Il talento di mr Scott

di Gianluca Veltri

Il 19 giugno del 1982 compivo diciotto anni. L’Italia stava facendo pietà ai Mondiali di Spagna. In quel giorno di teorico giubilo il mio cuore era gonfio di dispiacere: era giunta ai giornali italiani la notizia della morte di James Honeyman Scott, il chitarrista dei Pretenders. Il decesso era avvenuto il 16 giugno a Londra, per un arresto cardiaco, a causa di una overdose accidentale di eroina e pasticche. Non si seppe molto di più. Non ero a conoscenza del fatto che Scott fosse un tossico – anzi, associavo la sua chitarra a immagini piene di sole – ma la cosa non meravigliò nessuno. Qualche giorno dopo l’Italia pareggiò con il Camerun (botta e risposta di Graziani e M’Bida), e sembrò che nulla potesse più risollevarci.
Ero un fan della prima ora dei Pretenders. Anche se non lo avevo confessato a nessuno, il secondo disco, apparso poco meno di un anno prima, non mi aveva esaltato quanto il primo, ma, come avrebbe cantato un po’ di tempo dopo Caparezza, il secondo album è sempre il più difficile. Si sarebbero rifatti con gli interessi, ne ero certo. Erano bravi e giovani. James Honeyman Scott aveva 25 anni. Aveva talento.
Intuii vagamente, al mio diciottesimo compleanno, che quei Pretenders non sarebbero esistiti mai più. Che peccato.
Ebbi subito la percezione che quel suono din-don-dante come di carillon, e quegli scrosci di corde melodiosi, erano finiti proprio in quei giorni della mia maggiore età. Perché era lui, Jimmy, il responsabile di quel suono che mi piaceva tanto. E anche se la morte di un chitarrista rock è un evento che viene metabolizzato con facilità, quasi fosse nel novero delle possibilità, che in fondo ci può stare, a me dispiaceva un sacco: per lui, che aveva solo 25 anni, e anche, egoisticamente, per me, che amavo il suono della sua chitarra. Ah, Jimmy Scott.
Solo due dischi incise. Ma gli sono bastati per diventare un caposcuola.

Il chitarrista degli Smiths, Johnny Marr, genio indiscusso della 6 (e della 12) corde, dichiara che il suo stile è stato influenzato in maniera fondamentale da James Honeyman Scott. Nel 1990 confidò in un’intervista: “La prima volta che ho suonato ‘Kid’ con i Pretenders non riuscivo a crederci. Per anni ho utilizzato quell’assolo per riscaldarmi ogni giorno”. “Kid” appartiene al primo album dei Pretenders, intitolato semplicemente “Pretenders” (1979). Il gruppo, nato giusto trent’anni fa intorno alla figura di Chrissie Hynde, cantante e chitarrista dell’Ohio, annoverava i tre inglesi Pete Farndon al basso, Martin Chambers alla batteria e James alla chitarra. Fu un successo planetario, sotto la regia del produttore Chris Thomas. In epoca new-wave e post-punk, il gruppo andava a raccogliere le energie ancora vibranti del presente e del passato prossimo, ma anche eredità anni ’50 e ’60 e il talento melodico dei Kinks. Aggressività e melodia. Pete Townshend, il chitarrista dei Who, definì l’effetto di quella fusione “come una droga”. Con la sfrontatezza dei debuttanti, i quattro avevano vergato sul retro-copertina un consiglio per l’ascoltatore: “play this record loud”, suonalo ad alto volume.

Se, con il senno del poi, riascolti “Kid”, una canzone malinconica ma dai ritmi serrati, sembra quasi che la Hynde la stia cantando per Jimmy:

“Spegni la luce, vattene
pieno di grazia, ti copri il volto.

Ragazzo, grazioso ragazzo
i tuoi occhi sono azzurri ma non piangi
so che le lacrime di rabbia sono troppo preziose
non le lascerai andare”.

Le parti chitarristiche sono di una freschezza senza risparmio. C’è dentro western, jingle jangle, flamenco. Lo stile di Honeyman Scott è molto ricco e melodioso. In merito, la Hynde dichiarò nel 1999 (Jimmy era morto già da 17 anni): “Era lui il sound dei Pretenders, il mio sound non è quello. Quando l’ho conosciuto ero una chitarrista e cantante punk, con scarso senso melodico, mentre era Jimmy quello melodico, e ha tirato fuori tutta la mia parte melodica”.
Jimmy, già con il solo album d’esordio, è come se avesse depositato il marchio sonoro del gruppo: un chitarrismo fatto di lick, arpeggi, jingle-jangle, fraseggi, brevi assolo, ritardi, ricami, frasi brillanti, cantilene, con un’inventiva timbrica e melodica davvero scintillante. Un saggio perfetto di questo stile è in “Tattoed Love Boys”, che sarebbe un pezzo punk, acre e provocatorio. Ma sopra questo tessuto Jimmy ci mette tre note (din-don-dan) di cristalli che indirizzano il mood in un’altra direzione, che aprono spazi imprevisti. In “Private Life”, il lungo reggae contenuto in “Pretenders”, si apprezza nettamente la differenza delle due chitarre, della Hynde e di Scott. Chrissie suona la ritmica, in levare, suono secco come lo stile. Jimmy invece le sovrappone leccate a singole corde scampanellanti, con un effetto avvolgente, producendosi anche in ben tre assolo, l’ultimo dei quali, il più lungo, è davvero superbo, hendrixiano, molto emozionante.
Certo Jimmy Scott non era (il) solo: all’epoca si stavano affermando gruppi britannici in cui lo stile chitarristico era assai innovativo: per citarne soltanto alcuni, i Police di Andy Summers, i Gang of Four di Andrew Gill; di lì a poco gli scozzesi Cocteau Twins di Robin Guthrie e gli Smiths di Johnny Marr. Tutti gruppi in cui la trama del suono era caratterizzata soprattutto dallo stile e dall’inventiva timbrica del chitarrista.
Il grande botto di “Pretenders” fu il terzo singolo “Brass in Pocket”. Esplose nell’estate del 1980, era presente in tutti i juke-box. La grazia di questo pezzo sorprende ancora adesso, mi fa pensare a un’innocenza che non esiste più (ma forse sto pensando alla mia). Che lavoro stupendo fa Jimmy in questa canzoncina, che è una delle poche co-firmate da egli stesso con la Hynde: arpeggi luminescenti, una rete scintillante di corde che stendono un velo pastellato e leggero di nostalgia già alla prima nota del primo ascolto.
Il mondo era con loro e il tempo sembrava dalla loro parte. Ma la sabbia nella clessidra cominciava già a cadere nella metà sbagliata.
Nel 1981 uscì il secondo album dei Pretenders, più patinato e pretenzioso del primo, privo di quell’urgenza che aveva reso necessario il disco di esordio. Ma certo non mancano le delizie: la chitarra di Jimmy squarcia come lampi nella notte in “Bad Boys Get Spanked”, un rock’n’roll tetro e gangsteristico. “Message of Love” è addirittura una delle sue prove migliori: c’è dentro una buonissima aria, molto vitale e sensuale. Nella strofa la chitarra ha un suono rock bello acido e si fa da sola domande e risposte. Nel ritornello cambia del tutto timbro, iniziando a risuonare in un magnifico jingle-jangle. È, “Message of Love”, uno dei pezzi che hanno definito il suono-Pretenders, e uno di quelli che probabilmente hanno più influenzato Johnny Marr degli Smiths. Dai reperti video disponibili si può verificare che tutte le parti di chitarra di “Message of Love” sono suonate da Jimmy, mentre Chrissie si dedica esclusivamente a cantare. Jimmy è stilosissimo, biondo, magro, timido, sorridente, british. Che appartenga all’élite dei fuoriclasse, è confermato dalla sua nonchalance nell’eseguire senza apparente impegno qualsiasi passaggio chitarristico.
La seconda parte di “Pretenders II” è un po’ deprimente, tanto da lasciare quasi presagire le catastrofi incombenti, ma Jimmy è comunque sempre meraviglioso: sia che fraseggi in saliscendi, come in “Day after Day”, sia che arpeggi fino a trasformare la sua Rickenbacker in un usignolo in “Jealous Dogs”, sia che infine si produca in accompagnamenti contromelodici e assolo squisitamente bluesy sullo stile dell’ex-Stones Mick Taylor, in “The English Roses”.
Jimmy si era nel frattempo sposato con la modella Peggy Sue Fender (!), mentre i suoi compagni di band Chrissie Hynde e il bassista Pete Farndon avevano consumato una storia d’amore ormai finita. La realtà era che sia Jimmy sia Pete Farndon (concittadini di Hereford) avevano una frequentazione rischiosa con le droghe. Soprattutto Farndon, la cui dipendenza dall’eroina era diventata un grosso problema. Fu per questo che, dopo la conclusione del tour di promozione all’album “Pretenders II” – che comunque confermava e precisava lo stile-Pretenders, e quindi lo stile-Honeyman Scott – fu indetta una riunione straordinaria a Londra. Attenzione alle date. Era il 14 giugno del 1982. La situazione era insostenibile. Chrissie Hynde, il batterista Martin Chambers e Jimmy Scott decisero che Pete Farndon andava allontanato dai Pretenders, se si voleva che il gruppo continuasse a vivere. Jimmy suggerì che Chrissie facesse un pensierino per inserire nella band un terzo chitarrista, Robbie McIntosh. Ma non si fece in tempo a pianificare granché: il 16 giugno Jimmy fu stroncato in un bagno da un arresto cardiaco, dovuto a un’overdose di droghe. Si parlò di intolleranza alla cocaina, lui aveva la tendenza a mischiare pericolosamente sostanze come fossero note. Goodbye Jimmy Scott.
I Pretenders, se vogliamo essere precisi, finiscono in quei due giorni di giugno (anche se proprio in questo autunno 2008 è uscito un loro nuovo album).
Chrissie Hynde era distrutta, la band dimezzata in poche ore, e veniva a mancare colui che aveva sfornato il conio sonoro dei Pretenders. Come ha dichiarato recentemente il batterista Martin Chambers, unico superstite con la Hynde del team primigenio dei Pretenders, “nonostante i risultati ottenuti dal nucleo originario della band in soli due album, Jimmy e Chrissie stavano solo iniziando a capire di cosa erano capaci come team creativo”.
Per sostituire Honeyman Scott fu chiamato proprio Robbie McIntosh (che Jimmy avrebbe voluto nella band), il quale sarebbe rimasto nei Pretenders cinque anni per poi entrare nel gruppo di Paul McCartney. McIntosh riprodurrà il suono-Scott abbastanza filologicamente, rispettando il marchio della fabbrica, senza però la brillantezza e la freschezza dell’originale e degli esordi. Non uscirono album fino al 1984. Nel frattempo, quasi a confermare i presagi oscuri, quasi a giustificare la conventio ad excludendum di quel drammatico 16 giugno, Pete Farndon morì di overdose l’anno dopo, il 14 aprile 1983. Già da dieci mesi, ormai, era solo l’ex bassista dei Pretenders. Il suo posto era stato preso da Malcolm Foster.
La Hynde dedicò ben due canzoni a Jimmy, contenute nel terzo disco dei nuovi Pretenders, il primo senza i due martiri della droga Pete Farndon e James Honeyman Scott. “Learning to Crawl” (1984) annovera alla traccia 2 “Back on the Chain Gang”, destinata a diventare con ogni probabilità il pezzo più amato dei Pretenders. È una canzone quasi commovente, che inizia con le parole: “Ho trovato una tua foto…”:

“Ho trovato una tua foto
quelli sono stati i giorni più felici della mia vita
il tuo contributo è stato
come una pausa dalla battaglia
nella vita disperata di un cuore solitario”.

L’altro pezzo per il chitarrista defunto è in coda all’album e si intitola “2000 Miles”. Sopra note chitarristiche che fanno din-don-dan, molto “scottiane”, Chrissie saluta il suo gemello perduto cantando:

“Se n’è andato
a 2000 miglia di distanza
è molto lontano
cade la neve
ogni giorno fa più freddo
mi manchi.”

e ancora:

“I nostri cuori cantavano
e sembrava Natale
2000 miglia
sono tante da percorrere attraverso la neve
ti penserò
ovunque andrai”.

Dopo quel traumatico terzo album, che vedeva l’assetto della band stravolto per metà, e il gruppo privato proprio di colui ch’era stato il responsabile della grana sonora, i Pretenders continueranno fino ai giorni nostri a pubblicare – più o meno buoni – dischi e a fare tour, mutando formazione all’occorrenza, destinati a divenire sempre meno Pretenders, e sempre più il gruppo puro e semplice di Chrissie Hynde.

Su come andò in Spagna, invece, in quell’inizio estate del 1982, è superfluo dilungarsi.

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3 Commenti

  1. Troppo rari pezzi sulla musica rock qui, su NI…
    Benvenuti quindi ai Pretenders, anche se in quel periodo di trapasso tra punk e new wave stavo ancora attaccato alle robuste corde vocali di Plant, o fluivo nell’agonia cosmica dei Pink Floyd, o mi perdevo nelle giungle Jethrotulliche.
    Pretenders, Smiths, Stranglers & Co. impazzavano alle feste, ma la loro musica non mi entrò mai sottopelle e rimase ai margini delle preferenze, gradendone solo a volte l’ascolto.
    Poi però non capisco il criptico finale.
    L’Italia mondiale li oscurò?

  2. Apprezzai il primo disco, ma secondo me aprivano ad un mondo punk più superficiale.
    Lei era deliziosa, ma non sembrava voler versare il sangue su quello che faceva, la loro energia divenne presto troppo glamour.
    Però la loro musica è molto legata ad un momento difficile della mia vita che aveva altre e più drammatiche colonne sonore che oggi riesco a riintegrare, i Pretenders non mi parlano più molto.
    A molti dopo un loro concerto sembrava di toccare il cielo con un dito, ma li ho sempre trovati, alla fine, troppo educati, un trait d’union con gli anni ’80 da bere e rivolti ad un passato che non esisteva più.

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GIANNI BIONDILLO (Milano, 1966), camminatore, scrittore e architetto pubblica per Guanda dal 2004. Come autore e saggista s’è occupato di narrativa di genere, psicogeografia, architettura, viaggi, eros, fiabe. Ha vinto il Premio Scerbanenco (2011), il Premio Bergamo (2018) e il Premio Bagutta (2024). Scrive per il cinema, il teatro e la televisione. È tradotto in varie lingue europee.
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