Biglietto scaduto
di Gianni Biondillo
Romain Gary, Biglietto scaduto, trad. Federico Riccardi, 223 pag., Neri Pozza, 2008
Da qualche anno a questa parte Neri Pozza sta (ri)pubblicando i romanzi di Romain Gary, autore francese dalla vita avventurosa, morto suicida nel 1980 e colpevolmente dimenticato qui in Italia, non so se per ostracismo ideologico o per pura distrazione.
Fra questi Biglietto scaduto, romanzo squisitamente borghese, per ambientazione e per tematiche, libro del 1975, che pare quasi un Philip Roth ante litteram, in salsa francese.
Jacques Rainier, voce narrante e protagonista del libro, è un ricco imprenditore con un passato eroico nella seconda guerra mondiale (proprio come l’autore del romanzo) che sulla soglia dei sessant’anni viene messo di fronte alla crudele inevitabilità della decadenza fisica. Lui che nella vita ha sempre ottenuto tutto quello che voleva, mettendo il suo stesso corpo in prima linea, non riesce ad affrontare – perfetto esempio di contrappasso – la perdita del vigore sessuale, perdita vista come un precipitare impotente nel baratro della vecchiaia.
Persino l’amore di Laura, giovane ereditiera brasiliana, amore autentico e persino disinteressato alla sessualità, diventa una costante ferita per chi ha sempre saputo vivere l’affettività solo attraverso la prestanza fisica. Meglio la morte, per questo uomo volitivo e tetragono, che l’accettazione della perdita della virilità.
Accompagnata alla sua decadenza fisica si presenta quella economica. Se Rainier non troverà il modo di risolvere i suoi affari nello stretto giro di posta rischia la bancarotta, che nelle intenzioni dell’autore appare come una sorta di perdita di virilità pubblica, correlativo oggettivo di quella privata e personale.
È un libro sul senso e sul significato del potere, in pratica, Biglietto scaduto. Scritto con una lingua asciutta e veloce, hemingwayiana, dalle tonalità fra l’ironico e il sarcastico, lingua capace però di metafore strepitose, da sottolineare con la matita. Libro in fondo grottesco e tragico assieme, che parla della sconfitta dell’idea novecentesca del maschio, e forse dell’Occidente tutto.
[pubblcato su Cooperazione n. 38 del 16.09.2008]
Alla frase:
“È un libro sul senso e sul significato del potere”
aggiungerei:
“ma soprattutto della vita”.
Questo infatti mi evoca la tua breve – ma sempre efficace – sintesi.
Gianni
questo libro mi ha entusiasmato !
Nella mia valutazione personale (dove ancora regge incontrastato ‘Prima di Sparire’ di Covacich con 6 stelle), gli ho dato 5 1/2 stelle, quindi quasi il massimo.
E’ un libro splendido, secondo me, con alcune parti scritte magistralmente (le ho sottolineate pure io !), e hai perfettamente ragione nel paragonare Gary (che non conoscevo prima) ad una specie di Philip Roth europeo.
Io l’ho letto soprattutto come l’inevitabile decadimento della virilità che, per un uomo ‘super’ come il protagonista, prende i contorni di una tragedia personale, quasi impossibile da accettare.
Come fu, ahimè, nella realtà per l’autore, suicidatosi poco più che 60enne, credo.
Scusi Biondillo, perchè “dell’Occidente tutto”?
Un grazie anticipato
Appena letta una recensione-rapporto amicale di B. Valli su Venerdì di Repubblica dell’otto agosto.
Mi ha fatto una grande tenerezza, “al di là di questo limite il vostro biglietto non è più valido”.
Ma anche per questo si vince due volte il Goncourt, parrebbe.
gierre, leggendolo ho avuto la sensazione fosse una metafora della sconfitta dell’idea che il Novecento si era dato dell’Occidente. Il machismo virilista e guerrafondaio andava frantumandosi, nel libro, in nuove prospettive storiche, nuovi orizzonti oltre i quali il paesaggio muta.
Romain Gary fece questa cosa incredibile di scrivere un romanzo con uno pseudonimo (Emile Ajar), e si chiamava “La vie devant soi” [La vita davanti a sé, traduzione di Giovanni Bogliolo, BUR, Milano 1978], e vincere da sconosciuto esordiente il Prix Goncourt del 1975. La cosa ancora più in incredibile è che seppe inventarsi un linguaggio diverso, la voce di un bambino orfano adottato da una vecchia signora, che è lontanissimo dal suo stile abituale. Me lo consigliò due anni fa una mia cara amica e lo trovai molto bello. Un gioco forse, o anche un modo per ricominciare (per la terza volta, era nato infatti come Roman Kacew).
Formiche a Stalingrado (L’éducation européenne), recentemente tradotto da Neri Pozza con il titolo originale, è il suo capolavoro ed è uno dei migliori romanzi sulla Resistenza partigiana (qui la Polonia). Da non perdere.