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♫ dei poeti le voci [2]: VIOLA AMARELLI

Ballate senza tempo

1660 a.C. circa – eruzione del Vesuvio detta delle “pomici di Avellino

Fuggimmo, il cielo s’era fatto
basso, umido il vento
fuggimmo quando l’odore della sera
venne marcio
l’ammasso in volo di zanzare.
In fretta, tagliando i rovi,
battendo il sottobosco,
avanti con le falci e i bastoni
correvano pure gli animali
al fiume, al fiume, tra le grida
puro terrore quando assordò il boato
cupo senza fine
gettammo i bambini lungo il greto.
Esplose, queste tibie
e questo fango.

nota: datazione geologica della più devastante
eruzione europea degli ultimi quattromila anni

sfilata

Ricciolo a ricciolo, volute di svolazzi
fra le barbe e i capelli quasi merletti,
una teoria di pieghe plissettate, minuetti
dove occhieggiano palpebre bistrate:
la lunga fila assira che risplende
di pietra bianca opaca
non fosse sul proscenio laterale
quel riflesso, le labbra hanno il sorriso
barracuda,
polvere e sangue sotto
dal’inizio e in ogni luogo.

 

 

1888

Bordo scheggiato di scalino, sporco bagnato
scivoloso
fanghiglia d’umido sciolta la neve
il fiume onnipresente nel
respiro, rantolo di novembre nelle ossa
la strada tutta buia, cipria venuzze rossa
gin alcol di caldo, pochi clienti,
la schiena che cedeva,
da un pezzo si sentiva, era, un rottame
ma le caviglie, le sottili
e il tacco che ruotava sui tavoli e le piazze,
quelle, restavano, c’era uno in arrivo,
bello il cappotto, odore di costoso, il naso quello
ancora funzionava.
Consunti i basoli, buche nel selciato,
pietre, le scalinate sul retro dei locali
mai andare incontro, restare immobili
tanto oramai tutte hanno finito
la nottata,
ci vuole fegato, e voglia di soldi e molti,
gente da mantenere, figli,
due, lontani a un banco di fioraio,
avesse sposato il droghiere, ma vai, no no
rozzo di polso e timido di lingua,
sarebbe sistemata, e questo che va lento,
arriva, l’ora adatta
tutti ubriachi e sfatti e rintronati
gioco di mani e strofinio e il borsello.
Eccolo, mai andare incontro,
eccolo, solo
come si è tutti, hanno voglia a dire
gli occhi, quelli, gran dio, fottuti
all’ultimo momento vede
la borsa gonfia nera a soffietto
e lo scalino scivola
rovina il tacco
balza, in fretta
più in fretta lupo mannaro
mostro,
eccolo addosso.
Mai andare incontro,
ruota il tallone, sfila la caviglia
ghiaccio vicina candida
squarcia l’alba la lama, da giù a su,
senza pensarci, più veloce, più.
Sudore o sangue, bagnata, in fretta
la fatica, ferma lentissima e pesante
non guardare, come al macello quando
ammazzano i maiali, senza vedere
chiarore del mattino, pianissimo
la luce, prendere la borsa, e i soldi
la tasca ai pantaloni,
puzzava la vescica
puzzava il mondo, di soldi e visceri
un bordello.
Si strinse nel mantello, bucato, una gala rivoltata,
sul nero il sangue lì per lì non stinge,
una fortuna, le cose, sciocche ma giuste
il primo di dicembre, adesso, il rosa grigio
ad est, gente per strada.
Anne Parson andò a dormire, tremando,
da qualche parte, più tardi, dopo, un bicchiere
chissà chi era, quel porco pazzo fottuto
quel vomito d’inferno, stronzo demonio,
chissà chi era Jack lo squartatore.

nota: l’ultimo delitto “canonico” attribuito
a Jack the Ripper risale al novembre del 1888,
da allora non se ne ebbero più tracce.

 

 

patrie

Ha cambiato di lingua e di nome
e il cielo ha una linea diversa
e ci sono colline
ma non uno tra i fiori che a mazzi
le riempivano i giorni al mercato.
Entra in case stracolme di oggetti,
li pulisce,
stupita vi sia tutto quel ben di dio
cui nessuno oramai fa più caso.
Le persone le sembrano strane,
lamentandosi stanche di rabbia
eppure non si scava patate o carbone,
né si ammassano in fuga nei camion.
Gli uomini, quelli, più o meno gli stessi
certo non bevono tanto
ma ugualmente ci provano gratis.
Sa di essere stupida e brutta,
non importa, ha gli occhi pervinca
e sorride e insiste daccapo.
Preferisce i colori sgargianti,
tutti i fucsia e i verde del mondo,
troppe morti alle spalle,
ma è riuscita a portarsi suo figlio.
Fino a sera spolvera e lava
al ritorno, preparata la cena,
finalmente si spoglia,
respira, in un amen di lingua d’infanzia
a un suo dio che sicuro la ama,
le radici le hanno le piante,
donne e uomini hanno le gambe.

 

 

[ la voce di Viola Amarelli è voce poetica che “racconta” storie dalla Storia – ballate da remotissimo a presente – restituisce da avanti Cristo in poi una dimensione epica e soprattutto femminile unica per eleganza di termini – ritmo e musicalità dei versi – concreta per odori e suoni – da vulcani a tacchi su selciati – acuta per finezza di sentimento e sfumature – voce anche di una rivolta silenziosa ai destini

,\\’

nel loro essere artigianali – imperfetti nell’esplosione delle p – di certe vocali – negli scrocchi di elettricità statica – nel fruscio del rumore di fondo – i file sonori hanno un difetto che è pregio nel dichiarare il mezzo e il momento – nella lontananza – nel là diverso dal qua – dove vediamo la bocca vicina al microfono che legge – con tenerezza e distacco

,\\’

per l’eruzione solo i rumori e gli scrosci – i soffi e il bollire di lava – per la “lunga fila assira” di sfilata un minuetto manieroso – Boccherini – ma stonato e un po’ su e giù di giri – per Anne e Jack the Ripper gocce e flusso sonoro e brividi dell’Interludio dell’ultimo atto di Lulu di Alban Berg – che poco dopo nel finale proprio da Jack verrà squartata – da Wedekind e dalla sua visione fosca ed espressionista nel mettere in scena come Deus Ex Machina dellla fine l’icona del terrore popolare di quei tempi – il mostro dei mostri – per patrie un malinconico tango tzigano di Goran Bregović – appena accennato ]

 

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14 Commenti

  1. Grazie per questo fuoco! Ho letto la prima con il fiato sospeso. La poesia scorre verso il fiume, la margine tra la vita salva e la morte: i bambini sul greto.
    Poesia dell’angoscia nella notte inglese. Viola Amarelli raccoglie i fremiti del mondo femminile ( cipria venuzze rossa) e la nebbia allucinata, violenta dell’uomo ( gin, alcol, lama).
    Ballate senza tempo.
    Patrie mi piace ” le radici le hanno le piante
    donne e uomini hanno le gambe”

  2. “voce anche di una rivolta silenziosa ai destini ”

    Ballate che rileggo con piacere ritrovando questa voce che ha un suo cammino, tutto suo.

    Un caro saluto Viola

  3. Mi piace la natura “filmica” di queste ballate, dai campi lunghissimi:
    ‘Fuggimmo, il cielo s’era fatto/ basso, umido il vento’/
    fino al dettaglio: ‘queste tibie e questo fango’.
    In tutte c’è un ritmo incalzante che collega scene e immagini diverse, cariche di suoni e sensazioni. Se dovessi scegliere un genere sarei tentato di dire classico-epico, ma si tratta, per nostra fortuna, di affreschi e bassorilievi che anche quando si nutrono del mito e della storia guardano ai nostri giorni, con il distacco e l’ironia che rende grande un poeta.
    Un caro salute
    Abele

  4. Orsola ha miracolosamente rigenerato i miei pessimi file sonori, con un cura e attenzione impagabile e di questo le sono molto grata. Un grazie anche a Veronique, Nadia e Anna, e a tutti i lettori..Viola

  5. A proposito di Jack lo squartatore, hai/avete letto il capolavoro assoluto “From Hell” di Alan Moore? Graphic novel. Io l’ho letto una cinquina di volte, quando voglio tirarmi su… :-)

  6. A proposito di Jack lo squartatore-bis: non so se tiri molto su ma è un pezzo di cinema “notevole”

    Georg Wilhelm Pabst, Il vaso di Pandora (1929)

    ,\\’

  7. Yes, madam, come anche il film con Johnny Depp tratto dalla novel….e le rare interviste che la mitica Louise Brooks rilasciava in vecchiaia..l’idea che Jack sia stato semplicemente ucciso da una delle sue potenziali vittime mi ha sempre affascinato (della serie il riscatto…), un abbraccio, Viola

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orsola puecher
orsola puecherhttps://www.nazioneindiana.com/author/orsola-puecher/
,\\' Nasce [ in un giorno di rose e bandiere ] Scrive. [ con molta calma ] Nulla ha maggior fascino dei documenti antichi sepolti per centinaia d’anni negli archivi. Nella corrispondenza epistolare, negli scritti vergati tanto tempo addietro, forse, sono le sole voci che da evi lontani possono tornare a farsi vive, a parlare, più di ogni altra cosa, più di ogni racconto. Perché ciò ch’era in loro, la sostanza segreta e cristallina dell’umano è anche e ancora profondamente sepolta in noi nell’oggi. E nulla più della verità agogna alla finzione dell’immaginazione, all’intuizione, che ne estragga frammenti di visioni. Il pensiero cammina a ritroso lungo le parole scritte nel momento in cui i fatti avvenivano, accendendosi di supposizioni, di scene probabilmente accadute. Le immagini traboccano di suggestioni sempre diverse, di particolari inquieti che accendono percorsi non lineari, come se nel passato ci fossero scordati sprazzi di futuro anteriore ancora da decodificare, ansiosi di essere narrati. Cosa avrà provato… che cosa avrà detto… avrà sofferto… pensato. Si affollano fatti ancora in cerca di un palcoscenico, di dialoghi, luoghi e personaggi che tornano in rilievo dalla carta muta, miracolosamente, per piccoli indizi e molliche di Pollicino nel bosco.
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