♫ dei poeti le voci [3]: MARIA VALENTE

 




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Maria Valente
DISCONNECT THE MACHINE O LA BUONA MORTE

 

  DISCONNECT THE MACHINE O LA BUONA MORTE  

 

La vita? la morte?… succede come i fiori e il loro vezzo
di decorare il tritacarne, renderlo confortevole- così
farcito di metastasi – rosa determinante o piuttosto
grigio accogliente che si spalanca e inghiotte tutto:
braccia e busto, gambe e busto, bastone e carota,
bastone e carota, bastone e carota

nessuna indicazione sul senso di marcia

 

se abbiamo conservato i nomi è stato per
abitudine, unicamente per abitudine, perché è b…
 

ma più spesso, preferisco confinarmi nella più
piccola delle mie idee: una formula magica, le
prime parole. il resto: l’ho già scordato come
il mio indirizzo – ammesso pure che qualcuno
mi abiti, perché dovrei farne parte?

-le occasioni nelle sue braccia anche scomparvero
-come dirti: che c’è? come piove o fa’ piano
o restano schiacciate tutte nella pancia, spaccata
in due come un’arancia
 

nelle tue mani i miei pensieri intrappolati
-oppure indossi i miei denti come una collana
nelle tue mani, i miei pensieri si spellano
l’intimità che la malattia ha forzato, una
perizia – nelle tue mani sgocciolo corallo
igienica – esisteva così poco quasi senza
implicazioni
 

freddo freddo… quando torni?//… freddo freddo
-senti ancora le voci?//… solo quando mi parlano

 

perché è bello sentire che il sole sorge anche se
ognuno sa che è solo un modo di dire
(con lei che, amore a rovescio, scatta come una
molla in bagno a vomitare e qualcuno da dietro
che le tiene i capelli, piacere di scarico- il tuo
profilo accartocciato- piccole scariche- il tuo
profilo che sbatte da tutte le parti, capillare
 

ogni volta che guardo qualcosa da vicino,
brulica di larve -abbiamo la stessa iride-
dice lei- interni scarni, una camera
gestionale attrezzata di tutto punto
per un feto fantasma un uovo bianco/
i sentieri interrotti, le superfici guaste
-ma qui abitare dove tutto è stato preso
-ma forse mutando la forma delle ali
-perdere le foglie i fili o vocali. perdere i capelli
 

Tutta la storia accede sui pannelli e un occhio
sempre vigile accompagna l’industria dei pro-
totipi, le teste insabbiate, infilate nei sacchetti
così, tanto per assegnarsi una struttura, discutere
animatamente del progetto di una bufala ben
costruita con pezzi di cordicella, trucioli,
materiali di scarto: tutta una cava ingombra
di bisogni e carenze, l’uomo in avanzo non
è che una scoria, una crosta sformata in un
grumo di muco
 

l’individuo codificato che vive in un burrone,
a pelo d’acqua o l’intestino di un mammifero
 

e l’individuo codificato che inghiotte piaga
dopo piaga- vivo per stordimento e continua
a succhiare liquido che cola via dal ventre aperto
 

qualunque fetta di cielo vista da qui sarebbe
pleonastica/ tutta slacciata e un viso che si
sfrolla i visi da sminare e sempre lo stesso
equivoco: come dev’essere tenera la
creazione qui! per questo cielo senza chiglia e
senza istanza
 

ho chiesto alle vene solo di difendermi mentre
urlavo: non avete il diritto di trattenerci qui
di tagliarci le gole, non ne avete il diritto!

 

la permanenza si rivela un accidente
consolidato, una vecchia abitudine,
che si asseconda solo per imbarazzo

-succede che alla vita subentrino i congegni

 

tutta fiorita dall’occipite al metatarso
e come didascalia un ossame bianchissimo
tutta fiorita, ali croccanti a fari spenti nella
notte tutta imbrattata tutta sfiorita tutta dis-
fatta in brodo primordiale: ci sono cose che
solo un embrione è in grado di sopportare
 

(allora decidi tu: puoi andartene o rimanere qui:
. qui /. con noi./ al buio/ dove la luce non si tocca.
dietro la nuca un desiderio estorto,
il mento rovesciato contro il vetro stellato
 

la vita a quattro zampe o al condizionale passato

 

“NUTRIMENTO & IDRATAZIONE GARANTITE
FINO AD ESAURIMENTO” esaurimento e la chiamano vita…
per accanimento, con tutte le viscere stracciate in
arcipelago
 

– ma senza allontanarsi
troppo dal tubo, facendo sì che emetta braccia e
gambe e dia inizio al balletto meccanico
ruotando fettucce o triturando corpi di
compensato che piovono segatura o carne a
seconda dei casi.
 

la vita col sondino? una vita assai “misteriosa”
con tutti quei tubicini che spremono fuori la
vita dai contorni – chiamarla vita è un progetto
“ambizioso” da formulare una proposta di
sopravviversi con tutta la flora batterica e
intestinale // chiamarla vita è così… è così…
do-lo-ro-so
quando la vita ti guarda e ti chiede: cos’altro
sai fare?
 

se tutte le vostre facoltà fossero sterminate
continuereste a danzare?
 

-“quello che conta è la fermentazione degli enzimi”
-anche se piega come burro i lampioni e rosicchia
piloni in cemento armato?
 

vivere a strappi a scatti vivere irreversibile-
ravanando la terra con le unghie coi rebbi,
vivere un brutto vizio- vivere irreversibile/
con la spina dorsale incastrata tra i denti/
vivere a cateratte vivere irreversibile, tenendo
assieme i pezzi con spille e cosmesi
vivere senza scampo vivere irreversibile
infilzati alle sbarre come risarcimento
 

o… magari… vivere senz’altro
pretesto che non sia vivere per un atto di protesta
provarsi a declinare i vegetalia tantum, vivere di
respiro e di amaranto
 

ogni tanto resta una crosticina di sangue
rappresa alle ovaie, ma tanto non bisogna avere
fretta, i morti non hanno fretta, i morti ormai hanno
smesso di scappare- … la vita? … la morte?…
succede !
 

 

 

 
(Le citazioni sono più numerose dei versi per cui tralascio di compilare una lista ineusaribile, dirò solo che la musica è tratta da Connect the machine to the lips tower *be proud of your cake* dall’album Punk….Not Diet! dei Giardini di Mirò. M.V.)

 

su Nazione Indiana di Maria Valente BLU ORGANICO

 

[ la voce di Maria Valente nasce poesia e la sua poesia nasce già voce – per essere recitata dalla sua voce – dalle sue vibrazioni – indecisioni – slanci di certezze e tenerezze – ritiri e avanzate – incursioni – cantilene – il passaggio fra le lettere del testo è un incarnarsi provvisorio già teso verso il dover essere detto – da mente a voce – da voce a memoria – com’era la poesia antica – aedi o tenzoni di rime che fossero – cetra o versi sul cozzare delle spade di latta dei pupi sulle corazze – o forse il parlare da soli di quando si è scossi o tristi – dimenticati o dementi per strade
 
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ci sono testi che si pubblicano con il “pilota automatico” – si copia incollano quasi alla leggera – righe fiere si consegnano in pasto a fiere – altri – come questo – che tastano il polso al cuore del mondo e ne disegnano elettrocardiogrammi sempre diversi – invece – per il tema – per le profondità che stanano e smuovono – si pubblicano con un certo tremore – come per cavalli non ancora domati che non fanno da Lipizzani bardati il giro della pista a passo di polka – ma scartano all’improvviso – sbuffano dalle froge – s’impennano ombrosi di lato
 
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DISCONNECT THE MACHINE O LA BUONA MORTE per la teoria e la pratica dei vasicomunicanti esce in contemporanea leggermente differita anche su AbsolutePoetry
]

 

 

 
♫ dei poeti le voci [2]: VIOLA AMARELLI
 

 

 

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18 Commenti

  1. rétrécie et bouleversée. Vorrei portarlo ai medici che troppo spesso vedo, ma capirebbero o penserebbero che comincio a deprimermi e mi chiederebbero una consulenza psicologica? Non posso altro, vorrei cantare almeno per un embrione.

  2. Certo che tra giornate grigie e gonfie di pioggia, disastri ambientali a sfare, rampante crisi economica, disoccupazione a go go, notti dei lunghi coltelli tra leaders politici, adesso anche questa poesia del dolore… tutto congiura per una buona dose di valium…

  3. Bellissimo testo.
    Grazie di cuore.

    Per fortuna non tutto è facebook, blog e autocertificazioni internettive.
    Il valium e il panettone aziendale natalizio lo distribuiscono altrove.

  4. ringrazio tutti e in particolare Orsola per le sue parole, per tutto il tempo che le ho fatto perdere per rendere presentabile un urletto da microfono scassato :-) con tutte le p le t che esplodevano :-)
    e per l’icoraggiamento perchè io faccio la baldanzosa ma resto soprattutto una cagasotto :-)

    un abbraccio

  5. Amo la poesia di Maria Valente,
    la sua voce cogne mon coeur, brucia,
    mi fa entrare nel tunnel del dolore.
    Poesia di grande voce, ferita, dura.
    La poesia di Maria mi mette a nuda.
    Mi lascia a scoperta, sans issue.

    Sublime, Maria.

  6. cara maria, testo difficile ma con un buon coraggio, crudo come certe liriche di silvia plath che, scriveva, aveva nove vite da morire non da vivere. interessante il tuo rovesciamento, che la vita risuoni dentro alla malattia -e non viceversa- come un ospite in frasi spezzate e quotidiane.
    intenso, davvero.

  7. ringrazio di nuovo tutti, uno ad uno, dei cari commenti, aggiungo solo una parola:

    …c’è vita, sì …e c’è morte, ed è una condizione talmente eccezionale che nessuno dovrebbe mai sentirsi legittimato ad imporre a qualcuno, ma che ognuno dovrebbe essere libero di decidere se proseguire o interrompere, secondo la propria volontà, senza che NESSUN ALTRO si senta autorizzato ad interferire.

    http://www.corriere.it/cronache/08_dicembre_16/eluana_ministero_alimentazione_5732d5a0-cb91-11dd-839f-00144f02aabc.shtml

  8. ieri ero troppo turbata, volevo solo dire che tra la vita e la morte c’è un continuo non presente anni fa; anche in situazioni più sfumate si è vivi quando si sarebbe dovuti essere morti e non si è guariti e non si guarirà e nessuno sa cosa avverrà ed è in questo limbo artificiale che diventa quotidiano e che per alcuni è e sarà la loro vita (mescolata sempre alla loro morte in vita) che si avrebbe bisogno di sentire libertà e rispetto e che si integri l’esistenza di questo oltre che in chi vive anche nel resto del mondo. Grazie Maria Valente

  9. Splendida Maria, grande interpretazione, densa angosciata straniante vibrante…una voce che coglie “i diagrammi” del non detto non percepito…
    grande Maria, grande scoperta!

    M’incuriosiscono gli autori citati nel collage…
    Saldan

  10. Saldan,
    scusi il ritardo, rientro appena adesso, non sono ancora riuscita a togliermi le scarpe e poi trovo una pagina così densa di articoli, oggi … ed è una domanda che un poco m’imbarazza perché non riesco più a distinguere con sicurezza, quelli che ricordo con buone probabilità:

    Aimé Césaire
    Sarah Kane
    Friederike Mayrocker
    Henri Michaux
    Corrado Costa
    deleuze & guattari
    Alain Robbe-Grillet
    Lamberto Pignotti
    Uwe Johnson
    Durs Grunbein
    John Ashbery
    Alain Jouffroy
    Agamben

    qualche articolo su quotidiano
    e tantissimi altri che non mi ricordo più…

    quasi tutti stravolti, molti potati, un paio scomodati a più riprese, molti ridotti a un cenno, in mezzo a questo gran casino, ovviamente, del mio, autocitazioni comprese: un paio di versi di intere mie tranciate di netto, alla base di tutto, un insopprimibile bisogno delle parole degli altri, mi mancano le parole per dire ciò che voglio dire, non posso farne a meno, ho bisogno dell’aiuto di tutte le parole del mondo, ho bisogno dell’aiuto di tutti quegli altri per dire quello che volevo dire, perfettmente consapevole di non esserci ancora riuscita, finora, nemmeno una volta…
    ma grazie della stima

  11. Maria sei una bella scoperta: ho ascoltato anche blu organico, bello e intenso… sai, hai dato corpo a qualcosa di cui ho sempre fantasticato, ma a cui non ho mai creduto possibile dare forma…. ascoltavo blu organico e vi vedevo anche attori/danzatori dare vita alle figure evocate dal testo, con pantomima di forte corporalità, ma con grazia, tra luci ovattate e quinte mobili….
    Mi piacerebbe organizzare una tua performance qui, alla Casa delle Arti di Succivo: abbiamo una cavea all’aperto, una sala esposizioni come quinta e una sala convegni insonorizzata… sarebbe bello averti nel corso del 2009. Siamo a Succivo (Caserta), Area v^ attività culturali del Comune Per contatti : saldan@libero.it

    Tante belle cose e buone vacanze

    Saldan

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orsola puecher
orsola puecherhttps://www.nazioneindiana.com/author/orsola-puecher/
,\\' Nasce [ in un giorno di rose e bandiere ] Scrive. [ con molta calma ] Nulla ha maggior fascino dei documenti antichi sepolti per centinaia d’anni negli archivi. Nella corrispondenza epistolare, negli scritti vergati tanto tempo addietro, forse, sono le sole voci che da evi lontani possono tornare a farsi vive, a parlare, più di ogni altra cosa, più di ogni racconto. Perché ciò ch’era in loro, la sostanza segreta e cristallina dell’umano è anche e ancora profondamente sepolta in noi nell’oggi. E nulla più della verità agogna alla finzione dell’immaginazione, all’intuizione, che ne estragga frammenti di visioni. Il pensiero cammina a ritroso lungo le parole scritte nel momento in cui i fatti avvenivano, accendendosi di supposizioni, di scene probabilmente accadute. Le immagini traboccano di suggestioni sempre diverse, di particolari inquieti che accendono percorsi non lineari, come se nel passato ci fossero scordati sprazzi di futuro anteriore ancora da decodificare, ansiosi di essere narrati. Cosa avrà provato… che cosa avrà detto… avrà sofferto… pensato. Si affollano fatti ancora in cerca di un palcoscenico, di dialoghi, luoghi e personaggi che tornano in rilievo dalla carta muta, miracolosamente, per piccoli indizi e molliche di Pollicino nel bosco.
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