Fuori luogo (la parola, il pharmakon)
di Giuseppe D’Avanzo
“Andrò via dall’Italia, almeno per un periodo e poi si vedrà…”, dice Roberto Saviano. “Penso di aver diritto a una pausa. Ho pensato, in questo tempo, che cedere alla tentazione di indietreggiare non fosse una gran buona idea, non fosse soprattutto intelligente. Ho creduto che fosse assai stupido – oltre che indecente – rinunciare a se stessi, lasciarsi piegare da uomini di niente, gente che disprezzi per quel che pensa, per come agisce, per come vive, per quel che è nella più intima delle fibre ma, in questo momento, non vedo alcuna ragione per ostinarmi a vivere in questo modo, come prigioniero di me stesso, del mio libro, del mio successo. ‘Fanculo il successo. Voglio una vita, ecco. Voglio una casa. Voglio innamorarmi, bere una birra in pubblico, andare in libreria e scegliermi un libro leggendo la quarta di copertina. Voglio passeggiare, prendere il sole, camminare sotto la pioggia, incontrare senza paura e senza spaventarla mia madre. Voglio avere intorno i miei amici e poter ridere e non dover parlare di me, sempre di me come se fossi un malato terminale e loro fossero alle prese con una visita noiosa eppure inevitabile. Cazzo, ho soltanto ventotto anni! E voglio ancora scrivere, scrivere, scrivere perché è quella la mia passione e la mia resistenza e io, per scrivere, ho bisogno di affondare le mani nella realtà, strofinarmela addosso, sentirne l’odore e il sudore e non vivere, come sterilizzato in una camera iperbarica, dentro una caserma dei carabinieri – oggi qui, domani lontano duecento chilometri – spostato come un pacco senza sapere che cosa è successo o può succedere. In uno stato di smarrimento e precarietà perenni che mi impedisce di pensare, di riflettere, di concentrarmi, quale che sia la cosa da fare. A volte mi sorprendo a pensare queste parole: rivoglio indietro la mia vita. Me le ripeto una a una, silenziosamente, tra me”.
La verità, la sola oscena verità che, in ore come queste, appare con tragica evidenza è che Roberto Saviano è un uomo solo. Non so se sia giusto dirlo già un uomo immaginando o pretendendo di rintracciare nella sua personalità, nella sua fermezza d’animo, nella sua stessa fisicità la potenza sorprendente e matura del suo romanzo, Gomorra. Roberto è ancora un ragazzo, a vederlo. Ha un corpo minuto, occhi sempre in movimento. Sa essere, nello stesso tempo, malizioso e insicuro, timidissimo e scaltro. La sua è ancora una rincorsa verso se stesso e lungo questo sentiero è stato catturato da uno straordinario successo, da un’imprevedibile popolarità, dall’odio assoluto e assassino di una mafia, dal rancore dei quietisti e dei pavidi, dall’invidia di molti. Saranno forse queste le ragioni che spiegano come nel suo volto oggi coabitino, alternandosi fraternamente, le rughe della diffidenza e le ombre della giovanile fiducia di chi sa che la gioia – e non il dolore – accresce la vita di un uomo. “Sai, questa bolla di solitudine inespugnabile che mi stringe fa di me un uomo peggiore. Nessuno ci pensa e nemmeno io fino all’anno scorso ci ho mai pensato. In privato sono diventato una persona non bella: sospettoso, guardingo. Sì, diffidente al di là di ogni ragionevolezza. Mi capita di pensare che ognuno voglia rubarmi qualcosa, in ogni caso raggirarmi, “usarmi”. E’ come se la mia umanità si fosse impoverita, si stesse immeschinendo. Come se prevalesse con costanza un lato oscuro di me stesso. Non è piacevole accorgersene e soprattutto io non sono così, non voglio essere così. Fino a un anno fa potevo ancora chiudere gli occhi, fingere di non sapere. Avevo la legittima ambizione, credo, di aver scritto qualcosa che mi sembrava stesse cambiando le cose. Quella mutazione lenta, quell’attenzione che mai era stata riservata alle tragedie di quella terra, quell’energia sociale che – come un’esplosione, come un sisma – ha imposto all’agenda dei media di occuparsi della mafia dei Casalesi, mi obbligava ad avere coraggio, a espormi, a stare in prima fila. E’ la mia forma di resistenza, pensavo. Ogni cosa passava in secondo piano, diventava di serie B per me. Incontravo i grandi della letteratura e della politica, dicevo quello che dovevo e potevo dire. Non mi guardavo mai indietro. Non mi accorgevo di quel che ogni giorno andavo perdendo di me. Oggi, se mi guardo alle spalle, vedo macerie e un tempo irrimediabilmente perduto che non posso più afferrare ma ricostruire soltanto se non vivrò più, come faccio ora, come un latitante in fuga. In cattività, guardato a vista dai carabinieri, rinchiuso in una cella, deve vivere Sandokan, Francesco Schiavone, il boss dei Casalesi. Se lo è meritato per la violenza, i veleni e la morte con cui ha innaffiato la Campania, ma qual è il mio delitto? Perché io devo vivere come un recluso, un lebbroso, nascosto alla vita, al mondo, agli uomini? Qual è la mia malattia, la mia infezione? Qual è la mia colpa? Ho voluto soltanto raccontare una storia, la storia della mia gente, della mia terra, le storie della sua umiliazione. Ero soddisfatto per averlo fatto e pensavo di aver meritato quella piccola felicità che ti regala la virtù sociale di essere approvato dai tuoi simili, dalla tua gente. Sono stato un ingenuo. Nemmeno una casa, vogliono affittarmi a Napoli. Appena sanno chi sarà il nuovo inquilino si presentano con la faccia insincera e un sorriso di traverso che assomiglia al disprezzo più che alla paura: sono dispiaciuti assai, ma non possono…. I miei amici, i miei amici veri, quando li ho finalmente rivisti dopo tante fughe e troppe assenze, che non potevo spiegare, mi hanno detto: ora basta, non ne possiamo più di difendere te e il tuo maledetto libro, non possiamo essere in guerra con il mondo per colpa tua? Colpa, quale colpa? E’ una colpa aver voluto raccontare la loro vita, la mia vita?”.
Piacciono poco, da noi, i martiri. Morti e sepolti, li si può ancora, periodicamente, sopportare. Vivi, diventano antipatici. Molto antipatici. Roberto Saviano è molto antipatico a troppi. Può capitare di essere infastiditi dalla sua faccia in giro sulle prime pagine. Può capitare che ci si sorprenda a pensare a lui non come a una persona inseguita da una concreta minaccia di morte, a un ragazzo precipitato in un destino, ma come a una personalità che sa gestire con sapienza la sua immagine e fortuna. Capita anche in queste ore, qui e lì. E’ poca, inutile cosa però chiedersi se la minaccia di oggi contro Roberto Saviano sia attendibile o quanto attendibile, più attendibile della penultima e quanto di più? O chiedersi se davvero quel Giuseppe Setola lo voglia disintegrare, prima di Natale, con il tritolo lungo l’autostrada Napoli-Roma o se gli assassini si siano già procurati, come dice uno di loro, l’esplosivo e i detonatori. O interrogarsi se la confidenza giunta alle orecchie delle polizie sia certa o soltanto probabile.
E’ poca e inutile cosa, dico, perché, se i Casalesi ne avranno la possibilità, uccideranno Roberto Saviano. Dovesse essere l’ultimo sangue che versano. Sono ridotti a mal partito, stressati, accerchiati, incalzati, impoveriti e devono dimostrare l’inesorabilità del loro dominio. Devono poter provare alla comunità criminale e, nei loro territori, ai “sudditi” che nessuno li può sfidare impunemente senza mettere nel conto che alla sfida seguirà la morte, come il giorno segue la notte.
Lo sento addosso come un cattivo odore l’odio che mi circonda. Non è necessario che ascolti le loro intercettazioni e confessioni o legga sulle mura di Casale di Principe: “Saviano è un uomo di merda”. Nessuno da quelle parti pensa che io abbia fatto soltanto il mio dovere, quello che pensavo fosse il mio dovere. Non mi riconoscono nemmeno l’onore delle armi che solitamente offrono ai poliziotti che li arrestano o ai giudici che li condannano. E questo mi fa incazzare. Il discredito che mi lanciano contro è di altra natura. Non dicono: “Saviano è un ricchione”. No, dicono, si è arricchito. Quell’infame ci ha messo sulla bocca degli italiani, nel fuoco del governo e addirittura dell’esercito, ci ha messo davanti a queste fottute telecamere per soldi. Vuole soltanto diventare ricco: ecco perché quell’infame ha scritto il libro. E quest’argomento mette insieme la parte sana e quella malata di Casale. Mi mette contro anche i miei amici che mi dicono: bella vita la tua, hai fatto i soldi e noi invece tiriamo avanti con cinquecento euro al mese e poi dovremmo difenderti da chi ti odia e ti vuole morto? E perché, diccene la ragione? Prima ero ferito da questa follia, ora non più. Non mi sorprende più nulla. Mi sembra di aver capito che scaricando su di me tutti i veleni distruttivi, l’intera comunità può liberarsi della malattia che l’affligge, può continuare a pensare che quel male non ci sia o sia trascurabile; che tutto sommato sia sopportabile a confronto delle disgrazie provocate dal mio lavoro. Diventare il capro espiatorio dell’inciviltà e dell’impotenza dei Casalesi e di molti italiani del Mezzogiorno mi rende più obiettivo, più lucido da qualche tempo. Sono solo uno scrittore, mi dico, e ho usato soltanto le parole. Loro, di questo, hanno paura: delle parole. Non è meraviglioso? Le parole sono sufficienti a disarmarli, a sconfiggerli, a vederli in ginocchio. E allora ben vengano le parole e che siano tante. Sia benedetto il mercato, se chiede altre parole, altri racconti, altre rappresentazioni dei Casalesi e delle mafie. Ogni nuovo libro che si pubblica e si vende sarà per loro una sconfitta. E’ il peso delle parole che ha messo in movimento le coscienze, la pubblica opinione, l’informazione. Negli anni novanta, la strage di immigrati a Pescopagano – ne ammazzarono cinque – finì in un titolo a una colonna nelle cronache nazionali dei giornali. Oggi, la strage dei ghanesi di Castelvolturno ha costretto il governo a un impegno paragonabile soltanto alla risposta a Cosa Nostra dopo le stragi di Capaci e di via D’Amelio. Non pensavo che potessimo giungere a questo. Non pensavo che un libro – soltanto un libro – potesse provocare questo terremoto. Subito dopo però penso che io devo rispettare, come rispetto me stesso, questa magia delle parole. Devo assecondarla, coltivarla, meritarmela questa forza. Perché è la mia vita. Perché credo che, soltanto scrivendo, la mia vita sia degna di essere vissuta. Ho sentito, per molto tempo, come un obbligo morale diventare un simbolo, accettare di essere al proscenio anche al di là della mia voglia. L’ho fatto e non ne sono pentito. Ho rifiutato due anni fa, come pure mi consigliavano, di andarmene a vivere a New York. Avrei potuto scrivere di altro, come ho intenzione di fare. Sono restato, ma per quanto tempo dovrò portare questa croce? Forse se avessi una famiglia, se avessi dei figli – come li hanno i miei “angeli custodi”, ognuno di loro non ne ha meno di tre – avrei un altro equilibrio. Avrei un casa dove tornare, un affetto da difendere, una nostalgia. Non è così. Io ho soltanto le parole, oggi, a cui provvedere, di cui occuparmi. E voglio farlo, devo farlo. Come devo – lo so – ricostruire la mia vita lontano dalle ombre. Anche se non ho il coraggio di dirlo, ai carabinieri di Napoli che mi proteggono come un figlio, agli uomini che da anni si occupano della mia sicurezza. Non ho il cuore di dirglielo. Sai, nessuno di loro ha chiesto di andar via dopo quest’ultimo allarme, e questa loro ostinazione mi commuove. Mi hanno solo detto: “Robe’, tranquillo, ché non ci faremo fottere da quelli là””.
A chi appartiene la vita di Roberto? Soltanto a lui che può perderla? Il destino di Saviano – quale saranno da oggi i suoi giorni, quale sarà il luogo dove sceglierà, “per il momento”, di scrivere per noi le sue parole necessarie – sono sempre di più un affare della democrazia italiana.
La sua vita disarmata – o armata soltanto di parole – è caduta in un’area d’indistinzione dove sembra non esserci alcuna tradizionale differenza tra la guerra e la pace, se la mafia può dichiarare guerra allo Stato e lo Stato per troppo tempo non ha saputo né cancellare quella violenza sugli uomini e le cose né ripristinare diritti essenziali. A cominciare dal più originario dei diritti democratici: il diritto alla parola. Se perde Saviano, perderemo irrimediabilmente tutti.
(Fonte: La Repubblica del 15 ottobre 2008)
I commenti a questo post sono chiusi
Molto bello, per quel che conta dirlo. E molto triste, anche, ma questo, da dire, è perfettamente inutile.
Mi preme più notare, semmai, che c’è sempre quell’oscillazione tra consapevolezza (?) dell’inutilità della letteratura, e mancata accettazione quando questa produce i suoi effetti. Che possono essere esaltanti, o distruttivi.
(Sto leggendo Romain Rolland, una delle vecchie edizioni dei Nobel. Per quello che scrisse sulla Francia e la Germania durante il Primo conflitto fu minacciato di morte da personalità teoricamente di calibro intellettuale e morale ben superiore rispetto ai camorristi di Casal del Principe. Fa uno strano effetto leggere, frattanto, queste affermazioni di Saviano).
Mi sembrerebbe assai interessante se tu volessi sviluppare un po’ questo tuo ragionamento.
Mi sono chiesto spesso perchè non lascia questo paese schifoso. E non basta dire che crede in quello che fa, che vuole essere utile alla sua gente, che ama la sua terra. E’ terra maligna, uccide i suoi figli, li avvelena, non ha e non dà speranze.
Via, via da questi luoghi, prima che puoi, tu che puoi. Con il tuo talento non avrai problemi di sostentamento e potrei essere più utile a noi e, soprattutto, a te stesso.
Scappa senza rimorso da questa guerra in cui il nemico marcia alla tua testa e alle tue spalle.
Deve riprendersi la vita.
Ha fatto fin troppo e penso che basti.
Il resto devono farlo altri.
beh, adesso che haider è andato a raggiungere i suoi amici vermi una buona meta potrebbe essere l’ austria. comunque fa bene saviano a andarsene dalla succursale dell’ azienda mafia chiamata italia.
In un altro paese troverà meno monumenti e più civiltà
E’ insopportabile. E’ insopportabile che gli amici di Saviano lo debbano “difendere”. E che se ne rammarichino. E che a Casale non vadano in massa a cancellare quelle scritte. E’ insopportabile che di Saviano si sia fatto l’ennesimo “santino” per l’album, invece di ristabilire una vera (in tv, sulla stampa) libertà di espressione. E’ insopportabile che uno Stato improntato all’illegalità, fondato sul lavoro nero, sull’evasione fiscale, sull’arricchimento truffaldino, sul ladrocinio imprenditoriale, su istituzioni pubbliche che perseguono interessi privati, faccia di Saviano il “campione” della legalità. Saviano subito santo, come Woitjla, come Berlusconi… Tra poco tutta l’Italia politica, l’Italia della cultura e del calcio, delle automobili e della democrazia, l’Italia tutta attesterà a Saviano una solidarietà unanime e indiscussa, dal primo all’ultimo dei cittadini elettori. Oggi stesso la pubblica opinione manifesta ai regnanti, ai padroni mascherati da statisti, a chi esercita la politica come proprietà personale, il massimo storico del gradimento e del consenso (sondaggio IPR marketing per Repubblica). Questo è ancora più insopportabile.
So che quanto sto per dire potrebbe risultare cinico, gelido, o persino assurdo. Paradossalmente (o forse neppure tanto) la grandezza di Saviano non sta nel suo fardello, nelle minacce ricevute, nel ruolo di “martire” che i media gli hanno affibbiato. Né risiede, questa grandezza, nell’immagine “ingenua” di 28enne che “rivuole la sua vita”, che si chiede “se ne valesse davvero” la pena, che gli stanno cucendo addosso un po’ tutti i giornali, a partire dalla Repubblica e L’Espresso -che ha dedicato a Saviano 5-6 copertine, mi pare.
C’è davvero qualcuno, tra noi, tra gli addetti ai lavori, tra gli scrittori che conoscono Roberto, tra chi si è occupato di mafia, che vuole credere alla “casualità”, all’ “ingenuità” del caso Saviano? Credo che sarebbe riduttivo per Saviano in primis.
No, la sua grandezza sta proprio nella gestione di questo ruolo. Nell
a sua consapevolezza. Nell’andare (conscientemente) incontro a prevedibilissime minacce di morte. Sapere che il fardello di uno scrittore d’impegno civile, che faccia nomi e cognomi, che tenti di divulgare ad un pubblico di massa l’intricatissimo guazzabuglio di relazioni, affari, scontri di camorra, è appunto un fardello di intimidazioni, di violenza, di terrore; eppure non fermarsi. Tentare il tutto e per tutto per raggiungere l’obiettivo: creare sì un racconto d’autore, originale, potente, ma che parli di cose concrete, di cemento e di sangue. E farlo arrivare il più lontano possibile.
La consapevolezza e l’abilità con cui Saviano è ha creato e poi gestito il simbolo: senza moralismi, senza “travaglismi”, senza apparizioni fluviali e dispersive entro i soliti noti canali dell’indignazione girotondina. Ecco, qui c’è la rottura con tutto il resto, con chi lo ha preceduto, e probabilmente con cui lo seguirà. Qui la sua grandezza, di uomo e di scrittore.
Aggiungerei anche un’altra riflessione, sugli effetti a lungo termine che avrà l’opera di Saviano, e su quelli che ha già avuto. La fruizione collettiva di un libro può creare sodalizi di culto e di carisma, come quelli che si sono formati a livello trans-regionale e addirittura trans-nazionale come nel caso di Gomorra.
Nessun evento singolo riassume meglio questa realtà come il caso Saviano: un libro bandito, una condanna a morte emessa per ragioni mafiose e uno scrittore impegnato sul fronte dell’espressione personale e delle libertà civili. Gomorra ha costretto campani (e altri) in tutto il mondo a discutere sulla politica della lettura, la rilevanza culturale della censura, il prestigio del localismo, e il diritto di alcuni gruppi (politici, giornalisti, intellettuali) di giudicare gli scrittori senza una conoscenza autonoma del testo.
L’affare Saviano riguarda un «testo in movimento», la cui traiettoria commercializzata lo ha condotto fuori dal sicuro rifugio delle norme occidentali sulla libertà artistica e i diritti estetici, entro lo spazio dell’ira camorrista e delle’autorità dei boss-manager nella loro sfera globale/locale. In questo caso, i mondi locali dell’impegno antimafia e della napoletanità ferita si sono affrontati faccia a faccia su sfondi assai eterogenei: l’agro aversano, la ricca Padania, la provincia tedesca, la croisette di Cannes, etc…
Tutto questo per dire che non importa dove andrà Roberto, nè se veramente ci andrà, nè per quanto tempo sarà lontano dai simboli di Gomorra: il pubblico è – già di per se- migratorio. E’ diventato, però, parte di processi globali che coinvolge un “testo mobile” (come Gomorra) creando così eventi implosivi. Che condensano pressioni globali in piccole aree già politicizzate. E producono località (il pensare e l’agire contro le mafie) in mondi nuovi e globalizzati.
Mi piacerebbe sapere la vostra…
pardon nel testo precedente la fretta mi ha fatto incappare in due-tre errori di battitura:
“La consapevolezza e l’abilità con cui Saviano HA creato e poi gestito il SUO simbolo”
“(…) è diventato, però, parte di processi globali che coinvolgONO un testo mobile”
Trovo questa confessione struggente. Avevo paventato fin dall’inizio che Roberto Saviano potesse diventare prigioniero del suo personaggio e vittima dei fottutissimi camorristi della sua e mia terra; ma ora sento un dolore nelle sue parole che mi commuove, mi suscita un forte desiderio di protezione e una profonda rabbia.
Bisogna creare un cordone intorno a Roberto Saviano e proteggere il suo cammino se e quando deciderà di allontanarsi da questa gabbia e vivere la sua vita. La vita di un giovane e promettente scrittore non ancora trentenne.
Davvero tristissima la vicenda di Saviano ! La libertà di parola è un diritto che non è mai abbastanza ribadito, anzi si può dire che è una conquista quotidiana. Certo che nel XXI° secolo, nell’epoca di internet, ci si potrebbe aspettare qualcosa di più…
Lettera della Francia,
Ho letto la notizia: la sentenza di morte detta con precisione.
Sono in rabbia.
In nostro mondo come accettare che un gruppo di assassini faccia la legge? Come accettare che uno scrittore sia minacciato. Roberto Saviano è un uomo esiliato della sua terra, della sua città, del sua mare; esiliato per avere dato la sua anima coraggiosa a un libro che fa rumore.
Mi rammento il giorno dove ho iniziato la lettura di Gomorra in un giardino di primavera. Faceva un sole dolce. Leggendo la pima pagina ho sentito una goccia di freddo nel mio cuore. Ho penetrato un mondo labirintico, toccando la sogli soprannaturale del porto di Napoli: la verità della criminalità.
Ogni capitolo era una terra dilaniata, un’isola di dolore, il male nacosto era in piena luce, in una lingua della tenebra, magnifica.
Un male venuto in superficie, strappato del silenzio, fiameggiando sotto il cielo di Campania.
L’amore di Roberto Saviano per la sua terra è nella la lotta con la scrittura, la parola ritrovata, i gridi seppelliti delle vittime della Camorra.
Scrittura sensibile che rimane giusta, non entra nella rabbia, è la forza di una voce sensibile.
Si deve accettare che un uomo che cerca la verità sia costretto a una prigione di corpo. Un uomo che nel suo coraggio cerca la sua innocenza sperduta una mattina dove si incontra il primo morte ne lla strade.
Nel rovescio del libro si ascolta la corsa di un corpo verso il mare, verso la sua terra viva, poetica, solare.
Dobbiamo protestare, scrivere, dire.
Dobbiamo discendere in piazza, denunciare,
chiedere spiegazione agli uomini politici,
dobbiamo unire le voce dei giornalisti italiani e stranieri,
esercitare una pressione
Dobbiamo fare una scorta di amicizia a Roberto Saviano,
infrangere la solitudine.
Non crediamo che la criminalità si ferma alla soglia di una terra.
Per la precisione Roberto ha 29 anni. Li ha compiuti qualche settimana fa. Lo dico perché è una cosa normale compiere gli anni e fargli gli auguri. E Roberto è una persona normale.
Cazzo!
Roberto è una persona normale. Ma non trinceriamoci dietro questa “normalità” per non vedere il peso e l’importanza del modello che lui ci ha fornito, come artista e come uomo. Non credo che limitarci a vedere la normalità di uno scrittore di 29anni gli renda giustizia. Piuttosto che fare cordoni di “solidarietà”, agiamo nel concreto e proviamo a fare qualcosa: scendere in piazza, sfidare il potere come ha fatto lui, scrivere di cose che fanno male e danno fastidio. Ripeto: non fraintendetemi, ma l’ultima cosa che vorrebbe, Roberto, è essere preso solo come un malcapitato che non può fare un accidente di nulla…
In un paese normale non sarebbe neanche immaginabile che un gruppo di delinquenti, latitanti, possa progettare la morte di uno scrittore. In un paese normale si dovrebbe poter fare informazione, citando nomi, cognomi e fonti senza alcun timore. Perché questo è il dovere di un uomo, di un cittadino onesto, ancor più di un intellettuale, di un giornalista e di uno scrittore. Ma in Italia no, in Italia devi avere paura. In Italia rischi di morire perché sei coraggioso, perché non hai mitizzato i boss, non li hai assecondati, perché per amore della tua terra “non hai taciuto”. Come ha fatto Roberto Saviano. Ci sono posti in cui la mafia è mafia, è camorra, uccide, spaccia, traffica rifiuti, intossica ed è sotto gli occhi di tutti, ma tutti tacciono perché hanno paura. Pochi coraggiosi si ribellano, alzano la testa e percuotono la tastiera del loro pc con le nocche non con i polpastrelli. Questi posti sono a sud, a sud del mondo e della nostra penisola. Sono la Campania, la Sicilia, la Calabria ma anche la mia terra la Lucania. E il trattamento riservato a chi racconta scomode verità è sempre lo stesso: delegittimazione. Roberto è stato minacciato dai boss, insultato dai suoi conterranei, “hai scritt nu bell romanz” gli dicevano i ragazzi a Casal di Principe, regno del terribile gruppo di fuoco i Casalesi. “Sono impreditori”, loro si definiscono così, ma tutti sanno che le loro imprese sono fabbriche di morte. E tutti tacciono, colpevolmente perché sanno che qui una parola in più si paga con la vita. Roberto è stato coraggioso, con lucidità e perizia ha spiegato i meccanismi del “Sistema”, ha raccontato come dice lui “il potere del suo tempo”. Ed ha ragione è questo il potere del nostro tempo: un potere prepotente che per denaro non guarda in faccia a nessuno, uccide con qualunque mezzo abbia a disposizione dai rifiuti alla droga, dai kalashnikov alle bombe. E se Anna Politkovskaja è stata uccisa perché ha rivelato la scomoda realtà della Cecenia, in Italia in cui la mafia è nelle istituzioni, è difficile proteggere un ragazzo di ventinove anni e la sua scorta. E’ difficile non solo per chi si occupa di mafia sopravvivere, ma anche per chi pesta i piedi ai politici. Altri prepotenti logorati dal potere tanto da fare di tutto pur di avere la meglio e mantenere la poltrona, anche mettere a repentaglio la salute dei propri cittadini. Ma che razza di paese è questo? Certe mattine spero di vivere in un brutto film, sogno di risvegliarmi in un posto in cui i giornali difendano chi denuncia e ha speso la sua vita per predicare la legalità, come Don Marcello Cozzi, invece mi trovo in prima pagina sul Quotidiano di Basilicata la lettera della moglie del boss ucciso il 2 ottobre a Rionero, Bruno Cassotta, che se la prende con i media perché hanno dipinto il marito come un delinquente. Ma se il CLAN Cassotta è stato quasi sterminato per intero dai Delli Gatti, famiglia avversaria, in una faida che dura dal 91, e tuo marito era già scampato ad un attentato, come puoi dire che si tratti di maldicenze, di cattiverie di paese? Ma se posso capire la moglie, è pur sempre una vedova, ha diritto ad uno sfogo, non riesco davvero a comprendere la mia “collega” che ha scritto un articolo sulla faccenda, sostenendo di essere stata contatta dalla sorella del boss. Pazzesco. Assurdo. Quindi firma un patetico reportage su casa Cassotta in lutto, con tanto di dichiarazioni della signora che insulta Don Marcello, colpevole di aver scritto un libro “Quando la mafia non esiste”, che ma ricostruisce quarant’anni di storia lucana, sulla scorta d articoli di giornale, inchieste giudiziarie, relazioni della Dia e dell’Antimafia nazionale, senza mai sbilanciarsi né giudicare nessuno. Alla fine Don Marcello sarebbe da condannare e i boss da assolvere. “Cozzi, dice la donna, e la giornalista consunta riporta, “dovrebbe predicare Cristo non infangare le persone per bene”. Per lo meno il senso è questo. Per bene Bruno Cassotta? E’ come dire che Saverio Riviezzi, che, a quanto sostiene il pm Montemurro- ora sostituto procuratore di Salerno- è a capo dei Basiliski, sia un angioletto, anche se Montemurro ha chiesto che venisse condannato a 20 anni di carcere per estorsione, spaccio di stupefacenti, traffico di armi, rapina a mano armata ecc. E sono state emesse sentenze definitive che parlano chiaro, anche se molti di questi signori sono a spasso. Ma in Italia vale il teorema di Berlusconi: i giudici sono criminali e i criminali brave persone. Per questo non ci dovremmo stupire che l’autore di Gomorra sia sotto scorta da due anni e riceva ripetutamente minacce dai Casalesi, che la cronista del Mattino di Caserta Rosaria Capacchione, anche lei blindata, venga visitata dai ladri che frughino tra i suoi documenti, che Nicola Picenna, Carlo Vulpio e Carbone, giornalisti, vengano accusati di associazione finalizzata alla diffamazione a mezzo stampa. Ma forse nell’Italia di Berlusconi non ci dovremmo neanche indignare perché tanti napoletani, giovani, che vorrebbero operare nell’informazione odiano Saviano, credo, per invidia e cattiveria. Ho imparato che certi napoletani somigliano a certi lucani, anzi ai certi miei concittadini, pignolesi, se un loro conterraneo emerge a livello nazionale, o anche solo locale, ed è apprezzato dai più, devono distruggerlo. Si chiama mentalità provinciale. Tuttavia non riesco a non adirarmi quando sento cose del genere: “hai sentito vogliono fare fuori a Saviano?Poverino” umana compassione a cui segue l’invettiva : “chi se ne fotte! peggio per lui!”. Questo mi infastidisce, mi fa rabbrividire e vorrei non appartenere a questa generazione, vorrei non essere nata in questi anni, vorrei poter dire con Gaber “io non mi sento italiano”, e sono questi i momenti in cui sarebbe meglio essere talebano, per non essere accomunato, anche solo per età, a chi ha questa mentalità “mafiosa”. L’Italia non cambierà se non cambiano le teste degli italiani. E soprattutto dei meridionali. Intanto mi sembra che il nostro paese somigli sempre di più alla Germania nazista descritta dalla Arendt in cui “il male è la normalità, il bene è l’eccezione”. Pertanto il bene, “l’eccezione”, Roberto è costretto ad emigrare. Dovremmo sentirci come scrive D’Avanzo tutti sconfitti, tutti peggiori. L’addio di Saviano è una sconfitta per l’Italia intera, per quella onesta che crede ancora, nonostante tutto, nella giustizia.
.. quello che volevo dire l’ha detto, semplicemente, aitan. E lo sottoscrivo. Quello che vorrei dire a Roberto, e soltanto a lui, non posso dirglielo. Quindi me lo tengo. In ogni caso, questa vicenda è impressionante e spiega molto bene la tecnica della minaccia: «ti fanno lo shangai», racconta Saviano. Ti levano tutto, un po’ alla volta, con calma… non è necessario ucciderti. Ti lasciano solo, ti fanno sentire solo. Io resto convinto che come scrittore Saviano avesse due sole opportunità: o scrivere del suo esilio-isolamento (alla carlo Levi; rinunciando a fare il giornalista, mestiere che abbisogna di sporcarsi le mani, girare in incognito..), oppure andarsene, ricaricarsi, e scrivere a livello internazionale. La camorra è ovunque, mica solo in Italia, e lui è ormai uno specialista. Con uno sguardo unico.
I tempi cambiano, può darsi possa intersecare queste due dimensioni, però se lascia l’Italia io PRETENDO che sia un arrivederci. Chiaro..? ;)
ciao Robè
Sempre più il genere umano ribadisce la sua totale mancanza di senso critico difronte alla realtà dei fatti.
Ho 21 anni,ancora un novello nel mondo della scrittura,ma anziano di emozioni e sensazioni caratteristiche di ciò che delinea Roberto come un desiderio profondo,una voglia consapevole di voler raccontare..la propria e la vita di ciò che si vede,di ciò che si respira.
Roberto non fa altro che alimentare il mio senso di ammirazione verso colui il quale ha trovato qualcosa per cui vivere,ed in questo caso rischiare di morire;ma le cose non devono andare cosi,una persona intelligente come lui,con una passione,con una capacità d’insegnamento come la sua,non può essere relegata,dimenticata dal mondo che troppo spesso non fa altro che ripudiare chi cerca di fare aprire gli occhi a chi invece li vuole tenere chiusi,un pò per proprio volere,un pò perchè costretti a scegliere ciò che non avrebbero mai scelto.
Io sono di Napoli,della provincia di Napoli,precisamente di una città che è passata alla storia per uno dei “fatti di sangue” più cruenti della storia della camorra,il “fatto” in questione è la strage del “Circolo dei pescatori” e la città è Torre Annunziata,oramai oberata da quella collettività che come a Casal di Principe tende a idolatrare chi fa della violenza l’unica forma di comunicazione.Non dico di essere l’unico che vuole un mondo diverso,semplicemente un mondo dove Roberto non viva da prigioniero,un mondo dove si possa far crescere serenamente i propri figli,un mondo dove non ti devi preoccupare di camminare ad una certa ora di notte in alcune zone della tua città,un mondo dove tutto ciò che ti hanno insegnato da piccolo,la legalità,la sincerità,la libera espressione non siano poi un lontano miraggio.
Non è possibile lasciare al proprio destino chi come Roberto è stanco,è stanco di coloro i quali hanno infangato la città di Napoli,ma non solo,come lui sottolinea spesso,hanno infangato il mondo intero.
Roberto sinceramente ti dico,che io vivo nella speranza di diventare un giorno come te,forse molti potranno pensare che sia una sciocchezza,considerando il contesto in cui tu ora vivi,ma è davvero cosi,da persone come te,non si finisce mai di imparare,sei un modello di vita,ed io farò di tutto nella mia vita affinchè si possa raggiungere almeno una parvenza “migliore” per questo mondo.
Non sei solo Roberto!
Tutti i commenti mi hanno commossa, soprattutto quello di Ciro.
Mi sembrerebbe assai interessante se tu volessi sviluppare un po’ questo tuo ragionamento.
Non c’è niente da sviluppare, credo.
Si tratta di un pajo di semplici notazioni lasciate cadere en passant.
“Sono solo uno scrittore, mi dico, e ho usato soltanto le parole. Loro, di questo, hanno paura: delle parole. Non è meraviglioso? Le parole sono sufficienti a disarmarli, a sconfiggerli, a vederli in ginocchio. E allora ben vengano le parole e che siano tante.” Il pharmakon, appunto, l’ancipite che guarisce ma t’avvelena.
Altro, davvero non c’è da aggiungere se non un abbraccio personale a un ventinovenne con l’augurio di bere le migliori birre del mondo,V.
scrivo una cosa che ho già scritto altrobve. ma è quello che penso.
Roberto Sa. che Gomorra ha insegnato la lingua del disprezzo per ogni camorrie e che questa lingua camorra ogni tanto lo maledice. Come Calibano.
Raberto Sa. che questo è folle. Ma voglio scriverlo pure io che questo è folle, senza pensarmelo sempre e solo nella testa. Io, che non sono agitator di popolo, ma esprimo desideri, vorrei che lo scrivessero tutti. dovunque.
che è folle minacciare, Roberto Sa.
Io auguro a Roberto ogni felicità.
Sembrerebbe una banalità,
ma vorrei che queste due parole avessero la forza delle sue.
“Sono solo uno scrittore, mi dico, e ho usato soltanto le parole. Loro, di questo, hanno paura: delle parole.”
Scrittura come denuncia e
“voglio ancora scrivere, scrivere, scrivere perché è quella la mia passione e la mia resistenza”
scrittura come forma primaria di vita.
Molti italiani, molti di noi dovremmo andare a scuola da Roberto Saviano.
Zitti, ai banchi, ad ascoltare.
Solidarietà a lui, e a tutti quelli meno noti di lui.
Non dimentichiamo Lirio Abbate, stessa vita, stessi motivi.
e rosaria capacchione, lucida e laica nella denuncia continua, incalzante.
ma non si può chiedere alle parole di essere vicarie di una funzione istituzionale. ogni supplenza rivela un’assenza.
Le parole di questo articolo mi fanno amare Roberto Saviano ancora di più, se fosse mai possibile amare di più un essere umano che proprio con le parole ha innescato una reazione profonda e deflagrante come neanche lui aveva lontanamente previsto. Il dono di Roberto è la profonda e semplice umanità che traspare da ciò che scrive e, soprattutto, da come lo scrive. Lui vuole solo raccontare, scrivere è per lui una ragione di vita e per avere quella vita, che è un diritto di tutti, è costretto ad andare via da questo Paese. Non posso che condividere il suo desiderio di normalità, in questi due anni mi sono spesso domandata come facesse a reggere una vita non vita, blindata attimo dopo attimo, una privazione della libertà più elementare che lo rendeva grottescamente simile ad un latitante, ad un uomo che scappa. Roberto costretto a scappare dalle sue verità, una assurdità condivisa da tutte le persone che come lui quotidianamente lavorano per cercare di affermare la legalità in questo Paese, che rischiano e pagano prezzi altissimi solo perchè fanno il loro lavoro di cronisti, di ricercatori di verità. Il nostro è un Paese disposto a piangere e celebrare i suoi eroi, rigorosamente morti, a battersi il petto e riempirsi la bocca di parole vuote, parole molto diverse da quelle di Roberto e di quelli come lui: ecco il punto la differenza delle parole. In due giorni ho letto milioni di vocaboli pronunciati con tono altisonante da altrettanti altisonanti personaggi del mondo politico e culturale, parole che non dicono nulla poichè ad esse non fa seguito nessuna azione concreta. Chi le pronuncia si lava la coscienza frettolosamente e torna ai suoi affari molto più importanti, che trovano ampio spazio per proliferare in questo Paese che sta marcendo divorato dalla criminalità, abbandonato dall’indifferenza sapientemente istillata nella massa da chi ne trae vantaggio, lasciato ad una deriva di sentimenti preoccupanti come il razzismo, l’intolleranza, la mancanza di solidarietà. Cha Paese è quello che non solo non è in grado di proteggere i suoi cittadini, TUTTI i suoi cittadini che si chiamino Roberto Saviano o Mario Rossi o Abdull o Tatiana? Che Paese è quello che continua a far espandere impunemente il potere economico della criminalità, un potere talmente grande che sarebbe in grado di risanare il nostro debito pubblico? Certo, i camorristi nei loro covi mangiano aragoste e bevono champagne, ma sono nascosti come topi di fogna, sparano nel mucchio, minacciano perchè hanno paura, perchè qualcuno con le sue parole e con l’aiuto di chi le ha lette li ha portati allo scoperto, ha fatto ciò che lo Stato non è mai riuscito a fare per troppi motivi, tutti marci e senza scuse. Implicazioni, collusioni, silenzi colpevoli, e intanto cresceva e cresce il potere criminale. Le chiacchiere stanno a zero, non abbiamo bisogno di proclami sterili, abbiamo bisogno di fatti concreti, nomi, volti, azioni: in quale Paese esistono latitanti che da oltre 20 anni si permettono di restare dietro l’angolo e di continuare a dettare legge, a emettere condanne, a dirigere esecuzioni impunemente? Parole vuote e parole piene, pesanti, parole valorose: la differenza vera è questa, la vacuità è la regola, il contenuto, la verità fa paura. Roberto andrà a cercare altrove la sua vita, quella vita che qui non è riuscito a vivere, noi restiamo e magari, per onorare il suo lavoro proviamo ad alzare la testa, a combattere ogni giorno la nostra personale battaglia contro tutte le illegalità piccole e grandi che proliferano in questo Paese. Io penso che lo spirito delle parole di Roberto, quelle parole che con amore e fatica ci ha regalato, sia proprio questo. Io non ho paura della camorra, ho paura della mancanza di verità che c’è in questo Paese, ho paura della mancanza di coraggio e di assunzione di responsabilità, ma voglio andare avanti. Faccio mie le parole di Roberto: “…vita e morte non sono la stessa cosa e fino al termine di questa notte proseguirò questo viaggio. Non datevi pace”.
Buona fortuna , Roberto: che la forza sia con te, il nostro affetto ti seguirà ovunque andrai. Irene
Non ci sono altre parole da aggiungere a quanto già scritto da tutti quelli che sono intervenuti. Voglio solo aggiungere che amo Roberto come fosse mio figlio, ricordo che comprai il suo libro appena uscito perchè lo conoscevo già per aver letto altri articoli che aveva scritto e mi avevano colpita in modo particolare. Gomorra è stata una folgorazione e il film ha reso pienamente la sua scrittura. Ieri sera l’ho visto ospite da Mentana e mi faceva quasi tenerezza perchè sembrava un po’ spaesato e quasi in imbarazzo per tutta questa popolarità che gli è piovuta addosso, non ultimo il film è in concorso per gli Oscar.
Questo paese di merda non ha bisogno di altri eroi ma ha bisogno di persone come lui che non hanno paura a denunciare con la scrittura tutto il male che è purtroppo diventato normalità, che ammorba le nostre coscienze e ottenebra le nostre menti.
Se tutti fossimo come lui l’Italia sarebbe un bel posto dove vivere. Invece………
Ciao Roberto, voglio leggerti ancora.
Io mi chiedo, ma a metterlo in prima pagina ogni volta, non è che lo state spingendo voi stessi sul patibolo? Vorrei ricordare che non è Saviano contro la camorra, ma gran parte del popolo italiano contro la camorra! Che anche gli altri si assumano le proprie responsabilità e non usino il suo nome per vendere articoli e alzare l’indice di gradimento televisivo… Ha ragione, ad andarsene, lui che può farlo, ma non dimentichiamo che ci sono tanti nella sua medesima condizione, sconosciuti, che non possono…
Questa frase,questa frase mi fa pensare e mi fa capire tante cose.
Mi fa pensare che a volte (per chi come me vive in un contesto territoriale ma innanzitutto sociale come Napoli) si sente la necessità di dover tacere difronte a ingiustizie e abusi di potere,difronte a violenze e barbarie perpetrate al solo scopo di annientare la dignità di una persona e quindi per i soli interessi economici,si tace,si tace perchè la vita è una sola,perchè per quell’ultimo barlume di coscienza rimasta nella tua persona realizzi che la tua vita appartiene a quelle persone che ami,e doverla eroicamente “donare” alla “causa” spesso è un peso troppo grande da poter anche pensare.
Però mi fa anche capire,mi fa capire che nessuno è disposto a rischiare,rischiare per cercare di abbozzare ad un mondo migliore,mi ha colpito la frase di Roberto,alla chiusura dell’intervista a Matrix,una frase che in sè portava in grembo un significato troppo difficile da concettualizzare in questa realtà: la voglia,la voglia di rischiare perchè credi nelle tue idee,e se non rischi sono due le spiegazioni possibili,o le tue idee sono di poco valore per te e quindi non ci credi veramente,oppure sei tu ad essere di poco valore;queste parole delineano la retta via per chi come me,ancora una volta,e nonostante tutto crede che questo mondo si può cambiare.
Robè,è grazie a te che il mondo può cambiare,e non mi stancherò un momento di crederci.
Io mi chiedo, ma a metterlo in prima pagina ogni volta, non è che lo state spingendo voi stessi sul patibolo?
La frase in questione era quella di Roberto,non l’aveva incollata.
“Robè,è grazie a te che il mondo può cambiare,e non mi stancherò un momento di crederci.”…. Facile, ma non funziona così… è grazie a quelli COME lui che le cose cambieranno: significa rimboccarsi le maniche, ognuno nel suo piccolo… non lasciarlo solo, non significa dirgli “grazie”, ma lottare al suo fianco… altrimenti lo stamo crocifiggendo noi stessi…
Facciamo una moratoria per l’espressione “in un paese normale”? Gomorra ha insegnato, come minimo, che un paese sembra “normale” perché la polvere è sotto il tappeto e gli scheletri sono chiusi in dispensa. Che guardare le strade pulite del nord con gli occhi invasi dalla spazzatura del sud ti fa venire in mente che da qualche parte i rifiuti devono pur averli messi. Che la normalità è Gomorra, e non il suo contrario, perché Gomorra non è una stortura del sistema, ma è un prodotto consapevole del sistema. E che in un paese normale dovremmo chiederci piuttosto: perché noi altri non diamo fastidio? Perché ci lasciano parlare, come Croce nel Ventennio? Perché gli serviamo da alibi? In cosa non siamo abbastanza radicali?
secondo me occorrerebbe fare attenzione, con saviano.
oggi leggo sul giornale di dichiarazioni di napolitano, di berlusconi.
tutte e due dello stesso tenore: garantiremo l’incolumità di saviano.
va bene, non potevano dire altro.
ma chi non ha ruoli istituzionali dovrebbe riflettere sulla possibilità che si stia schiacciando saviano su questo ruolo di nemico numero uno della camorra, dal quale a me sembra che lui voglia invece prendere le distanze.
non credo che pensi seriamente di essere, per tutta la vita, lo scrittore anti-camorra e se lo pensasse sarei pre-occupato per lui.
mi sembra piuttosto, a ragione, orientato per riguadagnare una vita normale e una normale carriera di scrittore che, dopo questo esordio clamoroso, sarà tutta comunque in salita.
se in futuro volesse fare, come ha più volte dichiarato, una sorta di narrativa di reportage (o come cavolo si chiama), sarebbe senz’altro suo diritto staccarsi dal fenomeno camorra per dedicare la sua attenzione a qualcos’altro.
con tutta questa solidarietà si rischia di contribuire ad inchiodarlo a gomorra.
dovremmo invece aiutarlo a prendere il largo, a riguadagnare un’esistenza normale altrove, come pure lui afferma di voler fare, a chiare lettere.
e direi che sarebbe per lui la scelta migliore.
sparire per un po’, almeno.
C’è nell’aria qualcosa di nuovo. Il postmoderno è finito. Quella vacuità fa davvero parte, ormai, del nostro passato. Da non credere: la parola, la scrittura, in Occidente, possono ancora colpire. Allora l’esperienza non è scomparsa. La letteratura non è l’oulipo, non è il divertimento di colti e brillanti operatori culturali, alla Wu Ming. Con buona pace dei cultori di pagine morte, l’autore esiste. La letteratura è corpo, sangue, realtà. E’ Salman Rushdie, è Roberto Saviano.
Ma i giornali di ieri e di oggi li avete letti?
Schiavone ha smentito di aver rivelato ciò che gli si attribuisce: Saviano non farà la fine del tacchino. Allegria!
Per Valter: sì li abbiamo letti, ma come ha detto lo stesso Roberto è chiaro che un pentito come Carmine Schiavone, che è quasi fuori dal programma di protezione, non può dire di avere ancora rapporti con il clan.
Non vedo cosa cambia, Walter, è sotto scorta da due anni, che Schiavone smentisca o meno non cambia nulla, penso che Saviano abbia già dato.
E sono d’accordo con Tash, vorrà avere un futuro, no? Ne ha il diritto. Come persona e come scrittore.
Notizia di servizio: il PD di Milano organizza per domani (sabato 18 ottobre) una manifestazione di solidarietà a Roberto Saviano. In piazza Lima a partire dalle ore 15:00 ci sarà una lettura non-stop di Gomorra, tutti i cittadini potranno leggerne qualche pagina.
Io parteciperò e mi auguro che molti altri, milanesi o di passaggio, decidano di partecipare. Tutte le info sul sito PD Milano.
Eleonora
Notizia di servizio: martedì 21 ottobre dalle ore 10 alle ore 20 presso la Casa della Memoria e della Storia di Roma ci sarà una lettura non -stop di Gomorra durante la quale ogni partecipante leggerà una pagina del libro e la firmerà con il proprio nome. La Casa della Memoria e della Storia di Roma è in Via S.Francesco di Sales 5 (zona Trastevere). Per informazioni potete telefonare ai numeri 06 6876543 , 06 6861317 o andare sul link: http://www.casadellamemoria.culturaroma.it
Mi sembra una bella iniziativa, partecipate in massa!
Irene
Da non perdere: sul sito di Repubblica oggi 17 ottobre il video delle interviste ai ragazzi del Liceo di Casal di Principe. La realtà è questa.
@ Chiara Valerio faccio presente che questi sono, in massima parte, i ragazzi delle nostre scuole. Non so altrove.
per niky lismo: ti posso assicurare che non sono tutti così, per lo meno ne conosco tanti che non sono così; ma conosco anche tanti adulti, se a ventisei anni si può essere considerati tali, che sono anche peggiori dei ragazzi intervistati da Repubblica tv a Casal di Principe, e sono stati in grado di dare giudizi ancor più vergognosi sulla faccenda. Roba da litigarci, e decidere di non uscirci più, perché come si dice dalle mie parti “a lavare la faccia all’asino si perde acqua e sapone”.
A Saviano
“Rimanere soli con le proprie parole:
questa è la vera solitudine”
(da uno spunto di G. Benn)
Anche per non diventare il main topic
dei sondaggi Repubblica/L’espresso,
meglio partire. Deserto di Gobi,
tra due cosce sudate ovunque in Messico…
Le autorità non placano la sete
di mondo: solidarietà cartacea
dei ministri, della “gente” a cui piace
la statuina trendy di un presepe.
Vorrei rimpiangere, per una volta,
un “punto di riferimento” vivo:
parole come metallo che scotta,
non diventino le sbarre di un “simbolo”,
né pallottole per un Donchisciotte
e i suoi sette Sanchopanza di scorta.
http://it.youtube.com/watch?v=iYQyv7WV10c
Per favore, chi può, verifichi la veridicità di questo video. Esistono o non esistono queste pagine tagliate tra la 7ma ed 8va edizione?
Belle iniziative ( Milano, Roma). Se qualcosa si fa a Parigi, saro presente.
Sarebbe una bella vittoria, se a Napoli e a Casal di Principe c’è la stessa iniziativa. Ho sempre pensato che se ogni napoletano apriveva la sua porta a Roberto Saviano, la camorra si sentirebbe sperduta.
Penso che il potere dei cittadini è più forte del gruppo di assassini.
Perché non pensare a una educazione civica alla scuola, a una riflessione sul male fatto dalla Camorra, perché non fare cartelli ( come in Francia per la securità stradale) o publicità nelle riviste? è forse un’idea stupida, non so…
Si puo fare un progetto con i giovani del liceo, fare cambiare le cose?
Nella mia ingenuità di professoressa, immagino che si puo creare un progetto: scrivere sull’argomento, discutere, scrivere per il teatro, giocare, mettere in scena, leggere poesia.
Sono convinta che un progetto artistico puo cambiare la mentalità, anche se il peso della famiglia è terribile: lo so bene.
Quando si offre lo spazio per dire il dolore, la paura dell’avvenire, la violenza si tace.
Penso che un lavora alla scuola con i bambini: rispetto dell’altro, “no alla violenza” aiuta.
Penso che molte cose sonno fatte in Campania, ma forse non basta.
La giovinezza giocca con la camera. I ragazzi fanno i forti, in realtà hanno paura della vita, di vivere: allora si fidano alla morte, perché entrare nel sistema è morire, bruciare la speranza d’innocenza, di bellezza, d’amore nel cuore .
veronique il problema è che i progetti si possono fare ma devono essere i docenti ad imprimere nei ragazzi il senso di legalità che non esiste in queste zone.
Si inizia da piccoli,basti vedere le scuole di Torre Annunziata,di Casal di Principe,Castelvolturno,Scampia,Forcella, ad entrare nell’ottica imposta da ciò che i ragazzi vivono e respirano ogni giorno,ho sempre pensato che non sempre un bambino nato in una famiglia composta da criminali,avesse si una probabilità a diventare anch’esso un criminale,però,perchè c’è sempre un però,non è detto che abbia come unica possibilità quella di seguire il corso “familiare”,ed è li che la scuola deve operare,entrare in contatto con il bambino usando la famiglia come oggetto di differenziazione,far emergere il ragazzo,ma seguirlo,perchè non è possibile che cambiando istituto le cose cambiano;alle elementari seguito,alle medie già allontanato e al liceo(sempre se ci vanno) dimenticato.Ora non so se Statisticamente parlando c’è un dato significativo che descrive la realtà scolastica del Meridione,però la mia impressione è che i ragazzi che continuano gli studi entrando nelle Scuole Superiori in queste città sopracitate è sempre in minor numero rispetto alla “normalità”(sempre se la si può definire una “normalità”).
La strada è difficile,come dice Roberto è solo una “mazzata” quella che hanno,ma posso anke azzardare un “abbiamo”, dato ai clan,ma guardare con i propri occhi tutto ciò che non è superficiale non è difficilissimo.Infine per chiudere allego una frase di una persona che ha segnato la mia vita,una persona che sperava assieme a tutti noi in un mondo diverso.
Ernesto Che Guevara.
Ciro, la strada difficile e’ per te, solo per te purtroppo. Gli scriventi italiani ai quali ti rivolgi sono ben al caldo e cercano solo “il colpo”, che a Saviano e’ venuto molto bene, volontariamente (magari miscalcolando le conseguenze) o involontariamente (dettato da necessita’ di denuncia). I problemi della tua terra sono un mezzo, uscito fuori per caso e per altrettanto caso baciato dal successo commerciale e mediatico, ma non sono il fine di tutto questo chiacchierare. Adesso si fa la lotta per il santino del fenomeno, questa lotta si’ molto molto italiana, da secoli. Buona fortuna a te e ai tuoi ventuno anni.
Domenico De Masi piscia decisamente fuori dal vaso: “Nobel per la Pace a Saviano”. Mah.
Ciro, ho letto il tuo messaggio. Tu lo dici benissimo. L’impegno della scuola è importante, della cultura anche.
Dove c’è un mezzo per dire, creare, la violenza diminuisce.
E’ vero scrivo al caldo della mia situazione, in Francia, ma conosco i problemi della giovinezza, della difficoltà a liberarsi del peso della famiglia: sulla terra picarda, la povertà, la mente stretta, la mancanza della cultura sono una lotta di ogni giorno.
La prevenzione è molto importante. Ma un progetto prende forma con il denaro, e in questo momento l’educazione non sembra una priorità in francia o in Italia: hanno denaro per “salvare” la banca, ma non per l’educazione. Oramai, molti progetti non possono vedere la luce, perché manca denaro.
Ma credo che forse un professore con la sua manera di vedere il mondo, puo cambiare lo sguardo di un ragazzo. Il periodo dell’adolescenza è il perno della vita, il momento decisivo.
Buona fortuna alla tua giovinezza e alla tua speranza: tu puoi andare avanti e fare il tuo cammino sulla tua terra del sud.
La tua speranza giovane dà lettere di nobiltà alla terra, si mescola con altre speranze.
Non ho capito il commento sopra: nobel per la pace a Roberto Saviano è un’ idea magnifica e logica.
A me sembra invece una proposta idolatrica e sproporzionata. Soprattutto mi sembra fuori luogo. E’ vero che Saviano rischia la vita, ma perché umiliare in questo modo tutti quelli che -in silenzio e lontano dai riflettori- rischiano ugualmente, senza annunciare dipartite dall’Italia? Penso ai magistrati in prima linea: franco roberti, roberto marino. Penso al senatore Lorenzo Diana che da 20 anni vive sotto scorta nel casertano. Penso ai giornalisti come Rosaria Capacchione e Lirio Abbate. (quante volte questa litania sul “ci sono anche gli altri..”. Me ne rendo conto, sarò noioso. Ma mi sento costretto a farla quando sento odore di incenso e santità)
E poi cosa c’entra la Pace? Roberto ha fatto dell’ambigua fascinazione per l’universo camorristico (“mi fa schifo, ma insieme ne subisco il perverso potere”) il suo punto di forza (letterario, non umano intendiamoci)..E non ha mai usato un linguaggio innocuo o pacificatorio, anzi semmai è vero il contrario. Non stiamo parlando di Don Luigi Merola (i cui articoli e libri, sia bene inteso, mi fanno due palle così), ma di un ragazzo che vive e lotta affinché il tumore camorristico sia estirpato senza pietà. Com’è giusto che sia. Saviano non perdona i suoi assassini o candidati tali. Non offre l’altra guancia. Lui sa, “e non fa prigionieri”. Non è Madre Teresa: che c’entra la Pace?
Gandhi senza Nobel e Saviano sì? Non facciamo rivoltare i morti nelle tombe. Semmai (tra mille “se”) parlerei di Nobel per la Letteratura. Ma anche in questo caso mi cadrebbero le braccia: cazzarola, diamogli tempo! Ti ricordo – Veronique- che Borges sta ancora aspettando il suo turno…
Ho benissimo capito l’idea che è giusta nell’argomento.
Ma penso che una scrittura che lotta è simbolo di pace, quando appunto lotta contra la violenza. Si puo ricevere il premio nobel per una scrittura che stringe il mondo, svela l’orrore; non ha paura della brutezza, della violenza.
Riconoscere a Roberto Saviano il suo impegno coraggioso non fa dimenticare uomini e donne coraggiose. Ho potuto leggere un articolo di
Rosaria Capacchione, una donna che si tiene ferma, lotta .
Per me lottare è sempre accenno alla speranza, e non c’entra un sentimento religioso, o un sentimento del perdono.
Solo è un cammino verso un mondo più innocente, risvegliante.
Curiosa, ‘sta cosa delle pagine tagliate. Alla Mondadori qui di Torino, ho visto, le pile dei Gomorra sono tutte I ed. 2006 (come garanzia di completezza?).
Povero Saviano, su quanti piedestalli lo volete mettere?
..e io ho capito le tue buone intenzioni. E sono riconoscente a Saviano. Di più: credo che lui abbia fatto un lavoro di straordinaria efficacia. Che la sua opera sia bellissima, struggente. Mi ha tolto le parole di bocca.
Però il suo lavoro è stato inserito (prevedibilmente) in un meccanismo efficacissimo di marketing editoriale. Il motivo stesso per cui è minacciato in continuazione, per cui nelle strade si legge “saviano merda” e per cui i boss gli indirizzano lettere minatorie, è lo stesso che lo rende una “santità” praticamente intoccabile: ormai nessuno osa criticare Saviano per quello che scrive, o per come lo scrive.
Leggete “D-La repubblica delle Donne”, edito la scorsa settimana. nell’intervista a Rosaria Capacchione, si capisce benissimo come questa sia stata non dico censurata, ma quanto meno ridimensionata nel momento in cui accenna ai “prestiti” che Saviano ha preso dalla sua cronaca…
Non sono d’accordo -beninteso- con Sciascia e sulla teoria dei “professionisti dell’antimafia”. Per creare un movimento solido anticamorra, occorre anche il conformismo della massa, gli studenti che vanno in piazza con gli slogan di Falcone e Borsellino pur senza far niente di concreto per seguire il loro esempio. Ci vuole questo conformismo, perché serve a creare consenso nella lotta contro il crimine: è giusto così.
Ora è il momento di appelli, contro-appelli, marce per la pace, letture pubbliche, candidature al Nobel. E’ giusto anche questo.
Ma ci vuole anche la riflessione, uno sguardo disincantato sui fenomeni editoriali ed economici. Io credo che Saviano sia perfettamente consapevole. Gli stessi che firmano quegli appelli, in massima parte (diciamo il 70-80%) non hanno mai allontanato il proprio deretano da una sedia, si sbracciano ad applaudire l’eroismo di Saviano quando questi si espone (vedi le apparizioni al processo spartacus, a Casal di principe, ma anche..alla presentazione del disco dell’amica/Meg dei 99posse; alla prima teatrale di Gomorra (“ogni spettatore sarà un pericolo per i boss”..al festival di Cannes), e poi quegli stessi si stracciano le vesti quando questi diviene un SIMBOLO, e viene (ma guarda un po’) minacciato.
Converrà davvero ai boss far fuori Saviano?
Converrà, soprattutto, intrappolarlo nel suo stesso fenomeno marketing-idolatrico per poi meravigliarsi quando non riesce ad uscirne fuori?
Ashta-Ana,
Ho ben capito tutto il mecanismo che rende prigioniero una persona.
Anche quando si voglia bene a un autore, o quando si ammira la sua opera, la rete di ammirazione è una sorte di prigione.
Roberto Saviano si deve liberare per gustare une vita libera e scrivere un’ altra opera.
@ Niky Lismo
A Casal di Principe ci sono realtà come queste, basta cercarle:
http://www.associazionejerrymasslo.it/home.asp
I ragazzi che fanno questo sono il prodotto della nostra scuola.
Quelli come te, invece, sono il prodotto della televisione: quelli che credono che esista solo quello che la tv ti vuol far vedere. Sulla Campania come sulla scuola.
Perfettamente d’accordo con Ashta-Ana… io mi chiedo due cose:
1 – Ma come mai quando trasmettono servizi su Napoli, Caserta e zone limitrofe alla TV 9 ragazzi su 10 odiano Saviano, e poi online non ce n’è nemmeno uno ? Eppure chi sopra i 14 anni non partecipa ad un forum, un social network, un blog? Forse che le TV facciano i montaggi che più convengono a loro?
2 – La raccolta firme che sta facendo Repubblica: a che cosa serve? Poi ne mandano una copia in consultazione a Sandokan?
sono molto ingiuste le interviste fatte per strada dai media. perchè? perchè se in una pubblica piazza si parla male della camorra quella sa a chi colpire!!! è già successo: ad una donna hanno bruciato l’auto. magari, facendo interviste in luoghi appartati e in anonimato qualcosa in più si dice (ma non credo che quando si facciano queste interviste si vuole sapere qualcosa, quanto piuttosto ricevere conferme per l’effetto scena).
in più si dice che i cartelli del cemento nel casertano – stabiliti dalla camorra – anche quando una ditta edile è pulita, fanno comunque fare affari alla camorra. si invita dunque le imprese a non collaborare con quel sistema! bisogna sapere da che parte stare, non si può più fare finta!!!
bene, ma, detto questo, penso ai “cartelli” del Presidente del Consiglio che non sono da meno, e sia la Repubblica che Mondadori ne fanno parte. dunque anche qui – per i “cartelli” che riguardano la grande distribuzione per l’editoria, e le emittenze televisive, si dovrebbe invitare chi vi partecipa a non collaborare!!! giusto?
anche qui bisogna sapere da che parte stare? non fare più finta?
il “sistema” (che non è solo il sistema camorra in senso stretto) è molto complesso, e la criminalità organizzata ne è l’aspetto immediatamente efferato. non l’aspetto assoluto! il male dei male, il diavolo, cui contrapporre il bene del bene, il santo… perchè così si conferma solo che l’inferno è inferno, con la fascinazione che ne consegue, il piacere del sangue, più sangue, perchè il sangue alza gli indici di gradimento!
poi la camorra è perciolosa anche farla apparire come costituita da grandi imprenditori! perchè sono semplicemente persone che hanno attività illecite per fare quattrini e una volta fatto i quattrini li spendono per ripulirli… dov’è allora il grande imprenditore? sono imprenditori solo per il fatto che non li fanno stare fermi, questi quattrini? è chiaro che ad averceli si spendono, e si investono, si ripuliscono e così vanno dovunque. ma non sono dei grandi imprenditori, sono solo dei grandi imbroglioni, figli di puttana!
neanche Berlusconi è un grande impreditore, ma è solo uno che ha avuto agganci politici forti e si è imposto e si impone anche lui con l’imbroglio…
bisogna sapere da che parte stare, meglio con la legge che con la mala, ma bisogna anche sapere che la Mondadori è di Berusconi e non fare più finta! bisogna sapere da che parte stare, anche se si sta dicendo la cosa giusta (si parla male della camorra, che è come sparare sulla croce rossa!!!, ma è giusto va bene!), bisogna dunque sapere da che parte stare, visto e considerato che qualcuno non se ne fotte del successo!
PER VERONIQUE VERGE’ e PER QUANTI SONO A PARIGI:
oggi 22 ottobre dalle ore 18.30 alle 20 c’è una manifestazione a sostegno di Roberto Saviano a PLACE DU PRESIDENT HERRIOT, M.ASSEMBLE’E NATIONALE. Si chiede ai partecipanti di portare il libro di Roberto o un suo articolo.
PER INFORMAZIONI: http//:www.sciences-po.asso
italia-paris@sciences-po.asso.fr