Tre poesie da “Per chi non è caduto”
di Geoffrey Hill
traduzione di Marco Fazzini
[Per chi non è caduto. Poesie scelte 1959-2006, luca sossella editore, Roma 2008.]
For the Unfallen [Per quelli che restano], 1959
The Guardians
The young, having risen early, had gone,
Some with excursions beyond the bay-mouth,
Some toward lakes, a fragile reflected sun.
Thunder-heads drift, awkwardly, from the south;
The old watch them. They have watched the safe
Packed harbours topple under sudden gales,
Great tides irrupt, yachts burn at the wharf
That on clean seas pitched their effective sails.
Thereare silences. These, too, they endure:
Soft comings-on; soft after-shocks of calm.
Quietly they wade the disturbed shore;
Gather the dead as the first dead scrape home.
I guardiani
I giovani, alzatisi presto, se n’erano andati,
Alcuni in escursione oltrel’imbocco della baia,
Altri verso i laghi, fragile sole riflesso.
Nuvoloni tonanti s’addensano, goffi, da sud;
Ivecchi li osservano. Hanno osservato crollare
Porti sicuri e affollati sotto burrasche improvvise,
Irrompere grandi maree, bruciare al pontile panfili
Che su mari puliti spiegavano vele efficaci.
Vi sono silenzi. Anche questi loro sopportano:
Dolci sviluppi; dolci scosse d’una calma in assestamento.
Tranquillamente sguazzano sulla spiaggia turbata;
Raccolgono i morti non appena i primi a pelo giungono a riva.
King Log [Re Travicello], 1968
Ovid in the Third Reich
non peccat, quaecumque potest peccasse negare,
solaque famosam culpa professa facit.
(AMORES, III, XIV)
I love my work and my children. God
Is distant, difficult. Things happen.
Too near the ancient troughs of blood
Innocence is no earthly weapon.
Ihave learned one thing: not to look down
So much upon the damned. They, in their sphere,
Harmonize strangely with the divine
Love. I, in mine, celebrate the love-choir.
Ovidio nel Terzo Reich
non peccat, quaecumque potest peccasse negare,
solaque famosam culpa professa facit.
(AMORES, III, XIV)
Amo il mio lavoro e i miei bambini. Dio
È distante, difficile. Le cose accadono.
Troppo vicino agli antichi trogoli del sangue
L’innocenza non è arma terrena.
Ma una cosa ho imparato: a non disdegnare
Troppo i dannati. Nella propria sfera,
Loro armonizzano stranamente con il divino
Amore. Io, nella mia, celebro il coro d’amore.
The Orchards of Syon [I frutteti di Sion], 2002
XIV
The fell, through brimming heat-haze, ashen grey,
in a few hours changes to graphite, coral,
rare Libyan sand colour or banded spectrum.
Distant flocks merge into limestone’s half-light.
The full moon, now, rears with unhastening speed,
sketches the black ridge-end, slides thin lustre
downward aslant its gouged and watered scree.
Awe is not peace, not one of the sacred
duties in mediation. Memory
finds substance in itself. Whatever’s brought,
one to the other, masking and unmasking,
by each particular shift of clarity
wrought and obscurely broken-in upon,
of serene witness, neither mine nor yours,
I will ask bristling centaury to translate.
Saved by immersion, sleep, forgetfulness,
the tinctured willow and frail-textured ash,
untrodden fern-sheaves, a raw-horned oak,
the wavering argents in the darkened river.
Later again, far higher on the fell,
a solitary lamp, notturna lampa,
night’s focus focusing, LEOPARDI saw,
himself a stranger, once, returning late,
from some forsaken village festival.
XIV
L’altura, tra una foschia traboccante di calura, grigio cenere,
in poche oresi muta in grafite, corallo,
il colore raro della sabbia libica o lo spettro a bande.
Greggi distanti si fondono alla luce incerta della pietra calcarea.
La luna piena, ora, arretra con incedere scevro di sollecitudine,
disegna la nera estremità del contorno, fa scivolare in giú
una sottile lucentezza di sbieco allo sfasciume inzuppato e scavato.
Il timore non è pace, non uno dei doveri
sacri nella mediazione. La memoria
trova sostanza in se stessa. Qualunque cosa si sia riportato,
l’uno per l’altro, mascheratura e smascheratura,
lavorati e oscuramente penetrati
da ogni peculiare cambio di chiarezza,
di serena testimonianza, né mia né vostra,
chiederò all’ispida centaurea di tradurlo.
Salvati dall’immersione, sonno, dimenticanza,
il salice tinto e la ceneredalla fragile trama,
un fascio di felci non calpestato, una quercia dal corno scorticato,
gli argenti ondeggianti nel fiume scurito.
Piú tardi di nuovo, ben piú in alto sull’altura,
una lampada solitaria, notturna lampa,
il fuoco della notte che focalizzava, vide LEOPARDI,
se stesso come uno straniero, di ritorno tardi, una volta,
da qualche dimenticata festa di villaggio.
Molto belle. Particolarmente “Ovidio nel terzo reich”.
“Le cose accadono.
Troppo vicino agli antichi trogoli del sangue
L’innocenza non è arma terrena”.
una felice(per me) scoperta. The guardians mi fa pensare a La spiaggia di Sereni( uno che è ormai un tabù nominarlo),, con quell’incipit, ‘The young had gone’ e Sereni,’ sono andati via tutti’… e pure a Canutir (Canottieri) di un grande neodialettale,Tolmino Baldassari: ‘L’è pasè, j è sparì…'(sono passati,spariti i canottieri…’,con una atmosfera molto simile sospesa tra silenzio e morte. molto bello,forte,efficace. Mi spiace, ma le parole dei poeti arrivano molto prima dei fiumi d’inchiostro in piena di certi (vecchi) dibattiti in corso( mi spiace dirlo, spesso tra critici di regime -tra editoria e accademia, e non mi riferisco a Inglese) a proposito di ‘Letteratura e realtà’. Devo dire che questa collana sosselliana riserva delle gradite sorprese ( e ritorni: Scalise).
Io farei una cosa che non fa mai nessuno. Ringrazierei il traduttore, che conosco e so quanta passione mette in questo lavoro. Grazie Marco e a risentirci presto.
G