un’estate al mare
di Chiara Valerio
Come un uomo, non poté fare a meno di pensare prima di addormentarsi.
Ma non era un uomo; e molto tempo infelice sarebbe passato prima che lo fosse.
La prima volta che ho letto Agostino era estate, il millenovecentonovantuno e sulla spiaggia vendevano il cocco fresco e fiorivano molti ombrelloni multicolori ma nemmeno una cabina. In due parti del mondo e del tempo differenti io e Agostino detto Pisa condividevamo imperativi la medesima età e la stessa lancinante richiesta di attenzione a genitori assenti. Guarda me, scegli me, prendi me. Il padre di Agostino era morto e il mio impegnato con gli esami di maturità, la madre di Agostino era sul patino con Renzo e mia madre sul bagnasciuga a costruire castelli con le mie sorelle. In realtà erano così piccole che forse scavavano semplicemente buche. Non mi ricordo. Mia madre scorgendomi con Moravia poggiato sulle ginocchia aveva chiesto inquieta Non sarà meglio che cominci con Racconti surrealisti e satirici?, ma io che valutavo la letteratura a peso (ponderavo?) e ci tenevo molto ai pomeriggi sulla pianta di fico a tirare pietre le avevo risposto Ma Agostino sembra Il signore delle mosche che mi è piaciuto tanto. Un po’ avevo già incontrato Berto, i suoi e il bagno Vespucci, un po’ sulla quarta di copertina lampeggiavano al neon le parole iniziazione sessuale che al contrario di surrealisti e satirici producevano callide eco nel mio giovane vocabolario di provincia. Agostino si legge in fretta perché Pisa non fuma e non si volta e non s’arrovella mentre la madre si indora scoperta sul patino, perché la sessione di Guardia e ladri finisce prima di cominciare, perché la riva del Rio è melmoso e il Saro non conosce le poesie di Carducci, perché Agostino può fingersi bagnino ed essere migliore mentre scruta il privilegiato che gli sta di fronte abbarbicato a un pallone, perché al casino non si entra con i pantaloni corti. L’iniziazione sessuale di Agostino però è in potenza e da allora non mi fido più delle quarte di copertina.
È un racconto sulla caduta, sulla perdita dell’innocenza e su quanto la condivisione implichi la rinuncia al paradiso terrestre. Fosse pure la venerazione del corpo di tua madre. (…) ma sentiva quel corpo, là dietro di lui, nudo al sole, come avvolto in un mistero cui doveva massima venerazione. Di quanto gli affetti possano ingannare sulla curiosa vastità del mondo e deformare lo sguardo. Non ci fosse stata questa intimità, gli accadeva talvolta di pensare, che sarebbe rimasto diquesta bellezza?. Ogni condivisione sporca le mani o i piedi. Ogni sforzo conoscitivo ha per controparte un abbandono. Altrimenti si è destinati dantescamente a smorzare i pomeriggi con la peretta di legno della luce elettrica. L’adolescenza può essere eterna e lugubre, superflua e vergognosa, brutale e umiliante, il solito fardello di beffe e disprezzo, anche in una casa con venti stanze e due palloni di cuoio, ed è la scoperta di Agostino. Ed è perciò che lo rileggo.
Tuttavia il fatto che in esso la perdita dell’innocenza sia strettamente connessa all’iniziazione sessuale mi ha sempre disturbato e fatto pensare a quanto avessi sbagliato ad assimilarlo a Il signore delle Mosche. Anche perché l’adolescenza di Agostino è pavida e ritratta là dove quella di Ralph è sopravvissuta ed espediente. Chissà che forse, camminando sempre dritto davanti a sé (…) non sarebbe arrivato in un paese dove tutte quelle brutte cose non esistevano. In un paese (…) dove gli fosse stato possibile dimenticare tutto quanto aveva appreso per poi riapprenderlo senza vergogna né offesa, nella maniera dolce e naturale che (…) oscuramente avrebbe voluto. Agostino è un peripatetico e io una lettrice entusiasta e disorganica. E che ha sempre tentato di gettare fili rossi tra i personaggi. La prima cosa a luccicare, anche a occhi tredicenni, è che, in questo racconto, gli uomini hanno un nome e le donne seni, costumi a strisce, nei, e talvolta cappelli o vestaglie di voile. Ma nomi mai. Solo nel casino e nella bocca di due avventori si legge Se la Pina è libera la prendo io… non facciamo scherzi, ma in quel caso Pina, ben lungi dall’essere un nome, è una connotazione, un colore, la sintesi di donnesche qualità in mostra nel piccolo casino oltre la pineta. La mamma di Agostino, senza nome alcuno, dovrebbe essere definita dal ruolo che occupa nella storia ma, a beffa dell’incauto lettore, non è così. Moravia costruisce passaggi lanceolati e un gioco di specchi perché ci sono due nuovi inizi in questo racconto strutturato come un dittico in cui uno dei pannelli rimane perennemente in ombra e si porge solo agli occhi di Agostino perché possa raccontarlo.
La madre di Agostino infatti non è definita dal ruolo di genitrice ma da vezzi e portasigarette. Ed è estraniante. Io non avrei probabilmente badato alla madre di Agostino in patino con Renzo se fosse stata una Lisa o una Cecilia o una Carla in patino con Renzo, non mi sarebbe parso peccaminoso, non avrebbe solleticato la mia reazionaria pruderie adolescente, nessuno dei ragazzi del Saro, o non così a lungo, avrebbe dileggiato Agostino perché una Lisa o una Cecilia o una Carla avevano porto un braccio a un giovine bruno che offre un giro in barca. È proprio Agostino che forte di turbamenti innominati, al pari della madre e di tutte le donne che popolano la spiaggia senza distrarlo o quietargli gli interrogativi, osserva come, dopo l’incontro con Renzo, la madre, donna grande e piena di dignità, risentisse quella grandezza come un impaccio di cui si sarebbe disfatta volentieri; e in quella dignità come un’abitudine noiosa a cui, ormai, le convenisse sostituire non si capiva che maldestra monelleria.
Agostino non ammette repliche o appelli. È perentorio. Se la madre non può essere il femmineo camerata con cui fare il bagno al largo allora è solo una donna che premedita una felicità con un altro uomo, e Agostino solo il gingillo, il passatempo, l’antistress dalle assenze degli uomini coi pantaloni lunghi e le gambe forti tutte avvolte come da un polverio aureo. Ecco perché l’adolescenza è eterna e perché Agostino contava e talvolta doveva riprendere a contare per la confusione che quell’immagine provocava nel suo animo. La madre rovesciata indietro sullo sgabello del pianoforte e il giovane Renzo chino su di lei. Ripeto, se Agostino potesse nominare la madre potrebbe liberarsene e invece gli tocca raccontare le proprie inquietudini per la rinnovata adolescenza di lei. Ella gli si è sottratta come compagno di giochi (le donne non possono esserlo, madri un giorno e poi femmine per sempre per capovolgere de Andrè) e in ultimo gli sottrae la possibilità di condensare il pensiero in carne. In effetti dopo che Agostino è fuggito in seguito a un manrovescio materno, che è stato ferocemente pestato da Berto, e che il Tortima gli ha trattenuto la
testa sott’acqua e che sempre Berto gli ha spento un rovente mozzicone sul dorso della mano nelle reazioni della madre non cambia nulla. Ella lo incontra, dopo essere stata in barca, e senza nessuna preoccupazione, assolutamente obnubilata da sensazioni che in ogni modo non le lasciano ombre sul corpo, e Moravia lo ripete a ogni pie’ sospinto, gli si rivolge semplicemente con Hai fame?… ora andiamo subito a mangiare…
Agostino non è un romanzo surrealista, la madre non anticipa la Cantatrice calva, quelle parole dimostrano la mia tesi tredicenne che l’iniziazione sessuale della quarta di copertina non era riferita al paradiso perduto dell’imberbe Agostino ma piuttosto alla ri-iniziazione sessuale della giovane vedova, la donna più bella della spiaggia, che ebbra e patetica è così concentrata sul corpo e sulle attenzioni del bruno Renzo che non riesce nemmeno a vestire per un istante solo il suo ruolo di genitrice. D’altronde con Agostino discorreva pianamanete (…) proprio come lui fosse stato un uomo e non un ragazzo di tredici anni. D’altronde Agostino lamenta nella madre lo stesso comportamento della cugina che gli ha concesso giri di danza solo fino a che non è arrivato un giovane uomo che non fosse ancora un bambino. Ed forse davvero una ri-iniziazione giacché nel seguito si legge le gambe di lui ben piantate e aperte (…) esprimevano eguale padronanza di sé e liberazione e per converso ella pareva affamata di quel bacio come chi ne è stato troppo a lungo a digiuno e ancora ansimava con una tale violenza che le si vedeva distintamente il petto levarsi e abbassarsi sotto la seta del vestito. Il rapporto della madre di Agostino e di Renzo è sbilanciato come se lei fosse un’adolescente e lui un uomo fatto. E gli adolescenti non hanno figli cui badare.
La lettura di Agostino mi lascia sempre un poco l’impressione che le parole rifuggano nonostante i personaggi cedano ai fatti. Per esempio i gesti dei ragazzi del bagno Vespucci non hanno niente a che vedere con i sentimenti eppure essi domandano se alle feste dei ricchi si fa l’amore, i tremori della madre di Agostino sono carnali, di desiderio e possessione e condensano in gesti più che accennati eppure il palpito del ventre e la bagnata ruvidezza della maglia fradicia eppure le unghie aguzze che staccano dal petto il costume fradicio in modo che non vi aderiscano le punte dei capezzoli e le rotondità dei seni sono più turbamenti che azioni. Questo perché Agostino è un affresco, appartiene all’aria di un certo tempo e forse alla trama di una vita e perché le parole di Moravia qui descrivono circospette e precise e poi fuggono a rintanarsi altrove e perseguire altri scopi. Il voyeurismo, la crisi delle vanità della borghesia, l’ammirazione maschia e descritta con lombrosiana esattezza per le classi lavoratrici, l’omosessualità non giudicata ma comunque ridacchiante nella sua bassezza, il denaro che non deve avere nulla a che vedere con le carezze, la nudità e la carne femminile, l’esposizione alle tentazioni e non ultima l’insidia delle contraddizioni.
A latere
Agostino di Moravia su Google è appena il quinto risultato. Tra Aurelio Agostino e Ceramiche Sant’Agostino che sono un po’ la stessa cosa se uno pensa Polvere alla Polvere.
Io non amo Moravia. Ma ho sempre trovato mirabile, invidiabile, la maniera di descrivere tare e perdita del sé. È vero che nella prosa sua, in quello che ho letto e che è ben lungi dall’essere tutto o solo abbastanza, non ho mai inciampato negli aggettivi ma la struttura narrativa finora rassomiglia a una corsa a ostacoli. Io non amo nemmeno le virgole ma certe sere sono le uniche a lasciarmi intatta l’impressione della scansione del tempo.
Per le strade mercenarie del sesso/ che procurano fantastiche illusioni/ senti la mia pelle come è vellutata/ti farà cadere in tentazioni(…)Un’estate al mare, voglia di remare/ fare il bagno al largo/ per vedere da lontano gli/ ombrelloni-oni-oni/ Un’estate al mare, stile balneare/ con il salvagente per paura di affogare…/ Quest’estate ce ne andremo al mare/ con la voglia pazza di remare/ fare un po’ di bagni al largo/ e vedere da lontano gli ombrelloni-oni-oni.
Giuni Russo, Un’estate al mare [F. Battiato, G. Pio, 1982, Ed. Emi Music Publishing/Sugarmusic]
Nota
L’edizione alla cui quarta di copertina mi riferisco è la seconda dei Tascabili Bompiani uscita nel marzo del1980. Costava duemiladuecento lire e in copertina sta ancora assisa una delle Bagnanti di Piero Marussig. Un seno scoperto e uno sfondo metafisico. Le uniche frasi sottolineate a matita erano la felicità premeditata con la quale aveva accettato l’invito (p. 10) si sentiva superfluo e vergognoso (p. 16), « Veramente» disse Agostino, il viso acceso di vergogna « andiamo al largo per fare il bagno» (p. 43) e gli accadde in quel torno di tempo un fatto che lo riconfermò in questa convinzione (p. 103). Credo fossi affascinata dall’utilizzo di torno, in effetti ancora oggi lo trovo bellissimo.
[Un’estate al mare è apparso su Nuovi Argomenti, 40, V serie (2007), pp. 183-188]
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p.s incipit: i bambini (mai troppo piccoli) sono gli unici in grado di costruire castelli con le buche.
l’ articolo non ha leggerezza. accavalla ma non accavalla invogliando a desiderare altri accavallamenti.
il testo mi pare un po’ zavorrato, un po’ troppo ben pettinato pattinato patinato per etichette. non leggo uno sguardo entusiasta – parlo di sensazioni personali) nonostante si dica che ciò che è stato letto sia piaciuto tanto per questo questo e questo motivo.
ecco. un elenco ma nessuna passione nell’ elencare. a ma non è arrivata. e mi chiedo se sarebbe stato diverso se la recensora avesso parlato del signore delle mosche… che splendido libro, anche per me… o forse ci sarebbe stata più partecipazione da parte della recensora se avesse recensito qualcosa che non le era affatto piaciuto o che l’ avesse scossa negativamente, o sdegnata, o disgustata.
anche lasciata indifferente. che se l’ autrice scrive così delle cose che le piacciono, un po’ di curiosità rimane per quelle che non le piacciono. magari è tanto di guadagnato in positivo sul giudizio negativo.
da come era partita mi “aspettavo” (tutto faceva presagire) una lettura un po’ più tellurica, qualche brivido inguinale, ascellare. carotidea? un po’ meno paura di esprimere la pancia (non sto dicendo di squadernarsi in quadriglie orgistiche con la penna, ma almeno amare un po’ di più quello che si legge – se lo si ama – e se lo si ama tanto da voler invitare gli altri a leggerlo) )
mi scuso per eventuali errori
un saluto
paola
ma quanto brava e’ chiara valerio!?
Agostino possiede l’incanto nostalgico di un’ altra epoca, nella luce adolescente, del corpo nervoso del ragazzo e del desiderio turbo per la madre.
Il corpo della madre che nasconde un regno scruro, vietato, in una epoca dove il cinema mostrava come un’ audacia un seno nudo o le gambe scoperte.
Leggendo il pezzo di Chiara Valerio, ho avuto la voglia di rileggere Agostino, come annusando il profumo che non ho conosciuto, diventando un ragazzo; è la magia della lettura: viaggiare di una spiaggia a un’altra con una finta innocenza.
è vero che Moravia non mi entusiasma. ma è vero che Agostino e sua madre sono personaggi che ho sentito distanti. forse sono poco tellurica come dice Paola. forse le scosse sono cos¡ sotto che si percepiscono solo lontano lontano. eco di scosse.
@isabella e veronique
grazie
@lessi Agostino anch’io attorno ai 14 anni, per scuola, all’inizio dell’estate e non lo amai. Mi sembrava un libro che parlava di gente e fatti che non mi avrebbero mai toccato, al di là dell’inquietudine adolescenziale che vivevo, declinata in tutt’altro modo. La cosa che mi è rimasta più impressa, sia durante la lettura che dopo sono le sei dita delle mani di Saro, il segno di una diversità espressa visivamente, nel corpo. Avere sei dita, se ci si pensa, non è una cosa tanto mostruosa, ma in Agostino suggeriva un certo valore morale, se non giudizio, che mi metteva a disagio. Questo non mi piaceva. La diversità per me era un sintomo di qualcosa di straordinario, pure inquietante, ma non disgustoso. Qui invece ci leggevo uno specchio del mondo adulto piuttosto marcio, nel quale Agostino veniva introdotto, nemmeno troppo convinto – una volta “perduta” la madre – solo per essere parte di qualcosa, per capire o ricevere un deformato affetto, anche a scapito di sé stesso, come mi sembra Chiara vada bene a sottolineare. Mi irritava che Agostino non potesse semplicemente starsene per i fatti suoi, detto banalmente. Il Signore delle Mosche è un’altra cosa. E’ la perdita di un’illusione (l’illusione che esista un’età buona dell’umano che coincida con l’infanzia), la scoperta che “l’essere dentro le cose” che si attribuisce spesso di fretta al bambino è fare parte della violenza insita in esse e imparare a relazionarcisi. E’ un libro radicale, terribile sulla natura umana. Sono impressioni frettolose e sicuramente inesatte basate sui ricordi… e sono passati quasi vent’anni dalla lettura di A.! Ma ringrazio Chiara per l’occasione.
Non so cosa sia la scrittura carotidea, ma da questo come da altri scritti di Valerio, mi sembra che trasudi un bel po’ di genuino entusiasmo e passione, di qualcuno che non solo ama i libri, ma sa vivere con i loro personaggi.
oh, Francesca, anche qui a levare gli scudi. ma che barba.
a te pare qui a te pare là. non mi interessa se non sei d’ accordo con quanto ho scritto non per mancanza di rispetto ma perchè intervieni “a difesa” e mi scoccia davvero l’ atteggiamento ” a difesa”. a me piace leggere scrivere e quando ho voglia commentare con gli strumenti
che ho a disposizione.
mi perplime il tuo levar gli scudi al posto dell’ interessata che gentilmente è intervenuta e ha risposto. ( la ringrazio per questo)
ho scritto quello che pareva a me l( e così continuerò a fare anche quando avrò capito le nuove amicizie intrecciate e le nuove inimicizie sbocciate) leggendo questa recensione. non ho parlato di mancanza di genuinità (e daje a mettere in penna intenzioni mai intese) ma di piuttosto un registro trattenuto nel trasmettere la passione. troppo didascalico, lungagginoso. faticoso da leggere. ecco tutto.
se non avessi letto il mio intervento ti saresti disturbata lo stesso a vergar di tua mano codesto testo?
sembra che tutto sia un affare così ” personale”… triste sta’ cosa.
saluti
paola
A me non sembrava che Francesca “levasse gli scudi” a difesa di Chiara. Ma detto così parrebbe che io “levi gli scudi” a difesa di Francesca che “levava gli scudi” a difesa di Chiara.
E così, alla fine, non se ne esce. Quindi lasciamo perdere.
Ciao, Paola… ;-)
@Paola, esprimevo semplicemente la mia opinione, che è diversa dalla tua. Non riesco a capire perché qui come altrove, anche se non ho capito dove, questo debba essere declinato nella mia immagine di cavalierA servente. Il discorso sulla genuinità è anch’esso una mia impressione. L’unica cosa che ho preso dal tuo commento è il “carotidea”, perché mi sembrava strana l’immagine, tutto qua. Non credevo che questo scatenasse problemi. Se qualcosa mi piace lo posso difendere, è lecito? Per me è lecito che ad altri non convinca quello che convince me. Non ne fo un dramma e nemmeno immagino che siano nemici mortali dell’autore.
@ Gianni
Quindi lasciamo perdere.
lasciamo chi?
o plurale majestatis?
;-) buona giornata a te, Gianni.
@ Francesca
Non riesco a capire perché qui come altrove, anche se non ho capito dove, questo debba essere declinato nella mia immagine di cavalierA servente.
forse perchè non ci metti passione quando scrivi l’ “arringa”.
buona giornata, Francesca.
paola
ps: chiedo scusa a Chiara
per i miei interventi semi OT o all OT
la cosa bella degli scudi levati è l’ombra che ne consegue. così si sta piú freschi a pensare. ;-)
secondo me il manifesto del film è grandioso l’unico problema è che la procace femme dietro non è la mamma di agostino ma una donna del lupanare… auff…
chi
@ francesca e gianni
grazie grazie, con tutto quello che avete da leggere…
:*
grazie grazie, con tutto quello che avete da leggere…
:*
si grazie a tutti coloro che leggono, che hanno tanto da leggere e si spera che leggano.
eggià. appunto. chissà che fatica!
nonostante l’ ombra (o proprio perchè c’è l’ ombra?).
saluti chi .
paola