BRIVIDO D’INVERNO [1867] di Stéphane Mallarmé

__

 

a M…

 
Questa pendola di Sassonia, che ritarda e suona la tredicesima ora fra i suoi fiori e i suoi dei, di chi è stata? Penso sia venuta dalla Sassonia con le lente diligenze, in passato.

(Singolari ombre pendono ai vetri consunti)

 
E il tuo specchio di Venezia, profondo come una fredda fontana, alla riva di serpenti d’oro scrostato, chi si sarà rimirato? Ah! Sono sicuro che più di una femmina ha bagnato in quest’acqua il peccato della sua bellezza; e forse vedrò un fantasma nudo se lo guarderò per lungo tempo.
 
– Villano, tu dici sovente certe cose sconvenienti…

(Vedo delle tele di ragni in alto sulle grandi finestre)


 
Il nostro baule anche è cosi vecchio: contempla come il fuoco arrossa il suo triste legno; le tende illanguidite hanno la sua età e la tapezzeria delle poltrone denudata di belletto e le antiche incisioni alle pareti, e tutti i nostri vecchiumi! E non ti sembra che anche il bengalino e l’uccellino azzurro si siano stinti con il tempo?

(Non badare alle tele di ragni che tremano in cima alle alte finestre)

 
Tu ami tutto ciò ed ecco perchè posso vivere accanto a te. Non hai forse desiderato, mia sorella di sguardo di passato, che in uno dei miei poemi apparisse questa frase “la grazia delle cose sfiorite”. Gli oggetti nuovi ti dispiacciono, anche a te fanno paura con il loro ardire chiassoso e sentiresti il bisogno di usarle, – che è cosa ben difficile da fare per quelli che non provano gusto nell’azione.
 
Vieni, chiudi il tuo vecchio almanacco tedesco, che leggi con attenzione, nonostante sia uscito da più di cent’anni e i re di cui parla siano tutti morti e, accucciato sull’antico tappeto, la testa appoggiata fra le tue ginocchia caritatevoli sul tuo vestito pallido, o calma bambina, ti parlerò per ore intere, non ci sono più campi e le vie sono vuote, ti parlerò dei nostri mobili…
Sei distratta?

(Quelle tele di ragni rabbrividiscono da tanto tempo in alto sulle grandi finestre)

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à M…

 
Cette pendule de Saxe, qui retarde et sonne treize heures parmi ses fleurs et ses dieux, à qui a-t-elle été ? Pense qu’elle est venue de Saxe par les longues diligences, autrefois.

(De singulières ombres pendent aux vitres usées).

 
Et ta glace de Venise, profonde comme une froide fontaine, en un rivage de guivres dédorées, qui s’y est miré ? Ah ! je suis sûr que plus d’une femme a baigné dans cette eau le péché de sa beauté : et peut-être verrais-je un fantôme nu si je regardais longtemps.
 
— Vilain, tu dis souvent de méchantes choses…

(Je vois des toiles d’araignées en haut des grandes croisées).

 
Notre bahut encore est très-vieux: contemple comme ce feu rougit son triste bois; les rideaux allanguis ont son âge, et la tapisserie des fauteuils dénués de fard, et les anciennes gravures des murs, et toutes nos vieilleries! Est-ce qu’il ne te semble pas, même, que les bengalis et l’oiseau bleu ont déteint avec le temps.

(Ne songe pas aux toiles d’araignées qui tremblent en haut des grandes croisées).

 
Tu aimes tout cela et voilà pourquoi je puis vivre auprès de toi. N’as-tu pas désiré, ma sœur au regard de jadis, qu’en un de mes poëmes apparussent ces mots “la grâce des choses fanées”? » Les objets neufs te déplaisent; à toi aussi, ils font peur avec leur hardiesse criarde, et tu te sentirais le besoin de les user, — ce qui est bien difficile à faire pour ceux qui ne goûtent pas l’action.
 
Viens, ferme ton vieil almanach allemand, que tu lis avec attention, bien qu’il ait paru il y a plus de cent ans et que les rois qu’il annonce soient tous morts, et, sur l’antique tapis couché, la tête appuyée parmi tes genoux charitables dans ta robe pâlie, ô calme enfant, je te parlerai pendant des heures ; il n’y a plus de champs et les rues sont vides, je te parlerai de nos meubles…
Tu es distraite ?

(Ces toiles d’araignées grelottent longtemps en haut des grandes croisées).

 

 
[ traduzione di Orsola Puecher ]

 

________________***________________

 

 

 
Molti brividi, oltre a quello di un inverno che è un tempo letterario ed estetico elettivo, increspano questa breve prosa poetica giovanile di Mallarmé. I segni stanno ancora al loro posto sulla pagina, non vi è ancora oscurità di senso e suono, ma gia il loro equilibrio accenna a farsi liquido ed instabile. La parole e i pensieri sono all’inizio del viaggio che si compirà trent’anni dopo e che li porterà a fissarsi a caso nella costellazione sparsa fra il vuoto tipografico di spazi di Un coup de dés jamais n’abolira l’hazard.

 

 

 

 

 

 
Il brivido è nell’insieme di domande senza risposta, nel dialogo discontinuo fra le due voci: la prima, una specie di personificazione del poeta, un flusso interiore conscio ed inconscio (le quattro misteriose parentesi refrain dedicate alle ragnatele tremanti sulle finestre), e la seconda, figura femminile, sposa, amante, bambina, complice e caritatevole sorella di sguardo di passato, che parla una sola volta, in un curioso, straniante, rimprovero piccolo borghese, ed alla fine nemmeno più ascolta, distratta ed astratta.
Il brivido è negli sguardi che vagano fra gli oggetti che non sono semplice materia, ma sempre contengono e richiamano qualcos’altro, è in uno specchio che non riflette, ma apre ad una dimensione parallela, fonda, fredda acquatica, in cui tremola il fantasma nudo, sensuale e peccaminoso della bellezza che vi si specchiò.
Il brivido è nel trascorrere dispari di quella misteriosa ora tredicesima che la pendola di Sassonia rintocca nel silenzio: una specie di ora che non c’è di un tempo interiore carico di passato e di mistero, che torna indietro, sempre volutamente attardato ed in ritardo.
Il brivido è nell’indugiare sulla consumazione degli oggetti, sopravvissuti e muti testimoni delle storie misteriose della catena dei loro proprietari, che è pregio, ricchezza di aura, sfocata e delicata bellezza che si oppone alla volgarità dell’oggetto nuovo, nell’incapacità e nella non voglia di intervenire su di esso per usarlo, consumarlo e quindi renderlo bello, calmo, famigliare.
Intervenire sul presente pare un compito impossibile, inutile.
E’ questo salone antico dal quieto abbandono una stanza in viaggio siderale, forse trasportata dall’Angelus Novus di Klee, che vola all’indietro con gli occhi spalancati sul passato, già verso il silenzio e l’incomunicabilità del secolo successivo.

 

Photo © The Israel Museum, Jerusalem

 

 
E, fra i bagliori del fuoco acceso, unico punto di calore, in questa camera chiusa dai vetri opachi, che i ragni stanno pian piano murando di tremolanti ragnatele, dove fuori sembra essere sparito ogni paesaggio, ogni altro essere vivente e tutto è impallidito, sbiadito, con una velatura polverosa di una consumazione estetica necessaria, in cui il presente è prodotto dialettico della storia e del passato, già sta seduto, su una delle poltrone dalla tapezzeria lisa, con il viso appoggiato alla mano, assorto, un rifleesso di fiamma negli occhiali in tralice, Walter Benjamin:

Non è che il passato getti la sua luce sul presente o il presente la sua luce sul passato, ma immagine è ciò in cui quel che è stato si unisce fulmineamente con l’ora (Jetzt) in una costellazione. In altre parole: immagine è la dialettica nell’immobilità. Poiché, mentre la relazione del presente con il passato è puramente temporale, continua, la relazione tra ciò che è stato e l’ora (Jetzt) è dialettica: non è un decorso ma un’immagine discontinua, a salti.

W. Benjamin
Parigi, capitale del XIX secolo.
I passages di Parigi

Einaudi, Torino 1986, p. 598.

 

 
[ immagini animazione di Odilon Redon (1840-1916); Ophélie, Il ragno che ride ]

 

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4 Commenti

  1. “Intervenire sul presente pare un compito impossibile, inutile.”

    Da “Sul Disegnare” di John Berger

    Capitolo : Vincent

    “Diventò rigorosamente esistenziale, ideologicamente nudo. La sedia è una sedia, non un trono. Gli stivali si sono logorati a forza di camminare. I girasoli sono piante, non costellazioni. Il postino consegna le lettere. Gli iris moriranno. E da questa sua nudità, che i suoi contemporanei consideravano ingenuità o follia, proveniva la sua capacità di amare, all’improvviso e in qualsiasi istante, quel che aveva di fronte.”

    Mallarmé è una scelta coraggiosa. Poco estiva.
    L’incrocio di letture porta a riscrivere frasi che sembrano rispondere ad altre. Grazie come sempre

    Un saluto

  2. Meraviglioso! Ho accolto il tempo sospeso, la bambina fata attraversando lo specchio e canticchia la voce della bambina con la pendola: si sente nel silenzio assoluto.
    E dovrebbe essere il silenzio assoluto nella lettura del commento: un commento che è nell’accento poetico, prolunga la poesia come uno sguardo magnifico su una stanza della memoria.
    Orsola, tu hai visitato come nessuno, con la tua sensibilità, questa stanza, questa poesia che si fa viva dopo un sonno di favola.

    Grazie per questo spartito delicato.

  3. Chi conobbe gli Angeli, così consigliò noi gli uomini:

    *

    Loda all’Angelo il mondo, non quello indicibile, con *lui*
    non puoi sfoggiare splendore di sentimento; nell’Universo
    dove egli sente più sensibilmente, tu sei novizio. E allora
    mostragli
    quello che è semplice, quel che, plasmato di padre in
    figlio
    vive, cosa nostra, alla mano e sotto gli occhi nostri.

    RAINER MARIA RILKE, Elegie duinesi. Nona elegia.
    (Einaudi, 1978, trad. Enrico e Igea De Portu, pag. 57).

    *

    Grazie Orsola,
    è come se ci avessi portato a sbirciare, segretamente, in tempi e in luoghi in cui, qualcuno, è stato sfiorato dall’Angelo.

  4. Mallarmé, come Eraclito, era detto L’oscuro: il fascino della sua oscurità è per me estremo; avrei dato molto per essere nel numero dei mardistes che tutti i martedì, dalle quattro alle sette, nell’appartamento parigino di rue de Rome, ascoltavano il Maestro che officiava, sacerdote e danzatore della poesia, quel rito della parola che avrebbe dato luogo all’arabesco delle Divagations. Grazie davvero.

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orsola puecher
orsola puecherhttps://www.nazioneindiana.com/author/orsola-puecher/
,\\' Nasce [ in un giorno di rose e bandiere ] Scrive. [ con molta calma ] Nulla ha maggior fascino dei documenti antichi sepolti per centinaia d’anni negli archivi. Nella corrispondenza epistolare, negli scritti vergati tanto tempo addietro, forse, sono le sole voci che da evi lontani possono tornare a farsi vive, a parlare, più di ogni altra cosa, più di ogni racconto. Perché ciò ch’era in loro, la sostanza segreta e cristallina dell’umano è anche e ancora profondamente sepolta in noi nell’oggi. E nulla più della verità agogna alla finzione dell’immaginazione, all’intuizione, che ne estragga frammenti di visioni. Il pensiero cammina a ritroso lungo le parole scritte nel momento in cui i fatti avvenivano, accendendosi di supposizioni, di scene probabilmente accadute. Le immagini traboccano di suggestioni sempre diverse, di particolari inquieti che accendono percorsi non lineari, come se nel passato ci fossero scordati sprazzi di futuro anteriore ancora da decodificare, ansiosi di essere narrati. Cosa avrà provato… che cosa avrà detto… avrà sofferto… pensato. Si affollano fatti ancora in cerca di un palcoscenico, di dialoghi, luoghi e personaggi che tornano in rilievo dalla carta muta, miracolosamente, per piccoli indizi e molliche di Pollicino nel bosco.
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