La prossima settimana, forse

di Gianni Biondillo

Alberto Nessi, La prossima settimana, forse, Bellinzona, Casagrande, 2008, pp. 176

Certe volte penso che la nostra lingua verrà salvata o dalla nuova immigrazione che la arricchirà di neologismi e nuovi colori o dalle realtà linguistiche extraterritoriali, più legate all’italiano scritto, visto ancora come lingua nobile. È quello che penso, appunto, leggendo La prossima settimana, forse di Alberto Nessi, autore ticinese, così parco nella sua trentennale produzione artistica che ogni sua novità assomiglia ad un piccolo evento.

Anche nel numero delle pagine Nessi non è generoso. Neppure 170. Eppure vi assicuro che sono talmente dense che vi appariranno di un peso specifico differente. Nessi cerca, riuscendoci, a fondere insieme il tono naturalmente lirico della sua scrittura con il racconto epico di un’epoca. C’è tutta l’Europa in quelle pagine, c’è l’intero Ottocento, il secolo dei sogni, delle speranze, della presa di coscienza della classe operaia, ci sono le prime rivolte popolari, contadine, ci sono le leggende contadine ticinesi, gli orologiai del Giura, c’è la comune di Parigi, i comizi di Bakunin, la scoperta dei fiori del Male di Baudeleaire, la lotta fra realisti e repubblicani, i contrabbandieri italiani, i circoli operai portoghesi.

Questo libro impressiona, da alla testa. Al centro della narrazione c’è un protagonista, Giuseppe Fontana – mezzo ticinese, mezzo cittadino del mondo – detto José da quando s’è trasferito a Lisbona, dove gestisce una libreria. Josè ad un certo punto della sua esistenza decide di tenere un diario; le pagine che leggiamo nel romanzo è ciò che resta del suo viaggio terreno. Ché Fontana è l’emblema di tutta quella meravigliosa genia di uomini che ha vissuto compassionevolmente le rivoluzioni epocali dell’Ottocento, cercando in ogni uomo non un nemico ma un fratello.

All’apparenza La prossima settimana, forse è un romanzo storico, ma non è così: è un libro morale e profondamente attuale, sempre alla ricerca di un cambiamento positivo per l’umanità. Cambiamento che nasce, innanzitutto, dalle singole persone che lasciano il loro segno, anche minimo, nel fango della Storia.

[pubblicato su Cooperazione n. 28 del 8 luglio 2008]

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9 Commenti

  1. La prossima settimana, forse, arriva in libreria.
    I libri che impressionano, danno alla testa sono i miei preferiti. Di solito.
    Grazie

  2. Bella segnalazione, di cui far tesoro. Un appunto più… tangenziale: non riesco ad immaginare (ma è una mancanza mia) come la nostra lingua possa essere salvata (perché usi questa espressione?) “dalla nuova immigrazione che la arricchirà di neologismi e nuovi colori”. L’italiano è già una lingua gram-lo (se si scrive così), fin troppo aperta ad ogni sorta di neologismo e di prestito per via della sua non-esistenza fino a tempi recenti, alla predominanza (fino a tempi altrettanto recenti) dei dialetti come sistemi linguistici ecc. Una lingua, attualmente, letteralmente “sbudellata” – come si direbbe dalle mie parti – dal linguaggio televisivo e dalla crassa ignoranza di molti giornalisti che sparano titoli, titolazzi e articoli senza conoscere, spesso, neanche il congiuntivo. Semmai i “colori”… quelli, sì, potrebbero venircene, e di belli, dalle nuove generazioni d’immigrati. Speriamo.
    Più realistico, quindi, mi sembra propendere per il secondo ramo del tuo ragionamento: quello delle realtà linguistiche extraterritoriali, più legate all’italiano scritto, visto ancora come lingua nobile. Alle quali aggiungerei la letteratura dialettale – la poesia dialettale, soprattutto – che ha un rapporto, finalmente, liberato e nobile con l’italiano scritto e che può contribuire sensibilmente ad arricchirlo.
    Mauro Pianesi

  3. Mauro, il mio era un vago riferimento all’italiano medio letterario, mediamente così prevedibile. Ma, per capirci, proprio quello della letteratura pseudoufficiale dei premi letterari piccoloborghesi.

  4. @ah, i premi letterari piccoloborghesi…
    l’ altra sera ho visto la premiazione del campiello condotta da Bruno Vespa. Al confronto “Rocco invade la Polonia” era uno spettacolo raffinato. Qualche bravo scrittore dovrebbe descrivere l’ orrido evento…

    eh sì, concordo che gli scrittori stranieri in lingua italiana salveranno la vostra letteratura. ma io sono di parte.

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GIANNI BIONDILLO (Milano, 1966), camminatore, scrittore e architetto pubblica per Guanda dal 2004. Come autore e saggista s’è occupato di narrativa di genere, psicogeografia, architettura, viaggi, eros, fiabe. Ha vinto il Premio Scerbanenco (2011), il Premio Bergamo (2018) e il Premio Bagutta (2024). Scrive per il cinema, il teatro e la televisione. È tradotto in varie lingue europee.
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