Una (possibile) ragione della tristezza del pensiero
[Pubblichiamo una risposta di Leonardo Palmisano all’articolo di Camon uscito oggi su La Stampa.]
di Leonardo Palmisano
Un coro di condanne accoglie la frase di George Steiner sui giamaicani: «Sono profondamente anti-razzista – dice in sostanza -, ma non mi piace che dei giamaicani vengano ad abitare vicino a me». Dunque: rispetto per gli altri, apprezzamento per i loro usi e costumi, ma finché non vengono a contatto con me: se mi toccano, mi riservo di far scattare la mia reazione di rigetto. Perché loro, vivendo la loro vita, m’impediscono di vivere la mia.
Temo, purtroppo, che Steiner abbia ragione.
Ferdinando Camon, La Stampa, 04.09.2008 [leggi l’articolo].
Gentile Camon,
mi permetta di dirle che le parole razzismo e anti-razzismo sono state usate in maniera impropria tanto da lei quanto, eventualmente, da Steiner.
Sarebbe bastato che Steiner dicesse che non può sopportare la musica ad alto volume dei suoi vicini, senza sottolineare che si tratta di giamaicani, e tutto sarebbe stato più chiaro e onesto.
Fino a due anni fa ho vissuto in via Villari, a Napoli, e in quella strada, dalle prime ore del mattino fino a notte fonda, c’era sempre qualcuno che ascoltava canzoni neomelodiche e vecchi successi degli anni ’80 ad altissimo volume. Era l’usanza del luogo, la normalità. Era, come direbbe lei, “casa loro”. Ero io, lì, l’anomalia.
Secondo la sua tesi – e quella, mi pare, di Steiner (che apprendo “di seconda mano” dal suo articolo) – in quel contesto io avrei dovuto 1) diventare “razzista” nei confronti dei napoletani, a causa dei loro modi che, nel nostro paese e nell’Occidente tutto, sono comunemente giudicati incivili, e, allo stesso tempo, 2) accettare la situazione in quanto intruso in una sorta di riserva selvaggia, in un luogo le cui tradizioni consolidate erano diverse dalle mie.
Non le pare assurdo?
Si tratta semplicemente di affermare che esistono delle regole di convivenza e di rispetto reciproco – senza tirare in ballo razzismo e antirazzismo. Se a Steiner dà fastidio la musica ad alto volume, è di quello che, a ragione, deve parlare, non del fatto che chi la ascolta sia un giamaicano. E se la sua casa perde di valore a causa del vicinato, dovrebbe appurare se il problema è il volume della musica o il colore della pelle dei vicini, e regolarsi di conseguenza – prima come individuo e poi come intellettuale.
A me pare che tanto lei quanto Steiner adoperiate, con dei modi quanto meno discutibili, gli stessi argomenti che i miei vicini napoletani usavano per parlare degli immigrati singalesi: “io non sono razzista, però quelli puzzano”.
Da parte mia auguro a Steiner di trascorrere qualche giorno in via Villari, a Napoli (o in qualunque vicolo del centro storico partenopeo), e di guardare attentamente il colore della pelle e la cittadinanza degli impianti stereo che lo infastidiranno, così come auguravo ai miei vicini di trovarsi in prossimità di qualche maleolente napoletano, per accorgersi che anche i bianchi puzzano.
È imbarazzante, e forse triste, che uomini come lei e Steiner diano modo ai loro lettori di credere che ascoltare la musica ad alto volume sia una intollerabile usanza dell’intero popolo giamaicano, e che dei non meglio specificati “extracomunitari” abbiano importato sul nostro suolo l’insana abitudine di fare “pipì e popò” lì dove si trovano. A questo siamo arrivati, a usare la propria firma e la propria indiscussa fama di uomini di cultura e di benefattori dell’umanità per giustificare una strana forma di egoismo xenofobo, in nome della tranquillità domestica, quasi a dire “I discorsi sono una cosa, la vita vera è un’altra”, mettendo addirittura insieme pena di morte e razzismo, come se il fastidio patito dal sommo Steiner per il rock-reggae potesse essere assimilato soltanto al dolore di un padre la cui unica figlia è stata stuprata e assassinata.
Mi viene in mente un breve saggio di Immanuel Kant, «Sul detto comune: “questo può essere giusto in teoria, ma non vale per la pratica”».
Magari potrà ri-dargli un’occhiata, e suggerirne la ri-lettura al suo illustre maestro – se avrete tempo, è chiaro, e se i vostri vicini chiassosi e concimanti vi concederanno un attimo di tregua.
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è come quando, capita, nei tg i guidatori di tir che fanno incidenti o sono stranieri (e se ne indica la nazionalità), o sono del sud (e se ne indica la regione) o sono solo dei guidatori di tir. divago. vabbé.
Camon e Steiner. In questo caso, mah.
a testate (nazionali)
Perché gli omicidi della ragione devono averci il porto d’armi e sparare cazzate impuniti?
effeffe
ps
ho sempre letto con curiosità e ammirazione i libri di Steiner ma con una riserva, una inspiegabile riserva, quasi un presentimento. E ora che le riserve si sono sciolte non leggerò più niente di lui, come mi capita con poeti discreti che della vita fanno prose scadenti.
riporto: “Sarebbe bastato che Steiner dicesse che non può sopportare la musica ad alto volume dei suoi vicini, senza sottolineare che si tratta di giamaicani, e tutto sarebbe stato più chiaro e onesto.”
se Steiner avesse parlato della sua insopportazione verso i vicini senza citarne la nazionalità, origine e provenienza, senza additarne la cultura come per lui limitante… sarebbe stato nebuloso e disonesto.
il problema di Steiner qui è il suo bieco razzismo.
se a schiamazzare fosse stata una bella famiglia bianca, magari d’origine austro-ungarica, tutto sarebbe stato accolto diversamente.
Steiner dice “…se mi toccano, mi riservo di far scattare la mia reazione di rigetto. Perché loro, vivendo la loro vita, m’impediscono di vivere la mia.”
salta chiaro agli occhi come il senso di repulsione fisica sia sottolineato nella scelta dei termini e delle espressioni.
questo va ben oltre la difficoltà nel fondere/dersi (con) culture profondamente diverse, questa è intollerabile intolleranza.
…come già mi era capitato con Camon
effeffe
ferdinando camon o, come diceva aldo busi prendendolo giustamente per i fondelli, ferdinando “come home”, vieni a casa…
Uno scrittore insignificante.
Dovrebbero nominatlo direttore di Studio Aperto o qualche altro telegiornale del KKK
Lettera molto bella e centrata. Spero che Palmisano l’abbia inviata a LA STAMPA. Se non l’ha fatto, lo invito a farlo quanto prima.
a parte che mi piacerebbe leggere esattamente – e non in sostanza – quello che ha scritto Steiner – sarà, ma della capacità di sintesi di Camon non vedo perché fidarsi -, comunque trovo abietto (ripugnante, stupido, fate voi) il modo in cui Camon, come non aspettasse altro, si pasce della sciocchezza – tale sarebbe se la forma corrispondesse alla sostanza – di Steiner per legittimare le sue ancor più sciocche idee che non lo mettono nemmeno in grado – sempre che sia questo il pensiero di Steiner che lui riporta virgolettato (ma non era “in sostanza”?) – non lo mettono nemmeno in grado, dicevo, di cogliere la clamorosa approssimazione – o malafede – con cui vengono confusi piani distanti e diversi livelli del discorso. Insomma, perversioni della libertà di stampa (ma non finiva doe cominciava l’autorità di un direttore?). E sia, io intanto alzo la mia di musica, quella cubana: dovesse esserci nei paraggi Camon è bene giocare d’anticipo.
E’ un po’come annunciare che si terranno corsi di perfezionamento per gli insegnati del sud perché abbassano la qualità della scuola.
Gelmini Rottenmeir.
E’un po’come prendere le impronte solo ai bambini rom.
Maroni Adolf Hitler.
E’un po’come annunciare l’allarme sicurezza e dopo poco raccontare di un reato commesso, guarda caso, da un rumeno.
Telegiornali di Stato
E’un po’come la degenerazione di questa nostra repubblica italiana… sempre più repubblica delle Banane…
Ho sempre pensato che in fondo Steiner fosse un po’ razzista e gretto. Non lo dovrei dire da studioso di estetica, ma prendi “After Babel” e capisci quanto il suo anti-modernismo porta a delle riflessioni inquietanti. “Perché gli uomini parlano tante lingue, George?” bisognerebbe rispondergli.
Ferdinando Camon, chi era costui?
“…rispetto per gli altri, apprezzamento per i loro usi e costumi, ma finché non vengono a contatto con me: se mi toccano, mi riservo di far scattare la mia reazione di rigetto. Perché loro, vivendo la loro vita, m’impediscono di vivere la mia.”
reazionario, conservatore, chiuso, razzista.
ma ormai ci stiamo assuefacendo al punto da giustificarlo questo atteggiamento.
Affittasi, fino a deprezzamento area:
– famiglie giamaicane numerose appassionate di reggae
– senegalesi che cuociono carne per ore
– maghrebini che pisciano e cagano in ogni dove
– altri prestatori d’opera a richiesta.
Si cercano italiani che, fino a deprezzamento area:
– siano dichiaratamente anti razzisti, meglio se con testimonianza scritta pubblica
– siano disposti ad ospitarli, nell’appartamento di fianco al loro, senza protestare per almeno un anno.
Distinti saluti.
Blackjack.
In pratica, e riprendendo una famosa massima di un saggio cinese: “Sono tutti froci col culo degli altri”.
Blackjack.
Sono d’accordo con Girolamo, Steiner, con pochissima correttezza politica e in un discorso più generale fa un esempio astratto, e Camon una sintesi a proprio uso e consumo, scorretta.
Io non sono un’ammiratrice di Steiner, mi pare che il suo pensiero non sia un pensiero e che giri sempre a vuoto cercando di chiudere un disegno che non chiude mai, ma in questo caso non mi pare proprio che la croce vada data addosso a lui.
Usa un esempio paradossale per dire che è inutile che ci proclamiamo anti-razzisti, quando il nostro antirazzismo è pronto a crollare di fronte al chiasso e al deprezzamento di casa nostra.
Se non avesse detto giamaicani avrebbe dovuto dire “stranieri sentiti dalla maggior parte della comunità come portatori di cultura chiassosa e disturbante”.
ma sono certa che Camon avrebbe trovato comuque il modo di cambiargli le parole in bocca.
Davvero così carogna, Camon? Io non lo penso.
Cari Alcor e Girolamo, vorrei farvi una domanda: se il discorso di Steiner fosse stato fatto da Mario Rossi, con tutte le argomentazioni e le metafore del caso, che cosa avreste detto?
Nella mia lettera (intitolata, nella mia casella di posta, “non è razzismo, ma forse è qualcosa di peggio”), ho ribadito già nelle prime righe che i termini razzismo e antirazzismo non c’entravano niente. Il punto, a mio parere, è che Steiner ha detto una cosa stupida, tipica delle persone che usano la propria fama e le proprie conoscenze per alimentare la pigrizia della loro coscienza.
Non avrebbe dovuto dire “stranieri sentiti dalla maggior parte della comunità come portatori di cultura chiassosa e disturbante”, ma semplicemente “vicini”. Se i miei vicini fanno casino io dico che i miei vicini fanno casino, non vado a guardare il colore della loro pelle, la loro carta di identità, per poi dire “i miei vicini che fanno casino sono giamaicani, io non li sopporto, ma non vuol dire che sono razzista”.
Insomma, il tema del razzismo, qui, maschera una questione che è molto più grave: si sceglie, più o meno consciamente, di portare il discorso sul proprio terreno, lì dove ci si può difendere, invece che sottoporsi all’esame della stupidità, e della banalità.
I vostri commenti, infatti, si fondano – come quelli di Camon – sulla conoscenza che avete di Steiner, e sulle sue argomentazioni, e giungono alla conclusionie che Steiner non sia un razzista.
Vogliamo però dire che né le sue opere né le sue argomentazioni bastano a farci negare che ha detto una cosa stupida – e pericolosa? Oppure preferiamo sezionare a oltranza i suoi scritti, chiedendoci se è o non è un razzista?, sforzandoci di trovare qualcosa di intelligente in una frase sciocca e superficiale, soltanto perché chi l’ha pronnunciata e George Steiner?
Il vero problema, qui, non è come giudicare Steiner, ma come porsi di fronte alle cose stupide dette da persone intelligenti e colte. Ed è, credo, uno dei problemi principali del nostro tempo.
Leonardo, sono d’accordo con te.
Non conosco né Steiner, né Camon, né ho mai conosciuto una famiglia giamaicana. Ma, come molti, ho conosciuto molti rompicoglioni. Quelli per strada si mandano a quel paese (!), con i vicini di casa occorre aprire trattative. Conviene, ad entrambe le parti, arrivare a soluzioni pacifiche sulle controversie. Su anni di dispetti e piccole vendette condominiali ci hanno girato pure un film, ricordo vagamente, o forse ricordo male, e sui giornali ogni tanto esce la notizia di qualche morto ammazzato per liti tra confinanti. La tolleranza non è una questione di pelle, è soprattutto la capacità di scovare un’apertura, uno spiraglio, una possibilità di dialogo da sviluppare che porti ad una convivenza pacifica. Continuo a riferirmi alle circoscritte aree condominiali, ove si può intervenire in maniera diretta, affrontando il vicino a quattr’occhi. Anche ove sembra impossibile, probabilmente non lo è. Combattere una guerra, ma sul tappeto del buon senso dove vince chi lo possiede e ne regala un po’ a chi ne è privo.
Discorso che credo sia valido per ogni persona.
Poco tempo fa, per inciso senza l’intervento di madama, sono riuscito a “sterilizzare” una famigliola di italianissimi spacciatori che stava proliferando chiassosamente sotto casa e che tutte le sere mi impediva il tanto atteso abbraccio a Morfeo.
Letta l’intervista spagnola. Beh, a quel che si capisce, la frase di Steiner, inserita in un discorso sulla società odierna, sul futuro come lui lo interpreta, della società, suona del tipo (non è una traduzione esatta, questa): é molto facile stare in una casa come questa e dire che il razzismo è una cosa orribile. Ma venitemelo a chiedere se si trasferisse nella casa accanto una famiglia di giamaicani con sei figli che ascoltano reggae e rock tutto il giorno.O quando il mio asesor (non so) sia venuto a casa mia a dirmi che, a causa della confusione della famiglia giamaicana il valore della mia casa è sceso. Venitemelo a chiedere allora!
Mi sembra che Ferdinando Camon sia andato su un altro piano, forse non ha letto l’articolo, ma gli è stato riportato, non so.
Onestamente, nel contesto dell’articolo spagnolo, non avrei detto di Steiner quanto detto da Camon. L’intervista parte dalla pubblicazione del suo ultimo libro, e tocca vari temi.
Se, in quella frase, avesse detto “Ma chiedetemelo se si trasferisse qui accanto una nuova famiglia, con sei figli che ascoltano musica reggae e rock tutto il giorno…” diciamo che sarebbe stato più corretto, ma al tempo stesso meno incisivo, forse, non so. Un esempio, il suo, che mostra, aldilà forse delle sue intenzioni, come anche lui tenda ad associazioni scontate: Jamaica, reggae, rock (Bob Marley…), confusione, di contro a classica, Schubert, melodia…
Italia pizza mafia mandolino.
Camon riporta le parole di Steiner a metà articolo, ma non con quel “si” che le introduce.
Riporto il brano in cui parla della famiglia giamaicana, con la domanda che precede e quella che segue, di modo che, chi conosce bene lo spagnolo, possa magari tradurlo in modo migliore di quanto io ho fatto:
“¿Y el futuro? ¿Qué nos depara el futuro si evitamos la guerra? Evitar la guerra supone problemas de superpoblación. Mire los jóvenes: se aburren, un día van a acabar con los viejos, no sabrán qué hacer con ellos. Somos un animal muy primitivo. Hay peces y virus que son más antiguos que el hombre. Tal vez estemos sólo al principio de nuestra historia. Quizá no hayamos aprendido a unir nuestro instinto y nuestro raciocinio.
Qué panorama. Es muy fácil sentarse aquí, en esta habitación, y decir: “¡El racismo es horrible!”. Pero pregúnteme lo mismo si se traslada a vivir a la casa de al lado una familia jamaicana que tiene seis hijos y escuchan reggae y rock and roll todo el día. O cuando mi asesor venga a casa y me diga que desde que se mudó a mi lado la familia jamaicana el valor de mi propiedad ha caído en picado. ¡Pregúnteme entonces! En todos nosotros, en nuestros hijos, y por mantener nuestra comodidad, nuestra supervivencia, si rascas un poco, aparecen muchas zonas oscuras. No lo olvide. Mire el problema vasco. ¡Cuánto me equivoqué con este tema! Cuando el asunto del IRA estaba llegando a su fin, publiqué un artículo considerando que con ETA pasaría lo mismo. Y no, ETA sigue matando.
¿Qué pasa? ¿Cuál es su opinión? No lo sé. Ese idioma tan misterioso es muy raro, muy poderoso. Quizá por eso a alguna de esa gente le resulta tan imposible aceptar el mundo exterior. Pero no estoy seguro de nada. De lo que sí que no tengo dudas es de que es un problema gravísimo.”
Ma guarda, leonardo, era notte fonda, quando ho letto l’intervista, ed è scritta in spagnolo, che leggo solo con l’aiuto del dizionario, perciò posso aver frainteso, se ho frainteso, ritiro tutto, ma se non ho frainteso, Steiner parla per assurdo, e nel discorso provocatorio giamaicani è più efficace di “vicini”.
Perché se si parla di razzismo e io voglio dirti retoricamente che sei antirazzista finché tutto va bene, perché questa è la struttura profonda dell’uomo, che va combattuta (che è quello che mi pare volesse dire Steiner il pessimista), non ti dirò: “credi di essere antirazzista? aspetta che venga ad abitarti vicino una famiglia di VICINI che non ti faccia dormire e ti deprezzi la casa”, ma parlerò proprio di giamaicani, o napoletani, o bergamaschi, se sono comunemente noti nel paese, a torto e razzisticamente per essere schiamazzoni. E’ sugli stereotipi che si fonda il paradosso.
Fin qui Steiner.
Camon invece secondo me l’ha fatta grossa.
Ma è anche molto interessante, sempre che io abbia bene inteso l’intervista in spagnolo pubblicata su El Pais, (lo ripeto, tutto si basa sul ragionamento di Steiner) come le parole vengano riportate manipolandole e come si scatenino battaglie di pricipio su basi incerte. Camon lo fa scientemente, manipolando Steiner, e molti lo faranno ancora, chi tirando acqua al suo mulino xenofobo e chi al suo mulino etico-politico o anche solo, ed è questo l’oggetto vero di Steiner (e lo ripeto per l’ennesima volta: se ho capito bene) politicamente corretto nella forma, ma ipocrita o inconsapevole nella sostanza.
Mai letto un rigo di Steiner.
Forse nel passato ho letto qualche pagina di Camon, dimenticata del tutto.
Dunque non so nulla dell’uno e dell’altro.
Non è che me ne vanti, è per dire che non ho pre-giudizi positivi o negativi su nessuno dei due.
Tuttavia il pezzo di Camon mi sembra singolarmente brutto, nel senso di sciocco, mal scritto, povero di idee, perché anche a essere razzisti ci vuole un certo nerbo, una qualche energia nazifascistica, un sub-strato ideologico, ci vuole insomma un po’ di delirio, non certo questa lagnetta gne gne, che fanno «la popò» nell’ascensore, che mettono la musica alta e cucinano pesante, ruttano e scorreggiano e puzzano.
Signora mia.
Quella di Steiner, poi, sembra la solita frase, che estrapolata dal contesto, fa scandalo tra i politicamente corretti.
Tuttavia dentro non vi è tanto del razzismo etnico (un po’ ce n’è, diciamo una quantità fisiologica), quanto del razzismo sociale, nel senso di disprezzo per la diversità degli «inferiori socialmente», piuttosto che ostilità per i diversi culturalmente.
Insomma, sia Steiner che Camon sembrano dire: adesso che finalmente eravamo diventati tutti uguali, silenziosi, cortesi, tutti egualmente indifferenti l’uno all’altro, tutti discretamente puliti, tutti con la radio/televisione/lettore cd a volume accettabile, tutti che non fanno la piscia negli angoli di strada, tutti con lo sciampetto tre volte a settimana, tutti occidentalmente morti, tutti affogati beatamente nel pensiero unico, nel consenso, nel compiacimento dell’essere conformi, ecco che arrivano i NON CONFORMI.
Il razzismo sociale lo conosco bene, per esserci vissuto dentro, per averlo respirato fin da piccolo, tipo «non giocare con i bambini che non conosci».
Il razzismo etnico ce l’ho, come tutti, nel sangue, in quantità come dicevo, fisiologica.
Ritengo sia un’emozione più che un pensiero e credo abbia origine evolutiva, in quanto rafforza la coesione di gruppo, dando più chance di sopravvivenza a ciascun individuo componente.
Il razzismo, per me, è cosa naturale, quindi di destra.
Come tutte le cose naturali (naturalmente di destra, perché «destra» e «natura» sono sinonimi ) è sbagliato, nel senso che va combattuto, per quanto possibile, con l’artificio dell’etica, del pensiero, della cultura, contro i nostri stessi impulsi.
Ma per combatterli, questi ed altri impulsi – questo vale per tutte le anime belle politicamente corrette – occorre saperli riconoscere, occorre vederne la presenza in ciascuno di noi.
Mai pensare che siano cose d’altri, solo perché non ci si è mai trovati di fronte alle stesse condizioni che negli altri li hanno innescati…
Eccetera.
Scst l lnghzz
@alcor
condivido quello che scrivi, come mi capita ormai spessissimo.
E infatti Palmisano, molto correttamente, e sono d’accordo con la sua lettera, scrive:
“Gentile Camon,
mi permetta di dirle che le parole razzismo e anti-razzismo sono state usate in maniera impropria tanto da lei quanto, eventualmente, da Steiner.”
“Eventualmente”, cioè nel caso che Camon sia intellettualmente corretto, e Camon non lo è stato. la correttezza intellettuale è la prima clausola necessaria per pensare bene.
Tash, magari mi hai ipnotizzata, a furia di pessimismo radicale, e sono io a venirti dietro.
Anche Steiner nell’intervista dice che la cultura deve combattere la natura che è “razzista” nel senso indicato da Tash.
Ma andate a leggerla, se la si legge lentamente la si capisce anche se è in spagnolo, in fondo è una lingua latina, anzi, grazie Girolamo per averla linkata, andare alla fonte è sempre una buona cosa.
Grazie Branco, non ti avevo letto.
Non avrebbe dovuto dire X ma semplicemente Y. Ma ha detto X, che si ritorce contro il suo stesso sistema di credenze, dunque si tratta di un’espressione stupida – se non addirittura malvagia, ovvero indizio di un nucleo marcio finora abilmente dissimulato. Steiner magari lo salviamo, ma a Camon possiam dar giù di brutto. Questa scena non mi è piaciuta. D’altra parte attribuire a simili sfumature espressive delle incalcolabili conseguenze serve chiaramente ad enfatizzare il ruolo dell’intellettuale-guardiano (o aspirante tale). Bisogna credere che i problemi siano principalmente di linguaggio e di postura, di cultura, quindi correggibili attraverso le buone letture. Io penso che il rapporto sia piuttosto da invertire: il linguaggio (l’espressione, lo stile) riveste le cose ma non le determina se non in minima parte, e quindi vedo piuttosto della buona fede nel tentativo di Camon, e di Steiner, di lacerarne la trama convenzionale (ovvero Y) per evidenziare meglio il problema “nelle cose”, che tale trama in qualche modo ricopre.
Cerco l’uomo
e trovo il PD!
Eh no, caro Elio, Camon ha manipolato Steiner, e questo non va bene, e scrive:
Qualcun altro che abitava lontano ha invitato a sopportare perché questi maghrebini che vengono dal deserto e sono abituati a fare pipì e popò a pochi passi dalla capanna. E’ possibile. ma il fatto è che che a casa loro intorno alla capanna hanno terra e erba, qui il pavimento intono ai nostri condomini è lastricato di marmo. Il traguardo non è che noi ci comportiamo come loro. Il traguardo è che loro imparino a comportarsi come noi”
Ma dove vive Camon? Come pensa camon? Cosa sa camon? Non ha mai visto i nostri compaesani fare pipì in ogni angolo solo perché avevano bevuto troppa birra? Vomitare in mezzo a una strada perché erano strafatti? E ben prima che arrivassero i magrebini?
E poi nel maghreb non c’è il deserto, c’è il magreb. E se pensa che i magrebini vivano nelle capanne, vada a Fes.
Nelle capanne vivono ovunque i poveri cristi, e se nessuno gli fa le fogne la fanno dove capita.
C’è dietro queste parole di Camon una ignoranza impressionante, una serie di luoghi comuni profondamente introiettati, e se posso capirlo in Gentilini, quello della razza Piave, da uno scrittore non posso accettarlo. Si legga Stella, e il suo libro sulla nostra emigrazione.
cerco l’uovo
trovato il pelo
effeffe
…ed ecco il Camion che ci porterà lontano
effeffe
ps
Mi raccomando, volume alto, anzi altissimo!!!
Facciamo un gioco – il gioco di George Steiner. Proviamo a discutere non di razzismo con gli occhi di un anti-razzista, ma di anti-razzismo con gli occhi un razzista.
«Un negro è venuto a stare vicino a casa mia e da allora non riesco più a dormire. Poi sento questi bei pacifisti e anti-razzisti che vanno in televisione e che scrivono libri, tutti a dire che siamo uguali, noi e i negri, e che non ci sono differenze. Berlusconi dice che noi siamo una civiltà superiore, e gli danno tutti addosso. Io li vorrei vedere, questi filantropi, se avessero un negro vicino che non li fa dormire o, peggio, un arabo che pianifica un attentato per farli saltare in aria! Come quelli che vanno in piazza a protestare contro la pena di morte! Poi trovano la macchina rigata nel parcheggio e subito cominciano a invocare la legge marziale. La verità è che la tolleranza – e tutta quella cascata di stronzate sociali – sono delle invenzioni di chi non ha mai sofferto niente, di chi dorme tutte le notti tranquillo e beato, e non ha perso il lavoro per colpa di un polacco alcolizzato che si fa pagare due euro l’ora. Lo voglio vedere, io, il grande intellettuale che ha scritto decine di libri sull’uguaglianza e sulla bellezza della cultura, quando dei giamaicani vanno ad abitare a dieci metri dal suo studio! Chiediamogli allora di parlare di cultura! I libri sono per chi c’ha tempo da perdere. Per chi si può fare le seghe mentali sulla “funzione del linguaggio”, sul ruolo degli intellettuali. La vita vera è un’altra cosa, per la miseria! Sono questi negri che non mi fanno dormire, sono loro la vita vera! Il resto sono chiacchiere».
Ecco, facciamo tutti questo gioco.
A me non pare una questione di linguaggio. Qui si tratta di capire da che parte stiamo e perché. Se uno è anti-razzista finché dei giamaicani (ipotetici) non vanno ad abitare vicino casa sua – e poi, da quel giorno, cambia idea e va in piazza a protestare contro gli immigrati e i rom, non stiamo facendo un discorso sul linguaggio. Al contrario, stiamo cercando di capire che parte hanno le parole e le idee nella nostra vita. Comprendere il desiderio di vendetta di uno a cui hanno ucciso la figlia è un conto.
Dire che è giusto o legittimo diventare razzisti quando una famiglia di giamaicani viene a vivere vicino casa tua e tiene lo stereo a palla è un’altra cosa.
Non so a voi, ma a me non va giù, per niente, che George Steiner possa andare a marciare, domani, contro i rom e gli immigrati perché dei giamaicani lo hanno infastidito mentre tentava di regalarci delle perle di saggezza sulla tolleranza! Si tratta di poter credere che le parole siano qualcosa di vivo, non che rivestano e blindino la vita vera – che è sempre “un’altra cosa”.
[e con questo mi fermo, sennò finisce che scrivo ogni volta un papiro!]
P.S. Volevo dire che non mi va giù che Steiner vada in piazza e che qualcuno mi dica che, siccome lo fa Steiner, allora è giusto, o che è in buona fede. (il pensiero completo era questo. Steiner può fare quello che vuole.)
Il gioco, per me, è questo: nel discorso di Steiner, al posto di “giamaicani”, potevano essere “rumeni”, “ceceni”, “giapponesi”, “mongoli”, “cherokee”, “italiani”, “francesi” e via dicendo. Eppure, è quella parola che ha dato il via alla discussione. Quelle che davvero importavano erano quelle riguardo il comportamento. Un comportamento maleducato, irrispettoso di chi ti sta attorno. Il razzismo si lancia non verso un comportamento che può essere di tutti, ma verso qualcosa di casuale, come è l’essere di una nazionalità piuttosto che di un’altra. Avere un colore di pelle piuttosto che un altro. Avere più o meno conoscenze. Il razzismo guarda l’accessorio.
E in una società in cui l’accessorio fa la persona si è molto razzisti.
Al di là di Steiner, Camon, o boh.
Non so se è tanto chiaro quel che ho scritto. Spero si capisca. Mah. Dubbi.
Dire che è giusto o legittimo diventare razzisti quando [..]
E’questa l’implicazione che non riscontro, o che forse, non aspettandomela da Camon, tendo a non vedere. L’uso di un linguaggio sbrigativo e rozzo mi pareva funzionale a sottolineare il pericolo, non la legittimità, di tale evenienza. Per questo la correzione, diciamo così, linguistica mi è sembrata un vero fraintendimento. Penso che molto dipenda da quanto “principio di carità” applichiamo alle parole altrui. Alcor ne offre molto a Steiner ma nulla a Camon, io ne offro invece anche a lui, perché ricordo dei buoni articoli, tutti problematici e mai riconducibili ad una posizione idiota quale risulterebbe qui, prendendo certe espressioni implicitamente “citate” come se fossero sua diretta, ed inverosimilmente ingenua e convinta, espressione.
Mah, come ho detto io non ho un pregiudizio favorevole nei confronti di Steiner, ma nello specifico dell’intervista e dell’articolo, questa intervista e questo articolo parlano in modo molto diverso.
E sempre che il mio spagnolo sia stato all’altezza. Il mio italiano però sì.
@Alcor: Prego.
è interessante per me constatare come il concetto di classe sociale sia completamente obliterato da qualsivoglia discorso con implicazioni politiche.
non ci sarebbe niente di male non non ne derivasse uno spaventoso deficit di analisi.
ma è solo una notazione a margine del commento di leonardo, che fa un buffo mirror climbing tra le categorie dei colti e degli ignoranti, mi pare, perché a corto di attrezzatura più adatta.
ma forse mi sbaglio.
Peccato che un pensatore come Steiner non abbia la possibilità di replicare alle obiezioni su questo sito. le critiche rivoltegli troverebbero facili risposte. Pensare che Steiner sia razzista…ormai si pensa di tutto e di più
Peccato che ci debba sempre essere qualcuno che invece di leggere, e di accorgersi che nessuno ha dato del razzista a Steiner, se ne esce con delle genuflessioni a prescindere e dei “sei fosse qui lui (Lui) vi metterebbe tutti a posto”.
E peccato anche che ci debba sempre essere chi, in omaggio alla dea-provocazione, butta lì due righe per rimproverare l’autore di NON aver discusso di qualcosa di importantissimo – che siano le classi sociali o la ricetta degli spaghetti con le vongole -, senza pensare che forse si sta parlando d’altro, e che alcune discussioni si possono fare anche senza esibire la conoscenza delle categorie marxiane – o bigazziane.
Tant’è. Facciamocene una ragione. Scatenatevi.
Emotivamente, di slancio, approverei subito la lettera di Leonardo, premesso che non so quasi niente sia di Camon e di Steiner, ma credo che in questo contesto non sia poi importante. Poi però leggendo i due articoli soprattutto quello di Steiner che mi sembra una forte provocazione, un invito al guardarci dentro per quanto scomodo, non sono più così certa. Anche perché guarda caso a me è successa più o meno la stessa cosa in svariate occasioni. Alcuni esempi: per tre anni ho vissuto nel quartiere di Brixton a Londra, uno dei quartieri noti per lo spaccio di droga e per la massiva presenza di neri caraibici. E’ brutto dirlo, ma nei luoghi comuni londinesi – e non solo – vanno insieme. Ci ho vissuto per due motivi: a) perché ho sempre amato quel quartiere dal mio primo soggiorno londinese b) perché gli affitti sono relativamente bassi. Condividevo la casa con un inglese, al primo piano: al piano terra un’invisibile e non quantificabile presenza pakistana (nel senso che non ho MAI capito in quanti fossero e a stento coloro che incontravo ricambiavano il saluto) che per 3 volte ha visto bene di sfondare il portone del casamento avendo smarrito, o che so io, le chiavi. Al mezzanino una “famiglia” giamaicana (toh!), con precedenti penali e avvisi di sfratto più o meno mensili, ma con un capo-gruppo molto gentile, almeno per le scale, se non fosse che spesso si metteva ad ascoltare musica a volume altissimo alle due, le tre e le quattro di notte, finché io o il mio coinquilino non battevamo con i piedi sulle assi del pavimento. Alla fine c’è stata anche una sorta di “lite” tra il mio coinquilino alticcio ed il capo-famiglia che venuto su a casa nostra ha potuto constatare che effettivamente il volume era troppo alto. Una cosa quasi comica, con il mio coinquilino fuori dai gangheri (non è esattamente un tipo collerico) e il capo che si scusava dicendomi che la musica è la sua droga, la sua palestra mentale etc etc. Nel casamento accanto altra famiglia giamaicana con figli ventenni che in 3 anni non hanno mai una volta ricambiato il mio saluto e dopo un errore del postino si sono pure tenuti la mia posta, nonostante fossi andata a chiedergliela varie volte con tanto di documento, finché il postino stesso non ha rimediato. Il motivo detto banalmente era che io ero bianca e donna e loro due tosti ragazzi neri. Questi sono solo gli ultimi episodi, ma vivendo in simili quartieri o situazioni senti tutta la tensione e lo scontro tra individui etnicamente differenti. Altri due esempi: ho vissuto per pochissimo tempo mentre ero in cerca di alloggio in un YMCA in una cittadina desolata a nord est di Londra, se non sapete cos’è meglio così. L’umanità che c’è dentro è spesso varia e desolante – dieci anni fa ci sarei forse andata a nozze, ora comincio ad essere stanca. Si andava dallo scozzese alcolizzato che mi attaccava bottoni su sua madre per ore, al ragazzino franco-algerino con problemi di droga, ai più semplici clandestini in attesa di permesso tra cui un nigeriano, Bob con cui avevo fatto parecchia amicizia. Però proprio parlando con lui veniva fuori la profonda diversità di cultura, una sorta di istintiva autodifesa e anche di crescente irritazione, nonostante la reciproca simpatia, e hai voglia te! a discorsi mentali sulla tolleranza e l’uguaglianza. Certo che era più insopportabile la lagna alcolica delle Highlands, ma sarà pure brutto a dirsi, era più familiare. In altri termini mi si è ripresentata la questione con un ragazzo nero che lavorava in banca (tutt’altra classe sociale), sapendo che facevo storia mi chiese se era storia degli afro-americani, come se fosse naturale e logico che dovesse essere così. E’ una cosa che lì per lì mi ha lasciato sbigottita. Il modo in cui ognuno, per quanto illuminato, colto, tollerante, “buono” e politicamente corretto, difenda il suo spazio. Quello che voglio dire è che io continuo a pensare che Brixton sia, per me, il posto più fantastico dove vivere a Londra. Che non mi importa nulla se il mio vicino di casa è nero, bianco, bordeaux o a strisce. Che gli episodi accaduti con persone di cultura ed estrazione sociale diversa dalla mia possono ripetersi in altra forma con altri apparentemente più simili e che in fondo dato che personalmente gli esseri umani adulti non mi hanno mai ispirato grande fiducia, non mi viene voglia di difendere un gruppo a scapito di un altro. Ma che sono consapevole di come la differenza venga fuori e di come la mia tolleranza sia solo in minima parte naturale e quasi del tutto culturalmente acquisita – di come sia il mondo delle idee e non quello dell’esperienza a farmi sentire al sicuro, che voglio “difendere”, con la necessità ogni tanto di fare i conti con la brutta bestia conservatrice, intollerante e nel mio caso forse anche un bel po’ misantropa, che è in me.
scusate per il lungo commento solo una postilla che riprende un brano già sottolineato da Alcor: nel pezzo di Camon ho trovato particolarmente brutta la frase sul “traguardo”: che loro si comportino come “noi”. Mi piacerebbe sapere: “noi” chi?
” Ma che sono consapevole di come la differenza venga fuori e di come la mia tolleranza sia solo in minima parte naturale e quasi del tutto culturalmente acquisita – di come sia il mondo delle idee e non quello dell’esperienza a farmi sentire al sicuro”
il nodo sottile di chi consapevolmente legge dentro di se leggi non scritte
con stima
c.
A proposito di portoni sfondati, i ragazzi italiani che abitano sopra di me le chiavi le dimenticano sempre, suonano alle due tre quattro di notte e chiedono, mi apre? sono quello di sopra. Se nessuno sente, rompono la serratura, lo hanno già fatto tre volte. Fossero stati stranieri sarebbe già stata chiamata la polizia, invece si mugugna e ci si chiede che fare.
Li sento molto stranieri:-)
Miss Francesca, che lezione…
Incantato.
A proposito di musica alta.
Qualche giorno fa sono in metropolitana per andare a saint-denis, a nord di parigi, dove vivo. Salgo con un amico francese: Mathieu. La carrozza è piena solo da un lato. Dal lato vuoto c’è un tizio che ascolta musica ad altissimo volume. E’ lì con due bambini e un cane. Lui è visibilmente ubriaco e parla a uno dei due bambini in una lingua che identifico come slava. Mathieu si siede a fianco lui, io lo seguo. Siamo più o meno gli unici due bianchi della carrozza. La musica è altissima, dopo un paio di stazioni sto pensando di lasciare il posto seduto e spostarmi anche solo di un paio di metri, come devono aver fatto tutti gli altri. Il volume è veramente insopportabile. Mathieu chiede alla bambina di cosa parla la canzona. Lei gli risponde in francese che parla di una ragazza. Chiedo al tizio d’abbassare, lui si scusa, abbassa a un livello tollerabile e mi chiede se il volume va bene.
un aneddoto “risolutore”…
troppe parole danno solo sfoggio di sé.
ottimo, Galimberti, ma – soprattitto – ottimo Mathieu.
Non conosco le opere e lo spessore culturale di Steiner e Camon, ammetto la mia ignoranza, ma riesco a riconoscere la stupidità abbastanza bene e trovo particolarmente fastidioso riscontrarla in persone che in virtù del loro “nome” pensano di spacciarla per qualcosa di diverso. Per esempio, scambiano lo scrivere stupidaggini per una provocazione, provocazione di cui, francamente, non si sente la necessità. E’ ormai una fastidiosa consuetudine sentire nei telegioirnali di qualunque canale televisivo, specificare la nazionalità di chi commette crimini più o meno gravi, come se ci fosse una gigantesca lavagna dei buoni e dei cattivi, come se la delinquenza si possa sdoganare più facilmente addossandola al diverso, allo straniero, a quello che “parlava con un accento dei paesi dell’Est Europa”, senza pensare ai vivai di malavita nostrana che proliferano a vista d’occhio, troppo spesso indisturbati.Un esempio: Vernarelli ai domiciliari perchè dopo circa 6 mesi il padre, conducendo indagini personali, “scopre” che la macchina del figlio che ha ucciso due turiste irlandesi sul Lungotevere non la guidava il suo pargolo, ma un ungherese che si è dissolto nella nebbia! Conosco ragazzi albenesi, rumeni, ucraini, e di tante altre nazionalità che fanno due lavori, magari lavori umili che un italiano non farebbe mai e trovano il modo di studiare ingegneria elettronica o architettura, con un retroterra culturale che nelle scuole del modello Gelmini sarà difficile trovare e che quando hai finito di parlare con loro ti fanno sperare che una società multietnica non è solo un’utopia. La maleducazione, che credo sia alla base dell’episodio “incriminato”, la musica ad alto volume, è altro e purtroppo la fa da padrone in ampi strati della nostra antichissima civiltà italica. Da 20 anni ho la disgrazia di abitare sopra un ristorante ITALIANO gestito a più riprese da ITALIANI, che nei meandri del seminterrato ospita un piano bar anche quello di ITALIANISSIMA gestione. Sono praticamente 20 anni che per riuscire a dormire in estate con i tavoli fuori e tutto l’anno durante il fine settimana sono costretta ad alzarmi e telefonare ad entrambi nel cuore della notte per chiedere di far smettere gli schiamazzi in strada, di solito italiani anche quelli, e la musica ad un volume tale che mi permette di riconoscere il repertorio che di volta in volta viene suonato. Ho provato a chiamare i vigili, ma non sono mai venuti, gli stessi vigili che ho visto diligentemente strapazzare e trascinare via gli ambulanti che vendevano cianfrusaglie per strada solo perchè in un quartiere vicino al Vaticano; ho mandato svariati esposti senza alcun esito: gli italici schiamazzi e l’italianissima musica a palla continua indisturbata grazie soprattutto agli “ammanicamenti” dei proprietari con le persone giuste.
Tutto questo per dire che prima di bollare con affermazioni grossolanamente stupide persone in qualche modo diverse varrebbe la pena, soprattutto per chi sente (ed evidentemente i personaggi in questioni la sentono molto) la responsabilità di avere un “nome”, una notorietà culturale, gurdarsi intorno nelle vicinanze più prossime: per trovare gente che non rispetta le regole della civile convivenza non occorre attraversare oceani. Preferisco non commentare il riferimento al deprezzamento dell’abitazione, vorrei solo ricordare che nel residenzialissimo Viale Raffaello di Napoli, che conosco benissimo, abitato da facoltosi professionisti, alcuni mesi fa è stato negato l’affitto di un appartamento a Roberto Saviano per “paura”a causa della sua scorta. Purtroppo la stupidità, che Wilde trovava assolutamente imperdonabile, dilaga ed è un ottimo concime per la proliferazzione di sentimenti e comportamenti pericolosi: cerchiamo in qualche modo di arginarla e il post di Leonardo mi sembra un buon tentativo, è sempre bene cercare di non far passare sotto silenzio ciò che invece farebbe tanto comodo che passasse inosservato. Ti abbraccio, Leonardo.
Irene, esistono delle leggi ben precise relative ai locali pubblici e, non è che non ti credo, ma mi pare strano, che a fronte di una chiamata circostanziata, i Vigili non intervengano. Che Vigili avete da quelle parti? Ho l’impressione che, se sono in servizio e non rispondono, non stiano operando correttamente. Comunque ci sono sempre Carabinieri e Polizia.
La multietnia e lo scambio fra culture è sempre un vantaggio, ma quando le regole sono ben definite ed è possibile farle rispettare. Non sono così convinto che, come ha fatto Galimberti (avrei fatto lo stesso), debba essere sempre il cittadino a ricordare le regole: c’è chi è in grado di chiedere anche se l’altra persona sembra apparentemente ostile, c’è chi non è in grado, per carattere, per mille motivi diversi. Che facciamo? Lo marchiamo come razzista?
Ma, se come nel tuo caso, non possiamo fare affidamento nemmeno su chi dovrebbe garantire un minimo di equità (ordine è un termine che non mi piace) e ti tocca rimanere sveglia di notte, ho l’impressione che, messi di fronte al fatto compiuto, molti dei non-razzisti convinti diventerebbero delle belve. E quanti, di quelli che qui scrivono, sarebbero disposti a vivere, magari con moglie e figli al seguito, di fianco a Saviano, alla sua scorta e a tutti i problemi che una simile situazione può creare?
Se vuole venire ad abitare di fianco a me, nessun problema, si è giusto liberato un appartamento da un paio di settimane. Ribadisco: sono tutti froci col culo degli altri.
Blackjack.
Caro Blackjack, ti invito a provare a chiamare i vigili urbani di Roma dalle 2 di notte in poi, ti passano un centralino automatico che, nella migliore delle ipotesi, se ti risponde ti dice che tutte le macchine sono in giro, lascerà la segnalazione. Se chiami polizia o carabinieri ti rispondono che la competenza è dei vigili urbani e se gli rispondi male allora intervengono per te! Io sono una che sta alle regole e desidera che anche gli altri, TUTTI gli altri le rispettino, in questo non c’è alcuna distinzione di etnia, cittadinanza, colore della pelle o religione. Viviamo però in un Paese dove la storia ci insegna che l’attività maggiormente praticata è la ricerca dell’elusione di leggi, decreti, provvedimenti, penso che lo sappia anche tu e dunque non mi meraviglierei al tuo posto della mancanza di risposte della Municipale romana. Il punto non è questo, il punto è non etichettare grossolanamente, generando odiosi stereotipi etnici, comportamenti sbagliati che sono diffusi in tutta la nostra società. Già la frase di esordio di Steiner “Sono profondamente antirazzista, ma…” è un biglietto da visita sufficientemente chiaro sul personaggio. Per quanto riguarda il cittadino che deve ricordare le regole, se ormai siamo a questo significa che qualcosa non funziona nel meccanismo di chi fa le regole e dovrebbe farle rispettare. Non solo riguardo al piano bar e al ristorante, sono anni che per far applicare leggi e dispositivi dai più stupidi ai più importanti, sono costretta ad alzare la voce, cosa che mi secca non poco e che va contro il mio temperamento di persona pacifica, ma ho purtroppo imparato sulla pelle mia e dei miei figli che aspettarsi che le cose funzionino in automatico solo perchè esiste una buona legge o perchè la tale cosa ti spetta di diritto è pura utopia, credimi. So di cosa parlo, prova a seguire il percorso di una persona con handicap all’interno della nostra società, nel mondo della scuola e del lavoro, tutelato da leggi all’avanguardia in Europa che vengono rese inapplicabili dalle leggi finanziarie di qualunque governo, dalla burocrazia imperante, dal menefreghismo degli addetti ai lavori, dall’indifferenza della cosiddetta “società civile” e dall’atavica paura del diverso. Chiedo scusa per lo sfogo personale, grazie per l’offerta dell’appartamento, ma preferisco restare a casa mia non fosse altro per far rispettare le regole a chi non lo fa!
Ehm, Irene, la battuta sull’appartamento era riferita a Saviano, ma avrà trovato casa? Nessun problema per gli sfoghi, e ci mancherebbe :-)
Blackjack.
Pardon, mi sono fatta prendere dall’argomento e ho frainteso la battuta sull’appartamento!
> il punto è non etichettare grossolanamente
> Già la frase di esordio [..] è un biglietto da visita sufficientemente chiaro sul personaggio
principio enunciato e disatteso in due sole righe?
Political art expresses the cliches you agree with, unlike propaganda, which expresses the cliches you don’t. [Brad Holland]
L’altra sera un amico al telefono mi diceva che il problema a sinistra è l’eccesso di immaginazione sociale, a fronte di un totale difetto di senso politico. Tutto questo dibattito ne è una dimostrazione: perchè è il classico processo alle intenzioni. E se il problema non fosse affatto chi pensa cosa di chi (qualcuno è razzista e qualcuno no, a qualcuno piace Steiner e a qualcuno no), ma far rispettare le leggi a tutti indistintamente?
Oh Valter, ma dove sei stato fino ad ora? :)
Blackjack.
In quarantena, come si suol dire.
Ma adesso sono qui, più cattivo di prima.
@ Binaghi
La corsia è già al completo. Dovrai chiedere ospitalità altrove ;-)
binaghi vuoi vedere che eri tu il rasta vicino di casa di Steiner che sentiva musica blues a tutto volume!!!
effeffe
Ma non sarà che questa scorrettezza pur grave (ascoltare musica ad alto volume disturbando il vicinato) viene amplificata dalla senilità di Steiner? È pur sempre una persona anziana (non so poi se è anche solo), il livello di sopportazione e di tolleranza a volte si abbassa con l’età.
@effeffe
In effetti io per il reggae ci vado pazzo.
Però ci sono anche le cuffie, neh!
politically correct
scene urbane:
-quando abitavo a napoli avevo una coinquilina italiana che rompeva con lo stereo non solo a palla, ma incantato, era in grado di lasciar suonare lo stesso pezzo per ore, una tortura che non avete idea.
busso una, busso 2 volte, busso 3…alla fine, prima di spaccarle il muso, decido di chiamare rinforzi: il mio caro buon vecchio, posato e diplomatico portiere Eritreo. la ragazza acconsente.
-scena 2: sul treno, vagone affollato, condizionatore guasto, come al solito, sportelli chiusi, nessun sistema di areazione… il napoletano che fa? si accende una sigaretta. so che è inutile chiedergli di spegnere. il passeggero accanto fa un tentativo, è un giovane ragazzo di colore, con la carrozzina della sua boutique smontabile, gli chiede di spegnere…viene insultato con tutti gli epiteti, e quando prova a difendersi, è costretto ad allontanarsi per evitare la rissa.
-ecco.
questi sono i gradi di civiltà.
comunque, quello messo peggio è il nero albino
quando abitavo a marghera, per sei anni, ogni sera sopra di me un putiferio. c’era un appartamento di bengalesi che in quei pochi anni avranno cambiati almeno cento inquilini ( ogni sera l’appartamento ospitava almeno dieci persone, in affitto al loro capo, che subaffittava ad altri). mi hanno allagata la cantina e il soffitto almeno un paio di volte, ridotto il bagno ad una coltivazione di muffa, ecetera. purtuttavia, fino ad allora, e nonostante ciò, li trovavo tutto sommato gentili e simpatici.
poi sono venuto a conoscenza delle loro abitudini domestiche, soprattutto nei confronti delle donne, e tutto è cambiato. ho saputo di scene raccapriccianti, di pestaggi violentissimi, di dominio assoluto del maschio sulla femmina. ho saputo che per loro è così, nascono con questi convincimenti, e quindi, per loro, è normale che la donna sia qualcosa di simile ad un oggetto riproduttivo, con doveri domestici.
le mie fonti sono abbastanza attendibili ( persone ed enti che si occupano di violenza alle donne).
mi rendo conto che da allora, il mio atteggiamento nei loro confronti è cambiato. così com’è cambiato il mio modo di pesarli: io, loro.
mi chiedo: questo è un pregiudizio di ordine razzistico?
le stesse fonti, comunque, mi informano anche di molti altri casi di violenze domestiche, tutte indigene, nostrane, e però mi sono accorto che ormai per i bengalesi nutro un certo disappunto; cosa che non succede con “altre razze”.
c’entra qualcosa col discorso dei giamaicani?
concludo dicendo che non credo di aver bisogno di nemici: io mi basto e avanzo. trovo molto sensato il discorso di “natura”, di “sopravvivenza”, eppure non so se sia questo il caso.
cristiano, non me la prendo con te, ma quello che volevo dire io era proprio questo: che l’opnione pubblica, grazie all’esemplare lavoro mediatico, è sempre troppo pronta ad additare gli stranieri come delinquenti, aggiungendo, nella migliore delle ipotesi, alla lista quelli nostrani, ma quanti che realmente si sforzino di vederli da questo lato della barricata? raro che rientrino nei discorsi i perfettamente integrati, che si portano ancora dietro ovunque una scia di sospetti, ancora più raro il caso di chi li pensa come vittime loro dei nostri abusi, delle molestie che siamo noi a procurare loro, della nostra incapacità di tutelarli, di garantire un minimo, ancora più esiguo il numero di coloro che li ritengono alla pari capaci di farsi e chiedere giustizia.
detto questo, che so non essere il tuo caso, su quello c he tu per primo ti domandavi se fosse o meno un pregiudizio, a proposito dei bengalesi o altre culture, vorrei ricordare che, appunto, a differenza di quanto si continui a credere, anche da noi certe conquiste sono assolutamente recenti e numerose ancora di là da venire, passandoci una mano sulla coscienza, abbiamo ben poco da insegnare, ben poco di così civile o culturale da esportare, es:
– è solo nel 1960 che viene dichiarato illegittimo l’art di legge che prevedeva l’esclusione delle donne dal lavoro nei pubblici uffici
–
– è solo nel 1969 che la Corte Costituzionale cancella le norme che punivano adulterio e concubinato
-nel 1970 è approvata in Senato la legge sul divorzio
-nel 1971 il divieto licenziamento durante periodo di gestazione sino al compimento primo anno di età del bambino
– è solo nel 1975 che i due coniugi diventano ambedue titolari di patria potestà
– e, dulcis in fundo, dalla proposta di legge sulla violenza sessuale nel 1979, è solo nel 1996 che la violenza sessuale è riconosciuta reato contro la persona e NON contro la morale, etc etc etc
detto questo, ( e non c’è bisogno che stia qui a sottolineare, quanto poi ancora resti da fare sia in materia di diritti, e quanto contemporaneamente, nonostante i diritti, sopravvivano, qui da noi, tante forme di violenza sulle donne o sui figli, ma ricoperte da un spessissima cortina borghese-sacrale e aura di famiglia benedetta, durissima da sfregiare e mandare in frantumi)…adesso io voglio fare un discorso scorretto, non per facile provocazione, un discorso che è difficile prima per me, perché in quanto donna mi coinvolge in prima persona, e mi costringe a fare tutto un pacchetto di questi bei diritti, di tante faticose conquiste e gettarlo letteralmente a mare per provare a comprendere l’altro, per smascherare tabù e pregiudizi radicati, un discorso duro, ma che mi sembra anche questo necessario, un discorso ancora da elaborare, che mi preme molto, su cui riflettevo tra me e me inq uesti giorni e che, grazie a te, cristiano, ho la possibilità di provare a discuterne con qualcuno.
…conoscevo questo ragazzo, che fino a qualche giorno fa era un ragazzo qualunque, solo molto, troppo sfortunato.
molte tragedie si sono abbattute sulla sua famiglia, il primo ad andarsene precocemente è stato il padre, seguito a ruota dalla sorella, giovanissima, due diversi incidenti stradali. resta lui, poco più che ventenne, fragile, ancora stordito, ad occuparsi della madre spezzata, che sopravvive, ormai, imbottita di medicinali. ferite troppo grandi ti precludono ogni contatto. una ragazzina, si dice, che lo prendeva in giro, provocandolo, mettendolo in ridicolo, infierendo sulla sua virilità, forse una schermaglia d’amore, forse un maldestro corteggiamento, comunque sia, l’ennesima ferita che si aggiunge alle altre, provoca una voragine. non ho voluto neanche sapere i dettagli, so solo che adesso è agli arresti per stupro.
ora io, in quanto donna, non posso giustificare il carnefice, ma so che quel ragazzo non avrebbe fatto male a una mosca, e so che non è una buona ragione, eppure so che non è stupido caso di bullismo, ma che tutto questo orrore è frutto dell’assioma dolore provoca dolore e causa dolore, e, di nuovo, so che non è una buona ragione ma so che se la vita fosse stata un po’meno ingiusta, un po’ meno cruda, tutto questo non sarebbe accaduto, e so pure che invece è proprio la vita che a volte si accanisce…
tutto questo discorso che può sembrare un po’ Ot, in realtà non lo è, perché questo caso per me assomiglia molto ai casi di stupro commessi da extracomunitari, ecco, parliamone… io NON giustifico questo e non giustifico quelli, ma cerco, mi sforzo di comprenderli…un passato doloroso alle spalle da cui non si è riusciti ancora del tutto a fuggire, un futuro invisibile, un presente improbabile, la solitudine, l’emarginazione, la sofferenza, la sofferenza, la sofferenza… e forse tanta sofferenza che potrebbe pure essere evitata, se tutti noi ci sforzassimo
ho di recente letto il testo di moresco “zingari di merda”. ad un certo punto lui dice di non sopportare e di non saper giustificare chi offre il proprio figlio ad occasionali clienti. non so se questo sia moralismo, non so se sia un limite, non so se sia stratificazione culturale. in quel momento mi son sentito sollevato. in quel momento ho lasciato che moresco mi conducesse attraverso una libertà semplice, una verità anche mia, nuda, senza sovrastrutture.
tra i molti stupratori nostrani ci sono di frequente storie infantili di abusi subiti. tra gli stranieri, sinceramente, non lo so. so che il raccapriccio che provo nel sentire i racconti ( di ragazze italiane e straniere) è sempre forte; così forte che prevale su quel che so e penso e dico.
se volevi dire che non sempre e non tutti sono uguali e che bisogna cercare di comprendere, sono d’accordo.
lo sono meno, perchè secondo me è ideologico e facente parte di quelle sovrastrutture cui sopra, se si pensa che ognuno di noi non nasconda in sé il proprio nemico e il proprio mostro. che forse esce improvvisamente dalle viscere proprio perché lo teniamo a bada sotto la massa di quello che impariamo a considerare giusto-sbagliato, buono-cattivo, eccetera.
Sono contenta di non conoscere codesto Camon, il cui articolo è di una piaggeria e stupidità disgustose, e di conoscere solo di nome Steiner, anche se mi sembra di capire che il suo articolo sia stato letto e interpretato in maniera un po’ (volutamente?) fuorviante da Camon.
Alcune riflessioni: quella dell’homo homini lupus è storia vecchia, almeno Hobbes non faceva distinzioni di razza! Sarebbe stato, come già detto da altri in questa discussione, più onesto dire: non sopporto il mio vicino in quanto rompi…, piuttosto che dire: non sopporto il mio vicino in quanto giamaicano. Non c’è bisogno che vi elenchi esperienze di vicinato incivile italianissimo. La cosa più triste credo sia la sclerosi del pensiero, il trionfo degli stereotipi: il mio vicino disturba, il mio vicino è giamaicano, tutti i giamaicani disturbano. Un rumeno ha stuprato una donna, tutti i rumeni sono stupratori. Un rom ha rubato, tutti i rom sono ladri. La cosa più triste è che questa sclerosi colpisca sedicenti intellettuali. La cosa più pericolosa, invece, è la ricaduta politica di questa forma di non-pensiero.
Stefania
cristiano, mi dispiace.
non sono per nulla d’accordo. non puoi, nel caso di un medesimo reato, usare 2 pesi e 2 misure a secondo della nazionalità, se è questo che intendevi dire.
ciao
@ Leonardo
riaccendo solo oggi, quindi scusa se ti rispondo in ritardo.
A me sembra che Steiner volesse dire questo: il fondo istintuale del razzismo (sul quale, per inciso, io non concordo) è quello che viene fuori quando: (a) ho un vicino che disturba la mia quiete, ed io, irritandomi, non me la prendo con lui o con la sua famiglia («che incivile questa famiglia Frazier!»), ma generalizzo (contro ogni regola logica: ma quando mi girano non seguo Aristotele, e sicuramente l’istinto non è aristotelico) e penso: «che incivili questi giamaicani! (o napoletani, o bresciani, o thailandesi…)»; (b) quando le convenzioni sociali che determinano l’andamento del mercato, e in definitiva il mio benessere (a Londra avere un giamaicano come vicino di casa, nel centro-nord italiano un africano, negli USA un colored o un ispanico, ecc.) prevalgono sulla mia astratta propensione alla tolleranza. Ho cercato di interpretare, avendo riconosciuto un frame culturale nelle parole di Steiner, cosa avesse in mente. A me sembra che Steiner fornisca, in negativo, anche un criterio per distinguere il vero anti-razzista dall’antirazzismo a parole: è veramente contro il razzismo chi NON inveisce contro “i giamaicani” anche se la famiglia Frazier non lo fa dormire la notte, e chi è disposto a mettere in conto la diminuzione del valore immobiliare della sua casa se nell’appartamento accanto vanno ad abitare giamaicani (o senegalesi, o ucraini). Ripeto, io con condivido il punto di partenza di Steiner: però ho, purtroppo, una certa esperienza di tanti tolleranti di facciata, magari disposti a firmare appelli, che perdono il controllo non appena la “questione razziale” va a toccare la loro città, o non appena il controllo sulle parole si allenta. Per quel che mi è parso, l’articolo di Camon appartiene proprio a questa seconda categoria: quella battuta sui magrebini che a casa loro suonano perché tutto intorno alle loro “capanne” c’è “terra ed erba” la trovo intollerabile. Ma tanto intollerabile quanto le affermazioni sui cinesi che mangiano i cani (o i bambini).
mah, veramente io ho sempre saputo che i cinesi mangiano carne di cane, e i vicentini venivano chiamati magnagati, o i veronesi? non mi ricordo bene. La carne di gatto da noi si mangiava eccome, e fino a qualche decennio fa, si diceva che assomigliasse alla carne di coniglio, perciò non trovo che sia il cosa si mangia a disturbare, ma il come il fatto di mangiare questo o quello viene usato nel discorso.