La fame
di Nina Maroccolo
Rinnovamento della colpa: il nemico guerrafondaio.
Un continuo scoscendere per riproporre padri e madri divoratori. La temuta necessarietà di promulgare i massimi sistemi endocrini, endogeni ed egoici, nei quali il castigo ascende verso la tanto sospirata redenzione: a seguire i giorni del perdono.
E c’è un capro fra noi. Tra noi, una creatura disabitata. Rea per dovere inconsapevole, avvilita nelle stazioni d’un deserto animale. Un capro abbandonato, costretto a vagolare tra dune epiteliali sino allo sfinimento. Ad espiare qualcosa che è nostro: non suo.
Un povero Cristo alienato, di cui l’astrazione –o distrazione– darwiniana.
Egli morirà, lo sappiamo. Con le nostre rocce di colpe; senza pronunciare qualsivoglia forma di redenzione: moto perpetuo, circolare, infinito. E ci puniremo per questa abiezione, ci nutriremo di chiarità di carne e di sangue: per quel sacrificio, il castigo voluto.
Ma troviamo, comunque, l’aspetto positivo in un Io resosi consapevole del proprio sentimento di colpa: s’impone Coscienza. Vita la riconosce, anche se perseguitata da Morte –che non significa mortalità, né vita immortale, né morte vitale. E altrettanto si farà genesi, incoronandosi testamentaria nell’espressione biblica In Principio fu la Luce… e la Luce fu, ovvero: tutto è come deve essere: ciò che deve accadere accade.
Quando non ho da mangiare, non mangio: quando ho da mangiare, mangio.
E questo è veramente tutto.
Quando non ho da mangiare, non mangio;
quando ho da mangiare, mangio.
Questo è tutto.
ISHIDA ITTEI
I
memoria per lattogenesi
sogno tutelare che mai appresi
da voi
madri dalle smorte tetre mammelle
madri al riparo da stelle anteriori
né combustione né pace
per me
smorire fu lo zampillo più vitale
II
nero autunnale i vostri denti di latte
e da allora vi accontentate
d’inghiottire figli su figli
succhiargli l’erranza lo spirito artico
abbandonate le pie reliquie
il cibo è cibo
mie ombre separate
scordatemi insaziata
III
ma il pane è pane
anche per Voi pater familias
e le reliquie non sfamano
l’inerzia
involta di vino e baccanale
l’orazione al tabacco
di uomini padronali
una traccia modesta
di travi di assi di casa
IV
elemosina d’elemosina
d’un pube totalitario
pater dei vili
o pia mammella
l’innocenza ha fame
[Immagine: Emanuele Cavalli – Il solitario, 1936]
Versi forti Nina e il tema non dei più facili.
“succhiargli l’erranza lo spirito artico” e “il cibo è cibo/mie ombre separate” e ancora “ma il pane è pane
anche per Voi pater familias
e le reliquie non sfamano”
complimenti
mi allarmo per la sorte di questo “disabitato” signore “costretto a vagolare tra dune epiteliali”.
si afferma sia per colpa nostra (e per questo dovremo nutrirci “di chiarità di carne e di sangue”).
ma credo si tratti solo di cattiva scrittura.
anzi pessima, atteggiata, scrittura.
ma perché ogni tanto non si può conversare coi testi per quello che dicono e chiedono – qualcuno dice Buongiorno, si risponde Buongiorno – non si sta sempre a collocare “la scrittura” nell’asse del Bene o del Male, chi se ne importa di essere servi della “scrittura”?
qui si chiede che fare della colpa, e di “un Io resosi consapevole del proprio sentimento di colpa”, e di una spirale di colpe e metacolpe di cui “noi” (uno dei pronomi più pericolosi della storia, diceva Barbara Christian) siamo le vittime (ir)responsabili (da cui il movimento autofago – e colpisce quanto imponente sia questa metafora in tanto immaginario contemporaneo, penso ai Self-Eaters di Gianmaria Annovi, a certe cose di Elisa Biagini)
su di me si impone fortissima questa affermazione basilare del “tutto” (non ho da mangiare, non mangio…) ed è qualcosa che francamente mi interessa, mi interessa umanamente.
bello Nina
r
Primo l’immagine che dice solitudine, raccoglimento fino al dolore, la ricerca della protezione come entrare nel corpo propio, scomparire.
Il testo possiede una musica meditativa, con luce biblica folgorante. Nel deserto dell’ amore, nell’arido della fame, nasce un vero confronto con l’essere, quando il mondo è divorato, quando rimane sola la riva: una vista che parla del cibo materno a secco: “madri dalle smorte tetre mammelle”
Poesia che amo nella musica arida dove brilla il pensiero.
Cari amici,
intanto vi ringrazio per essere qui insieme a me, a scrivere e soprattutto a meditare su un ventaglio di argomentazioni, cui il sentimento della colpa è duttile a quel principio di organicità collettiva che ben conosciamo. Il discorso del bello e del brutto è veramente relativo. Guardiamo alla sostanza (grazie Eumenidi di NI) che è altro, qualcosa distintamente pesante da portare, da espiare e redimere.
Il “signore” che vaga è un animale adorabile: il capretto.
La parte di quello scritto si rifà, forse con accento cifrato, all’antica tradizione ebraica in cui, nel passaggio dei “giorni del perdono”, l’umano è costretto a sacrificare l’animale dopo averlo custodito, venerato, amato.
Nella ritualità cenacolare, l’ultima, in segno di rispetto il dolce capro passa di mano in mano sopra la testa di ciascun astante, sempre con cura ed attenzione.
Secondo questo rimando ebraico, il capretto verrà abbandonato nel deserto, lasciato andare al suo destino ineluttabile: perché esso morirà.
Da qui il detto “capro espiatorio”.
Attraverso l’abbandono e la morte, si consuma nella comunità questo atto riconosciuto di colpa; segue l’espiazione; poi, la redenzione.
Ho riassunto molto velocemente questo passaggio per TASH. In effetti, caro Tash la metafora è sempre dietro la porta; quel capro è “chiarità di carne e sangue”, e va rispettato nel ruolo di creatura che subisce una volontà altra. Non certamente sua.
E noi, quante volte subiamo nella vita efferatezze, violenze, soprusi dettati da volontà quasi mai reo-confesse: ce le ritroviamo addosso senza un perché. E siamo i primi a sentire la “metacolpa”.
Una domanda a tutti:
cosa pensate di un bambino stuprato all’interno di una famiglia, ad esempio? E’ per lui condanna, processo infinito di colpa malgrado tale violenza l’abbia subìta?
Quel bambino che adulto diventerà?
Avrà fame o no? E di cosa? Di vendetta?
Quel bambino vivrà, se non recuperato in tempo, il deserto e la morte del capretto amico…
A voi la parola. Grazie di cuore acutissima Nadia, Tash, immancabile Renata e dolce Veronique. Tutti vicinissimi a verità inconsolabili…
Vostra Nina
Bella la tue risposta, Nina e cosi vera.
Il lettore che legge poesia è come nel deserto di fronte al cielo da decifrare, di fronte alla sua vita.
@ Véronique da Nina
La scrittura apre destini. Ci troviamo sempre a decifrarli, o a tentare di farlo.
E’ dura Véronique. Non lasciare mai che qualcuno decida per te: creati ogni possibilità di fronte a te stessa.
Ti auguro immensamente una finestra spalancata sul cielo, mai il deserto…
Un abbraccio cara amica,
Nina
Grazie Nina!
Testo mistificante e patetico! Buono solo come esempio di come non bisogna scrivere.
@JEAN-MARC
Evidentemente non ha mai subìto una violenza sessuale all’interno di famiglia!
*
Per imparare a scrivere non vado alla Holden, mi spiace.
Faccio notare a jean-marc che da queste parti ne abbiamo piene le scatole di “giudizi” come il suo. Argomentare, please. Soprattutto quando si ha a che fare con uno scritto particolare – e discutibilissimo – come questo.
Non ve la potete cavare – e questo vale anche per Tash, noto terrorista del buonsenso civile – con queste stronzissime puttanate. Se avete un cervello invece di un culo, lassù in testa, usatelo.
Detto questo: carissima Nina, non è importante che questa gente abbia subito violenza. Non ce ne è bisogno, per capire il tuo testo. Ed eventualmente apprezzarlo o rifiuutarlo.
“Rea per dovere inconsapevole, avvilita nelle stazioni d’un deserto animale”: c’è bisogno di argomentare perché questa frase risulti una mistificazione di un pensiero, di una sensazione o altro? Secondo me no!
Per quanto riguarda il “patetico”: tutto il respiro del testo che in un tentativo di poeticizzare una situazione brutale, esalta la sofferenza ed il senso di colpa, a me sembra patetico.
Detto questo, qui non siamo a scuola (dove si fa finta di commentare anche quando non c’è nulla da commentare) e neanche all’asilo…per quanto l’argomentare possa essere uno dei doveri del buonsenso civile.