuto come un “pieno” che placa temporaneamente il vuoto (nulla) ch’è fuori. Come fai a non cogliere il bellissimo “enjambement” (o dissolvenza, fai tu) di simboli e tenere immagini dato a partire dal semplice “incipit “ : “comincio a baciarti/e vedo che le stelle/
    si spostano nel cielo/e tutto il cielo diventa un lenzuolo scuro/su cui luccica il tuo corpo”. E la costruzione lentamente procede col procedere dei baci, e “dissolve” in un luogo “altro” dalla propria camera da letto “ti bacio le mani che escono dal letto/fuori nell’aria chiarissima/dove tu NOI sei”. Bellissima, la chiusura, dove l’interpolazione tra sei e noi, mette splendidamente in rilievo, con un troncamento ritmico, quel “noi” che realizza per un attimo la fusione dei corpi col “corpo” del paesaggio della propria terra. Che qui, per un momento solo, è “riposo”, un lasciarsi andare ; ma ti assicuro che nella poetica di FA, questa lotta tra il proprio corpo/essere e quello del paesaggio marginalizzato in cui vive, è una vera e propria guerra , una “terza guerra mondiale” (Ti consiglio di leggere CIRCO DELL’ IPOCONDRIA, illuminante in proposito).
    Il testo dedicato a Roberto Saviano parla da solo. Un banale “fatto di cronaca”, personale, dà il la a una riflessione civile costruita sull’immagine della città metropoli come corpo di un animale /mostro; il testo, svilppato con versi lunghi,prosastici (prevalgono gli ottonari doppi), prende via via il ritmo dell’ invettiva e poggia sull’ utilizzo prima parsimonioso poi crescente della rima baciata nel corpo del testo (bisogna spalancare/la bocca all’animale e farlo vomitare,/deve vomitare tutto quello che ha mangiato/tutti i morti ammazzati, tutti i derubati,/i minacciati,/tutti gli imbroglioni incravattati,/i politicanti prezzolati/”) e fa perno sulla reiterazione della parola “tutti”, e nella chiosa finale “bisogna raschiare bene/ bisogna raschiare tutto/”, che rimanda allo slogan “pagherete caro, pagherete tutto”. Testo che, non a caso viene interpolato tra il n.2 e il n.4 e che a loro volta, sono preceduti dal n.1. Voglio dire che i quattro testi, hanno un intimo legame: “testimoniano” il “corpo” dell’impegno poetico di FA, che non è mai “privato” o “intimista”, ma ha a che fare con un presente reificante, con la lotta dell’io di paesi e paesaggi umani spinti al margine, svuotati del proprio sé (umano e geografico): siano essi il paesaggio del proprio sé interiore che quelli dei paesi o della grande città (vista come il corpo di un enorme animale, che tutto inghiotte nascondendo nel proprio “sé” (riecco l’antro/nulla, quel “deserto” che c’era prima che “dio facesse il mondo”. Ma stavolta rovesciato nel suo aspetto negativo)
    Sul piano della forma, detto già del n.3, dico che gli altri hanno un ritmo con un “metro” inconfondibile, che “si fa” istintivamente, col procedere del “respiro” poetico innescato dalla “riflessione” (una domenica seduto a osservare le persone nel paese; un momento di tenerezza amorosa, la bellezza di conversare con una donna (altro da sé). Hanno costruzione molto prossima al metro e al ritmo dei “lirici greci”.
    Prendiamo il primo, che tu hai completamente “decostruito” straniandolo in prosa:
    Lo schematizzo cosi: 9 versi( 4 di “fronte”(da “stavo al sole” a “della gente”; e 5 di “sirma”: da “mi chiamano” a “niente”), che ritmicamente , è cadenzato da un 2-5-5–2 (la “fronte”) e da un 4-4-2-2-1 ( la “sirma”), dove i numeri indicano la caduta dell’accento ritmico. Se poi osservi i piedi del verso della fronte, vedi che predomina l’anapesto (doppio accento breve in arsi e accento lungo in tesi) , mentre nella sirma predomina il piede “spondeo” del verso (due accenti lunghi in arsi: mì/ chià/ma/no/pér/dìr/mi ecc. ecc.), fino a chiudersi nel troncamento dell’unico accento ritmico di niénte. Il tutto legato da una sola rima :gente/niente. Non a caso a chiusura di fronte e di sirma e, cosa straordinaria, opposti speculari nel “senso”, gente/niente, che somma nel niente” dell’ io poetante. Ti risparmio l’analisi degli altri due, ma se conosci la metrica antica e fai questo esercizio di verifica, vedrai che le cose stanno così.
    Che significa tutto questo, ai fini della formazione del “senso”, sia sul piano del contenuto che della forma con cui è espresso?
    Che è una poesia” meditativa/riflessiva semplice ma intensa, perfetta nella forma, che è data non dall’artificio linguistico, ma dalla “spinta” sincera, panica a sfuggire al senso del nulla e al suo fascino. Che va al “cuore” delle cose ed ha qualcosa di archetipico. E, in quanto tale, “parla” e ritorna, nel ritmo e nella forma, “istintivamente” all’antico. Insomma è un meraviglioso anacronismo che va in direzione “ostinata e contraria” rispetto agli schemi asfittici e ai “giochi linguistici” prevalenti in molta poesia di moda.
    Sono pronto a scommettere che FA non ha la minima idea di cosa sia, tecnicamente parlando, la metrica dei lirici greci. Eppure, da vero poeta e da figlio della “magna grecia”, ha ri-elaborato un modello archetipico. Dall’ inconscio poetico, si capisce.
    E io credo che lui “ scrive sotto la pressione d’un’urgenza ontologica, la quale chiama a sè necessariamente un’urgenza de-ontologica”, come tu dici; e quell’urgenza deontologica ( o etica, più semplicemente) è perché “ha qualcosa da dire”. Quel qualcosa da dire è il suo “dar voce” – nelle forme che ho cercato di illustrare- a quella “pulsione al nulla” e alla lotta che ne consegue per sfuggirvi; è il suo denunciare –attraverso gli effetti nel proprio corpo e sul corpo del paesaggio- la de-solazione prodotta nei paesi (e negli abitanti) posti ai margini da un “centro” che va perdendo sempre più le coordinate dell’ essere. Cosa cerchiamo di fare noi che non vogliamo arrenderci al cinismo post-industriale? Non sono temi che parlano di noi? Che parlano a tutti? Non è nuova/antica poesia civile?
    Lealmente
    Salvatore D’Angelo

  26. Certo, prima cosa, queste poesie sono un sublimato di piacere, è quindi un dovere ringraziare Franco Arminio per questi gioielli.

    Ma, in conseguenza, un dovere è anche ringraziare Salvatore D’Angelo per la sua magnifica lezione.

    Ne deriva quindi un grazie per Diamante che, con la sua sincerità, l’ha provocata.

  27. e invece ha ragione il Soldato Blu…. ed è stato un piacere leggere il commento di Salvatore D’Angelo, che ringrazio per l’amore con cui ha mi ha trasmesso l’essenza della poesia, non solo attraverso i versi (bellissimi!) di Arminio, ma tracciandone le note in modo davvero “universale”.

  28. @salvatore d’angelo
    Non ho affatto decostruito, anche perchè gli “ismi” mi danno l’orticaria. Ho (premesso che le liriche mi parevano assai flebili) tentato di rovesciarle in prosa dato che, almeno così, mi sembravano acquistare un qualche bagliore; per poi dedurne che si trattava di bagliori estemporanei, vecchi e però senza la dignità dell’antico (l’antico non è vecchio, poiché si declina anche al futuro. Tutti parleranno degli antichi, nessuno dei vecchi).
    Non ho affatto enunciato una tautologia: la poesia può, non deve essere necessariamente riflessione; spesso anzi le poesie più potenti sconfinano nell’intimazione apodittica, e credo che non molto abbia, la poesia che arde, a che vedere con la riflessione. La vera poesia, caro Salvatore, è profezia, ovvero una riflessione all’ennesima potenza, una riflessione impossibile, una scommessa dell’esistere. Con ciò ti attesto tutta una tradizione lirica moderna, che a me pare la più importante benché in parte ancora sotterranea (le reali novità richiedono tempo), che riassumo così: Holderlin (e non Goethe), Wordsworth (e non Coleridge), Rimbaud (e non Baudelaire), Dickinson, e poi Trakl, Celan, Achmatova, Cvetaeva, Char, Hart Crane, Ungaretti (qualcosa, non tutto; e non Montale) Luzi (qualcosa, non tutto; e non Zanzotto); una linea orfico/visionaria che non sa cosa farsene, permettimi, della riflessione, poiché emana luce che ancora non c’è, invece di riflettere luce già stantia. I fiumi a nord del futuro, invocava Celan.
    Il concetto del nulla: non credo che Arminio sia il primo a misurarsi con questo tema, né l’ultimo: dai lirici greci fino alle più grandi voci moderne, in ogni campo e non soltanto in letteratura, l’arte è rimasta ossessionata da tale orribile mistero. Non occorre però una sensibilità necessariamente artistica per restarne affranti, e se mi si ripete un concetto vecchio di 4000 anni vorrei che me lo si ripetesse in maniera esteticamente originale; e ad Arminio che dice “ma insisto in questa fuga/verso il nulla, voglio arrivare/al deserto che c’era/prima che dio facesse il mondo”, rispondo con un semplice, invincibile “E il naufragar m’è dolce in questo mare”: un unico verso che ribaltando in dolcezza l’orrido, mi fa vedere la questione da un altro, sgomentante punto di vista, un punto di vista ben più originale e definitivo, nel 1819, di quello d’Arminio nel 2009.
    Riguardo la poesia di Arminio che tu definisci “orgasmica”, quella con la presenza femminile: premesso che il “noi” finale io l’avevo scambiato per un errore di battitura e pensavo l’autore volesse dire “non” (il quale ci sarebbe stato meglio, “noi” è una palese forzatura e dal punto di vista concettuale e da quello sonoro, e il tutto pare ridursi a filastrocca); premesso ciò, io non vedo nessuno sconvolgente enjambement, bensì una sequenza d’agganci concettuali alquanto scontati; non vedo forze paniche o erotiche (l’erotismo in letteratura, e specie poi in poesia, è difficilissimo e rarissimo, caro Salvatore), ma una collana i cui ganci che tengono assieme le perle si vedono tali e quali mentre leggi: e una poesia che svela i propri trucchi mentre si va srotolando sotto il tuo sguardo alla prima lettura, che poesia è?
    Sul brano a Roberto Saviano: mi basta pochissimo per derubricarlo dalla voce poesia, purtroppo: i termini “svogliatamente”, “incravattati”, “prezzolati”, “professoroni”, “impiegatucci”, appesantiscono a tal punto l’insieme che sembra di leggere un articolo di cronaca, non una poesia. Dunque il tema, qualunque sia, non m’interessa più in quanto poetico; può interessarmi in quanto civile: allora vado a leggermi L’Espresso, o uno dei tanti libri di denuncia, o Saviano stesso (che non sopporto molto, ma questo è un altro discorso). Infilare il civile in poesia senza che la poesia ne venga distrutta è molto arduo, poiché sovente il civile diventa ideologico, e l’arte ideologica è un frutto marcio. L’arte è idea, non ideologia; di quelle ve ne sono già sin troppe.
    Sul primo brano, di cui tu magnifichi la metrica: la metrica non mi basta. Conosci Beppe Salvia? E’ stato un grande talento, e l’ho parecchio amato appena scoperto; ma quando mi sono accorto che non mi dava molto più che una musicalità ben appoggiante, anche ammaliante alle volte (cosa che Arminio non ha), l’ho lasciato. E qui torno al mio punto di partenza. La poesia è rivelazione, non ornamento. Che Arminio scriva sotto la pulsione d’un’urgenza ontologica, io non lo metto in dubbio. Ma se è così, la sua urgenza non è abbastanza urgente da porci in stato d’urgenza, da mobilitare forze nuove, da risvegliarne di sopite. Questa naturalmente è la mia impressione, e che tu possa averne una diametralmente opposta è la straordinaria bellezza e al tempo stesso lo straordinario dramma dell’avventura artistica e critica.
    Ciò detto, mi spiace per Arminio. Ma mi auguro che se ne strafreghi delle mie opinioni.

  29. @ Diamante

    Penso che tu sbagli:

    “Ungaretti (qualcosa, non tutto; e non Montale) Luzi (qualcosa, non tutto; e non Zanzotto)”.

    codesta è questione di schieramenti, non di poesia.

    Altrimenti, in base alla tua oggettività, io dovrei suicidarmi: ho sempre sentito Ungaretti come un diversamente abile della poesia e Luzi invece come un aborto, unto, per accanimento spirituale, con l’estrema unzione.

    Montale e Zanzotto, per me, sono le due cime.

    Come la mettiamo? Mi suicido?

  30. @ diamante
    Prendo atto di quello che dici, ma rimango della mia opinione per quanto riguarda la maniera di procedere circa l’analisi di un testo, che dev’essere obiettiva. Altra cosa è se esso non piace perchè si ha una “idea generale” di poesa, che sta lì, nell’iperuranio dei propri valori estetici , e sulla base di ciò (questa sì, nuova e più insidiosa forma di “ideologia poetica”), si giudica in maniera tranchant tutto ciò che ad essa non si confà. Ne prendo atto, ma non attribuire a me questo vizio d’origine. Tra l’altro mi fai dire cose che non ho mai sostenuto (la poesia di FA non è “orgasmica”, ad esempio. ). Ma poco ne cale. Io ho semplicemente detto che quella di FA è una poesia che “parla”, perchè è “semplice e intensa” e , nei 4 esempi proposti, ne ho letto , alquanto sommariamente, la struttura e cosa essa denotava. Non l’ho letta sulla base di una idea “assoluta” di POESIA. Perciò t’avevo fatto quelle domande, per capire il tuo punto di vista. Tra l’altro, come dici anche tu, la poesia di FA ha molti elementi costitutivi presi dalle forme popolari, (come i lirici greci, appunto) ivi inclusa la “filastrocca”, e l”invettiva”, forme che sembri disprezzare. (Sarà mica per reazione ai “guasti” operati dalla tradizione scolastica? In tal caso, hai la mia solidarietà.) Non conosco Beppe Salvia . Ma vedrò di rimediare. L’elenco che fai non è disprezzabile, tuttavia non ci sarebbe stato Rimbaud senza Baudelaire. Caro D. vedi che vi sono mille modi di “fare poesia”, non c’ solo la strada orfico-visionaria, che pure ha dato bei frutti (A proposito, nel tuo elenco non vedo Dino Campana, che trovo un autentico visonario che “parla” una lingua molto più vera rispetto all’ osannato (nel suo tempo) D’Annunzio. Nel tuo elenco non c’ è Amelia Rosselli (leggiti Variazioni Belliche,Serie Ospedaliera). Ma gli elenchi – si sa- sono sempre individuali e parziali. E temo che quell che ti propongo non passeranno il vaglio dei tuoi “assoluti estetici”.
    Ad ogni modo, c’ è sempre tempo per ricredersi.
    Tante belle cose. E senza rancore.
    Salvatore D’ Angelo

    P.S. Ah, insisto, la ” non – poesia “di FA è uno splendido anacronismo. Dunque né antica né nuova nè vecchia.

  31. Vedo ora l’intervento di Salvatore d’Angelo.

    Già: per chi non suona il Campana?

    Io ho detto solo Montale e Zanzotto, perché su quest’altro non si sofferma nemmeno più la nostra attenzione, tanto è pervasivo e indispensabile. Come l’aria che respiriamo.

  32. Carissimi salvatore e soldato blu,
    eccomi a voi. Suicidarsi perchè non si è d’accordo con me mi pare eccessivo. Al limite, soldato, parla con Camus.
    Stimare Montale è doveroso, Zanzotto un po’ meno (è, a mio avviso, un eccellente critico letterario, AURE E DISINCANTI e FANTASIE DI AVVICINAMENTO sono scritti straordinari; non sopporto invece i suoi borborigmi in versi, anche se alcune cose da salvare ci sono, ma davvero poco in relazione alla mole pubblicata; quanto a respirarlo, non esageriamo, ci sono profumi migliori).
    Caro salvatore, perchè te la prendi? Non sei tranchant anche tu dandomi del tranchant? Qua si discute, pane al pane. Campana l’ho dimenticato, come altri del resto (il mio era un “folle volo”), ma è poeta eccezionale e sì, visionario. La Rosselli l’ho letta e non mi piace (vuoi uccidermi?). Rimbaud non ci sarebbe stato senza Baudelaire, forse; ma Baudelaire usurpa a Rimbaud il ruolo d’autentico iniziatore della modernità (ancora per poco, preconizzo), dacchè ha versato, come disse l’enfant prodige medesimo, “vino nuovo in otri vecchi”. La letteratura è una fitta rete di relazioni e competizioni, ma venire prima cronologicamente è meno importante che scattare un’istantanea all’essere totale, a mio avviso. Oppure no? Monti viene prima di Leopardi, e allora? D’altronde m’aspettavo questa contestazione su Baudelaire, ma speravo vivamente me la risparmiassi. Baudelaire è veramente…accademico! D’Annunzio è nullità poetica allo stato puro.
    Non ho assoluti estetici, cerco solamente di non farmi menare la mosca al naso. Conosco la poesia e la prosa, e ho le mie idee, come te, suppongo. Tutto qua.
    ps: caro soldato, forse sei un po’ severo con i poveri Luzi e Ungaretti, non trovi? Al tuo confronto sono una mammola. Ma li hai letti bene?
    A presto.

  33. @diamante
    Per la verità, a proposito del testo n.2, a primo acchito anch ‘io avevo letto “dove tu NON sei”. E in tal caso il “senso” era più coerente col sentimento generale di “lotta panica” tra il corpo dell’ io poetante e il “corpo del paesaggio” esterno (un “luogo” connotativo dei testi di FA); ma il testo è così anche sul blog di FA. O può darsi che sia un doppio errore di trascrizione. Ma tant’è .
    Guarda che non me la prendo affatto né mi sogno di ucciderti se non ti piace Amelia Rosselli. Così come di certo Soldato Blù non si suiciderà.
    Caro D., nesuno vuole farti passare la mosca al naso, ci mancherebbe.
    Suvvia, non essere così animoso

  34. @ diamante
    d’accordo per d’annunzio (allora vedi, come l’animosità tende a “proiettare” sull’altro giudizi di valore che non sono stati dati? d’annunzio, figuriamoci!. Dissento su Baudelaire. Il nuovo l’ha portato lui, Rimbaud gli ha dato lucentezza e forma definitiva…. Però , sai che ti dico? Mi fermo qui, perchè si rischia di fare la figura dei “galletti sapientoni”. Passo e chiudo.

    Tante belle cose e senza rancore.

  35. Se posso, modestamente e in punta di piedi, direi che non si può dimenticare in questa serie di nomi che stiamo enumerando – se parliamo di morte, eterno, nulla, vuoto, esistenza, etc. – l’opera omnia di Giorgio Caproni e nello specifico “Il conte di Kevenhüller”, che, inter nos, reputo un capolavoro assoluto del Novecento mondiale.

  36. qualche spunto strettamente tecnico sul modo migliore di leggere arminio, visto che lo seguo da anni. innazitutto diamante tenga conto che franco ha una produzione sterminata, e che queste sono solo annotazioni che produce più o meno come parla. un lettore selettivo e elettivo come te, dovrebbe ovviamente giudicarlo dai testi selezionati e eletti, che sono altri. in particolare ti consiglio Circo dell’ipocondria. sostenere che lì non c’è urgenza espressiva, mi sembrerebbe follia. tieni conto inoltre che la musica di franco prende spesso un certo tempo ad essere colta nella sua unicità – non saresti il primo caso di lettore che si ricrede. questa peculiarità non consiste nè in un’eccezionale novità contenutistica, almeno a confrontarla coi “sommi” come tu hai fatto, nè in rivoluzioni metriche. va rintracciata soprattutto nella qualità delle immagini, e in una grazia rigorosa, una solidità vocale e grafica, direi, che dopo un po’ ci si accorge che possiede solo lui. non mi dilungo. molto ci sarebbe da obiettare sull’ingenua drasticità con cui “tranci” addirittura su baudelaire e ungaretti. assai bello uno dei post di d’angelo.

  37. @ Diamante

    Per me sei un invito a nozze, ma questa volta passo.

    Se la tua domanda fosse stata: Luzi e Ungaretti li hai letti? La risposta sarebbe stata sì.

    Ma la domanda era: li hai letti bene? E io non riesco a capire cosa significa.

    A meno che tu non voglia dire che legge “bene” un autore chi poi si trova d’accordo con te.

    Se invece la cosa fosse piu semplice, e “bene” significa “in modo approfondito”, allora la risposta me la suggeriscono le tue parole:
    “non esageriamo, ci sono profumi migliori” del non.profumo e della puzza.

    *

    E’ vero, per quanto mi pare di capire, che non hai “assoluti estetici”.

    L’impressione è che tu confonda poesia con qualcos’altro.
    Per esempio con l’esperienza che ci sta dietro.

    Il mistico.

    Ma ci sono due modi di affrontarlo.

    Uno è la mistica che tende a “realizzare” la sua esperienza informe e si serve del linguaggio della tradizione per riconfermarne il carattere collettivo e normativo.

    L’altro è quello che dell’informe ne fa sostanza di linguaggio, negandogli qualsiasi contenuto – distruggendolo nel caso – per presentarsi nella dimensione collettiva come parola senza fondo.

    Impossibile, delle poesie e degli autori, dire se veramente il mistico ne sia stato il presupposto.

    Il fatto è indecibile e ognuno di noi è condannato a prendere una cosa per l’altra.

    E’ un test di Turing.

    Può esserci uno abile che scrive poesie dandoti la sensazione di aver attraversato inferni e paradisi, rimanendo comodo in ciabatte.
    Un altro, che invece l’esperienza l’ha fatta davvero, te lo dice con quattro parole in croce, che tu consideri banali.

    Ecco. Penso che l’esperienza poetica indicata da Diamante come vera,
    si situi al confine tra mistica e poesia, e che ci sia in lui una pretesa che dietro il linguaggio ci sia, ancora, qualcosa di “vero”.

    p.s.

    Per chiarezza: “il mistico” a cui mi riferisco è quello di Wittgenstein.

  38. @ Salvatore d’Angelo

    Lo ammetto. Ho calcato la mano su Ungaretti.
    Ma lo avevo detto: codesta è questione di schieramenti, non di poesia.

    E affermazioni come questa: ” Ungaretti (qualcosa, non tutto; e non Montale) Luzi (qualcosa, non tutto; e non Zanzotto)” mi paiono, nella sostanza, ben più oscene del linguaggio che ho usato io.

    D’altronde, quello che mi è capitato di dire di Luzi, non è nient’altro che un modo un po’ più colorito di comunicare le cose che penso veramente di lui.

    Per me infatti, in poesia, esiste anche un “test Luzi”.

    Da anni, quando capita l’occasione, io chiedo: ma ve lo ricordate, voi, un verso di Luzi?

    Il 99% non lo ricorda, perché non c’è niente da ricordare.

    L’uno per cento che invece ne ricorda uno, e che te lo recita, dimostra in modo immediato che non possono essere ragioni estetiche quelle che hanno detrminato la scelta, ma ideologiche o da minoranza religiosa.

    E tu ti trovi, appunto, invischiato in un problema di schieramento, in cui l’unico dovere che ti resta è uccidere l’avversario per salvare la “tua” poesia.

    @ Viola

    Riconcordo su Caproni, anche se non la considero una mia vetta.
    Tutto dipende da quante vette vuoi che il tuo paesaggio abbia.

    Su Wittgenstein mistico sono non d’accordo, ma d’accordissimo.

    Infatti i due modi di vedere il mistico, nel mio intervento precedente, mostrano una corrispondenza, il primo, la mistica, col “Tractatus”, il secondo, la poesia, con le “Ricerche”.

  39. capisco bene che intende il soldato quando parla di un test Luzi. in questo senso, il test “positivo” è Penna, che mi chiedo perchè nessuno abbia citato. naturalmente non cadiamo nell’errore di diamante, questi test sono autorizzabili solo per uso ricerca, non diagnostico (e comunque, qualche mezzo verso di luzi lo ricordo)

  40. @ soldato
    ma se diversamente abile per ungaretti lo intendevi in senso riduttivo, allora non siamo assolutamente d’accordo… è quello che io amo di più

  41. l’operazione di ibridazione, etico-estetico-politica, sorretta da una precisa volontà di rottura delle gabbie e dei formalismi di genere, è il filo rosso che attraversa tutta quanta la produzione di Arminio e ne indirizza tangibilmente ogni intenzione di scrittura: il risultato è uno dei pochi prodotti notevoli rintracciabili nel desol/ato/ante panorama letterario italiano attuale. basta mettere il naso e l’occhio appena al di là dei quattro testi qui postati, volendo: rimanere al di qua, nel migliore dei casi, produce, come direbbe un “famoso” saggio, dispute da lisceali fuori tempo massimo.

  42. sig. funiculì funiculà… d’accordissimo su arminio, tuttavia mi chiedo … lei, da quanto si trova fuori tempo massimo?

    sa … un altro saggio diceva che il confronto ed il dibattito sono momenti di crescita senza età.

    non me ne voglia se ironizzo, ma talvolta mi pare il caso d’abbandonare il serio per il faceto…. ed ancor più spogliarsi di boria per aprirsi all’ascolto.

  43. non se la prenda, sig.ra Castaldi: è tutto un gioco, del resto. come lo scambio delle figurine: dieci Luzi per un Montale, dieci Montale per uno Zanzotto (è la mia proposta, quest’ultima).

    la risposta alla sua domanda, poi: da sempre: sono proprio nato “fuori tempo massimo”, io.

    sull’aprirsi all’ascolto, pienamente d’accordo.

    così pure su “confronto” e “dibattito”. appunto…

    saluti, salute e cordialità.

    p.s.

    la “boria” no, però, me la lasci, la prego, se no resto completamente nudo…

  44. @ funiculì funiculà

    ma non è come lo scambio delle figurine.

    Il dieci per uno, p. es., nelle figurine vale perché c’è un mercato, e quel rapporto è oggettivo. Tant’è che si realizza nello scambio.

    Il dieci per uno nei poeti, è dato da una perversione mentale – nemmeno liceale perché permane negli adulti – che scambia un valore affettivo e quindi soggettivo, con un valore oggettivo, e ne fa una scala di valori.

    Ora, mi meraviglia che lettori e appassionati di poesia, siano tanto refrattari all’autopercezione, da non accorgersi che quella scala non è altro, banalmente, che una misura, intuitiva, delle loro reazioni affettive alla lettura di poeti diversi.

    Penso che, quando si discute di queste cose, specialmente in rete, i linguaggi da usare debbano essere scelti in modo preciso, per non creare confusione tra questi due diversi piani.

    Una cosa è l’intervento di Salvatore D’angelo 27 febbraio 21:14, che sceglie e usa un linguaggio critico, basandosi su dati oggettivi e mirando a un giudizio che si può accogliere o contestare. Ma in quest’ultimo caso confutando ciò che afferma lui.

    Altro è ammantare con un linguaggio pseudo.critico proprie preferenze soggettive, dando giudizi che, nella sostanza, non si discostano per niente dalle mie battute, le quali, però, sono introdotte da un evidente, se uno lo vuol vedere: ho sempre SENTITO che…

    Senza alcuna pretesa che questo mio sentire sia condiviso da altri.

    Ma anche con la pretesa, certo, che non sia messo in discussione da alcuno, trattandosi di linguaggio privato e perciò non falsificabile.

    Banalmente: al cuor non si comanda o i gusti sono gusti.

    L’unica funzione che possono avere i miei commenti, come altri, è quella di dire: “Ci sono anch’io”.

    Ed è solo un punto di partenza per ciò che indica Natàlia: confronto e dibattito.

    Senza boria, perché quella è la zavorra che ci costringe al punto soggettivo di partenza, senza mai poter spiccare il volo con gli altri.

  45. Mamma mia che casino! Ok, uno per volta.
    Salvatore, il nuovo l’ha portato Rimbaud, tant’è che ancora non ce ne accorgiamo in pieno. C’è un bel libro di Marietti editore, intitolato RAPSODIA SELVAGGIA, che raccoglie una sterminata serie di pareri e saggi dei più autorevoli letterati e scrittori francesi del Novecento, i quali assegnando a Rimbaud uno statuto primario e assoluto, non nominano mai Baudelaire: mai. Baudelaire è stato un grande poeta, Rimbaud qualcosa di diverso; Baudelaire è superiore a Rimbaud soltanto (e non sempre) quanto a musicalità; aveva un orecchio finissmo, ma “educato”, troppo “educato”; era un vero snob. Mentre Rimbaud già andava, eliminando ogni connessione tra significanti e significati, verso una musica atonale che Baudelaire nemmeno si sognava. Riguardo D’Annunzio, avevo capito che non piaceva nemmeno a te, e mi sono unito di gusto: dunque nessuna animosità.
    Abbastanza animoso è soldato blu, vedo, da buon soldato del resto. Innanzi tutto lungi da me farti inviti a nozze: sono già sposato. Ma se vuoi, dimmi pure tutto ciò che senti, non mi offendo mica – tanto mi hai già dato dell’ “osceno”. Andiamo con ordine: chiedevo se li hai letti bene (Luzi e Ungaretti) perchè il tuo giudizio così pesantemente insultante meritava un piccolo approfondimento da parte mia; ma se li hai letti bene (sai, si può leggere male, distratti, oppure contro per partito preso, ecc ecc), allora sono tranquillo. Riguardo il concetto di mistico: dubito che uno in ciabatte trangugiando patatine butti giù qualcosa di mistico cui io possa credere; Dylan Thomas, che pure non era un cialtrone, è a mio avviso un falso mistico (ed è per questo che non l’ho citato); e lo è perchè usa il linguaggio da imbonitore, con virtuosità insincera – non sempre, comunque. Se invece uno, come dici tu, ha “attraversato inferni e paradisi” e me lo dice con “quattro parolette in croce”, allora che non me lo dica affatto: preferisco parlare di calcio, o della patata fucinense. Non è così che funziona: quando fra parola e profondità vera di pensiero si stabilisce la connessione, e la connessione si riversa sulla pagina, non ci sono sofismi che tengano. E a proposito della quotidianità degli autori: è incredibile che Franz Kafka lavorasse in una compagnia d’assicurazioni, così come a stento riesco a immaginare William Shakespeare andarsene a pranzo coi colleghi attori dopo aver scritto, che so, il quinto atto di RE LEAR; ma come diceva Lawrence “E’ l’opera, non colui che la racconta.”
    Caro Liviobo, Arminio ha pubblicato quattro testi, e di quelli si prende la responsabilità; ora, vuoi dirmi che non si può effettuare la critica ponderata di un compiuto testo poetico senza conoscere l’opera omnia dell’autore del testo medesimo? No, non me lo dici, scommetto; e se me lo dici nemmeno ti rispondo; e dunque la tua accusa cade. Ma vedo che mi accusi anche di, credo, canonizzare la letteratura, e ci risiamo. Io esprimo opinioni, come te, come tutti. In arte, al contrario che nelle scienze e nella matematica, si può dire tutto di tutti. Gide bocciò la Recherce, Tolstoj affermò che le opere di Shakespeare erano al di sotto di una critica seria, Nietzsche (che aveva un orecchio musicale prodigioso) stroncò a più riprese Wagner; e noi non potremo allora, sommessamente ma con cognizione di causa, tirar fuori i nostri punti di vista, se pure i giganti azzardano tesi quanto meno tremebonde?
    Caro funiculì funiculà, nessuno mi obbliga a “mettere l’occhio e il naso” al di là di quattro testi che non mi sono piaciuti, solo perchè sennò salti fuori tu a darmi del liceale; metto l’occhio e il naso al di là se la seduzione dei testi opera su di me abbastanza da spingermi a farlo; la vita è breve, e da leggere c’è tanto; e occorre selezionare (te lo dice uno che legge moltissimo e di tutto). E sulla soggettività di giudizio: poche righe più sopra ho sottolineato che è imprescindibile in un dibattito come questo, tuttavia non sopporto neppure che ogni criterio salti per aria in nome della soggettività, e che tutto valga tutto. Altrimenti arriviamo al punto a cui siamo già arrivati: che i maestri del pensiero sono Alba Parietti piuttosto che qualche fuoriuscito del Grande Fratello. Estremizzo per dire che un principio di autorità (giammai però di autoritarismo, sia ben chiaro) è necessario, che Moccia e Flaubert non sono la stessa cosa, che Faletti e Poe nemmeno, che la Mazzantini e Jane Austen neppure. “Al cuor non si comanda o i gusti son gusti” affermi tu. Bene, io tento di capire, di obbedire ai miei gusti più profondi (obbedire: ob-audire, ascoltare più in profondità); e ti assicuro che nel corso degli anni ho ridimensionato tanti autori che adoravo, e riconsiderato altri che non avevo compreso appieno. Nessuna boria: ma se Arminio non mi piace, e tento di spiegare perchè, dovrò essere bacchettato e tacciato d’ignoranza? Ancora: se esprimo opinioni nette, è così grave? (mi pare fra l’altro che su Luzi e Ungaretti alcuni abbiano espresso opinioni ben più nette, e molto meno argomentate, delle mie su Arminio). Perchè esprimere un’opinione netta (senza affatto mascherare, dunque, i criteri soggettivi con quelli oggettivi, si badi bene) offende? Dovremo tutti necessariamente scioglierci nel mondo liquido di Bauman?
    A Biondillo: hai ragione, Caproni è un grande che ho dimenticato, come pure altri.
    E per ridare qui il giusto peso ad Arminio, al quale in fondo dobbiamo il dibattito nel quale figuriamo come critici, cito George Steiner: “Il critico vive di seconda mano. Egli scrive su qualcosa. Sono verità elementari (e il critico onesto le dice a se stesso nel grigiore del mattino). Ma corriamo il pericolo di dimenticarle, perchè i nostri tempi sono singolarmente saturi di energia e di prestigio critico.”

  46. sono perfettamente d’accordo con te, blu.

    e scusa se ti chiamo “solo” così: ti voglio bene, ma quel sostantivo proprio non riesco a digitarlo, è più forte di me. avevo anche pensato di scrivere SB, preceduto magari da un “mi consenta”, ma poi ho pensato che ti saresti incazzato e mi avresti mandato direttamente a fun cool.

    en passant: sono d’accordo anche sul tuo utilizzo dell’aggettivo “osceno”…

    caro diamante (!), posso “supporre”, da quello che scrive, che Arminio non le piaccia.
    immagino che sarà molto difficile per lui accettarlo e convivere con questa drammatica certezza. l’invito che mi sentirei di fargli, comunque, è quello di farsene una ragione, almeno per il momento: non si sa mai, magari prima o poi riuscirà pure a produrre qualcosa che meriti “un piccolo approfondimento da parte sua”…

    e mi consenta in ultimo di ringraziarla: il paragone che lei istituisce tra rembò e bodlèr sulla base della presenza o assenza dell’uno e dell’altro in un libro che ha letto, beh, che dire, è esilarante: una bella botta di buonumore è proprio quello che ci vuole in questi tempi Bui…

    salute, saluti e cordialità a tutti (ma solo se siete già stati a messa)

  47. ah …. mi sveglio tardi e trovo tutti questi commenti! che meraviglia avrò un bel po’ di cose interessanti da leggere!
    grazie davvero…. niente di più bello di un intelligente scambio di opinioni.

    buona domenica ed un abbraccio a funiculì/là.

  48. solo per dire che spesso nei miei libri metto testi che precedentemente avevo scritto in versi.
    non ci trovo nulla di scandalosa se un testo in versi pare più credibile scritto in prosa.
    forse il post poteve titolarsi: quattro scritture
    io non faccio poesie né prosa e neppure libri,
    scrivo…..
    scrivo a oltranza
    in un inreccio di diletto e ossessione….
    questo mi pare il cuore della mia questione
    e non è un problema che diamante si occupi di altro.
    grazie per i tanti e generosi interventi

  49. Scusa Diamante, sono certamente animoso, ma non animale.

    Non ho dato dell’osceno a te. Mi guarderei bene dall’offendere senza motivo [mentre lo faccio volentieri quando penso che i motivi ci siano].

    Ho detto che una tua frase:

    “Ungaretti (qualcosa, non tutto; e non Montale) Luzi (qualcosa, non tutto; e non Zanzotto)”

    mi pareva, nella sostanza, ben più oscena del linguaggio che ho usato io:

    “ho sempre sentito Ungaretti come un diversamente abile della poesia e Luzi invece come un aborto, unto, per accanimento spirituale, con l’estrema unzione.”

    Frase che ribadisco.

    Ma che, per toglierle quel minimo di ingiustia che capita oltrepassi le nostre intenzioni – spinti dall’animosità – voglio in parte correggere.

    E, su invito di Salvatore e Liviobo, attribuire al “diversamente abile” di Ungaretti una valenza positiva.

  50. Franco,

    Ieri ho trovato il tuo libro e anche il saggio di Rosaria Capacchione.
    La scrittura poetica puo nascere in un libro senza versi.
    E’ la musica dell’anima che sorpassa tutto.

    Si parla di vita nel cuore della scrittura, del dolore e diletto,
    di solitudine davanti al sole interiore, al sentimento di identità
    in un paesaggio, la scrittura di Arminio abbraccia il paesaggio
    del sud, in una lotta d’amore.
    Si puo dire la stessa cosa di Rosaria Carpacchione, in uno sguardo preciso di investigazione, nello stesso abbraccio di lotta.

  51. Carissimo funiculì,
    studio Rimbaud e Baudelaire da quindici anni, dunque quello del libro era un primissimo invito, diciamo per i profani come te. Se vuoi confrontarti davvero, eccomi; se vuoi trovare per forza esilaranti cose serie, vai al bar e non discuterne con me, grazie. E poi non te la prendere troppo: specchiati invece alla compostezza di Arminio, che ringrazio e saluto per la signorilità. Lui sì, capace di dialogare senza buttarla in gazzarra.

  52. “… studio Rimbaud e Baudelaire da quindici anni…”

    caspiterina, caro signor diamante, che colpo!

    peccato che Enzo Jannacci non abbia avuto modo di conoscerla, in caso contrario non avrebbe perso l’occasione per omaggiarla degnamente, qui:

    http://www.youtube.com/watch?v=p6pGYbkEB_U

    ad ogni modo, o egregio, mi consenta, profanamente: c’è più gazzarra (o gazzosa, faccia lei) nella boria e nella spocchia intellettualoide, che in una battuta sui campionati e le figurine di poeti.

    e, se proprio ha tempo, per i prossimi quindici anni le consiglierei di provare con Mallarmé, magari sarà più fortunato: sembra che nella confezione ci siano anche le bollicine…

  53. Peccato, speravo in un confronto. Ma è evidente che non hai gli argomenti (l’ignoranza è la vera rovina; il resto viene di conseguenza). A prendere per i fondelli invece è talmente facile e comodo, che ci riesci persino tu, e te lo lascio fare volentieri. A ognuno il suo.
    ps: conosco bene anche Mallarmè, e tanti, tantissimi altri. In quindici anni ho bazzicato qua e là. E tu, mio caro, conosci qualcosa a parte il tuo ego?
    Un saluto

  54. “E tu, mio caro, conosci qualcosa a parte il tuo ego?”

    sì, la “settimana enigmistica”, in particolare le rubriche “l’angolo del buonumore” e “spigolature”

    un saluto anche a te, caro diamante

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