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Terra! “La trattativa”

Mano libera ai killer per sfidare lo Stato
di
Rosaria Capacchione

Uno schiaffo allo Stato. Una risata lugubre, lunga quanto una raffica di mitra, che azzera l’ottimismo seguito alla retata di Casal di Principe e all’arresto dei tre killer della strage nella sartoria. I Casalesi sconfitti? Niente affatto, hanno detto. Vivi e vegeti, forti quanto prima, più pericolosi di prima. Cani arrabbiati, li definiscono gli investigatori. Assassini eccitati da sangue e cocaina, che alla speranza di chi credeva finita la stagione degli omicidi hanno risposto sfidando i posti di blocco, uccidendo ancora.
Hanno fatto passare due giorni appena, e sono tornati con le stesse armi e la stessa firma: un kalashnikov e una pistola calibro 9, ferri ancora vergini, mai comparsi sulla scena degli altri delitti. Sono gli uomini del terrore, scampati al blitz dei carabinieri, quelli che ieri mattina si sono affacciati in via dell’Oasi del Sacro Cuore, a Giugliano per una rapidissima azione da commando. Erano almeno in due.

Uno, sostengono i magistrati, era certamente Giuseppe Setola, cioè il killer già condannato all’ergastolo che ad aprile era stato scarcerato a causa di una retinite. Chi lo credeva piegato dalla cattura dei tre compagni è stato rumorosamente smentito. Simbolica la scelta dell’obiettivo, l’ufficio di Luciano Russo, impresario di onoranze funebri. Sedici anni fa cercò di allargare la sua zona di influenza, aprendo una succursale a Parete, area controllata da Francesco Bidognetti.

Il capozona, Domenico Feliciello, andò a battere cassa a nome del boss, che però della faccenda non sapeva nulla, e gestì malissimo l’estorsione. Per questo rischiò di essere ucciso, per questo si contarono i morti. Anche Bidognetti aveva una ditta di onoranze funebri, la Concordia. Finì per essere condannato a nove anni di reclusione e non perdonò mai Feliciello. L’arresto, a dicembre del 1993, gli costò la leadeship del clan dei Casalesi, che andò a Francesco Schiavone scarcerato appena due mesi prima. Simbolica anche la scelta della vittima, Luciano Riccio, un tranquillo ragioniere incensurato, che però gli uomini di Bidognetti frequentava a tempo perso, condividendone le serate allegre. E tutt’altro che casuale la scelta di Giugliano quale territorio per la ripresa delle ostilità: è zona dei Mallardo, alleati storici dei Casalesi. Giuseppe Mallardo, che martedì è stato accusato di associazione camorristica assieme all’intera squadriglia di Schiavone, è stato condannato all’ergastolo per un duplice omicidio gestito in condominio. Francesco Mallardo, invece, è in carcere per un triplice omicidio eseguito per suo conto dagli amici di Casale. Setola e i suoi compagni sono andati a sparare a casa loro. Con il loro permesso?

Molti segnali lasciano pensare che la stagione del terrore non sia stata pianificata dal manipolo di killer reclutati nelle file bidognettiane. Fonti investigative fanno riferimento a una riunione, agli inizi di settembre, alla quale avrebbero partecipato i capi del clan, compreso Michele Zagaria – latitante da quasi tredici anni – e l’intera ala militare. Vertice movimentato, nel quale si sarebbe deciso di alzare il tiro e di colpire anche le forze dell’ordine, che avrebbe fatto registrare anche qualche defezione. Non tra le linee di comando, però.

E se i leader dei Casalesi sanno e dettano le scelte operative, se Setola non è un cane sciolto, allora è possibile – ipotizzano gli investigatori – che la strategia del terrore sia stata voluta per mettere lo Stato sotto scacco e costringerlo a trattare. In quest’ottica, la discesa in campo dei Mallardo, o almeno il non dissenso, sarebbe addirittura scontata. Un contesto visto solo in Sicilia, quindici anni fa, che spaventa la stessa Procura di Napoli. Se quest’ipotesi fosse vera e provata, anche l’arresto di Setola non fermerebbe la campagna del terrore. A lui il clan potrebbe sostituire altri uomini, non tutti noti, attingendo a un serbatoio di braccia che sembra inesauribile. Sono almeno cinquecento, secondo le ultime stime, gli affiliati certi al cartello Casalese. A loro vanno sommati i fiancheggiatori, almeno dieci volte di più.

E tra questi ci sono giovani disposti a tutto pur di entrare nell’elenco di quanti spartiscono il ricchissimo bottino delle estorsioni e possono attingere a piene mani, e senza spesa, alle riserve di cocaina. Un esercito che dispone di un numero imprecisato di armi sofisticate e micidiali e che non ha un obiettivo strategico da perseguire se non l’effimera gloria del comando provvisorio di una porzione di territorio.

Visione che, invece, posseggono i capi, soprattutto i due grandi latitanti Zagaria e Iovine, loro sì capaci di cercare lo scontro alto con lo Stato e di proporre una mediazione: la pace sociale e la tregua delle armi in cambio di un ammorbidimento dell’offensiva contro le loro famiglie, i loro beni, i loro affari. Soprattutto su questi, la ragione vera di tanto sangue e di tutte le guerre di camorra nelle quali il controllo del racket o delle reti di spaccio sono soltanto un pretesto. Fumo negli occhi.

Pubblicata sul Mattino, venerdì 03 ottobre 2008

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4 Commenti

  1. Un articolo coraggioso, lucido che si unisce alla voce di Roberto Saviano.
    La sua lettera risuona nei cuori.
    Tutta la mia ammirazione per i giornalisti come Rosaria Capacchione che lavora sulla terra di fuoco, cerca un cammino verso la verità, un bagliore di speranza.
    E’ facile per una francese dire da lontano: la camorra è da combattere.
    Non riuscio a capire come Zagaria possa scappare. Forse cambia di luogo ogni giorno. Quando vedo le foto di Casal di principe, sono colpita dalla citadella di cemento e il modello quasi unico dell’architettura: si puo dire che le camorriste adotta la strategia del camaleonte.

  2. Sono proprio contento che a Rosaria Capacchione sia stato assegnato il Premio Napoli Speciale 2008. Dei grandi cronisti ci ricordiamo solo quando accade loro qualcosa. Mai quando sono nel pieno della loro lotat per la verità. Grazie Rosaria!

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Sono musicista, quando si studia un brano si considera che anche il silenzio, la pausa sia musica. Compositori come Beethoven ne hanno fatto uso per sorprendere, catturare, ritardare le emozioni del pubblico, il silenzio parte della bellezza. Il silenzio qui però non è la bellezza. Il silenzio che c’è qui, da più di dieci mesi, è anti musicale, è solo vuoto.
francesco forlani
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Vivo e lavoro a Parigi. Fondatore delle riviste internazionali Paso Doble e Sud, collaboratore dell’Atelier du Roman . Attualmente direttore artistico della rivista italo-francese Focus-in. Spettacoli teatrali: Do you remember revolution, Patrioska, Cave canem, Zazà et tuti l’ati sturiellet, Miss Take. È redattore del blog letterario Nazione Indiana e gioca nella nazionale di calcio scrittori Osvaldo Soriano Football Club, Era l’anno dei mondiali e Racconti in bottiglia (Rizzoli/Corriere della Sera). Métromorphoses, Autoreverse, Blu di Prussia, Manifesto del Comunista Dandy, Le Chat Noir, Manhattan Experiment, 1997 Fuga da New York, edizioni La Camera Verde, Chiunque cerca chiunque, Il peso del Ciao, Parigi, senza passare dal via, Il manifesto del comunista dandy, Peli, Penultimi, Par-delà la forêt. , L'estate corsa   Traduttore dal francese, L'insegnamento dell'ignoranza di Jean-Claude Michéa, Immediatamente di Dominique De Roux
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