Tre topografie
Roberto Cavallera è nato a Saluzzo (Cuneo) nel 1968, si occupa di arte contemporanea e cura i blog compostxt.blogspot.com e prosthesis.wordpress.com
di Roberto Cavallera
eritiamor
conservati in codici, informazioni, sull’una cosa, sull’altra, filata di quella buona, pagina per pagina, maneggiate a lungo
fatte scattare su sistemi, insiemi
a minuti a strati. lisci sulla parte inferiore (aggiunti a goccia che e
circa un guardare enorme (tutto nell’altra mano lades
conservati dentro: via, rimasti nella parte, contenuti, contenuti
presi dalla scatola con una certa innocenza. come da un fondo pieno di delicatezze (probabilmente sapeva dove erano state fatte, dice, le dice, abbiamo avuto tutti un’occasione
si stende temporaneamente su un fianco, dice a usare, no, trovare la spiegazione, spiegato meglio
una voce detta ad altre
mentre regolano i volumi prima del ballo: il pavimento, la piattaforma le fasce le sedie a prova d’un qualsiasi senso
ripreso ora, rispeso
voce continuata, raggiunta, ecco, questa, questa, riconosciuta subito, veniva a scuola con noi, beh, è lei, chiedi
poca estensione, non giusta, non corretta (giustificato così. tutto
detto dice in un modo che la contraria terribilmente
rischiano (devono) scivolano, definitivamente tre ballati su due
aperta altra luce, altra causa, alterata a cosa a cosa realmente dovuta, fuori da cosa, viene chiesto, ripetuto, fuori cosa, mai persa
uno buono, forte, maturo (detto forte
sembra come ascoltare
tenute insieme molto | abbastanza | poco | per niente
(notate
messe a punto, a condizione, aumentate, acute strette spinte
data una metà per l’altra
la metà l’altra ripresa al passo
al giro al passo
stabatm
precisa un temperamento una tolleranza|
governate debolezze da solarium, aderite, certificate- chiamati altri favoriti ai regni, a matrigne
due dita nell’incavo caldo morbido-intuiti rigori prossimi- tappezzerie di belle di lettere. costanti. trovato un filo si tira. l’eclissi è totale il discorso no- indicata una
ponderazione un’osservazione tit “la coppia e il debuttante
a contrasto elevato rilevato un nervoso un galleggiare nevoso. un genere un senso esteso sulle panche sul viale ( si passa da lì per il bar maggio è andato deserto, un
destino da inverno. le fragranze dei blocchi, delle reazioni. giri di narrative larghe, cariche, odiose, spazi inclusi
compilazioni sfrenatamente misteriose, forse il titolo spiega, invece no
«sbiadisce una revisione fisica
l’agitazione risuona come meglio non potrebbe e belle e stese hanno un’immagine e stanno hanno la vastità d’un seme se punte invitano al sonno- una rappresentazione- di là
fatte conclusioni di pensiero di paste -d’argille così pensate vive -così molte troppe e via come
colombine volano nell’affresco
exotica
l’avvenimento resta aperto / sempre / raccoglie e consorzia
quale funzione sottratta, tirata via, quale consumazione intensifica i negozi (squisito questo squisito q
a terra, le terre. presentati feticci. filano intenzioni. non presenti rivelazioni, solo alcune divinità sul passaggio. scorticato da un fine settembre dice “sta rinfrescando
sul balcone il gatto gioca, scortica un delfino, una pezza
il conteggio necessario delle ringhiere, delle sere
compreso male l’appassimento -piuttosto tirare su forte, un vortice sale o (scende -anche questo
la trasmissione concisa d’un insulto spurio -riassuntivo breve
abbandonati per gradi spesi a spese inutili ma eccessive
discendenze di sforzi, sordi spostamenti al richiamo, dati per nome, fa freddo, si rientra, ecco come vanno, v gira la maniglia, tira le tende
indistinto il flusso, ha una massa un sangue, s’approssima, adattabile alle diagnosi, mette su righe, non giuste, tira tutte tira a capita muoversi |una diffusione una
diaspora d’innesti, d’unioni, date intere, occupate per intero, abbaiano dentro un suono sembrano molti
-non numerate fitte correttive- ostili alle osservazioni, appuntata una nota, come bella come bella- ripetizioni nelle tube nel vetro: da dove si vede (viste spuntano nel prato
vicino merde pigne carte di i di
colorate
dove finiscono le scale, ah s’invidia quella caduta
nessun contorno alle lettere, nessuna grazia, sono bestie, non rispondono allo stimolo immensamente rifatte, al tratto
(deteriorabili allenati alla sete alle code alla folla
a suo modo intransigente scivola dalla fessura un vento
I commenti a questo post sono chiusi
che bello scritto. vorrei saper se posso mandarle qualche scritto mio, gentile domenico pinto. un surreal flusso e non proprio fine a se stesso. la poesia visionaria e onirica delle immagini. complimenti ovviamente a roberto di cui leggo ora il blog e che stende al sole incosciente i miei preconcetti intorno alle fagocitate lettere italiane sempre meno poco visionarie.
ilario.
stati digitali di coscienza.
eccoci lambire costieri abbracci di sole nascosti dalle dune.
priorità. indefinizioni. indefettibili parsimonie ai funghi.
perché la meta della straniera è un paese ospitale.
pragmatica. retorica sciovinista. barbiturici stillanti ostie.
mancanza di senso. il tatto sperimenta. le mani a conchiglia sui seni.
curva sugli orizzonti. miagolio in fm. tranci di porticati neri.
il branzino. il cartoccio. il forno. pomodorini rosmarino rosmeri beibi. limone.
cena.
bonifacio ottavo filippo quarto benedetto sedici hitler.
prosastiche candele in apogei di canicole. accalappiacani di brandeburgo.
uccelli di rogo sui rovi di guglie. misteri vaticani. profondi sotterranei
contro cabine sospese.
radiodue. ora. pubblica post.
mi associo ai complimenti al lavoro di cavallera. però vorrei aggiungere che, in scritture come queste, la cosa che mi sembra “funzionare” non è tanto il grado di visionarietà quanto la capacità di gestire il salto sintattico. ovvero: i testi di roberto mi piacciono perché accosta in modo non banale “pezzi di frasi”, cioè strutture sintattiche incomplete; le elabora con ironia; esibisce, con un certo cinismo – per così dire -, il lavoro sull’ordine sintattico.
@ Ilario
Qui viene spiegato come fare:
https://www.nazioneindiana.com/chi-siamo/contatti/
grazie a ilario e gherardo per i complimenti, e a domenico pinto per l’inserimento… riguardo alla (eventuale) “visionarietà” dei testi direi che sì, è decisamente secondaria rispetto al lavoro sulla sintassi e sulle – diciamo così – meccaniche ordinarie del testo… i pezzi li trovo già smontati, rimontarli poi è un altro discorso…
a me non dici un cazzo? scusa eh! ho impiegato quindici minuti della mia inutile vita per trovare qualcosa di simile al tuo cut-up postdigitale e tu? manco un ciao! e che cavolo! vabbene che non sono uno scrittore. ma un essere umano sì, purtroppo. dai non ti preoccupare. ci sono abituato. e poi da una persona geniale come te ci si deve aspettare di tutto, anche il niente!
ciiiiaaaaoo.
:)))
ma come siamo suscettibili… desolato per i tuoi quindici minuti irrimediabilmente persi… saluti postdigitali
gia’,la sintassi come organo della visione.
finalmenteroberto cavallera si NI.La lingua che riconquista,per sottrazione,la sua complessita’ irriducibile…
Questi esperimenti sono sempre interessanti.
Il punto fondamentale, naturalmente, sta nel grado di elaborazione (o nell’algoritmo, diremmo) della costruzione dei periodi. Se si tratta di una forma di controllo -o di un controllo sulla forma- a mio modesto avviso sarebbe piu’ efficace delegare la costruzione ad un algoritmo e stop, come ad esempio nel generatore automatico di Roberto Uberti. In quel caso, la poesia non starebbe piu’ nelle sequenze messe assieme dal calcolatore (che pure non sono banali, in un discorso di pura forma letteraria), ma nell’algoritmo stesso, il cuore del discorso sintattico come lo chiama Bortolotti. Assunto questo, si passa a lavorare sugli algoritmi e sulle varie codificazioni di linguaggio formale che da quelli scaturiscono.
In questi pezzi, come in altri dello stesso tipo nei quali la mano umana e’ ancora presente, la possibilita’ insita nella teoria sottesa non viene mai sfruttata a pieno, vuoi per le oggettive limitazioni dell’umano scrivente (che lascia ancora troppo il suo calco), vuoi per un certo grado di autocompiacimento e di ordine (anche questi umani, dunque forme che ancora limitano gli esiti) che “indirizzano” la costruzione.
Insomma, se paesaggi alieni viene da cercare, non puo’ essere una mano umana, per quanto esperta e decalcata, a provvederli, anche perche’ gli effetti combinatori e le possibilita’ di accumulazione di un cervello umano sono meno “critici” di quelli generabili per mera potenza computazionale, istruita solo da una serie di regole sintattiche.
confesso che, rispetto alla questione dell’intervento umano, ho una posizione ondivaga. da una parte sono affascinato da come, anche in assenza di una motivazione umana, come nel caso dei generatori automatici, qualunque testo introduca un punto di vista, una formulazione d’ordine, una porzione di senso. in verità non è solo una questione di fascino ma è proprio il fatto che si assiste alla “realtà autonoma” del linguaggio (che è pur sempre il primo realismo con cui dovremmo misurarci, credo), un’esperienza, per conto mio, sempre carica di insegnamenti.
dall’altra parte, tuttavia, l’interesse che provo per una scrittura come quella di cavallera, ma anche di quella dei miei compari gammmi e di molti altri autori italiani e non, è proprio la ricostituzione di un ruolo autoriale basato non sulla rappresentazione dell’ordine del mondo ma sulla proposta di un suo ordine e, in senso lato, su un suo ordinamento. un ruolo autoriale che, proprio per questo, acquista una dimensione etico-politica esplicita e cosciente, che mi sembra darle una forza peculiare (e, mi verrebbe da dire, rinnovata).
sottoscrivo le considerazioni di gherardo, soprattutto quando si riferisce alla ‘realtà autonoma’ del linguaggio, l’inevitabile sua ‘mondanità’ con cui ci si trova comunque a fare i conti… riguardo all’intervendo di giusco, non so se sia riuscito a sfruttare a pieno le opportunità offerte dall’uso “algoritmico” della scrittura; direi che nel mio caso i testi generati automaticamente o semplicemente “trovati” sono solo “inneschi” per una scrittura ulteriore, forse innaturale, determinata, guidata dall'”incidentalità” di frammentazioni testuali caotiche e residuali. in questi miei testi (come nella maggior parte di quelli presenti in prosthesis) la presenza dell'”autore” c’è e si avverte, si deve avvertire, per quanto questo possa sembrare esercizio d’autocompiacimento o di narcisismo fuori tempo massimo. ad ogni modo non cerco paesaggi alieni, bastano e avanzano, purtroppo, quelli in cui mi trovo
Il mio compare Giuseppe vuole istruire la parola, coi ferri, disanimarla, inghiottire l’autorialità. E’ la sua onorevole strada.
Noi, però, veniamo prima della macchina; c’è una porzione incorruttibile e menefreghista, un ordine ribelle.
D’altro canto, credo sensata la sua posizione quando lo scritto è interferenza, “indistinto il flusso”.
Bortolotti ammira di Cavallera “la capacità di gestire il salto sintattico”, ma vi sono campiture troppo larghe e arruffate, larghissimi spazi di movimento nelle tre topografie, la prima a soffrire è la sintesi.
A me pare che in questi “tagli” la scrittura galleggi sulla pagina, non sia corroborata dal ferro, si attorcigli scritta. Pare non abbia subito il pensiero. Qui la debolezza, secondo me.
Come scrive lo stesso Cavallera: “la matassa prematura” […] “che s’inventa che s’inventa un po’ di polvere un po’ di fumo”.
non posso che ulteriormente sottoscrivere e magari sovrascrivere
le posizioni di bortolotti-cavallera,nomi non so quanto e se “”autoriali”,
riserve di testi da ritrascriversi e copiare,indefinitamente…
a proposito d’algoritmi e pensieri, spropongo codesto testo de-testato:
“[…] vuolsi così per la mancanza d’un pensiero che non sia senza pensiero; vuolsi colà per la mancanza di un essere che non sia senza essere; e vuolsi così colà per la mancanza d’un sono che non sia e senza sono e senza essere e senza pensiero. […] Ecco per ché, avendo in mente di esemplare un algoritmo, la cui formula, – seguendo sequenze a tutti logiche d’istruzioni – quanto elementari, e evidenti, e d’interpretazione univoca, e il cui ordine sia stabilito e prestabilito, e la cui soluzione sia data in un numero finito di passi, – ognun sa, la stessa mente altera demente mentirà viceversa la formulla del logaritmo, cioè a dirsi una funzione inversa rispetto a quella esponenziale, o una disfunzione, ecco, una disfunzione, dunque, che non esponga nulla, o il suo contarario: che esponga appunto il nulla.”
es-tratto da “il tic della tac”
riguardo ad una maggior sintesi sono d’accordo, perché farla soffrire? proporrei anzi un generale ritorno alla pagina bianca e lì galleggiare senza più pena senza, più pensiero… per il resto non saprei… arruffamenti, attorcigliamenti, allargamenti, carenze di ferro, ci può stare tutto, ognuno interpreti come crede, ci mancherebbe…
in quel testo, chi s’inventava un po’ di polvere e un po’ di fumo era un cadavere sottoposto a cremazione, il riferimento di arendo è a suo modo pertinente, scrivere in fondo è un po’ così, far finta di rianimare cose irrimediabilmente morte (penso ai “cadaverini stesi” di savinio)
riccardo concordo con te sul ritrascrivere, sovrascrivere, copiare, ricopiare, indefinitamente, infinitamente, fino ad arrivare ad una bella pagina nera e lì affondarvi, con più pena, con più pensiero…
e adesso vado a leggermi il resto del “tic della tac”
@ roberto con il tempo libero tiranno
spero di non averti deluso sì come d’eluso campo elisio in terra terragna ultraterrena giunsi a te e/letto avendo /o essendo/ le tue sinta(ma)gmatiche p-r-o(e)se(tiche) preclaro segno ne tenni e man tenni giunte agli dèi ulteriori
no no, teqnofobico, nessuna delusione…
s o s piro teqnico: merci bien