Urbanità 2
di Gianni Biondillo
Non bisognerebbe mai fare una vacanza all’estero con i propri figli. È quello che sto pensando ora, di ritorno dalla Germania. Mai. È frustrante. Come faccio ora a spiegare alle mie due bambine perché ho deciso di farle crescere in una città come Milano?
A Berlino c’erano spazi per l’infanzia ovunque, nessuna barriera architettonica, piste ciclabili dappertutto, al punto che uno poteva affittare una bicicletta e girare l’intera città, ma che dico, l’intero Brandeburgo in bici, e quando si stufava saliva sul treno, o su una delle numerosissime linee metropolitana, con la bici appresso. E poi servizi per l’infanzia, enormi musei interattivi, se non direttamente musei dedicati solo ai bambini, bagni pubblici puliti, con lavatoi e fasciatoi per il cambio dei pannolini anche dai rivenditori di kebab di periferia. E verde, verde, verde ovunque: boschi, parchi, giardini, viali alberati; fiumi e laghi navigabili fin nel cuore della città e in ogni dove scivoli, gabbie, altalene, giochi, divertimenti.
E Milano, che si picca tanto di essere una città europea, come può pensare di tenere il confronto con questi esempi piena com’è di demenziali barriere architettoniche, di inesistenti piste cicalabili – in una città piatta come l’olio, dove girare in bici dovrebbe essere addirittura logico – con una mobilità pubblica ridotta al lumicino – all’anarchia privata, anzi – con musei così polverosi, ottocenteschi, incapaci di attirare l’attenzione dei bambini, senza più bagni pubblici e con i bagni dei bar sempre rotti, o sporchi, senza neppure l’ombra di un fasciatolo e quasi sempre sprovvisti di carta igienica, con giardinetti attrezzati – chiamiamoli così – pieni di scritte, feci, siringhe, giochi rotti, con una pessima manutenzione, e con quelli nuovi che sono miserandi, micragnosi, quasi che il comune non volesse spendere troppo in altalene e, su tutto, con una percentuale di verde procapite per ogni singolo abitante meneghino, al limite dell’assurdo, neppure vivessimo in un deserto di cemento, con un’aria talmente irrespirabile che i bambini di due anni hanno già problemi gravi all’apparato respiratorio?
Insisto, come faccio a spiegare alla mie bambine che Milano è la città giusta dove crescere? Mai andare all’estero, insomma. Bisogna restare nel proprio brodo, nelle proprie illusioni provinciali, come fa la nostra politica che finge interesse per i temi della famiglia, in teoria però, ché in pratica, nei fatti, se ne disinteressa bellamente. Dovrei fare, insomma, come quei spocchiosi milanesi che vanno in ferie nel centro-sud dello stivale, e, puzzetta sotto il naso, si atteggiano da vecchi habituè dei modi urbani, che si indignano per la disorganizzazione degli alberghi, o per i ritardi nei ristoranti, loro, vecchi uomini di mondo, abituati alla grande Milano, cittadini europei. Loro che l’Europa, probabilmente, non l’hanno mai neppure vista. Né capita.
[pubblicato su L’Unità del 28-08-2008]
Urbanità 1
Bisogna consolarsi pensando al tempo. Atmosferico. Loro vedono poco il sole, quindi sono un po’ più depressi di noi. E noi, a un’oretta di distanza, abbiamo il mare: bagnetto fino a metà ottobre. Dici poco? La natura ci salva ancora.
Oggi, a Milano, il sole non c’è. C’è il solito cielo grigio che ci accompagnerà per i prossimi 9 mesi. E il mare non è a un’ora da qui, tenuto conto delle file smisurate che si formano in autostrada nei fine settimana. La Liguria, tra l’altro la stanno tutta cementificando, non so di quale natura parleremo fra qualche anno. Io non mi accontento, insomma. Sono stufo di giustificarmi col solito: “ma noi c’abbiamo gli spaghetti alla pummarola e loro no!”
Me lo chiedo quasi ogni giorno. Ho avuto la fortuna di soggiornare e vivere per lunghi periodi in diverse parti d’Europa, principalmente Irlanda ed Olanda.
Dovermi riadattare alla provincialissima e borghesissima vita messinese è stato uno shock ed oggi che sono mamma, mi pento di non aver avuto il coraggio – a suo tempo – di impormi con il mio compagno e di costruire la mia vita altrove.
più per mio figlio che per me stessa.
I milanesi… devo dire che ho intrecciato spendide amicizie a Milano e che da “terrona” (termine meno appropriato non potevano conferirci) mi sono trovata molto bene nei tre anni trascorsi lì, ma manca loro la capacità di comprendere che c’è sempre qualcosa o qualcuno un po’ più a Nord de la Madunina…
Scusa Gianni se mi attacco qui per dire una cosa che non c’entra col tuo pezzo, e scusa se i miei toni non saranno urbani, non ho mai avuto un gran tatto, ma mi è dispiaciuto vedere che NI abbia dato così poco risalto al suicidio di David Foster Wallace. Il post di Orsola in poche ore è stato sommerso da altri pezzi che forse potevano attendere qualche ora, magari domani, per essere pubblicati. Il fatto è che ieri è successa una cosa enorme. Chiunque abbia a cuore la letteratura non può non esserne stato scosso. Ieri uno dei maggiori scrittori del nostro tempo, non un vecchio, uno della nostra generazione, si è ucciso. Non faccio più parte di NI, per cui non ho più voce in capitolo, ma continuo a leggerla e a riconoscerle una grande autorevolezza, e dal lit blog più letto e stimato della rete mi sarei aspettato una partecipazione maggiore a questo terribile lutto collettivo. Ricordo le frequenti discussioni interne, quando ero nella redazione, sulle pretese di alcuni che i propri scritti fossero inseriti nella categoria “speciale” delle incisioni, o la richiesta esplicita che altri non scrivessero niente dopo per dargli il giusto risalto. Ecco, questa era l’occasione giusta per tacere, per dare il giusto respiro, fosse anche solo 24 ore, a una notizia devastante come il suicidio di David Foster Wallace. Un autore a proposito del quale si potevano esprimere riserve, come io feci a suo tempo, ma sul cui immenso talento non ci potevano essere dubbi. Per me è stata una grande occasione persa.
Anche io ho avuto la fortuna di vivere tra Belgio e Lussemburgo parecchi anni… I miei genitori sono ancora là ed ogni volta che vado a trovarli, il rientro è più difficile… Non è solo una questione di grigio, di tempo, è prima di tutto una questione di testa: a chi potrà mai nuocere se aggiungo una parabola al mio balcone? Se allargo il marciapiede? Se distruggo quest’aiuola? Se cementiamo il parco? Se distruggiamo l’Italia? Alla fine, lo fanno tutti…
Natalia, il provincialismo c’è dappertutto. Anche a Berlino. E quanto!
Gianni, sai bene che le differenze sono tante, anche culturali, ma non solo. Potresti spiegare ai tuoi bambini che a Berlino, se uno lascia cadere una cartaccia per strada, i passanti lo guardano malissimo e vanno a cercare una guardia per denunciarlo. Noi lo chiamiamo “fare la spia”. Per loro è un dovere civico. Meglio noi o loro? Non lo so. Certo, se ci muovessimo almeno un po’ nella loro direzione, non ci farebbe male.
No, Riccardo, Berlino non è la Svizzera (e anche questo è, volendo, un luogo comune). Di cartacce e mozziconi di sigarette a terra ne ho viste a Berlino e nessuno che chiamasse gli sbirri. Ho visto anche manager con la valigetta in metropolitana, assieme a imbianchini e operai; take away thailandesi frequentati da crucchi alti 2 metri; concerti improvvisati di percussionisti brasiliani per strada, etc etc. Una città “rilassata” e allo stesso tempo ordinata, senza fanatismo.
Poi, certo, di difetti se ne possono trovare a iosa. Ma non è di questo che parlo. E non è questo che mi mette il cuore in pace pensando a Milano.
Riccardo, si trattasse solo della carta per strada!?!
Parliamo di dovere “civico”… ma qui non abbiamo idea di cosa sia il dovere civico. Manca alla radice.
“Bene”. Ma, anche, “male”. Mi fa piacere che qualche altro padre condivida la sorpresa suscitata dalle solite “bocche della verità” dei propri figli. Quando si va all’estero. Pensa che il più grande dei miei, 16 anni, l’anno scorso, dopo poche ore dallo sbarco aereo a Stansed, girava per Londra e mormorava “Io qui ci voglio vivere”. E non stavamo, ancora, in posti particolarmente belli: giravamo fra treni e metro, mangiucchiavamo per fast food avvicinandoci al nostro albergo. Impressione stra-confermata, poi, dal resto del suo (e nostro) soggiorno londinese. Il ragazzo, tuttavia, ha sviluppato presto gli anticorpi verso il sedicente “sistema” Italia. Vuole andare a studiare nel Nord Europa, restare qui in Italia a fare che?, mi dice guardandomi negli occhi. Io non so dargli torto…
Sarà, ma io al Lussemburgo continuo a preferire Milano.
Questo non toglie che mi ostino a usare rigorosamente solo la bici per muovermi e che faccia prediche di due ore alla mia bimba se butta una cartaccia per strada.
Un po’ di ottimsimo su, piano piano l’europa arriverà anche qui.
p.s. a me sembra che le giornate terse d’inverno siano bellissime. In Svizzera, per esempio sul meraviglioso lago di Thun, hanno 24 giorni di sole all’anno. No, no, grazie! Meglio andare là ad imparare l’educazione civica e poi tornare qua e cercare di applicarla!
Berlino è una città stupenda. Almeno per lo straniero.
Da Milano sono appena tornata e in questo momento non è al suo meglio, ma più che dalle cose che dice Biondillo sulla funzionalità di una città non certo cittadino-oriented, sono stata colpita dalla gente, che sembra appena uscita da un pesantissimo e indigesto pranzo della domenica, una città in cui la gente da un lato ha inghiottito un manico di scopa, e dall’altro è grigia, ripiegata, sfiduciata, irritata, triste. Te ne vai con piacere.
Eppure ricordo che anni fa, se entravi dal fornaio la commessa ti diceva, buongiorno gioia, cosa le do?
Alcor, come faceva notare Bonomi, a Milano sono sparite le latterie (chi le ha viste/vissute sa di cosa parlo, del loro valore sociale). Questo è un innegabile segno di imbarbarimento.
Ah signore mie… non ci son più le mezze stagioni e una volta qui era tutta campagna e si stava meglio quando si stava peggio.
Non so che dirti, Biondillo. Io ormai vivo e lavoro a Londra da un anno. E mi è venuta una gran voglia di fare un figlio.
Ho vissuto a Milano sette anni. Ci sono tornato verso la fine di agosto. Per poche ore. Prima del volo aereo. Molto cattivo gusto e disillusione. Scarsa qualità umana. E neanche più tanta intollerabile supponenza.
Quella della latteria era una provocazione che il buon Frate Indovino non ha saputo cogliere, dato che era preso a dire che noi si parla per luoghi comuni (che è, già di suo, un luogo comune).
Dei 70.000 commercianti che lavoravano a Milano e che si sono dimezzati in 20 anni (ora sono appunto 35.000), e quello che ha portato, di conseguenza, questa svolta epocale dal punto di vista politico e di organizzazione sociale, non dico nulla, allora; non vorrei irritare la sensibilità del cappuccino.
Berlino (la maggior parte delle città tedesche, in realtà) è splendida, ma anche restando in Italia ci sono piccole isole felici, addirittura qualcuna ancora con le latterie. Milano si può averla amata, ma per me ormai non ha più senso.
(Gianni: splendido il refuso delle “piste cicalabili”, sa di pedalare in mezzo ai campi d’estate)
Ma siamo sinceri! Disgregato e senza un’ identità collettiva, per troppo stima di se stesso, è il milanese che non va in bici e non porta i figli al parco e non ha una sana convivialità. Gusto per la vita. Per gli altri. Solo un guizzo di vitalismo quando si concede gratuito a qualche parola di troppo.
Mah, a me pare che le latterie siano sparite da tutte le città, ci si mangiava per due lire, e me le ricordo anche come luoghi abbastanza tristi, a dirla tutta, ricordare le latterie ti fa sentire più che vecchio, decrepito.
cavoli, per la prima volta in vita mia, non so quante volte ho iniziato e cancellato il commento.
anche io provo lo stesso senso di tristezza ed impotenza dopo un viaggio all’estero. ma noi italiani siamo così: c’è niente da fare.
la nostra classe dirigente è ammaliata dal bello che tiene a casa propria, nel proprio giardino, nel proprio parco, nel proprio àmbito e sembra quasi che sia quella più importante del “bello collettivo”.
è questione di mentalità.
quanto torno, io, mi rammarico del fatto che non sono proprio capace di convincere chi ha a che fare con me per lavoro, che certe cose potrebbero essere migliorate anche con piccole decisioni……ecc..ecc…ma è troppo lunga da spiegare.
facciamo che qui in Italia siamo proprio apparenti e buonanotte.
Dario,
“piste cicalabili” piace pure a me. Mi sa che lo lascio così. ;-)
Gianni, come ti capisco!
A Berlino sono stata l’anno scorso e ne ho ricavato la tua stessa impressione: una metropoli in cui si respira un’atmosfera distesa, dal ritmo veloce senza essere frenetico, piena di verde, di spazi per l’infanzia, una città dove antico e moderno si fondono armoniosamente, una città dove tutti vanno in bicletta (dal giovane alternativo al manager in giacca e cravatta). A Milano spesso si vedono i pedoni ringraziare gli autisti quando li fanno passare sulle strisce pedonali, a Berlino il pedone è “sacro” e non ha bisogno di render grazie per non essere stato travolto. Ad Amsterdam è lo stesso (ma i ciclisti sono il triplo).
Una curiosità: sei salito sulla cupola del Bundestag di Norman Foster?
Un abbraccio,
Emma
Mah! Di questo passo, Gianni, sono tutti luoghi comuni: quelli dei laudatores temporis acti (visto come suona bene in latino?), quelli degli esterofili ad ogni costo, ma anche quelli di chi ricorda le latterie come posti di una tristezza infinita (io sono tra quelli). Io mi accontenterei di pensare che gli stranieri non sono né migliori né peggiori di noi. Ognuno ha pregi e difetti, e ognuno quando va all’estero vede prima i pregi (poi, se si ferma lì per un bel po’, vede anche i difetti). I tedeschi quando vengono in Italia si sentono liberi come nel Far West. Vuol dire che da noi non si rispetta la legge, ma vuol dire anche che non se ne sente il peso. Come sempre, basterebbe il buon senso: un più di serietà, da noi; un po’ meno rigore, da loro.
ciao Gianni, però non hai la triste impressione che infondo tutto questo degrado urbano sia la proiezione di quello mentale e civile del paese, infondo il nostro modo di vivere è ciò che siamo..
non c’è più spazio neppure per il dissidio, pena l’esclusione sociale, io nei salotti buoni vedo gente imputata, mediocri furbastri, e anche molti intellettuali a caccia di prebende, però mi accorgo che l’italiano medio non vuole di + di questo, è attratto, affascinato, sedotto da questa furbizia ingorda e arrogante
ciao
Raffaella
Il paese di Bengodi non esiste. I miei figli quando li ho portati in olanda erano piccoli (6 e 10 anni) ma, malgrado l’età, gli ci sono voluti tre anni per adattarsi, e poi ho dovuto cambiare paese. Sceglierne uno di “expat”. I bambini s’adattano subito, ai bambini basta un pallone per socializzare. Cazzate. Portavo il più piccolo al parco e avrà giocato un paio di volte con qualcuno. I miei hanno sempre frequentato una scuola internazionale, ma anche quelli che mandano i figli all’olandese non é che socializzano più di tanto con i locali. Poi,certo, abbiamo le ciclabili dove possiamo arrivare ovunque, gli incidenti stradali sono praticamente inesistenti, i volontari operano in tutti i campi, però il sistema sanitario fa schifo, per gli esami si va in Belgio o si torna in Italia, e anche il livello della scuola è sempre più in discesa.
Alla fine non si vive male quando ti sei “organizzato”, ma a chi capita l’occasione non ci pensa due volte a tornare.
Berlino è decisamente imbarazzante per quanto è civile. L’attenzione per gli spazi pubblici (il verde, le piste ciclabili…) e per i bambini secondo me è la misura del grado di cultura di un popolo.
Ottima riflessione.
La cosa che più invidio di alcune capitali Europee od Americane, è il Profumo di Futuro.
Condivide?
Wil
Però, insomma, non buttiamola a Milan-Inter. Esterofili vs Patriottardi. Qui non si tratta di credere che più vai a nord e più sono civili, però, poveretti non sanno cos’è la creatività anarchica mediterranea. Qui non si tratta di credere che all’estero è il paradiso e problemi non ce n’è. Non sono mica tonto.
Solo che altri paesi d’Europa (un esempio? La Spagna) hanno lavorato, POLITICAMENTE, per migliorare la loro condizione di arretratezza CIVILE e ci stanno riuscendo (o ci sono riusciti).
Che poi in Germania o in Svezia ci siano problemi non lo dubito affatto, per ora, però, mi accontenterei di raggiungere un minimo di qualità ambientale che mi possa permettere di lamentarmi di qualcos’altro!
Quando parlo di latterie cerco un paradosso, mica sto facendo il “signora mia” della situazione, che si lamenta di bei tempi andati. Le latterie erano luoghi di decantazione del conflitto sociale, quando una società (operaia) più coesa trovava coerenza in quei luoghi di scambio (e trovava il libretto dove appuntare il credito da pagare a fine mese). Oggi gli unici luoghi di questo tipo (e meno male!) sono le kebaberie in via Padova! (ma il discorso è lungo e complicato). La società è cambiata, questo voglio dire, Milano deve cercare di capirlo per davvero e smetterla di vivere degli allori di città all’avanguardia che fu e che non è più. Non sto chiedendo il ritorno delle latterie. Ma le indico come sensori. (35.000 commercianti in meno è una tragedia sociale. Per molto meno, per qualche sparuto migliaio di operai in cassa integrazione la sinistra ha fatto battaglie epocali, nel frattempo moriva un’intera categoria socioeconomica, nel disinteresse della sinistra. Chi credete, poi, abbiano votato queste persone?).
Vi faccio un altro esempio: Berlino era piena zeppa di vespe (inteso gli insetti). Ovunque c’erano vespe. Ti fermavi a mangiare un panino e arrivavano a decine. Questo a Milano non accade più da decenni.
Vi assicuro che non è una bella notizia.
Voglio una città meno inquinata, cazzo. Voglio una città piena di vespe, che sono indicatori di una qualità dell’aria, sono segnalatori di vivibilità urbana.
etc. etc.
p.s. Emma: sulla cupola del Reichstag c’ero stato la volta precedente. Stavolta la fila era improponibile con le bambine.
p.p.s. Wil: sì, condivido.
Ero a Berlino pure io in luglio, con la famiglia, e mi ritrovo perfettamente nel giudizio positivo espresso. E’ vero che bisognerebbe viverci un certo tempo per scoprirne le eventuali magagne, ma l’impressione è stata appunto di una città a misura d’uomo; vale a dire, in cui è tangibile il rispetto per l’altro, l’ascolto delle sue esigenze tradotto in soluzioni fattive. Si parla di bici, bene. Le bici, appunto, non vengono solo utilizzate nelle numerose piste ciclabili ma anche parcheggiate, spesso, senza catena. E’ una società che avrà magari i suoi problemi, intuibilmente, come tutte, ma è certo che tutto il positivo che può essere dato per mano pubblica lì viene dato; in particolare, sul piano organizzativo e ambientale. Tutto il rispetto che ci si aspetta da uffici e negozi lì non viene lesinato. Così l’educazione da parte delle persone del posto contattate, per informazioni ed altro. Avremo forse pure visto il meglio, della città, per nostra fortuna, ma le virtù sociali che vi stanno dietro sono tangibili anche un cieco, e ben misera cosa è ciò che si ritrova e si avverte rientrando in patria.
Le vespe! Ma allora non sono un’esclusiva della Corsica! Vedendo nei bar e nei negozi, appesi ai muri, quei simulacri di ceramica neri e gialli, credevo fosse il loro animale sacro… Ma in effetti la Corsica mi ha fatto dimenticare l’inquinamento. Ingenuamente, non pensavo così di Berlino.
(@GB. Ti ho scritto in mail)
Io al massimo azzarderei un paragone fra Milano e Monaco di Baviera. Non mi spingerei oltre. Per restituire senso e valore. Proporzione.
E ricordatevi, un berlinese medio è più colto di un milanese alto. Dato di fatto. Statistico. Verificabile. Dai libri letti ai biglietti teatrali acquistati. Fino all’attitudine alla vita. E all’altro da sé.
Sulle latterie poi… Noi questi siamo. Umani. Vecchi e superati. Abbiamo bisogno di incontrarci in posti vecchi e superati. Una volta un politicante, urlando, su una rete padana, col suo affettato e orrendo accento milanese, sentenziò: Nel 2000 esistono ancora i Mercati Rionali? Io gli avrei sputato in faccia. Insisto. Noi questi siamo. E i mercati rionali, nelle città civili, esisteranno fino a quando saranno ancora degli umani
Le latterie sono un nervo scoperto.
solo un appunto o. t.
berlino è meravigliosa.
a partire dal ’35, punto di applicazione di tutte le forze storiche del Novecento.
poi distrutta quasi per intero.
adesso è come se prendesse fiato, sembra in convalescenza.
ma è solo un’immagine, naturalmente.
però dai musei inter-attivi io mi tengo alla larga, come terrei i miei figli alla larga dai musei “per bambini”, che sono ovunque un’orribile cazzata e un orrore didattico, volendo essi “istruire divertendo”, piegando dimostrazioni, pensiero, oggetti ad un supposto livello cognitivo infantile i cui parametri internazionali sono stati stabiliti, in california, dalla walt disney.
fate annoiare il più possibile i vostri figli, dico io.
che si rompano il cazzo a morte nei musei per grandi, che si trascinino contro-voglia di sala in sala, che non vedano l’ora di uscire: qualcosa resterà.
che sappiano che il godimento della cultura e dell’arte non è intuitivo e non è gratis, che non è per loro, insomma.
curiamoli con dosi massicce di noia, i ragazzini.
evitiamo a tutti i costi l’inter-attivo: abituarsi ad essere solo visitatori, spettatori passivi, fa bene, dico io.
anche all’adulto.
ed è meno noioso.
Io che vengo da Monaco di Baviera e mi trovo spesso guardata come una marziana perché continuo a dire che sto meglio qui, intuisco cosa voglia dire Alessandra quando accenna a problemi di socialità.
Continuo ad avere la percezione che la socialità diffusa sia migliore in Italia, persino a Milano, anche se il peggioramento è stato enorme. Ed è credo stato così enorme, perché con un’assenza quasi totale di investimento pubblico sulla qualità della vita, gran parte di quello che la città ti offre è servizio privato. Uscire a mangiare qualcosa (cinema ecc.) è diventato carissimo, i negozi e negozietti spariscono (i dati di Gianni parlano di una lacerazione del tessuto sociale), e c’è poco da storcere il naso se le famiglie passano le domenice dentro ai centri commerciali.
L’immagine emblematica della Milano di questi anni sono i bar dell’Happy hour con la gente che si abboffa di pasta fredda per poter saltare la cena.
Insomma ci vorrebbe senz’altro un intervento perché la città possa essere vissuta dalla maggioranza di coloro che ci abitano: vecchi, bambini, famiglie, e chiunque non possa permettersi di spendere più di cinquanta euro a testa per USCIRE.
Anch’io come Helena preferisco poi stare qui, forse sono ormai drogata dalla quantità di empatia che emanano i popoli mediterranei e disordinati, ma la cosa che apprezzo di più a Berlino, a parte i ciclisti che sfrecciano sui marciapiedi cercando di metterti sotto, è che la città non sembra avere quel disperato bisogno di essere ricca, avere successo e mostrarlo che vedo a Milano.
Ci sarà forse anche lì, ma così annacquato e mescolato ad altro che non disturba. C’è una declinazione sociale che da noi manca e anche se in realtà c’è vorrebbe negarsi in un sogno tutto berlusconiano di splendore televisivo.
Monaco in questo è molto più simile a Milano, e infatti, pur essendo bellissima, mi piace molto meno.
Anche a Barcellona sono “mediterranei e disordinati”. Però ci sono i matrimoni civili fra omosessuali e una decina di linee metropolitane, tanto per dire…
ma qui Zapatero sarebbe durato mno d’un soffio…
chissà perchè… ed hanno anche l’Opus Dei…. eppure!
grazie Gianni.
Hai ragione, ma non sono ancora pronta all’esilio, diciamo che qui si parla italiano, e per me non è poco:–)
Molto d’accordo con Alcor. Ma persino nella fighettissima Monaco di Baviera puoi sparanzarti gratis nel parco o in riva al fiume, berti una birra al Biergarten e portarti da mangiare da casa, o, col tempo brutto, portare i figli a un museo adatto a loro, passare la giornata in una piscina con scivoli o onde dove l’ingresso costa 4 euro…E le piste ciclabili, ovviamente, ci sono da oltre vent’anni (il problema del nord ciclabile è che i pedoni rischiano di essere arrotati dai ciclisti).
Insomma: nemmeno Monaco è una città così esclusivamente da ricchi e non lo è diventata propio perché ci sono strutture pubbliche o sovvenzionate coi soldi pubblici.
Cristo, non mi pare ci voglia sto gran spirito utopistico nel pensare che anche le città italiane possano essere all’altezza di Barcellona e Madrid.
Gianni, capisco il tuo punto di vista, ma resto del mio. Credo che si debba avere il coraggio di andare incontro al futuro sapendo che si faranno degli errori. L’unico errore imperdonabile è andare verso il futuro rimpiangendo questa o quella cosa del passato.
mi accorgo ora del commento di garufi sulla morte di Wallace, al quale mi associo.
“Cristo, non mi pare ci voglia sto gran spirito utopistico nel pensare che anche le città italiane possano essere all’altezza di Barcellona e Madrid.”
pare proprio che invece ci voglia, cara helena.
difficile dire perché.
molti ci hanno provato, adesso ci siamo stancati anche di questo, ci è venuta a noia anche l’auto-analisi.
ma resta l’autodenigrazione, sacrosanta.
perché l’intervento pubblico in una città – direi in una società – funzioni, occorre la collaborazione mentale, culturale di tutti.
occorre il senso della condivisione e del rispetto della norma.
occorre che ciascuno consideri il pubblico, invece che un esternità estraneo che in quanto non ci appartiene è fuori dei nostri interessi, il prolungamento dell’internità stessa dello spazio privato, fisico e mentale.
rammento il nostro miglior saggista politico, corrado guzzanti, quando anni fa diceva: “noi facciamo un po’ come cazzo ci pare”.
se il messaggio è questo – ed è questo – come si spera in un’inversione di rotta?
Rick, continuiamo a non capirci: io non ho nostalgia di un bel niente. Ma guardare verso il futuro non significa accettarlo acriticamente, e come viene viene.
Torno dal parrucchiere dove, per caso, la ragazza più giovane che ci lavora, originaria di Torre Annunziata (e Maddaloni, per dirla tutta, Gianni!), diceva che lei a Napoli andrebbe abitarci anche domani.
Facendo la tara sugli entusiami giovanili: e se avesse ragione?
Avrebbe torto. E infatti non ci va.
Sono stato a berlino a luglio, per la prima volta, mi riconosco molto in questi racconti. Le strade larghe senza traffico, il rapporto libero con gli spazi della città, il respiro e senso di relax. Ricordo un pomeriggio di domenica in un parco, la musica elettronica e le persone che ballavano almeno dalla notte prima. Nello stesso luogo, madri e padri che portavano bambini piccoli a passeggio, i più grandicelli che si mettevano anche a ballare per un po’ con le persone rimaste in pista. Niente di strano, bellissimo. Certo, verrebbe quasi da cedere alla tentazione di partire, ma ho timore a confondere l’esilio con l’esotismo. Solo mi piacerebbe imparare a fare la spola tra il qui e l’altrove.
un saluto,
c.
Scusa Gianni se mi attacco qui per dire una cosa che non c’entra col tuo pezzo, e scusa se i miei toni non saranno urbani, non ho mai avuto un gran tatto, ma mi è dispiaciuto vedere che NI abbia dato così poco risalto al suicidio di David Foster Wallace. Il post di Orsola in poche ore è stato sommerso da altri pezzi che forse potevano attendere qualche ora, magari domani, per essere pubblicati. Il fatto è che ieri è successa una cosa enorme. Chiunque abbia a cuore la letteratura non può non esserne stato scosso. Ieri uno dei maggiori scrittori del nostro tempo, non un vecchio, uno della nostra generazione, si è ucciso. Non faccio più parte di NI, per cui non ho più voce in capitolo, ma continuo a leggerla e a riconoscerle una grande autorevolezza, e dal lit blog più letto e stimato della rete mi sarei aspettato una partecipazione maggiore a questo terribile lutto collettivo. Ricordo le frequenti discussioni interne, quando ero nella redazione, sulle pretese di alcuni che i propri scritti fossero inseriti nella categoria “speciale” delle incisioni, o la richiesta esplicita che altri non scrivessero niente dopo per dargli il giusto risalto. Ecco, questa era l’occasione giusta per tacere, per dare il giusto respiro, fosse anche solo 24 ore, a una notizia devastante come il suicidio di David Foster Wallace. Un autore a proposito del quale si potevano esprimere riserve, come io feci a suo tempo, ma sul cui immenso talento non ci potevano essere dubbi. Per me è stata una grande occasione persa. ”
Riporto qui l’off topic di Sergio Garufi. Come dicono quelli che parlano bene, non è stato “minimamente cagato”.
Anch’io da NI mi aspetto sempre il meglio – perlomeno meglio degli altri. Un nostro coetaneo, il più bravo di tutti, si è ammazzato e non abbiamo nulla da dire…
Milano ha bellezza offerta al primo sguardo, ma anche bellezza nascondita: il sole che dà il suo ultimo raggio nell’acqua della fontana nei giardini publicci, il calore che stringe il cuore ( in estate), I palazzi alti che filano verso il cielo, la gentilezza cortese dei milanesi.
Franz ha ben scritto su Milano: Milano ti accoglie a tua insaputa.
Quando ho lasciato Milano, avevo lacrime negli occhi, sentivo che la città mi tratteneva. Non ho sentito un amore pieno e subito come quando ho incontrato Napoli, ma un sentimento di affetto nascondito ( forse lo più terribile: avere rimpianti).
E’ un amore del paese Italia, anche della gente, della lingua.
Non ho mai sentito un amore cosi grande per una terra, neppure la mia terra natale.
Quando sono tornata in Francia, ho avuto l’impressione di urtarmi a un mondo freddo, depresso, con asperite dappertutto.
La lingua modella il paesaggio, il paesaggio modella la lingua; paesaggio e lingua fanno l’anima della gente.
Devo dire che l’amore per il cielo grigio è venuto lentamente nel mio cuore, come un veleno di tristezza dolce. Sono abituata al cielo inglese di Picardia, un cielo sfumato che racconta storia di romantismo, un cielo che cerca un blu pallido, leggero.
Quando affronto il cielo blu malva del sud, ho un momento quasi di dolore mentale, perché mi penetra troppo il cuore con violenza. Ho un tempo quasi di depressione annegata di luce, poi mi afferro alla luce e allora devo fare daccapo un lento riconoscimento del cielo grigio.
a Franz e Sergio. Non sono d’accordo, ma non è questo il post(o) per discutere. Tra l’altro basterebbe alzare la cornetta per dircelo. Anzi, adesso lo faccio.
E’ il solito problema dell’Italia tutta: stiamo arretrando a paese incivile, ma c’abbiamo il paesaggio, c’abbiamo l’arte (fermata al ‘500 nella mentalità dei più), c’abbiamo lo spaghetto con la pummarola… e con questo ci fregano sempre, impedendoci di vedere il baratro che queste cose nascondono malamente. Per me, ma mi rendo conto di essere un’eccezione, è diverso – non mi piace il caldo, non ho la fissa del cibo, mi piace stare per i fatti miei e sono innamorata dei paesaggi nordici – quindi tutta un’altra questione. E’ assai brutto però sentirsi dire che non si ama l’Italia perché se ne vedono i difetti, perché si fanno paragoni: chiaramente per motivi demografici, ambientali etc etc una città italiana non avrà mai la vivibilità di una città norvegese, però Gianni ha ragione – lavorare per essere per lo meno civili mostrando così davvero rispetto per il luogo dove si abita, dovrebbe essere il minimo (non affatto scontato e anzi quasi fantascientifico dato il nostro paese).
Vorrei anche rispondere all’OT su Wallace, ai commenti di Sergio e Franz: la notizia della morte di DF Wallace è terribile, ma non so se NI abbia perso un’occasione. Orsola ha fatto un post proponendo una traduzione inedita e penso che in questi giorni possano apparire altre cose. Non la vedo una notizia con imminente “data di scadenza” e soprattutto trovo difficile scrivere subito, sull’onda di un’emozione o giocando sull’effetto-suicidio che farà aumentare le vendite, ma non certo i lettori. Personalmente la cosa mi ha raggelato e il primo pensiero è stato condividere con gli amici o con coloro che so amare Wallace. La dimensione pubblica è passata, magari colpevolmente, in secondo piano.
Cara Francesca, ripeto qui quello che ho già detto al telefono Gianni. Io non ho mai chiesto che un redattore di NI scrivesse al volo un bel coccodrillo su DFW, mi sono solo lamentato del fatto che il post di Orsola sia stato in poche ore sommerso da altri 4 post nello stesso giorno. Mi sarebbe piaciuto che gli fosse dato spazio, respiro, evidenza, chiamatela come volete, non postando altro per 24 ore. In passato, quando facevo parte del blog, questa pratica è stata usata spesso e secondo me anche a sproposito; con il suicidio di DFW, ossia in una delle rare occasioni per cui valeva la pena adottarla, non lo si è fatto. Questo per me significa aver perso una grande occasione. E non l’ho detto privatamente a Gianni perché non era a lui solo che mi rivolgevo, dato che i post successivi a quello di Orsola erano firmati da 4 redattori diversi. Il suicidio di DFW è una cosa enorme, che meritava a mio avviso una maggiore attenzione. Si poteva non postare nient’altro per un giorno e lasciare che i lettori intervenissero nei commenti con le loro impressioni. E’ la scelta che ha fatto per esempio la Lipperini, e non a caso nello spazio dei commenti sono intervenuti Lagioia, WM1 ed altri. A tempo debito sono certo che qualche indiano scriverà su questo tragico evento un pezzo importante, le firme per farlo non mancano, ma l’altro giorno, a caldo, io ho avuto l’impressione di un sostanziale disinteresse.
però le macchine a berlino non ci sono perché molta gente non ha i soldi per comprarsele: è la bellezza delle città povere, quella.
come roma, un tempo.
[…] [pubblicato su Velvet n.22 settembre 2008] Urbanità 1 urbanità 2 […]
MA PERCHE’ ESISTE ANCORA QUEL PAESE DI MERDA CHIAMATO ITALIA? COSA ASPETTANO AD INVADERLO E COLONIZZARLO?