La prima bugia
di Luca Ricci
1
– Che cosa stai facendo?
– Devo tagliare i gambi.
Rimanemmo così, io a tagliare e mia moglie a guardare. Fui costretto a tagliare molto più del previsto. Alla fine riuscii a infilare le rose nell’unico vasetto che avevo trovato.
– S’è staccato qualche petalo.
– Vorrà dire che non sono freschissime.
– Forse ha voluto risparmiare anche sulla qualità.
Sfiorai le cinque rose come un parrucchiere alle prese con un’acconciatura imperfetta, e raccolsi i petali dal pavimento.
– Vuoi conservarli?
– Ma che dici?
– Magari nelle pagine di un libro.
Mia moglie indicò decisa la pattumiera. Buttai via i petali senza che il gesto riuscisse a smorzare il lieve fastidio che stavo provando. Rimanemmo imbambolati a guardare il mazzo. Non sapevamo più che fare. A un certo punto mia moglie si sentì in dovere di rompere il silenzio.
– Non so davvero chi possa essere stato.
– Nessun biglietto?
– Nessuno.
– Strano.
– E’ tutto strano.
Le rose erano arrivate quella mattina, mentre ero al lavoro. Non fatte recapitare, bensì poggiate alla porta: nessuna possibilità di un riscontro, nessuna possibilità di saperne di più. Certo, mia moglie era una bella donna. Quel tipo di donna che può far perdere la testa a un uomo. Che può, eventualmente, spingerlo a un atto estremo. Un amico, un compagno dei tempi dell’università, o semplicemente qualcuno con cui aveva avuto a che fare di recente. La lista si allungò e dovetti smettere di pensarci.
Andai a sedermi sul divano del salotto. Accavallai le gambe e presi una rivista dal mobile basso. Facevo solo finta di leggere, più che altro sfogliavo. Proprio come succede nelle sale d’attesa. E in effetti, anche se non ne avevo la perfetta consapevolezza, stavo aspettando qualcosa. Tornai in cucina. Le forbici erano ancora lì, accanto al vaso con le rose. Le misi al loro posto. Quel qualcosa che stavo aspettando salì dalle viscere. Raggiunsi mia moglie in camera da letto.
– Dovrò farlo, prima o poi.
– Che cosa?
Era solo rabbia. Che altro poteva essere?
– Sfregiarti. Un bel taglio secco dallo zigomo al labbro.
– Buttiamole, vuoi?
– Non servirebbe a nulla. E’ che sei troppo bella.
2
Per qualche tempo filò tutto liscio. Poi un giorno tornai dal lavoro e mia moglie mi venne incontro raggiante. Non c’era solo gioia nei suoi atteggiamenti. C’era una lieve tensione che faceva pensare a uno spavento recente.
– Ho capito tutto!
– Cioè?
– Sono tue, non è così?
Non dissi niente. Mi limitai a camminare per il corridoio. Mia moglie si fece superare e cominciò a seguirmi, sempre con quella allegria sforzata.
– Mi stai facendo uno scherzo romantico.
– Uno scherzo romantico?
Entrai in cucina e vidi il secondo mazzo. Era identico in tutto e per tutto al precedente. Cinque rose rosse coi gambi lunghi. Mi misi seduto. Mia moglie spostò il peso del corpo da una gamba all’altra, come se saltellasse sui carboni ardenti.
– Sei tu, non è così?
– Non sono io.
– Ma via… Ammettilo.
– Ti ho già regalato dei fiori, mi pare. Scrivo un biglietto col mio nome, e te li porto di persona. Di questi non ne so niente.
Mia moglie si afflosciò su una sedia. La sua delusione non riuscì a consolarmi: non l’avevo mai corteggiata così, e lo sapeva bene.
– Poggiate davanti alla porta?
– Esattamente.
– Nessun biglietto?
– Nessuno. Adesso le butto nella pattumiera.
Annuii. Guardai mia moglie afferrare le rose. Osservai attentamente il modo in cui le prese. Volevo essere sicuro che ci fosse unicamente antipatia. C’era poco da fare i galantuomini. Non si trattava di un colpo di testa. Di qualcuno che, per un motivo o per un altro, rimanendo nell’anonimato, aveva scelto l’azzardo fine a se stesso. Il secondo invio faceva supporre un calcolo, una premeditazione, un piano. Ci consegnava l’immagine di un uomo disposto a una lusinga prolungata, già parecchio in là nella passione.
– Hai conosciuto qualcuno di recente?
– Non mi pare proprio.
– Sì o no?
– No.
3
Per il terzo mazzo mia moglie non mi venne neppure incontro. La trovai seduta al tavolo di cucina. Una sorta di decisa rassegnazione le diede il coraggio di guardarmi negli occhi, come a dire: non è colpa mia. Cinque, rosse, gambo lungo, nessun biglietto, poggiate davanti alla porta. I particolari identici ci proiettavano al cospetto di uno spasimante seriale da incubo. Esaminai il mazzo per l’ennesima volta.
– Non c’è neppure la targhetta del fioraio.
– Saresti andato dal fioraio?
– Certo che ci sarei andato. Questa è una persecuzione in piena regola.
Mia moglie sospirò. Aveva la fronte imperlata di sudore e le guance un poco scavate. Non volevo incolparla, questo no. Anche se il mio tono non era affatto conciliante.
– L’unica soluzione è presidiare la porta di casa.
– Che intendi?
– Quello che ti ho appena detto. Se viene lui, tanto meglio. Se manda qualcuno, lo farò parlare.
– Vuoi presidiarla a oltranza?
– Sì.
– Non sappiamo quando viene. E’ una follia.
Mia moglie aveva ragione: sarebbe stata una vera e propria follia. Afferrai il mazzo e lo scaraventai nella pattumiera. Di nuovo si staccò qualche petalo. Li raccolsi con le mani, a uno a uno, e me ne liberai rapidamente. Non volevo tracce di quelle rose in casa mia. Ancora guardai le guance di mia moglie, quel turgore perfetto color pergamena che aveva fatto perdere la testa anche a me. Sarei arrivato al punto di assediarla, se si fosse sposata con un altro?
– Magari non viene più.
– Sì. Sono convinta di sì.
– Magari hanno sbagliato porta.
Mia moglie sorrise. Un sorriso che in parte le scrollò di dosso lo spavento. Ci mettemmo a parlare di tutt’altro. L’auto da cambiare, i figli degli altri, i saldi e la programmazione delle ferie. Ogni singola parola ci allontanava dal problema e, in qualche modo, arrivammo al punto di dimenticarcelo. Poi, all’improvviso, tornai pensieroso.
– Per l’ultima volta. Sai chi potrebbe essere?
– No. Te lo giuro.
4
L’unico rammarico di questa casa è la terrazza. Ho sempre desiderato una terrazza più grande. Certo, sono a due passi dal lavoro. E molte coppie che conosco farebbero carte false per venire ad abitare in centro. Nonostante sia piccola, l’ho comunque attrezzata di tutto. C’è la tenda pieghevole. Ci sono tavolino e sedie. Dentro una cassapanca sciupata dal sole ho sistemato alcune tovaglie di plastica, il necessario per il barbecue e la cassetta degli attrezzi. Se avessi un figlio, in una giornata come questa, quando il caldo ribolle e in città gli allarmi delle macchine suonano a vuoto, ci metterei anche una piscinetta gonfiabile, poco ma sicuro. La bambina, sulla terrazza dirimpetto, non la smette di fissarmi. La saluto ancora una volta con la mano. Avrà si e no tredici anni. Credo di aver fatto colpo. Una volta le ho offerto del ghiaccio- va matta per i cubetti di ghiaccio-, e da allora siamo diventati amici.
– Che combini oggi?
– Mi annoio.
– Bella attività.
La bambina nasconde l’imbarazzo con una risatina. Probabilmente le piace pensare che anch’io abbia un debole nei suoi confronti. Mi chiede di mia moglie.
– Non è in casa, adesso.
– Tornerà?
– Certo che tornerà. O vorresti che non tornasse più?
Ride ancora. Una risata onesta, che allarga il cuore.
– Mi offri del ghiaccio?
– Perché ti piace così tanto?
– Perché è dissetante, e non fa ingrassare.
La bambina è già stata in cucina ma stavolta si sbaglia, continua a camminare per il corridoio.
– Stai andando in camera da letto.
– Posso?
– Perché vuoi andarci?
– Una battaglia a cuscinate.
– Lì non c’è il ghiaccio.
In cucina recupero dal congelatore i cubetti. Se li lascia sciogliere in bocca un po’ per volta, facendo delle smorfie. Di solito mi parla a ruota libera dei genitori, degli insegnanti, delle amiche, dei fidanzatini. Oggi soppesa le parole. Si guarda intorno, poi prende dei lunghi respiri come se dovesse confessarmi qualcosa.
Capisco all’improvviso. Sempre che non le abbia rubate, devono esserle finiti i soldi.
Ma che bello questo racconto di Luca Ricci. Si respira aria di Carver (“Una volta le ho offerto del ghiaccio- va matta per i cubetti di ghiaccio”). Mi è piaciuto molto.
Queste rose hanno un profumo di mistero.
Il dialogo lascia posto all’interpretazione:
1) La moglia ha un ammiratore segreto, o un amante di una volta:
interpretazione semplice.
2) La moglie si offre le rose per varcare la sua solitudine.
3) Il marito vuoi testare la fiducia della sua moglie.
4) Il marito vuoi che la sua donna perda la testa.
5) La bambina offre rose di nascosto per vivere amicizia senza rivalità con
il marito. Sa benissimo che le rose creano gelosia e separazione.
Bellissimo racconto, si offre nei petali leggeri o nel gusto freddo cristallino del ghiacciao. Si legge con un piccolo brivido nel cuore.
Bello
(la realtà la si può anche allegorizzare…)
Un racconto breve da leggere tutto d’un fiato. Da leggere in due. L’eleganza, oltre alla capacità di stimolare una riflessione, è merce rara.
Berto e Margherita
Bello!
Gran racconto. In una narrazione così controllata (nota di merito) quello che mi rimane in mente sono i petali che continuano a cadare sul pavimento. Un’immagine avulsa alla storia portante… O sbaglio io?
Off Topic.
Chiedo scusa all’autore e a Gianni Biondillo. Essendosi chiusi i commenti al post “Italia de Profundis”, scrivo qui un commento al commento di Tashtego, l’ultimo: ecco, non solo sottoscrivo, ma penso che quel commento valga da solo il prezzo del biglietto. Vale a dire: da dove viene tutta questa “merda italiana” di cui tutti gli italiani parlano da decenni? Vogliamo davvero vederci così, nella degradazione? Ecco, è un peccato che si siano chiusi i commenti, lì, perchè quello è un intervento nodale. E poi dicono che Tashtego mi sta antipatico (sì, ma a volte dice le cose come stanno…)
bello
Delizioso, questo racconto!
Gianni ma questa “c’est une pure merveille”. Complimenti all’autore e al “Postino”
effeffe
1.2.3. stessa scena con macchia di rosso
4.bambina, terrazza e ghiaccio
Alla fine della prima lettura, mi sembrava di aver visto delle scene da un film.
Quindi mi sono chiesto perché avesse prevalso la percezione immaginale, semplificatrice, sulla complessità emozionale.
L’ho scoperto alla fine: la bambina che io avevo creduto bambina, ingannato dalla parola, “ha più o meno tredici anni”. Quest’ultima frase l’avevo semplicemente saltata. Sapevo già tutto.
A tredici anni si viene chiamate “bambina” solo dai genitori e questo rende tutto innocente.
Per una parola mi ero perso tutta la complessità – e la morbosità – del racconto che resta certamente bello.
proprio ben calibrato, ingenuamente torbido, bello
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