C’è un solo italiano tra i morti di Mumbai

di Fabrizio Centofanti


C’è un solo italiano tra i morti di Mumbai. Siamo tutti contenti, noi italiani. Gli stranieri, sono strani. Voglio prendere una stanza, all’albergo di Mumbai. Fare il giro della morte, sotto il fuoco incrociato. Col sangue che schizza, capire dov’è la differenza, di cui mi hanno parlato. Prenotatemi una stanza, all’albergo di Mumbai: per sapere cosa cambia, da passaporto a passaporto.
Da morto a morto.

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10 Commenti

  1. No. Non siamo tutti contenti. Io non sono contenta.
    Non credo di essere la sola. A me mette vergogna sentire quella specie di meschina esultanza che ci avrebbero voluto comunicare i servizi TV per il fatto che gli italiani sono più “benvoluti” dai terroristi che inglesi americani e ebrei. Vedi un po’ che onore di cui andare contenti!
    Fra l’altro tutta quell’enfasi sugli italiani salvi perché benvoluti dai criminali non fa che ribadire la leggenda falsissima degli “italiani brava gente”.

  2. scusatemi, ma a me verrebbero solo le parolacce, e non è segno di civiltà, ma è abominevole. Mi sembra di risentire una signora ricca che conoscevo e che mi spiegava che la ragazza filippina che lavorava da lei le aveva chiesto di tenere il figlio (di un anno scarso) con lei nella stanzetta. La signora mi disse che sapeva che avrebbe lavorato bene lo stesso ma non le sembrava il caso, ben sapendo che la ragazza avrebbe dovuto lascairlo nelle Filippine a dei parenti e rendere il figlio sostanzialmente orfano. Purtroppo lì le parolacce non sono uscite.

  3. C’è anche un altro aspetto osceno, che è la trattazione di simili fatti a livello dei media: il “reducismo”, la retorica del rientro dei “sopravvissuti” attesi negli aeroporti più dalle telecamere che dai parenti, “io ho visto la morte in faccia”, il solito rituale dell'”unità di crisi della Farnesina”, del “premier che segue di ora in ora telefonicamente l’evolversi della situazione”, del “le autorità locali ci hanno lasciati soli”: una serie incredibile di frasi già belle pronte per ogni emergenza internazionale, da assemblare a caso con l’avvertenza, però, di aggiornare di volta in volta i luoghi dove si svolgono le tragedie “che affliggono i nostri connazionali all’estero per turismo o per lavoro”. E poi la frenesia “identitaria” dei media locali nazionali: “due liguri nell’albergo della mattanza”, “tre comaschi nel resort dell’orrore”, “un perugino sfiorato dall’esplosione”…

  4. grazie per la tua sensibilità, Antonello, e grazie anche a Mia e Lucia.
    certi pensieri entrano nella vita a poco a poco, come la famosa goccia.
    un abbraccio
    fabrizio

  5. Pier Carlo dice bene ma il tutto va radicalizzato. Una “serie di frasi già belle e pronte per ogni emergenza” (di più: per ogni evenienza) non funge da pseudo-struttura alla vita, bensì è la vita, è il modello (l’unico) con cui interpretare (e tutti nello stesso modo) la società e il mondo. E’ tutto semplificato in un paio di opzioni generalizzanti: sinistra/destra, italiano/straniero, lavoratore/fannullone, produttivo/parassita, così che tutto quello che sta in mezzo (cioè la realtà vera) può essere ascritto di qua o di là secondo convenienza. Così l’etica è mobile, i valori morali e civili manovrabili in base alle esigenze. E l’italiano sa piacere, sa riuscire “simpatico” un po’ a tutti. Fuorché alle persone perbene.

  6. concordo con Pier Carlo e Niky.
    e aggiungo: come far crollare il castello della falsità prefabbricata? ora vogliono lottizzare anche la rete.

  7. Lavoro in un gionale, e vi garantisco che “smontare” questo rituale perverso è semplicemente, e tragicamente, impossibile: nessun direttore accetterebbe una linea che farebbe apparire il proprio giornale come “Cronache marziane” al confronto con il conformismo imperante… Resta la “scappatoia” della rete, mezzo potentissimo ma al tempo stesso non d’impatto globale come altri media… Eppure anche la rete rischia limitazioni devastanti: segno che fa paura, molta paura, anche a chi impone la solita “marmellata informativa”…

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Antonio Sparzani, vicentino di nascita, nato durante la guerra, dopo un ottimo liceo classico, una laurea in fisica a Pavia e successivo diploma di perfezionamento in fisica teorica, ha insegnato fisica per decenni all’Università di Milano. Negli ultimi anni il suo corso si chiamava Fondamenti della fisica e gli piaceva molto propinarlo agli studenti. Convintosi definitivamente che i saperi dell’uomo non vadano divisi, cerca da anni di riunire alcuni dei numerosi pezzetti nei quali tali saperi sono stati negli ultimi secoli orribilmente divisi. Soprattutto fisica e letteratura. Con questo fine in testa ha scritto Relatività, quante storie – un percorso scientifico-letterario tra relativo e assoluto (Bollati Boringhieri 2003) e ha poi curato, raggiunta l’età della pensione, con Giuliano Boccali, il volume Le virtù dell’inerzia (Bollati Boringhieri 2006). Ha curato due volumi del fisico Wolfgang Pauli, sempre per Bollati Boringhieri e ha poi tradotto e curato un saggio di Paul K. Feyerabend, Contro l’autonomia (Mimesis 2012). Ha quindi curato il voluminoso carteggio tra Wolfgang Pauli e Carl Gustav Jung (Moretti & Vitali 2016). È anche redattore del blog La poesia e lo spirito. Scrive poesie e raccontini quando non ne può fare a meno.
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