io penso che le stelle

[ Inediti. Dai Libri di Lettura ]

di Nadia Agustoni
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pareva una gabbia la casa

l’incrinare del fuoco quel che possiede e la luce curva sulla terra
a correggersi a voler qualcosa: “è lo sguardo di chi è sempre ragazzo
e si tortura, si batte il petto e sa negli ossi ogni inezia” e fin dalla soglia
_______________________________________________[esita, dice:
“pareva una gabbia la casa dove impazzivano gli uccelli, solo dolore
_________________________________________________[il buio”.

e il rovescio delle cose cantò la civetta e l’allocco e il gufo
mi fecero immaginare il futuro, riempirono la casa di piume fino al
_________________________________________________[giorno

e i pensieri senza nodi, la paura e il fiato sul vetro, col dito tracciare
parola, fare segni di gnomi e gli occhi nel sonno pietruzze.

 

 

io penso che le stelle

sembra un’altra vita se ti guardo
gli occhi a domandarti perdono di cose futili
“come la mia paura” e nei polsi il soprassalto
quando mi insegni le nubi: “cirri, nembi, cumuli”.

Io penso che le stelle si spostano
e mi fanno luce a vederti e il ricordo
è una forma del chiaro,
una voce bianca.

 

 

ci commuove la parola vento

il sole e nulla a cui credere e sorpreso il grido che fermo
perché è fermo il momento e fin da principio la vita è fibra
e non so com’è: “che piccoli diventiamo più piccoli
e ci commuove la parola vento perché è prima del vento”.

se è il freddo a ferire è a te che dico d’avere un male
sceso a far segni coi piedi, a far buche, a cercare tesori, a immaginare
che il cielo e le nuvole non si confondono e uno è mite
uno solo non sparisce non ha memoria.

 

 

un’acqua profonda di temporali

ero giovane, c’era il brusio di stanze, un salire schiarito
e una scena: “sfoltire gli oggetti e a mente nel franare delle notti
la lunghezza dell’occhio far recedere e i giorni erano fame e malve”
che limpida voglia t’appare sulla pelle, un’acqua profonda di temporali,
di prati, di un giugno fondo e a ruota la stella annuncia le altre stelle e
________________________________________________[l’insetto
sbatte al soffitto, si affida alla fatica, ricopia il dolore ogni volta
e lontano un grido d’animale ci copre e l’arca è bifronte.

 

 

l’azzurro

uno alla volta i miei occhi riempiono l’aria: “l’azzurro
è non sapere se i morti sanno di noi e ci vedono dove scavo entra
a fare come vena nella pietra, curvi a sembrare dentro la stanchezza
e c’è questa paura a cui nulla puoi domandare” e le domande girano,
fanno linguacce e come la bellezza ci spiegano“ di guardare
la coda del cane che si muove festosa, il trifoglio sul prato
il mischiarsi dell’erba.”

 

 

[ animazione di orsola puecher ]

 

 

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11 Commenti

  1. Nadia Agostini descrive il paesaggio del cuore che illumina la pallida luce del cielo intimo, pallida carezza della scrittura a fiore di pelle.
    La notte universale traccia il cammino del ricordo.
    Amo l’orizzonte di oblio liscio “Non ha memoria”,
    l’azzurro dentro la terra dei assenti senza la luminosa festa del cane, della natura viva.
    Amo il canto delle stelle che piovano.
    Bellissima animazione di Orsola. Grazie per il cielo notturno, visto dalla finestra del mondo. Mi rende allegra.

  2. Pensa Nadia che io ce l’avevo l’allocco, era proprio una casa così! Un giorno planò giù dal balcone di Piazza Stazione Genova, quella grande piazza di città-paese coi tram, mio padre corse giù in mutande e ciabatte come un pazzo, ce la fece a riprenderlo, l’allocco cercava di ghermire un cane e portarselo via come avrebbe fatto un falco con un agnello. Mia madre gli dava il fegato crudo in minuti filettini, l’allocco bellissimo mangiava e faceva la cacca di due colori: quella bianca dei semi e quella nera della carne.
    Ed eccoci qua alla desperada. Che dono la poesia, però. Domani compio 47 anni. Cos’è l’azzurro non lo so, non si vede neanche. Complimenti e baci!

  3. agustoni, che voce bianca e densa, che belle queste elegie – portentoso anche il racconto dell’allocco di lamberti bocconi – illuminazioni da ogni dove, signore mie, lampi e svolte a iosa. E pure un compleanno. Auguri allora, tanta luce, poche cose, poche parole buone.
    r

  4. belli questi testi, sì. Nadia ha una scrittura sicura e densa.
    e, anche se non è una valutazione letteraria, mi conforta sentirli un poco più sereni, appena.

    francesco t.

  5. Belle. mi piace, Nadia, questa dimensione spazio-tempo dove collochi parole che sanno dire, che sono consistenza e sogno, presente e passato. Si respira un’atmosfera impalpabile, di culla sospesa nel dondolio delle tue stelle.
    sono le mie impressioni da lettrice, accetta i miei complimenti.
    jolanda

  6. Puecher/Agustoni è un bel binomio al femminile. Di Nadia, con lo stile maturo, le immagini, la profondità del sentire, si apprezza l’assertiva nettezza di certi versi: “l’azzurro è non sapere se i morti sanno di noi”, o “un’altra vita non viene”, e “pareva una gabbia la casa dove impazzivano gli uccelli”. E’ una casa in cui sembra di aver amato e sofferto, la gabbia che ci ha imprigionati per proteggerci, o protetto per imprigionarci .

  7. Mi collego solo ora ma vi ringrazio tutti per le vostre parole:
    Anna tanti auguri per questi 47 anni e un saluto a
    Veronique, Renata, Francesco, Jolanda, Paolo .

    Grazie a NI e a Orsola Puecher per l’ospitalità.

  8. sono testi affollati di immagini, che s’intrecciano e rincorrono, quasi febbricitanti, e “un’acqua profonda di temporali” è l’immagine che preferisco…un abbraccio forte Nadia, V.

  9. ci commuove la parola vento perché è prima del vento

    quasi

    Genesi, 5 e chiamò la luce giorno e le tenebre notte. E fu sera e fu mattina: primo giorno.

    questa parola che riesce a creare le cose è la scrittura ed è qui leggera e luminosa, ha lampi di tenerezze.

    ,\\’

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orsola puecher
orsola puecherhttps://www.nazioneindiana.com/author/orsola-puecher/
,\\' Nasce [ in un giorno di rose e bandiere ] Scrive. [ con molta calma ] Nulla ha maggior fascino dei documenti antichi sepolti per centinaia d’anni negli archivi. Nella corrispondenza epistolare, negli scritti vergati tanto tempo addietro, forse, sono le sole voci che da evi lontani possono tornare a farsi vive, a parlare, più di ogni altra cosa, più di ogni racconto. Perché ciò ch’era in loro, la sostanza segreta e cristallina dell’umano è anche e ancora profondamente sepolta in noi nell’oggi. E nulla più della verità agogna alla finzione dell’immaginazione, all’intuizione, che ne estragga frammenti di visioni. Il pensiero cammina a ritroso lungo le parole scritte nel momento in cui i fatti avvenivano, accendendosi di supposizioni, di scene probabilmente accadute. Le immagini traboccano di suggestioni sempre diverse, di particolari inquieti che accendono percorsi non lineari, come se nel passato ci fossero scordati sprazzi di futuro anteriore ancora da decodificare, ansiosi di essere narrati. Cosa avrà provato… che cosa avrà detto… avrà sofferto… pensato. Si affollano fatti ancora in cerca di un palcoscenico, di dialoghi, luoghi e personaggi che tornano in rilievo dalla carta muta, miracolosamente, per piccoli indizi e molliche di Pollicino nel bosco.
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