MILK. E L’ITALIA ?

In occasione dell’uscita di MILK di Gus Van Sant – protagonista Sean Penn – incentrato sulla figura di Harvey Milk, l’attivista gay assassinato da un omofobo a San Francisco nel 1978, propongo questa intervista realizzata per Wuz Cultura.

FRANCO BUFFONI

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18 Commenti

  1. all’incirca al quarantesimo o cinquantesimo minuto del film candidato al premio oscar per la migliore regia ho intravisto, margine alto dell’inquadratura, la giraffa-microfono. da quel momento in poi la mia attenzione su harvey milk è tragicamente crollata, l’appassionante lotta per i diritti gay passata in secondo piano, in una penosa e squallida ricerca di scelte stilistiche su cui ragionare. e in questo senso, nel senso registico intendo, il film mi è sembrato in qualche modo didattico, nell’accezione noiosa (didattica appunto) del termine.

  2. Ho già scritto altrove che si tratta del peggiore film del grande Gus Van Sant, costruito perché la storia di MILK giunga a un pubblico vastissimo. Il post infatti è orientato sulla incresciosa situazione italiana circa i diritti civili.

  3. se ‘l’appassionante lotta per i diritti gay’ passa in secondo piano perché distratti da una giraffa ( e, per inciso, il film ha un che di eccessivamente didascalico, questo è indubbio), probabilmente la lotta non deve essere così tanto appassionante…è evidente che c’è uno scollamento, l’ennesimo, tra la gente comune e i soggetti discriminati, lo stesso scollamento esistente tra chi considera un film come (solo) fatto artistico e chi vi ricerca valenze sociali…ancora queste palle tra autonomia e eteronomia dell’arte, per intenderci… intanto la discriminazione resta inevasa, e resta una faccenda che tocca una minoranza… a chi parla di lobby, tirerei in faccia la questione del mobbing che riguarda tanti omosessuali camerieri, baristi, muratori, addetti alle pulizie, carpentieri che non vedremo mai sulle belle riviste patinate, fotografati in posa su divanetti dorati a dirci com’è bello andare alle feste di Briatore!, oggetti di scherno e derisione, o che subiscono vessazioni ignominiose… a queste cose il parlamento italiano (non la parrocchia, né la sinagoga o la moschea di turno) dovrà dare risposte e diritti. Nei confronti di questa realtà di negazione di diritti, i vari fascisti di turno, gli Alemanni e i Rutelli codini, si assumano le loro responsabilità, perché ci sono vite ferite, vite derise, vite offese che gridano giustizia, prima ancora che vendetta.

  4. Intanto grazie a Franco per questo post: ho visto Milk domenica e a me e’ piaciuto. Senz’altro stilisticamente non e’ paragonabile a molta opera di Gus Van Sant (se si pensa solo all’ultimo, Paranoyd Park, si resta spiazzati), ma ha una sua forza capace di arrivare alle masse, carica di speranza, che non e’ “gay” o “etero”, ma appartiene a qualsiasi individuo libero, che come tale voglia essere riconosciuto.

    Vi copio una bella recensione di Luca Pacilio, che, per quanto ho letto di lui, coglie sempre nel segno. L’originale si puo’ leggere qui:
    http://www.spietati.it/archivio/recensioni/rece-2008-2009/m/milk.htm
    La Causa

    Possiamo giudicare un film per quello che racconta? Sicuramente no, ma tenerne conto certamente sì, soprattutto se, come mi pare avvenga in questo caso, la materia finisce col designare/disegnare la forma, tanto da mettere nel conto il famigerato messaggio (uso l’orrenda parola per essere convenzionalmente comprensibile) che, mi pare, si ponga come obiettivo primario del regista al punto da condizionare la fattura del suo lavoro: GVS vuole dire chiaramente, e la comprensibilità del suo discorso da un lato forma il suo lavoro, dall’altro è condizione essenziale perché esso discorso venga recepito. Per dire il regista sceglie di narrare la vita di Harvey Milk come un classico biopic, genere che ossequia nella maniera più prevedibile (il protagonista che racconta di sé al registratore e che scandisce, con il più usurato degli espedienti, le vicende salienti del suo percorso), attraverso la voce fuori campo che circostanzia le scene, le didascalie, l’avventura politica e umana esposta in maniera didattica, precisa, fredda. Il confronto di Milk con il resto della filmografia dell’autore è ovviamente lecito, per quanto, a mio avviso, poco pregnante, risolvendosi la questione nei termini di un’ulteriore virata, probabilmente episodica e quasi certamente non significativa nella definizione della sua poetica filmica.
    Torniamo al Cosa: GVS vuole esporre una parabola esistenziale esemplare perché il pubblico rifletta, mettendogli davanti un lavoro che, in prima istanza, è un inno a favore della Causa Gay. L’impegno di Harvey Milk è il suo e come Milk anche GVS vuole reclutare alla Causa tutti coloro che sono presenti in sala. Milk è (perché vuole esserlo) un appello alle coscienze che si dirama attraverso (ecco il Come) un’operazione piana (piatta?) che sorprende solo chi il regista lo conosce bene (la minoranza). Perché? Perché (rieccoci al Cosa) il discorso si deve imporre, va compreso, va condiviso, non può impigliarsi in sperimentalismi, non può (e non deve) essere confuso nello stilismo (più o meno gratuito – qui i pareri divergono, ma non è importante in questa sede -) delle sue ultime opere. La Causa si serve rivolgendosi alle masse e parlando con un linguaggio che sia il più possibile lineare, chiaro, un modus calcolato al millimetro attraverso il quale Milk appaia come il personaggio importante che è stato e del quale è importante narrare la vita, senza fare della Causa omosessuale una bandiera ingombrante che sventoli davanti agli occhi dello spettatore, ma efficacemente la sostanza che determinò l’agire del protagonista, esattamente come il pacifismo lo fu per la vita di Gandhi, tanto per fare un esempio di biografia tradizionale oscarizzata. E a proposito di Oscar le candidature che il film ha ricevuto nelle categorie più importanti possono essere viste come un ulteriore obiettivo raggiunto nella strategia normalizzante di cui il film è oggetto, nella consapevolezza che passare attraverso i meccanismi della grande comunicazione sia lo strumento più efficace per rendere l’ennesimo servizio alla Causa (film commerciali – mediocri – come Brokeback Mountain, in questo senso, sono serviti molto di più dei film militanti – straordinari – di Jarman che, come tutte le espressioni del cinema d’arte, nascono per un pubblico di nicchia e lì vanno a seppellirsi). Forse Milk ha sancito davvero la trasformazione più faticosa alla quale GVS si è dovuto sottoporre nella sua carriera: non solo il regista che gira un film per uno scopo altro (ieri il Soldo), ma anche (e soprattutto) un regista che gira per uno scopo altro (oggi la Causa) in un ambito (quello gay) che pertiene alla sua consueta poetica filmica e che in questo caso si costringe ad affrontare con distacco, rigore, freddezza a tratti esasperati. Non mancano i momenti in cui l’autore si fa prendere la mano per mettere la firma sulla pellicola (la bellissima scena iniziale a letto, con la macchina inquieta di Savides che insegue magnificamente i dettagli; i dialoghi nel Palazzo tra Milk e White, con l’ambiente che incombe sulle figure marginalizzate; la stesso modo in cui viene caratterizzata la parabola perversa di White è Van Sant puro; lo split-screen alla millesima; la citazione – tale mi è evidentemente parsa – dei quadri di David Hockney nella scena di Scott in piscina), ma sono sprazzi nell’ambito di una pellicola accortissima che non dimentica mai dove deve puntare, anche a costo, talvolta, di suonare anonima. Tutto questo complesso di accidenti mi pare imprescindibile nella valutazione del film che chiede di essere giudicato innanzitutto per quello che è e poi, se proprio si vuole, nella considerazione del suo artefice e di quella che è la sua opera.

    Luca Pacilio

  5. Poco meno di un anno fa, lo scorso 25 aprile, come commento ad un post che celebrava la liberazione dal fascismo, ricopiai dal libro di Giovanni Pesce – lo stesso da dove gli Stormy Six hanno tratto la storia di Dante Di Nanni – un brano in cui venivano descritti “gruppi di operai, armati, e giovani che andavano verso le caserme per procurarsi le armi”.
    Per rendere attuale quel clima, quella lotta, misi in evidenza che gli omosessuali, “i giovani”, ancora oggi non potevano festeggiare alcuna liberazione, perché il fascismo non è stato del tutto sconfitto.

    Pensando di rendere più incisivo il mio commento non usai il mio nick.name, ma lo sostituii con un altro: Frocia, trovato in un sito gay, a cui ero arrivato attraverso un link di N.I.

    Quel nome venne quasi immediatamente cancellato – e nemmeno dal redattore che aveva postato l’articolo – e sostituto con asterischi. Nuovo agli usi e costumi di N.I. mi dichiarai d’accordo. Lasciare pensare, ambiguamente, che si trattasse di un vero o falso outing, non mi pareva che fosse la cosa più importante del mio commento.
    Ciononostante, da quel fatto, si svilupparono una serie di fraintendimenti e incomprensioni che mi portarono, colpevolmente, a reagire con delle offese personali.
    Alla fine fui bannato. Almeno per un certo periodo.
    E sembra che ci sia ancora qualcuno che me ne vuole per quello che successe allora.

    Vuole, tutto questo, essere un riconoscimento dell’importanza e un appoggio alla lotta che gli omosessuali conducono per i loro diritti, e se l’argomento di questo mio commento può essere un po’ O.T., è per il motivo che non tutti hanno visto “Milk” di Gus Van Sant, e quindi il “deserto di reazioni” come lamenta Franco Buffoni, non è un chiamarsi fuori dalla lotta, ma può essere che non si abbia niente da dire sul film.

  6. @Soldato blu: hai ragione, sembra anche a me che non ci sia nessuna liberazione da festeggiare, anzi, sarò apocalittico( meglio che integrato) ma mi pare che il tentativo di ritorno all’ordine abbia tra le sue prime vittime proprio la conquista (meglio, la tutela) dei diritti civili… bene ascoltare chi, come Franco Buffoni, cerca faticosamente di proporre lumi di ragione in una fase di oscurantismo becero e populista.

  7. Caro Franco, mi spiace per il ‘deserto di reazioni’…temo purtroppo che in questo etero e omo vadano a braccetto.

  8. Approvo e sottoscrivo il commento di Manuel Cohen delle 10.36. Non ho visto il film e dopo questi commenti forse ci andrò almeno per solidarietà e comunione di intenti.

  9. Ho visto il film ieri: bello sì, più che vedibile, anche se l’ho trovato in alcune parti un po’ noioso, “didascalico” come dite voi, ma… quant’è importante che NON SE NE PUO’ PIU’, oggi come trent’anni fa, di discriminazioni, capri espiatori e fascismo a pioggia?
    Il Potere odia tutto ciò che non vi si conforma: figurarsi qualcosa che mette in discussione il sacro mostro della famiglia! W i gay, se non altro solo per questo. Ah sì, cosa dicevo? Bello il film… Molto bravo Sean Penn…

  10. per francesca matteoni: ho letto la recensione di pacilio, anch’io come te l’ho trovata molto acuta (ma non la condivido del tutto).

    mi scuso con chi si è sentito offeso per il mio riferimento ‘stilistico’ di fronte ad un intervento che focalizzava certamente ben altre questioni. come avevo sottolineato la mia era una “penosa e squallida ricerca”, un’autodenuncia quindi, non volevo certamente sminuire la lotta per i diritti degli omosessuali.
    non vorrei insistere (proprio per non offendere ulteriormente il tema principale di questo intervento) ma se posso vorrei spiegarmi a proposito di “milk” inteso come “prodotto cinematografico”, visto che di questo si tratta. Rimango molto banalmente dell’idea che ogni produzione (un libro, un disco, una pellicola, etc.), debba contemperare contenuto importante e forma esatta, e vada interpretato dal ‘lettore critico’ nella forma e nel contenuto, nella sua completezza dunque.
    che dal film poi escano dibattiti di natura sociale, su temi di cui si discute poco e male, e su cui vergognosamente non si fa assolutamente nulla, è spesso positivo (dico ‘spesso’ perché talvolta, non parlo di questo caso, ci si imbatte in discussioni abbastanza retoriche e quindi poco efficaci); rimane, e questo è un dato di fatto, una giraffa all’interno di un film che vale, molto brutalmente, un sacco di dollari, e che ne varrà ancora di più con la candidatura all’oscar. e rimangono anche delle scelte stilistiche che io mi sento in diritto, con i miei pochi mezzi, di discutere, anche se come ho già detto non è questa la sede. spero che ne potremmo parlare attraverso un altro intervento.
    grazie.
    emmanuela carbé

  11. ultimamente si sente parlare di stupri come qualche tempo fa si sentiva parlare spesso di pedopornografia. a volte credo, e mi si scusi il radicalismo facilmente confondibile con machofobismo, che si dovrebbe parlare anche di ‘meno diritti’ a certi maschi. eppure, quando al mio vecchio padre cerco di far notare che in fondo mai di omosessuali si parla quando ci sono tali violenze, lui sorvola con un ‘zitto, scemo’. non so che dire. sarà che sono ancora troppo ‘giovane’ ma la mia svogliatezza a vivere, spesso vomitata in plateali aggressività seguite a profonde pantoclastiche autodistruzioni reali o simboliche, o camuffate in ghirigori di parole di troppo e baroccate al limite dello stucchevole, questo mal di scrivere, insomma, è conseguenza di un sentirsi sempre a metà. ho sempre meno voglia. e più cresco meno riesco a sopportare il peso dell’infanzia. vabbene essere a metà ma che ti neghino anche l’altra metà. cioè, riesco sempre meno a vedere la realtà.
    p.s.
    mi sa che sono uscito un fuori tema…

  12. @ gianluca

    Il tuo “fuori tema” somiglia, anche nella sostanza, al “fuori binario”, che è la testata del giornale di un’associazione che si batte per i diritti degli emarginati e contro ogni discriminazione sociale.

    Se non ricordo male, il primo movimento omosessuale si chiamava, prima come acronimo, F.U.O.R.I. e poi semplicemente FUORI.
    Sarebbe bello stilare una lista di tutto ciò da cui bisogna chiamarsi fuori, per poter essere delle persone degnamente civili.

    Estrapolo, inoltre, dal tuo ultimo intervento, un suggerimento per un’azione di “comunicazione di massa”: mi vedo assieme a te, e a molti altri, rivolgerci ai nostri concittadini, sfilando per il centro delle nostre città, con addosso una t.shirt su cui a grandi caratteri sta scritto: ZITTO, SCEMO!.

    I giorni scorsi qualcuno – ma non ricordo chi – ha avuto finalmente il
    coraggio di scriverlo su N.I. [io lo reinterpreto solamente] : oggi, in Italia, “popolo” è termine che indica una palude dove, lussureggiante, impera la reazione.

    Fuori!

  13. ”E ricorro all’odioso termine lobby
    perché è stato recentemente usato contro di noi da un capo di stato straniero – omofobo e velato –
    che si veste da antico imperatore romano e blocca il traffico della capitale italiana l’8 dicembre per
    proclamare che la signora effigiata in cima alla colonna in piazza di Spagna partorì vergine.”

    Caro Franco, il dogma del 1854 dell’immacolata concezione (festa dell’8 dicembre) ‘verte’ su Maria immune dal peccato originale (il ‘cancro’ che Agostino ha lasciato in eredità all’Occidente) fin dal suo concepimento. Altro è il dogma della verginità di Maria -prima, durante e dopo il parto- che data 649.

  14. il film è piuttosto bello, ho trovato fantastiche certe ricostruzione della S.Francisco dell’epoca, però ha dei forti limiti di didascalie/edificanti ecc.

    sull’omofobia, è nella zucca tarlata di molti uomini (soprattutto), radicata nella profondità della melma della paura. io ho un paio di amici omofobi (di conoscenti ne ho un tot, ma non li conto), e talvolta dico loro: sei omofobo? ma è perché dentro sei gay, non lo sai? loro mi mandano a quel paese, ma si vede che ci rimangono un po’-

  15. caro Tommaso, fai bene a precisare. I gesuiti mi insegnarono quelle due date quattro decenni fa. La “persona” in oggetto essendo la medesima, tuttavia, ho deliberatamente scelto di sottolineare la seconda attribuzione in quanto più comprensibile per un giovane di oggi non educato dai gesuiti. La sostanza è: RIBELLIONE VERSO GLI SPACCIATORI D’ETERNO e verso i loro complici in questo stato pavido e ipocrita.

  16. sono andata a vederlo e anche se lo ho trovato bello, migliore di quello che mi aspettavo dopo tutti i commenti più o meno prudenti che ho sentito lo ho soprattutto troivato “utile” nel senso di sincero anche in questo bisogno di diventare soggetti politici per vedere riconosciute cose che io e evidentemente non troppi altri troviamo talmente naturali da non doverci neanche porre il problema. Capisco razionalmente, perché vedo che esiste ed è anche piuttosto pervasivo e violento, ma non riesco a concepire fino in fondo perché non mi si risveglia niente quando vedo due persone baciarsi a seconda se siano cosa o come per un qualunque motivo. Voglio dire non noto se sono uomini o donne o ragazze o vecchi o uno vecchio e l’altro giovane o uno piccolo e l’altro alto o non so cos’altro. Vedo solo due baciarsi e magari andare in giro per mano, ma sono non solo solidale ma turbata e vergognosa della violenza che noi umani possiamo avere verso altri umani per inutili e futili motivi. Diciamo che non essendolo sono però omosessuale anche io dal punto di vista politico e umano, perché evidentemente serve esserlo ora come serve essere tante altre cose diverse che si cerca di schiacciare e portare nell’ombra e nella vergogna e nella sopraffazione.

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franco buffoni
franco buffonihttp://www.francobuffoni.it/
Franco Buffoni ha pubblicato raccolte di poesia per Guanda, Mondadori e Donzelli. Per Mondadori ha tradotto Poeti romantici inglesi (2005). L’ultimo suo romanzo è Zamel (Marcos y Marcos 2009). Sito personale: www.francobuffoni.it
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